Summa Teologica - II-II

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Articolo 6 - Se nel ricompensare si debba dare più di quanto si è ricevuto

Pare che nel ricompensare non si debba dare più di quanto si è ricevuto.

Infatti:

1. Verso alcuni benefattori, p. es. verso i genitori, il compenso non può essere neppure alla pari, come nota il Filosofo [ Ethic. 8,14 ].

Ora, la virtù non mira mai a cose impossibili.

Quindi il compenso della gratitudine non può tendere a dare qualcosa di più.

2. Se uno dà un compenso superiore al beneficio ricevuto, dà per ciò stesso qualcosa di nuovo.

Ma per un nuovo beneficio l'altro è tenuto a ricompensare.

Quindi il primo nel beneficare sarà poi tenuto a dare di più: e in tal modo si va all'infinito.

Ma la virtù non tende all'infinito: poiché, come dice Aristotele [ Met. 2,2 ]: « l'infinito esula dalla natura del bene ».

Perciò il compenso della gratitudine non deve sorpassare il beneficio ricevuto.

3. La giustizia sta nell'uguaglianza.

Ora, il più è un eccesso rispetto all'uguaglianza.

Siccome dunque in ogni virtù gli eccessi sono peccaminosi, è chiaro che dare un compenso superiore al beneficio è peccaminoso, e contrario alla giustizia.

In contrario:

Il Filosofo [ Ethic. 5,5 ] ha scritto: « Si deve ricompensare chi ci ha fatto del bene, e iniziarne dell'altro ».

Ora, ciò si verifica quando si dà più di quanto si è ricevuto.

Quindi il compenso deve tendere sempre a dare qualcosa di più.

Dimostrazione:

Come si è già notato [ a. prec. ], il compenso della gratitudine soddisfa al beneficio considerandolo dal lato dei sentimenti di chi lo offre.

Ora, in tali sentimenti c'è questo soprattutto di encomiabile, che il beneficio è stato dato senza esservi tenuti.

Perciò chi lo riceve è moralmente obbligato a rendere qualcosa con la stessa gratuità.

Ora, non si può dire che uno dà una cosa gratuitamente se questa non sorpassa la misura del beneficio ricevuto.

Poiché fino a quando il compenso è minore, o uguale, uno non dà nulla di gratuito, ma rende quanto ha ricevuto.

Di conseguenza il compenso della gratitudine tende, nei limiti del possibile, a dare qualcosa in più.

Analisi delle obiezioni:

1. Nella riconoscenza si deve badare, come si è detto [ a. 3, ad 5; a. 5 ], più all'intenzione del benefattore che al beneficio ricevuto.

Se quindi consideriamo il beneficio che i figli ricevono dai genitori, vale a dire l'esistenza e la vita, allora un figlio non potrà mai compensarlo adeguatamente, come nota il Filosofo.

Se però consideriamo la volontà di chi dà e di chi ricompensa, allora un figlio può ripagare i genitori con qualcosa di più grande, come fa notare Seneca [ De benef. 3,29 ].

Se tuttavia uno non è in grado di farlo, per la gratitudine basta la volontà di ricompensare.

2. Il debito della gratitudine deriva da quello della carità, il quale quanto più viene saldato tanto più aumenta, secondo le parole di S. Paolo [ Rm 13,8 ]: « Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole ».

Perciò non vi è alcun inconveniente se l'obbligo della riconoscenza non ha termine.

3. Come nella virtù cardinale della giustizia la misura dell'uguaglianza è data dalle cose, così nella gratitudine l'uguaglianza va raggiunta negli atti della volontà: in modo cioè che la prontezza di volontà che ha spinto il benefattore a dare ciò a cui non era tenuto sia ricompensata dal beneficato al di là dello stretto obbligo.

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