Summa Teologica - II-II

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Articolo 4 - Se l'avvocato possa accettare del danaro per la sua opera

In 4 Sent., d. 25, q. 3, a. 2, sol. 2, ad 9

Pare che l'avvocato non possa accettare del danaro per la sua opera.

Infatti:

1. Le opere di misericordia non vanno fatte in vista di una ricompensa umana, poiché sta scritto [ Lc 14,12 ]: « Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i ricchi vicini, perché anch'essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio ».

Ma il patrocinare la causa altrui, come si è detto [ a. 1 ], è un'opera di misericordia.

Quindi a un avvocato non è lecito accettare una retribuzione per l'opera prestata.

2. Le cose spirituali non possono essere scambiate con quelle temporali.

Ma la difesa di una causa è un bene spirituale, essendo l'esercizio della scienza del diritto.

Perciò un avvocato non può ricevere un compenso per la sua opera.

3. Al giudizio concorrono gli avvocati come concorrono il giudice e i testimoni.

Ma secondo S. Agostino [ Epist. 153 ] « il giudice non deve vendere il giusto giudizio, né il testimone la vera testimonianza ».

Quindi neppure l'avvocato può vendere il proprio giusto patrocinio.

In contrario:

S. Agostino [ Epist. 153 ] insegna che « l'avvocato può vendere il suo giusto patrocinio, e il giureconsulto il suo esatto consiglio ».

Dimostrazione:

Uno può giustamente ricevere un compenso per i servizi che non è tenuto a rendere agli altri.

Ora, è evidente che un avvocato non è sempre tenuto a prestare il suo patrocinio e il suo consiglio nelle cause altrui.

Se quindi vende il suo patrocinio o il suo consiglio non agisce contro la giustizia.

E lo stesso si dica del medico che si prende cura di un malato, e di tutti gli altri professionisti di questo genere: purché la retribuzione sia moderata in rapporto alla condizione delle persone, degli affari, della fatica impiegata e delle consuetudini del luogo.

Se invece uno esige più dell'onesto, pecca contro la giustizia.

Per cui S. Agostino [ Epist. 153 ] notava che « quanto fu da essi estorto in modo disonesto si è soliti riprenderlo, mentre viene lasciata l'offerta loro fatta secondo consuetudini accettabili ».

Analisi delle obiezioni:

1. Un uomo non è sempre tenuto a compiere gratuitamente quanto può esercitare per misericordia: altrimenti non si potrebbe più vendere nulla, dal momento che qualsiasi cosa può essere data per misericordia.

Tuttavia quando uno dà per misericordia non deve cercare un compenso dagli uomini, bensì da Dio.

E così gli avvocati, quando difendono per misericordia la causa dei poveri, non devono mirare a una mercede umana, ma alla mercede divina; essi però non sono sempre tenuti a prestare gratuitamente il loro patrocinio.

2. Sebbene la scienza del diritto sia qualcosa di spirituale, tuttavia il suo esercizio esige un lavoro corporale.

Per cui in compenso di ciò è lecito ricevere del danaro: altrimenti nessun artigiano potrebbe avere un compenso per il suo mestiere.

3. Il giudice e i testimoni sono estranei all'una e all'altra parte: poiché il giudice è tenuto a dare la sentenza giusta e i testimoni a rendere la vera testimonianza; e sia la giustizia che la verità non stanno per una parte piuttosto che per l'altra.

E così ai giudici viene assegnato un onorario dalla collettività, e i testimoni ricevono dalle due parti, o da quella che li ha prodotti, l'equivalente delle spese, non come paga della testimonianza, ma come compenso per la fatica sostenuta: poiché, come dice S. Paolo [ 1 Cor 9,7 ], « nessuno presta servizio militare a proprie spese ».

Invece un avvocato difende solo una delle parti.

Quindi può percepire lecitamente un compenso dai suoi clienti.

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