Summa Teologica - II-II

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Articolo 3 - Se la vendetta vada esercitata con i castighi in uso presso gli uomini

Supra, q. 64, a. 2; q. 65, aa. 1, 2, 3

Pare che la vendetta non vada esercitata con i castighi in uso presso gli uomini.

Infatti:

1. L'uccisione di un uomo è una specie di sradicamento.

Ora, il Signore comanda nel Vangelo [ Mt 13,29s ] di non sradicare la zizzania, che sta a indicare i malvagi.

Quindi non si devono mai uccidere i colpevoli.

2. Tutti quelli che peccano mortalmente paiono degni della medesima pena.

Se quindi alcuni che peccano mortalmente sono puniti con la morte, tutti i peccatori dovrebbero essere puniti con la pena di morte.

Il che è falso in maniera evidente.

3. Quando uno viene punito pubblicamente, il suo peccato viene manifestato.

Ma ciò è dannoso per il popolo, che dal cattivo esempio prende occasione di peccare.

Quindi non c'è un peccato tale da implicare la pena di morte.

In contrario:

Nella stessa legge di Dio si trova la determinazione di tali pene, come si è visto sopra [ I-II, q. 105, a. 2, ad 9, 10 ].

Dimostrazione:

La vendetta in tanto è lecita e virtuosa in quanto tende a reprimere i malvagi.

Ora, chi non ha amore alla virtù viene trattenuto dal peccare per il timore di perdere quei beni che sono da lui amati più di quelli assequibili col peccato: altrimenti il timore non impedirebbe la colpa.

Perciò le colpe vanno punite con la privazione di tutti quei beni che sono più amati dall'uomo, quali la vita, l'incolumità del corpo, la libertà e i beni esterni quali le ricchezze, la patria e il buon nome.

Per questo, come riferisce S. Agostino [ De civ. Dei 21,11 ], « Cicerone ha affermato che dalle leggi sono contemplati otto generi di pene », cioè: « la morte », che priva della vita; « la fustigazione » e « la pena del taglione », ( ossia l'« occhio per occhio » ), con cui viene compromessa l'incolumità del corpo; « la schiavitù » e « la carcerazione », che tolgono la libertà; « l'esilio », per cui si perde la patria; « il danno », che sacrifica le ricchezze, e « l'infamia », che toglie il buon nome.

Analisi delle obiezioni:

1. Il Signore proibisce di sradicare la zizzania quando c'è il timore « di sradicare con essa anche il grano ».

Ma talvolta è possibile sradicare i malvagi con la morte non solo senza pericolo, ma anche con grande vantaggio per i buoni.

Perciò in questi casi è applicabile la pena di morte.

2. Tutti coloro che peccano mortalmente sono degni della morte eterna rispetto alla retribuzione futura, che sarà fatta « secondo la verità del giudizio di Dio » [ Rm 2,2 ].

I castighi della vita presente sono invece piuttosto medicinali, per cui la pena di morte può essere inflitta solo per quei peccati che sono gravemente dannosi per gli altri.

3. Quando la colpa viene conosciuta assieme al suo castigo, quale la pena di morte o altre privazioni che l'uomo aborrisce, allora la volontà viene distolta dal peccato: poiché allora la pena atterrisce più di quanto non attragga l'esempio della colpa.

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