La città di Dio

Indice

Implicanze di peccato e morte

12 - Prima e seconda morte

Quando dunque si chiede quale morte Dio minacciò ai primi uomini se trasgredivano il suo comandamento e non osservavano l'obbedienza, se quella dell'anima o del corpo o di tutto l'uomo o quella che viene denominata seconda, si deve rispondere: tutte.

La prima infatti risulta di due, la seconda è l'insieme di tutte.

Come la terra intera risulta di molte terre e la Chiesa intera di molte Chiese, così la morte intera di molte morti.

La prima morte risulta di due, una dell'anima e l'altra del corpo.

Avviene la prima dell'uomo intero quando l'anima senza Dio e senza il corpo sconta la pena per un certo tempo, avviene la seconda quando l'anima senza Dio e con il corpo sconta la pena eterna.

Dio aveva detto al primo uomo sul cibo vietato, quando lo aveva collocato nel paradiso terrestre: Il giorno in cui ne mangerete certamente morirete. ( Gen 2,17 )

Quindi la sanzione include non solo la prima fase della prima morte in cui l'anima è privata di Dio e non solo la fase successiva in cui il corpo è privato dell'anima, né soltanto tutta la prima fase in cui l'anima separata da Dio e dal corpo viene punita, ma ha incluso tutto ciò che è morte fino all'ultima denominata seconda che è definitiva.

13 - Peccato e ribellione

Appena avvenuta la trasgressione del comando, i progenitori rimasero sconvolti dalla nudità dei propri corpi, ( Gen 3,7 ) perché la grazia divina li aveva abbandonati.

Perciò con foglie di fico, che eventualmente per prime si offrirono al loro sbigottimento, coprirono le parti che suscitavano il loro pudore.

Erano le stesse di prima ma non erano oggetto di pudore.

Provavano un nuovo stimolo della propria carne ribelle, quasi uno scambio del castigo dovuto alla loro ribellione.

Ormai l'anima, che si compiaceva della propria libertà all'insubordinazione e sdegnava di sottomettersi a Dio, era privata della connaturale sottomissione del corpo.

Poiché aveva abbandonato di suo arbitrio il Padrone a lei superiore, non conteneva più al proprio arbitrio il servo a lei inferiore e non riusciva in alcun modo a sottomettere la carne, come avrebbe sempre potuto se lei fosse rimasta sottomessa a Dio.

La carne cominciò a rivoltarsi contro lo spirito. ( Gal 5,17 )

Siamo nati con questo dissidio da cui deriviamo la primitiva soggezione alla morte e per cui dalla prima disobbedienza portiamo sempre nelle nostre membra e nella natura viziata il suo contrasto o trionfo.

14 - La trasmissione del peccato

Dio ha creato onesto l'uomo perché è principio dell'essere e non della depravazione.

L'uomo volontariamente pervertito e giustamente condannato ha generato individui pervertiti e condannati.

Tutti fummo in quell'uno quando tutti fummo quell'uno che cadde nel peccato tramite la donna che da lui era stata prelevata prima del peccato.

Non ancora per noi singolarmente era stata data all'esistenza e distribuita la forma in cui ognuno doveva vivere, ma vi era già la natura seminale da cui dovevamo provenire.

Poiché essa era viziata per il peccato, irretita nel laccio della morte e giustamente condannata, l'uomo non poteva provenire dall'uomo in condizione diversa.

Dal cattivo uso del libero arbitrio ebbe inizio la trasmissione di questa condanna.

Essa, poiché è depravata l'origine, come una radice marcita, conduce il genere umano in un contesto d'infelicità alla rovina della seconda morte che non ha fine, fatta eccezione soltanto per quelli che sono stati liberati dalla grazia di Dio.

15 - Gli effetti della seconda morte

Nella frase: Incorrerete nella morte, dal momento che non è stato detto "nelle morti", possiamo intendere soltanto quella che avviene quando l'anima è abbandonata dalla sua vita che per lei è Dio.

E Dio è questo per lei.

Infatti non è stata abbandonata per abbandonare ma ha abbandonato per essere abbandonata perché in riferimento al male c'è prima la sua volontà, in riferimento al bene c'è prima la volontà del suo Creatore, tanto per crearla perché non esisteva, come per restituirla alla vita perché si era estinta con la caduta.

Dunque, dicevamo, possiamo interpretare che Dio indicasse la seconda morte con le parole: Il giorno in cui ne mangerete, incorrerete nella morte, ( Gen 2,17 ) come se dicesse: "Nel giorno in cui mi abbandonerete con la disobbedienza, io vi abbandonerò mediante la giustizia".

In tal senso in quella morte sono state indicate anche le altre che senza dubbio dovevano seguire.

Però dal movimento ribelle, manifestatosi nella carne dell'anima ribelle, per cui i progenitori coprirono le parti che suscitavano pudore, appare che fu avvertita una sola morte, quella per cui Dio abbandonava l'anima.

Fu indicata dalle sue parole quando disse all'uomo che si nascondeva per un insensato timore: Adamo, dove sei? ( Gen 3,9 )

Certamente non chiese perché ignorava ma lo ammonì per stimolarlo ad avvertire che si trovava in una condizione che lo privava di Dio.

Quando l'anima ha abbandonato il corpo deperito dall'età e sfinito dalla vecchiaia, approda all'esperienza di un'altra morte.

Di essa Dio, nel punire il peccato, aveva detto all'uomo: Sei terra e tornerai alla terra. ( Gen 3,19 )

Si costituiva così dalla morte del corpo e dell'anima la prima morte che è di tutto l'uomo, a cui in ultimo segue la seconda, se l'uomo non è salvato dalla grazia.

Il corpo poi, che proviene dalla terra, non tornerebbe alla terra se non con la propria morte che gli sopraggiunge quando è abbandonato dalla propria vita, l'anima.

È noto perciò fra i cristiani, i quali professano sinceramente la fede cattolica, che anche la morte fisica ci è stata inflitta non per legge di natura, da cui Dio non derivò alcuna morte per l'uomo, ma a causa del peccato.

Dio, appunto per punire il peccato, disse all'uomo nel quale tutti allora eravamo inclusi: Sei terra e tornerai alla terra.

16.1 - Teoria platonica sull'anima …

I filosofi, contro le cui maligne interpretazioni difendiamo la città di Dio, cioè la sua Chiesa, s'illudono di schernire la nostra affermazione che la separazione dell'anima dal corpo si deve valutare fra le sue pene.

Essi sostengono al contrario che la piena felicità sopraggiunge a lei quando, spoglia da ogni residuo materiale, tornerà a Dio non congiunta, sola e, per così dire, nuda.

Se non avessi trovato nelle loro opere uno spunto per confutare questa teoria, con maggiore impegno dovrei polemizzare per dimostrare che non il corpo ma il corpo soggetto a corruzione è un peso per l'anima.

Di questo senso è la frase della Scrittura che ho citato nel libro precedente:11

Il corpo soggetto a corruzione appesantisce l'anima.12

Aggiungendo soggetto a corruzione ha mostrato che non da qualsiasi corpo l'anima è appesantita ma dal corpo reso corruttibile dalla pena conseguente al peccato.

Ed anche se non l'avesse aggiunto non dovremmo intendere diversamente.

Platone apertamente insegna che gli dèi posti nell'esistenza dal Dio supremo hanno corpi immortali e fa promettere come grande favore dallo stesso Dio, dal quale sono posti nell'esistenza, che in eterno rimarranno col proprio corpo e che da esso non saranno separati con la morte.

Non v'è ragione dunque per cui i platonici, per attaccare la fede cristiana, fingono di non sapere ciò che sanno oppure, disdicendosi, preferiscono teorizzare contro se stessi pur di non smettere la polemica contro di noi.

Sono di Platone le parole seguenti tradotte in latino da Cicerone con cui presenta il Dio supremo mentre si rivolge agli dèi che ha dato all'esistenza in questi termini: Voi che provenite dalla stirpe degli dèi ascoltate: gli esseri, di cui sono generatore e artefice, rimangono per mio volere indistruttibili, sebbene ogni composto possa essere disgregato.

Ma non è bene disunire ciò che è avvinto nell'unità da un ordine provvidenziale.

Ma voi, poiché avete avuto origine, non potreste essere immortali e imperituri.

Tuttavia non perirete né vi sopprimeranno destini di morte.

Quelli con cui siete stati dati all'esistenza nella vostra origine non saranno più efficaci del mio volere che è la garanzia più valida alla vostra perennità.13

Dunque Platone afferma che gli dèi, data l'unione dell'anima e del corpo, sono mortali e tuttavia immortali per un intervento della volontà di Dio.

Se dunque la pena dell'anima è essere unita a un corpo qualsiasi, non sarebbe ragionevole che Dio, rivolgendosi agli dèi, come se fossero turbati di dover morire, cioè d'essere sciolti dal corpo, li rassicuri sulla loro immortalità.

E questo non in virtù della loro essenza, che non sarebbe semplice ma composta di parti, ma in virtù del suo insuperabile volere con cui può effettuare che gli esseri dati all'esistenza non periscano, i composti non siano disuniti ma continuino in un perenne esistere.

16.2  - … e sul corpo e l'anima

Un altro problema ancora è la verità della teoria di Platone sui corpi celesti.

Non gli si deve accordare senza discussione che le sfere luminose ovvero cerchi risplendenti giorno e notte sopra la terra di luce naturale vivano di una loro propria anima dotata inoltre d'intelligenza e felicità.

Egli lo sostiene con decisione anche del mondo intero, come fosse il solo più grande essere animato, nel quale sarebbero accolti tutti gli altri esseri animati.

Ma questo, come ho detto, è un altro argomento che per il momento ho deciso di non discutere.

Ho ritenuto opportuno far menzione soltanto di questa teoria contro i platonici, che si vantano di denominarsi o di esser platonici e che per il vanto di questo appellativo si vergognano di essere cristiani.

Non sia mai che una denominazione comune con la massa renda di poco valore il piccolo numero di avvolti nel pallio filosofale, tanto più tronfi quanto più di numero limitato.

Essi dandosi da fare per confutare qualche tema della dottrina cristiana si scatenano contro l'eternità del corpo, come se fosse contraddittorio affermare la felicità dell'anima e sostenere che è per sempre nel corpo come avvinta a un legame affannoso.

Eppure Platone, loro fondatore e maestro, afferma che dono concesso dal Dio supremo agli dèi, da lui dati all'esistenza, è che non muoiano, cioè non siano separati dal corpo, cui li aveva uniti.

17.1 - I platonici si contraddicono sulla teoria del corpo …

I platonici sostengono inoltre l'impossibilità che i corpi terrestri siano eterni.

Eppure non esitano a dire che la terra intera è una parte posta nel mezzo ed eterna di un loro dio, non del supremo, grande tuttavia, cioè di tutto questo mondo.

Dunque il Dio supremo ha prodotto, secondo loro, un altro dio, cioè questo mondo, superiore agli altri dèi a lui subalterni.

Ritengono anche che esso dà vita con un'anima, come dicono, ragionevole e intelligente, rinchiusa nella mole immensa del suo corpo.

Affermano poi che il Dio supremo ha disposto i quattro elementi, collocati e distribuiti nelle proprie sfere quali membra del dio cosmico, e che la loro concatenazione e insolubilità è perenne affinché non muoia questo loro dio tanto grande.

Non v'è ragione dunque che la terra sia perenne, come parte di mezzo nel corpo dell'essere vivificante più grande, e il corpo degli altri esseri vivificanti terrestri non sia perenne, se Dio li ideasse l'uno simile all'altro.

Ma la terra, dicono, si deve restituire alla terra perché da essa è stato formato il corpo terrestre degli esseri animati.

Ne deriva, continuano, la necessità che esso si scomponga e svanisca e così sia restituito alla terra perennemente stabile da cui era stato tratto.

Qualcuno potrebbe sostenere una simile teoria anche del fuoco e dire che si devono restituire al fuoco della sfera i corpi che ne sono stati tratti perché esistessero gli esseri animati del cielo.

In tal caso l'immortalità che Platone ha promesso a questi dèi, facendo parlare il Dio supremo, non svanirà forse se si sta alla ostinatezza di questa polemica?

Ma questo forse in essi non avviene perché Dio non vuole e nessuna forza può piegare, come dice Platone, il suo volere?

Che cosa impedisce infatti che Dio possa operare questo effetto anche dai corpi terrestri?

Stando infatti all'opinione di Platone Dio può effettuare che gli esseri posti nell'esistenza non periscano, che gli uniti insieme non si disciolgano, che i derivati dagli elementi non siano restituiti e che le anime assegnate al corpo non lo abbandonino e con esso godano immortalità e felicità perenne.

Perché dunque non potrebbe effettuare che anche i corpi terrestri non muoiano?

Ovvero Dio non ha tale potere nell'ambito della fede dei cristiani ma solo in quello delle congetture dei platonici?

A sentir loro, i filosofi hanno potuto conoscere il disegno e il potere di Dio, e non hanno potuto conoscere i Profeti.

Al contrario lo Spirito di Dio ha ispirato i Profeti a rivelare, nei limiti che ha stabilito, il suo volere, mentre l'umana opinione ha ingannato i filosofi nelle pretese di conoscerlo.

17.2 - … e sul cielo e immortalità

Non dovevano però ingannarsi, non soltanto per ignoranza ma anche per ostinazione, al punto da contraddirsi molto palesemente.

Essi affermano infatti con grande vigore polemico che l'anima, per essere felice, deve fuggire non solo il corpo fatto di terra ma ogni corpo.14

Ma si contraddicono dicendo che gli dèi hanno un'anima colma di beatitudine sebbene vincolata a un corpo che dura in eterno, che gli dèi del cielo l'hanno vincolata ai corpi di fuoco, che l'anima dello stesso Giove, che confondono con questo mondo, è interamente avviluppata a tutti gli elementi corporei con i quali il cosmo intero si eleva dalla terra al cielo.

Platone ritiene che quest'anima, dal punto più profondo della terra, nel mezzo che i geometri chiamano centro, si allarga e si prolunga, mediante misure armoniose, in tutte le sue parti verso il punto più alto del cielo e il più lontano di lato.

Per lui dunque questo mondo è l'essere animato più grande, più felice ed eterno.

La sua anima conserverebbe la perfetta felicità della saggezza senza abbandonare il proprio corpo ed esso vivrebbe perennemente di lei e, quantunque non semplice ma composto di tanti e sì grandi corpi, non la renderebbe inabile al pensiero e al movimento.

Dato che con le proprie dimostrazioni giustificano tali teorie, non si comprende il loro rifiuto di credere che, per disposizione sommamente potente di Dio, i corpi terreni possono divenire immortali e che le anime, non separate da essi con la morte, non oppresse dal loro peso, possono vivere in perenne felicità.

I platonici affermano che ciò è possibile per i propri dèi nei corpi di fuoco e per Giove loro re in tutti gli elementi del corpo.

Se l'anima, per esser felice, deve fuggire ogni corpo, fuggano i loro dèi dalle sfere delle stelle, fugga Giove dal cielo e dalla terra o, se non lo possono, siano considerati soggetti alla infelicità.

Ma i filosofi non vogliono né l'uno né l'altro.

Non osano concedere ai loro dèi la separazione dal corpo perché non sembri che onorano dèi mortali né ammettere la privazione della felicità per non concedere che sono infelici.

Dunque non si devono fuggire tutti i corpi per conseguire la felicità ma quelli soggetti alla corruzione, alla sofferenza, alla pesantezza, alla morte, non quali cioè ha fatto la bontà di Dio per i primi uomini ma quali ha reso la pena del peccato.

18 - Condizione dei corpi nella risurrezione

Ma è legge inevitabile, dicono, che il peso naturale trattenga o spinga a terra i corpi terrestri ed essi perciò non possono levarsi al cielo.

I primi uomini in verità erano in una terra ricca di alberi da frutto che ebbe il nome di paradiso.

Tuttavia si deve rispondere alla obiezione tanto riguardo al corpo di Cristo col quale è salito al cielo come riguardo alla condizione di quello dei beati nella risurrezione.

Perciò considerino un po' più accuratamente i pesi terrestri.

L'artigianato umano ottiene che rimangano a galla vasi ricavati con determinati procedimenti dai metalli i quali affondano appena posti in acqua.

Con maggior certezza ed efficacia ottiene l'effetto un misterioso procedimento dell'azione di Dio.

Platone afferma appunto che non possono andare in rovina né scomporsi gli elementi uniti dall'onnipotente volere di Dio, poiché è molto più stupendo il congiungimento di esseri incorporei con corporei che di esseri corporei fra di loro.

Quindi l'azione di Dio può garantire a masse terrestri di non essere fatte precipitare in basso da alcun peso e ad anime in uno stato di consumata felicità di collocare il proprio corpo, terrestre ma incorruttibile, in posizione agevole e di spostarlo con un movimento altrettanto agevole.

Se lo facessero gli angeli e spostassero rapidamente qualsiasi animale terrestre da dove loro piace e lo collocassero dove loro piace, si deve credere che è loro possibile e che non ne sentono il peso.

Non v'è motivo dunque di non credere che gli spiriti perfetti e felici possano per dono divino senza alcuna difficoltà spostare e collocare il proprio corpo dove vogliono.

Nel portare i carichi dei corpi terrestri noi abbiamo sperimentato che quanto più grande è la massa tanto più grande è la pesantezza sicché i più gravano con un peso maggiore dei meno.

Tuttavia l'anima sente più leggere le membra del proprio corpo quando sono gagliarde di salute che gracili per malattia.

E, sebbene un individuo sano e robusto sia più pesante per chi lo trasporta che uno esile e gracile, tuttavia è più agile nello spostare il proprio corpo col movimento quando ha maggior peso in un periodo di salute che quando in tempo di epidemia o carestia ha il minimo di forza.

Nel trattare i corpi anche terrestri, sebbene soggetti a corruzione e morte, ha molta efficienza non il peso della massa ma la condizione di conveniente benessere.

E non si può spiegare a parole la differenza fra l'attuale così detto stato di salute e l'immortalità futura.

Dunque è vana l'obiezione dei filosofi contro la nostra credenza sul peso dei corpi.

Non voglio poi esaminare il motivo per cui non ammettono la possibilità che un corpo di terra sia in cielo quando tutta la terra si bilancia nel nulla.

Forse si potrebbe avere una dimostrazione più verosimile dal centro del mondo, perché verso di esso si muovono insieme i corpi di maggior gravità.

Dico una cosa. Gli dèi minori, che Platone ha incaricato di produrre fra gli altri esseri animati anche l'uomo, hanno potuto, egli dice, rimuovere dal fuoco la proprietà di bruciare e conservarvi quella di splendere riflettendosi negli occhi.

In tal modo egli ha concesso al volere e potere del sommo Dio che non periscano gli esseri che hanno avuto un'origine e che esseri tanto diversi e dissimili, come i corporei e gli incorporei, se formano un composto, non siano separati da disgregazione alcuna.

E noi dubiteremo di accordargli che elimini la corruzione dal corpo dell'uomo, cui dona l'immortalità, vi conservi l'essenza, ne mantenga l'accordo della figura e dei lineamenti e gli sottragga la gravezza del peso?

Ma della fede nella risurrezione dei morti e della immortalità dei loro corpi si deve discutere più diligentemente, se Dio lo consentirà, alla fine di questa opera.15

Indice

11 Vedi sopra 12,6,1
12 Sap 9,15;
Vedi sopra 12,15.1
13 Platone, Timeo 32c
14 Vedi sopra 10,29;
Sopra 12,26;
Agostino, Solil. 1, 14, 24
15 Vedi appresso 22,11-21.30