Summa Teologica - I-II

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Articolo 2 - Se fossero giusti i precetti giudiziali relativi ai rapporti sociali del popolo

Pare che non fossero giusti i precetti giudiziali relativi ai rapporti sociali del popolo.

Infatti:

1. Gli uomini non possono convivere pacificamente se uno prende la roba degli altri.

Ora, sembra che la legge promuovesse questo modo di fare, poiché sta scritto nel Deuteronomio [ Dt 23,24 ]: « Se entri nella vigna del tuo prossimo, potrai mangiare uva a sazietà ».

Quindi essa comprometteva la pace tra i cittadini.

2. Come dice il Filosofo [ Polit. 2,6 ], molte città e molti regni vanno in rovina perché i possessi sono finiti nelle mani delle donne.

Ora, l'antica legge introdusse questo uso, poiché sta scritto [ Nm 27,8 ]: « Quando uno sarà morto senza lasciare un figlio maschio, farete passare la sua eredità alla figlia ».

Quindi la legge non provvide bene alla salvezza del popolo.

3. La società umana, come nota il Filosofo [ Polit. 1,3 ], si conserva specialmente per il fatto che gli uomini col comprare e col vendere scambiano le cose di cui hanno bisogno.

Ma l'antica legge tolse l'impulso agli scambi, poiché ordinò che il possesso venduto tornasse al venditore nel cinquantesimo anno, che era l'anno del giubileo [ cf. Lv 25 ].

Perciò la legge fu difettosa al riguardo.

4. Nelle necessità degli uomini è sommamente opportuno che gli uomini siano pronti a dare in prestito.

Ma questa prontezza viene compromessa dal fatto che i creditori non rendono le cose prestate: infatti si legge [ Sir 29,10 ]: « Molti, per tale cattiveria, si rifiutano di prestare: hanno infatti paura di perdere i beni senza ragione ».

Ora, la legge codificava questo inconveniente.

Primo, perché così comandava nel Deuteronomio [ Dt 15,2 ]: « Ogni creditore che abbia diritto a una prestazione personale in pegno per un prestito fatto al suo prossimo, lascerà cadere il suo diritto ( … ) quando si sarà proclamato l'anno di remissione per il Signore »; e nell'Esodo [ Es 22,15 ] si dice che se un animale preso in prestito muore alla presenza del padrone, cessa l'obbligo della restituzione.

Secondo, perché toglieva ogni sicurezza al prestito: infatti sta scritto nel Deuteronomio [ Dt 24,10 ]: « Quando presterai qualcosa al tuo prossimo, non entrerai in casa sua per prendere il suo pegno »; e ancora [ Dt 24,12s ]: « Non andrai a dormire con il suo pegno ».

Perciò nella legge non fu ben disposto a proposito dei prestiti.

5. Dalla frode relativa al deposito deriva un grandissimo pericolo, per cui si deve usare la massima cautela: difatti si legge [ 2 Mac 3,15 ] che « i sacerdoti elevavano suppliche al Cielo che aveva sancito la legge dei depositi, perché fossero conservati integri a coloro che li avevano consegnati ».

Invece nei precetti dell'antica legge si usa poca cautela rispetto al deposito: infatti nell'Esodo [ Es 22,10s ] si dice che, se si perde il deposito, si deve stare al giuramento di colui che lo custodiva.

Quindi le norme legali non erano giuste al riguardo.

6. Un operaio presta la sua opera allo stesso modo in cui altri affittano la propria casa, o i loro beni.

Ora, non si esige che l'affittuario paghi subito il fitto della casa.

Quindi era troppo duro quanto veniva ordinato nel Levitico [ Lv 19,13 ]: « Il salario del bracciante al tuo servizio non resti la notte presso di te fino al mattino dopo ».

7. Se è frequente la necessità di ricorrere al tribunale, deve essere agevole ricorrere al giudice.

Perciò non fu ben disposto dalla legge [ Dt 17,8ss ] che per le controversie si andasse in un unico luogo.

8. È possibile che si accordino a mentire non due soltanto, ma anche tre o più persone.

Perciò non è giusto che « tutto si stabilisca sulla parola di due o tre testimoni » [ Dt 19,15 ].

9. La pena va stabilita secondo la gravità della colpa: « Secondo la gravità della colpa sarà la misura della pena », dice la Scrittura [ Dt 25,2 ].

La legge invece stabiliva pene differenti per colpe uguali: infatti nell'Esodo [ Es 22,1 ] si legge che il ladro renderà « cinque buoi per un bue e quattro pecore per una pecora ».

Inoltre essa puniva peccati non molto gravi con pene gravissime: nei Numeri [ Nm 15,32ss ], p. es., si narra che fu lapidato uno che raccoglieva la legna nel giorno di sabato.

E si comanda di lapidare il figlio ribelle per piccole mancanze, cioè perché « è uno sfrenato bevitore » [ Dt 21,18s ].

Quindi nella legge non sono ben assegnate le punizioni.

10. Come riferisce S. Agostino [ De civ. Dei 21,11 ], « otto sono, secondo Cicerone, i generi di pena esistenti nelle leggi: la multa, il carcere, la fustigazione, il contrappasso, l'infamia, l'esilio, la morte, la schiavitù ».

Ora, di questi alcuni sono stabiliti dalla legge.

La multa, p. es., quando il ladro viene condannato a restituire il quintuplo, o il quadruplo.

Il carcere, come là dove si comanda di incarcerare qualcuno [ Nm 15,34 ].

La fustigazione, come in quel passo del Deuteronomio [ Dt 25,2 ]: « Se il colpevole avrà meritato di essere fustigato, il giudice lo farà stendere per terra e fustigare in sua presenza ».

L'infamia poi veniva inflitta a colui che si rifiutava di sposare la vedova di suo fratello, la quale gli prendeva uno dei calzari e gli sputava in faccia [ Dt 25,9 ].

Inoltre veniva inflitta la pena di morte, come è evidente dalle parole del Levitico [ Lv 20,9 ]: « Chiunque maltratta suo padre o sua madre dovrà essere messo a morte ».

E così pure la pena del contrappasso [ Es 21,24 ]: « Occhio per occhio, dente per dente ».

Perciò non doveva mancare la pena dell'esilio e della schiavitù.

11. La pena non è dovuta che per una colpa.

Ma le bestie non possono mai avere una colpa.

Quindi non è giusto che venga loro inflitta una pena, come fa invece la legge [ Es 21,28s ]: « Se un bue avrà causato la morte di un uomo o di una donna, sarà lapidato ».

E altrove [ Lv 20,16 ] leggiamo: « Se una donna si accosta a una bestia, sia uccisa con essa ».

Perciò non sembra che nell'antica legge siano stati ben regolati i doveri riguardanti l'umana convivenza.

12. Il Signore [ Es 21,12 ] comandò di punire l'omicidio con la morte di un uomo.

Ma la morte di una bestia è considerata molto inferiore all'uccisione di un uomo.

Quindi non si può sostituire alla pena dell'omicidio l'uccisione di una bestia.

Così dunque non è ragionevole ordinare, come si fa nel Deuteronomio [ Dt 21 ], che « quando si troverà il cadavere di un uomo ucciso, e non si conoscerà il reo dell'uccisione, gli anziani della città più vicina prenderanno dall'armento una vitella che non abbia mai portato il giogo né arata la terra, la condurranno in una valle aspra e sassosa, che non sia mai stata arata né seminata, e ivi le spaccheranno la nuca ».

In contrario:

Nei Salmi [ Sal 147,20 ] il Signore viene così lodato come di uno speciale beneficio: « Così non ha fatto con nessun altro popolo, non ha manifestato ad altri i suoi precetti ».

Dimostrazione:

Secondo un detto di Cicerone, riferito da S. Agostino [ De civ. Dei 2,21 ], « il popolo è l'unione di una moltitudine consociata dall'accettazione di un medesimo diritto, e dai vantaggi dei rapporti reciproci ».

Perciò la stessa nozione di popolo esige che i rapporti reciproci siano regolati dalle giuste norme della legge.

Ora, gli uomini hanno tra loro due tipi di rapporti: il primo dipende dall'autorità dei principi, il secondo dalla volontà delle persone private.

E poiché ciascuno può disporre soltanto di quanto ricade sotto il suo potere, è necessario che la decisione delle cause civili e l'imposizione delle pene ai malfattori siano riservate all'autorità dei principi, ai quali tali uomini sono sottoposti.

Invece le persone private hanno il potere soltanto sulle cose che possiedono: perciò possono di proprio arbitrio scambiarsi tali cose comprando, vendendo, donando e facendo altro del genere.

Ora, la legge determinò adeguatamente sia gli uni che gli altri rapporti.

Infatti essa stabilì dei giudici [ Dt 16,18 ]: « Ti costituirai dei giudici e scribi in tutte le città: essi giudicheranno il popolo con giuste sentenze ».

Stabilì inoltre il giusto svolgimento del giudizio [ Dt 1,16s ]: « Giudicate secondo giustizia, siano essi cittadini vostri o forestieri; non si faccia differenza tra le persone ».

Tolse poi l'occasione al giudizio ingiusto proibendo ai giudici di accettare dei regali [ Es 13,8; Dt 16,19 ].

Stabilì il numero di due o tre testimoni [ Dt 17,6; Dt 19,15 ].

Finalmente determinò delle pene per i vari delitti, come diremo meglio in seguito [ ad 10 ].

Riguardo poi ai beni posseduti è cosa ottima, come dice il Filosofo [ Polit. 2,2 ], che ci sia la divisione dei possessi, e che l'uso dei beni in parte sia comune e in parte sia comunicato per volontà dei proprietari.

E queste tre cose furono stabilite nella legge.

Innanzitutto i possessi furono divisi tra le singole persone, poiché sta scritto [ Nm 33,53s ]: « Io vi ho dato il paese in proprietà. Lo dividerete a sorte ».

E poiché, come nota il Filosofo [ Polit. 2,6 ], molti stati vanno in rovina per gli abusi della proprietà, la legge stabiliva tre rimedi per regolare i possessi.

Il primo fu quello di dividerli in parti uguali secondo il numero delle persone [ Nm 33,54 ]: « Ai più numerosi darete una porzione maggiore e ai meno numerosi una minore ».

Il secondo fu quello di imporre che l'alienazione non fosse perpetua, ma che i possessi dopo un dato tempo tornassero ai loro padroni, per impedire la confusione dei lotti assegnati.

Il terzo rimedio, che mirava a impedire queste confusioni, regolava la successione in modo che ai morti succedessero i parenti: in primo luogo il figlio, in secondo luogo la figlia, in terzo luogo i fratelli, in quarto luogo gli zii e finalmente gli altri parenti [ Nm 27,8ss ].

E per conservare la distinzione delle assegnazioni fatte la legge stabiliva ancora che le donne che ereditavano sposassero uomini della loro tribù [ Nm 36 ].

Secondo, la legge stabilì che in certi casi l'uso dei beni fosse comune.

Innanzi tutto riguardo alla cura di essi; nel Deuteronomio [ Dt 22,1ss ], p. es., si legge: « Se vedi smarriti un bue o una pecora di tuo fratello non devi fingere di non averli scorti, ma avrai cura di ricondurli a tuo fratello »; e similmente negli altri casi.

In secondo luogo riguardo al loro sfruttamento.

Infatti era permesso a tutti, entrando nella vigna dell'amico, di mangiare lecitamente, purché non si portasse nulla fuori.

E in particolare per i poveri erano lasciati a disposizione i manipoli dimenticati, le frutta e i grappoli abbandonati [ Lv 19,9s; Dt 24,19ss ].

Inoltre erano comuni i frutti che nascevano nel settimo anno, come si dice nell'Esodo [ Es 23,11 ] e nel Levitico [ Lv 25,4ss ].

Terzo, la legge codificò la comunicazione [ dei beni ] che veniva fatta da coloro che possedevano.

C'era una prima comunicazione del tutto gratuita, di cui così parla il Deuteronomio [ Dt 14,28s ]: « Alla fine del triennio metterai da parte tutte le decime, e verrà il levita, il forestiero, l'orfano e la vedova, e mangeranno e si sazieranno ».

L'altra invece comportava un compenso: e così avveniva nelle compravendite, nella locazione e nell'affitto, nei prestiti e nei depositi, su cui la legge dava norme precise.

Per cui è evidente che l'antica legge ordinò in maniera adeguata la vita sociale di quel popolo.

Analisi delle obiezioni:

1. Come insegna l'Apostolo [ Rm 13,8 ], « chi ama il suo simile ha adempiuto la legge »: poiché i precetti della legge, specialmente quelli ordinati al prossimo, tendono a questo, che gli uomini si amino reciprocamente.

Ora, deriva dall'amore che gli uomini comunichino i loro beni, poiché sta scritto [ 1 Gv 3,17 ]: « Se uno vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l'amore di Dio? ».

Quindi la legge tendeva ad abituare gli uomini a comunicarsi scambievolmente i loro beni: come S. Paolo [ 1 Tm 6,18 ] comanda ai ricchi di « fare del bene, di essere pronti a dare ».

Ora, non è disposto a dare colui che non sopporta che il prossimo gli porti via qualcosa, senza suo grave danno.

Perciò la legge ordinò che fosse lecito, a chi entrava nella vigna del prossimo, di mangiarvi dei grappoli: però non permetteva di portarli fuori, per non dare occasione di arrecare un grave danno, che avrebbe turbato la pace.

Pace che tra le persone oneste non viene turbata da queste piccole sottrazioni; che anzi consolidano l'amicizia, e abituano gli uomini a donare facilmente.

2. La legge stabiliva che le donne ereditassero i beni paterni solo se mancavano figli maschi.

E in tal caso era necessario che si concedesse l'eredità alle donne per consolazione del padre, per il quale sarebbe stato doloroso lasciare ad estranei la propria eredità.

Tuttavia in ciò la legge prese le debite cautele comandando che le donne che raccoglievano l'eredità paterna sposassero uomini della loro tribù, per impedire che le tribù mescolassero i lotti loro assegnati [ Nm 36 ].

3. Come dice il Filosofo [ Polit. 2,4 ], il regolamento dei possessi giova moltissimo alla conservazione di una città, o di una nazione.

E così in certe città pagane fu stabilito, come egli riferisce, « che nessuno potesse vendere il suo possesso se non per un danno evidente ».

Se infatti i possessi vengono continuamente venduti, può capitare che si accentrino tutti nelle mani di pochi: e ciò costringerà la città, o la regione, a svuotarsi dei suoi abitanti.

Quindi l'antica legge, per scongiurare questo pericolo, concesse la vendita temporanea dei possessi, per far fronte alle necessità dei proprietari; tuttavia tolse gli inconvenienti, ordinando che a un dato momento il possesso tornasse al venditore.

E con tale sistema impedì che si mescolassero le assegnazioni fatte, assicurando in perpetuo la distinzione del popolo nelle varie tribù.

Siccome invece le case urbane non erano state assegnate a sorte, la legge concesse che si potessero alienare per sempre, come i beni mobili.

Infatti il numero delle case urbane non era fissato, come invece era determinata la misura del possedimento, che non ammetteva aggiunte: quindi il numero degli immobili urbani poteva aumentare.

Invece le case che non erano nell'abitato, ma nei campi privi di mura di cinta, non potevano essere alienate in perpetuo: poiché tali case sono costruite solo per coltivare e per guardare i possessi, per cui giustamente la legge le sottopose alla stessa norma.

4. Come si è detto [ ad 1 ] la legge tendeva, con i suoi precetti, ad abituare gli uomini a soccorrersi reciprocamente con prontezza nei loro bisogni, essendo questo l'incentivo più forte dell'amicizia.

E così promosse tale prontezza nel soccorrere non soltanto nelle elargizioni gratuite e definitive, ma anche nei prestiti: poiché questo tipo di aiuto è più frequente, e più spesso necessario.

La legge comandò dunque tale prontezza in molti modi.

Primo, ordinando di essere facili a dare in prestito, e di non ritrarsi all'avvicinarsi dell'anno della remissione [ Dt 15,7ss ].

- Secondo, ordinando di non gravare il debitore con l'usura, oppure prendendo in pegno cose assolutamente necessarie alla vita: e se si prendevano, ordinando che venissero rese subito.

Sta scritto infatti [ Dt 23,20 ]: « Non farai al tuo fratello prestiti a interesse »; e ancora [ Dt 24,6 ]: « Nessuno prenderà in pegno né le due pietre della macina domestica, né la pietra superiore della macina, perché sarebbe come prendere in pegno la vita »; e inoltre [ Es 22,25 ]: « Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai al tramonto del sole ».

Terzo, ordinando di non richiedere in modo importuno.

Nell'Esodo [ Es 22,24 ] infatti si legge: « Se tu presti danaro a qualcuno del mio popolo, all'indigente che sta con te, non ti comporterai con lui come un esattore ».

E nel Deuteronomio [ Dt 24,10s ]: « Quando presterai qualcosa al tuo prossimo non entrerai in casa sua per prendere il suo pegno; te ne starai fuori, e l'uomo a cui avrai fatto il prestito ti porterà fuori il pegno ».

E ciò sia perché la casa è per ciascuno il rifugio più sicuro, e quindi è odioso che uno si veda aggredito nella propria casa, sia perché la legge non concedeva al creditore di prendere il pegno che voleva, ma dava al debitore la facoltà di cedere ciò di cui meno abbisognava.

- Quarto, la legge stabiliva [ Dt 15,1ss ] che nel settimo anno i debiti venissero del tutto condonati.

È probabile però che quanti potevano restituire lo facessero prima dell'anno settimo, e non defraudassero senza motivo il creditore.

Se però alcuni erano del tutto impossibilitati, bisognava loro fraternamente condonare il debito per la stessa ragione per cui sarebbe stato necessario concederlo nuovamente, data la loro indigenza.

- Invece per gli animali imprestati la legge stabiliva [ Es 22,14s ] che se morivano o si debilitavano in assenza di chi li aveva in prestito, questi doveva restituirli, data per certa la sua negligenza.

Se invece morivano o si debilitavano in sua presenza e sotto la sua diligente custodia, allora chi li usava non era costretto a restituirli, specialmente se erano stati prestati a pagamento: poiché in tale modo sarebbero potuti morire o si sarebbero potuti debilitare anche presso il padrone; e così il prestito non sarebbe stato gratuito, ma ne sarebbe risultato un lucro, cioè la garantita conservazione dell'animale.

E ciò doveva venire osservato specialmente quando gli animali erano prestati a pagamento: poiché allora il padrone riceveva già un dato prezzo per l'uso delle sue bestie, e quindi non poteva accrescerlo con la loro restituzione se non per la negligenza di chi doveva custodirle.

Se invece le bestie non erano state prestate a pagamento, poteva essere giusto che si restituisse quanto sarebbe costato l'uso dell'animale morto o debilitato.

5. La differenza che passa tra il prestito e il deposito sta in questo, che la cosa prestata viene consegnata per l'utilità di chi la riceve, mentre la cosa depositata viene consegnata per utilità di chi la consegna.

E così in certi casi uno era tenuto più a restituire il debito che a restituire il deposito.

Infatti una cosa depositata poteva essere perduta in due modi.

Primo, per una causa inevitabile o naturale, per es. se l'animale depositato moriva o si debilitava; oppure per una causa esterna, nel caso p. es. che fosse stato preso dai nemici, o divorato da una belva: nel qual caso il depositario era tenuto a portare al padrone i resti dell'animale ucciso.

Invece negli altri casi indicati non era tenuto a nulla, ma solo a prestare un giuramento, per togliere ogni sospetto di frode.

- Secondo, il deposito poteva essere perduto per una causa evitabile, ad es. per un furto.

E allora chi lo custodiva era tenuto a restituire, per la sua negligenza.

Invece chi aveva preso in prestito un animale era tenuto a restituirlo, come si è detto [ ad 4 ], anche se si fosse debilitato o fosse morto in sua assenza.

Infatti a lui venivano imputate più negligenze che al depositario, al quale si faceva carico solo del furto.

6. Gli operai che prestano la loro opera sono dei poveri, i quali cercano il vitto quotidiano col loro lavoro: perciò giustamente la legge comandò di pagare subito la mercede, perché non mancassero del vitto.

Invece quelli che prestano in affitto altre cose sono in genere dei ricchi, e quindi non hanno bisogno del prezzo del fitto per il vitto quotidiano.

Perciò i due casi sono differenti.

7. I giudici vengono costituiti tra gli uomini per determinare le controversie che possono sorgere in materia di giustizia.

Ora, una cosa può essere controversa a due livelli.

Primo, presso le persone semplici.

E per eliminare queste controversie nel Deuteronomio [ Dt 16,18 ] fu stabilito che « venissero costituiti giudici e scribi in tutte le città, per giudicare il popolo con giuste sentenze ».

Secondo, una cosa può essere controversa anche presso gli esperti.

E per togliere simili controversie la legge stabiliva che tutti si recassero nel luogo più importante scelto da Dio, in cui c'era il sommo sacerdote per dirimere le controversie relative alle cerimonie del culto, e il giudice del popolo per determinare quanto riguardava i giudizi tra gli uomini.

Come anche ora le cause sono portate dai giudici inferiori a quelli superiori mediante l'appello, o il consulto.

Perciò nella Scrittura [ Dt 17,8ss ] si legge: « Quando in una causa ti sarà troppo difficile decidere tra assassino e assassino, tra diritto e diritto, tra persona e persona, in cose su cui si litiga nella tua città, ti alzerai e andrai al luogo che il Signore tuo Dio avrà scelto; andrai dai sacerdoti e dal giudice in carica a quel tempo ».

Ora, tali giudizi difficili non capitavano di frequente.

Quindi il popolo non si sentiva gravato per questo.

8. Nelle controversie umane non si può avere una prova dimostrativa e infallibile, ma basta una prova congetturale, simile a quelle che usano gli oratori.

Sebbene quindi sia possibile che due o tre testimoni si accordino per mentire, tuttavia non è una cosa facile: e così la loro testimonianza viene presa per vera; specialmente poi se nel testimoniare non hanno esitazioni, e non siano sospetti per altri motivi.

E affinché i testimoni non si allontanassero facilmente dalla verità, la legge stabiliva che venissero esaminati con grande diligenza, e fossero puniti gravemente quelli che risultavano bugiardi [ Dt 19,16ss ].

Ci fu poi una ragione [ mistica ] nella determinazione di questo numero: esso cioè sta a indicare l'infallibile verità delle Persone divine, che talora sono ricordate come due sole, poiché lo Spirito Santo è il nesso tra le due, e talora sono espresse tutte e tre, secondo il commento che fa S. Agostino [ In Ioh. ev. tract. 36 ] a quel passo di Giovanni [ Gv 8,17 ]: « Nella vostra legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera ».

9. Si infligge una grave pena non soltanto per la gravità della colpa, ma anche per altri motivi.

Primo, per la grandezza del peccato: poiché a un delitto maggiore, a parità di condizioni, è dovuta una pena più grave.

Secondo, per l'abitudine di peccare: poiché gli uomini non si staccano facilmente dall'abitudine di peccare se non mediante gravi pene.

Terzo, per l'intensità della concupiscenza o del piacere nel peccato: poiché anche da questi peccati gli uomini non si distaccano senza gravi punizioni.

Quarto, per la facilità di commettere il peccato e di nasconderlo: infatti questi peccati, quando vengono scoperti, vanno puniti più severamente, per spaventare gli altri.

Rispetto poi alla gravità del peccato si possono distinguere quattro gradi, anche in un identico fatto.

Il primo si ha quando uno commette il peccato involontariamente.

Allora, se è del tutto involontario, chi lo commette è totalmente assolto dalla pena: poiché, come dice il Deuteronomio [ Dt 22,25ss ], la fanciulla che viene violentata in aperta campagna « non è rea di morte, poiché gridò, ma nessuno poteva venirle in aiuto ».

Se invece in qualche modo è volontario, ma l'atto è compiuto per fragilità, p. es. quando uno pecca per passione, allora il peccato è minore: e anche la pena, per la rettitudine del giudizio, deve diminuire; a meno che non venga aggravata per il bene comune, cioè per ritrarre gli altri da questi peccati, come si è detto.

- Il secondo grado si ha quando uno pecca per ignoranza.

E allora in certo qual modo uno veniva stimato colpevole, per la negligenza nell'apprendere; però non veniva punito dai giudici, ma doveva espiare il suo peccato con dei sacrifici.

Infatti nel Levitico [ Lv 4,2s ] si legge: « Colui che avrà peccato per ignoranza », ecc.

Ma ciò va inteso dell'ignoranza relativa al fatto, non di quella relativa al precetto divino, che tutti invece erano tenuti a conoscere.

- Il terzo grado consiste nel peccare per superbia, cioè con deliberazione e con malizia.

E allora uno veniva punito secondo la gravità del delitto.

- Il quarto grado consiste nel peccare per insolenza e pertinacia.

E allora il peccatore doveva essere addirittura ucciso, come ribelle e distruttore dell'ordine legale.

In base a ciò si deve rispondere che nella pena del furto inflitta dalla legge si considerava quanto accade nella maggioranza dei casi.

Quindi nel furto di quelle cose che facilmente possono essere salvate dai ladri, chi rubava doveva restituire soltanto il doppio.

Invece le pecore non possono essere salvate facilmente, pascolando esse per la campagna: per cui capitava più spesso che venissero rubate.

Perciò la legge stabilì una pena più severa, cioè che per una pecora rubata se ne rendessero quattro.

I bovini poi vengono salvati anche più difficilmente, poiché stanno in campagna, e non pascolano in branco come le pecore.

E così fu assegnata una pena anche più grave: cioè che per un bue rubato se ne restituissero cinque.

A meno che l'animale rubato non fosse stato ritrovato vivo presso il ladro, poiché allora costui doveva restituire soltanto il doppio, come negli altri furti: in tal caso infatti si poteva presumere che, avendolo conservato vivo, pensasse di restituirlo.

Oppure, stando alla Glossa [ ord. di Strabone ], si potrebbe rispondere che si restituivano cinque buoi per uno rubato perché « del bue si fanno cinque usi: può essere immolato, ara, nutre con la sua carne, dà il latte e offre il cuoio per usi molteplici ».

Al contrario gli usi della pecora sono quattro, cioè « può essere immolata, nutre, dà il latte e provvede la lana ».

- Invece il figlio ribelle veniva ucciso non perché mangiava e beveva, ma per l'incorreggibilità e la ribellione la quale, come si è visto, veniva sempre punita con la pena di morte.

- Colui poi che di sabato raccoglieva la legna fu lapidato come violatore della legge, la quale comandava di rispettare il sabato per ricordare la creazione del mondo, come sopra [ q. 100, a. 5, c. e ad 2 ] si è spiegato.

Perciò costui fu ucciso in quanto infedele.

10. La legge antica infliggeva la pena di morte nei delitti più gravi: cioè nei peccati contro Dio, nell'omicidio, nel rapimento di persone umane, nelle offese verso i genitori, nell'adulterio e nell'incesto.

Invece nel furto della roba altrui infliggeva una multa.

Nei ferimenti e nelle mutilazioni infliggeva poi la pena del taglione; e così pure nel peccato di falsa testimonianza.

Nelle colpe minori invece ricorreva alla flagellazione, o allo scherno pubblico.

Infliggeva poi la pena della schiavitù in due soli casi.

Primo, quando nel settimo anno, che era l'anno delle remissioni, uno schiavo non voleva usufruire del beneficio della legge per diventare libero.

Allora per pena gli veniva imposto di rimanere schiavo per sempre.

- Secondo, nel caso del ladro che non aveva l'occorrente per restituire, come è scritto nell'Esodo [ Es 22,3 ].

Invece la legge esclude in tutto e per tutto la pena dell'esilio.

Poiché soltanto presso quel popolo Dio era adorato, mentre gli altri popoli erano corrotti per l'idolatria: cosicché se uno fosse stato escluso del tutto da tale popolo sarebbe stato esposto all'idolatria.

E per questo Davide ebbe a dire a Saul [ 1 Sam 26,19 ]: « Siano maledetti quelli che oggi mi scacciano lontano, impedendomi di partecipare all'eredità del Signore: È come se mi dicesero: Va' a servire altri dèi ».

Tuttavia esisteva un esilio particolare.

Infatti si legge nel Deuteronomio [ Dt 19,4ss ] che « chi aveva ucciso il suo prossimo involontariamente, se poteva provare di non aver avuto odio alcuno contro di lui », poteva fuggire in una delle città di rifugio, e rimanervi fino alla morte del sommo sacerdote.

Allora gli era lecito tornare a casa sua: poiché le ire private di solito si placano nelle pubbliche disgrazie del popolo, e quindi i familiari del morto non sarebbero stati allora così disposti a ucciderlo.

11. Si comandava di uccidere quelle bestie non per una presunta loro colpa, ma come un castigo inflitto ai loro padroni, che non le avevano distolte da simili eccessi.

Se quindi un bue aveva avuto già in passato l'abitudine di cozzare, per cui si poteva prevenire il pericolo, il padrone era punito più severamente che se avesse cozzato per la prima volta.

- Oppure quegli animali venivano uccisi a riprovazione del peccato, e affinché la loro presenza non incutesse terrore.

12. Secondo Mosè Maimonide [ Dux neutr. 3,40 ] la ragione letterale o storica di questo precetto era il fatto che spesso l'uccisore apparteneva alla città più vicina.

Perciò l'uccisione della vitella serviva a indagare sull'omicidio occulto.

E tale scopo veniva realmente perseguito per tre motivi.

Primo, perché gli anziani dovevano giurare di non aver trascurato nulla per la sicurezza delle strade.

Secondo, perché il padrone della vitella veniva danneggiato dall'uccisione dell'animale, il quale sarebbe stato risparmiato se l'omicidio veniva scoperto prima.

Terzo, perché il luogo in cui la vitella veniva uccisa doveva rimanere incolto.

Quindi, per evitare simili danni, gli abitanti di quella città avrebbero facilmente rivelato l'omicida, se lo conoscevano; e poteva essere molto raro il caso che non trapelasse sull'accaduto qualche voce o indizio.

Oppure ciò veniva fatto per incutere terrore e riprovazione per l'omicidio.

Infatti l'uccisione di una vitella, che è un animale utile e pieno di forza, specialmente prima di essere stata aggiogata, stava a indicare che chiunque avesse commesso un omicidio, anche se utile e forte, doveva essere ucciso; e ucciso con una morte crudele, come indicava il fracassamento del capo; e doveva essere escluso dall'umano consorzio come vile e ignobile, il che era indicato dal fatto che la vitella uccisa veniva abbandonata alla putrefazione in un luogo incolto.

In senso mistico poi la vitella di branco sta a indicare la carne di Cristo; la quale non portò il giogo, perché non commise peccato; e non arò la terra, cioè non conobbe la macchia della ribellione.

E il fatto che venisse uccisa in una valle incolta stava a indicare la morte di Cristo così misconosciuta, per mezzo però della quale furono purgate tutte le colpe, e il diavolo venne indicato come responsabile dell'uccisione dell'uomo.

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