Summa Teologica - II-II

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Articolo 2 - Se ci possa essere un atto venereo senza peccato

In 4 Sent., d. 26, q. 1, a. 3; C. G., III, c. 126; De Malo, q. 15, a. 1

Pare che non ci possa essere un atto venereo senza peccato.

Infatti:

1. Nulla può essere di ostacolo alla virtù all'infuori del peccato.

Ma ogni atto venereo ostacola sommamente la virtù, stando alle parole di S. Agostino [ Solil. 1,10.17 ]: « Non c'è nulla, io penso, che possa far cadere un'anima virile dalla sua roccaforte più delle lusinghe di una donna e dei contatti coniugali ».

Quindi nessun atto venereo può essere senza peccato.

2. Dovunque si riscontra qualcosa di eccessivo per cui si abbandona il bene di ordine razionale, là c'è un peccato: poiché la virtù viene corrotta « dall'eccesso e dal difetto », come dice Aristotele [ Ethic. 2,2 ].

Ma in qualsiasi atto venereo c'è un eccesso di piacere, il quale assorbe la ragione al punto che, stando al Filosofo [ Ethic. 7,11 ], « è impossibile in esso intendere qualcosa »; e S. Girolamo [ Orig., In Nm hom. 6 ] afferma che in tale atto lo spirito di profezia si allontana dal cuore dei profeti.

Perciò nessun atto venereo può essere senza peccato.

3. La causa è superiore all'effetto.

Ma il peccato originale, come insegna S. Agostino [ De nuptiis et concup. 1,24.27 ], è trasmesso ai bambini attraverso la concupiscenza, senza della quale non ci può essere un atto venereo.

Quindi non ci può essere un atto venereo senza peccato.

In contrario:

S. Agostino [ De bono coniug. 25 ] ha scritto: « È sufficiente rispondere agli eretici, se però sono capaci di comprendere, che non è peccato ciò che non viene commesso né contro la natura, né contro le usanze, né contro le leggi ».

E parla dell'atto venereo di cui fecero uso appunto gli antichi patriarchi in molti matrimoni.

Perciò non tutti gli atti venerei sono peccato.

Dimostrazione:

Tra gli atti umani è peccaminoso ciò che è contro l'ordine della ragione.

Ora, l'ordine della ragione esige che tutto sia bene ordinato al proprio fine.

Quindi non c'è peccato se l'uomo si serve di determinate cose per il loro fine, nella misura e nell'ordine conveniente, purché il fine sia qualcosa di veramente buono.

Ma come è un vero bene la conservazione della vita fisica di un individuo, così è un bene superiore la conservazione della specie umana.

E come alla conservazione dell'individuo è ordinato l'uso dei cibi, così alla conservazione di tutto il genere umano è ordinato l'uso della sessualità, secondo le parole di S. Agostino [ De bono coniug. 16.18 ]: « Ciò che il cibo fa per la conservazione dell'individuo, l'unione matrimoniale lo fa per la conservazione della specie ».

Come quindi l'uso dei cibi può essere senza peccato se avviene nella misura richiesta per la salute del corpo, così anche l'uso della sessualità può essere senza peccato se avviene nel debito modo, come è richiesto dal fine della generazione umana.

Analisi delle obiezioni:

1. Una cosa può essere di ostacolo alla virtù in due modi.

Primo, perché è incompatibile con la virtù comune: e in questo senso la virtù non è ostacolata che dal peccato.

Secondo, perché è incompatibile con la virtù perfetta: e in questo senso la virtù può essere ostacolata da cose che non sono un peccato, ma un bene minore.

E in questo senso l'accostarsi alla moglie fa cadere l'anima non dalla virtù, ma « dalla roccaforte », cioè dalla perfezione della virtù.

Per cui S. Agostino [ De bono coniug. 8 ] scrive: « Come era un bene ciò che faceva Marta occupata a servire dei santi, e tuttavia era una cosa migliore ascoltare come Maria la parola di Dio, così noi lodiamo il bene di Susanna nella castità coniugale, ma anteponiamo ad esso il bene della vedova Anna, e ancora di più quello della vergine Maria ».

2. Il giusto mezzo della virtù, come sopra [ q. 152, a. 2, ad 2; I-II, q. 64, a. 2 ] si è detto, non va misurato in base alla quantità, ma in base a quanto conviene alla retta ragione.

Per cui la sovrabbondanza del piacere che si trova nell'atto sessuale ordinato secondo la ragione non esclude il giusto mezzo della virtù.

- Inoltre alla virtù non interessa quanto grande sia il piacere dei sensi esterni, il che dipende dalle disposizioni fisiche, ma in quale misura l'appetito interno sia preso da tale piacere.

- E neppure il fatto che la ragione non sia libera di considerare le realtà spirituali in concomitanza con un dato piacere dimostra che quell'atto è contrario alla virtù.

Infatti non è contro la virtù interrompere ragionevolmente le funzioni della ragione per un certo tempo: altrimenti sarebbe contro la virtù [ anche ] abbandonarsi al sonno.

Tuttavia il fatto che la concupiscenza e il piacere venereo non sottostanno al comando e al governo della ragione deriva come castigo dal primo peccato: in quanto cioè la ragione ribelle a Dio meritò la ribellione della propria carne, come spiega S. Agostino [ De civ. Dei 13,13 ].

3. Come scrive sempre S. Agostino [ De nuptiis et concup. 1,24.27 ], « la prole nasce infetta dal peccato originale attraverso la concupiscenza della carne, figlia del peccato, che però ai rigenerati non è imputata a peccato ».

Non ne segue quindi che quell'atto sia un peccato, ma che in esso vi è qualcosa di derivante come un castigo dal primo peccato.

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