Summa Teologica - II-II

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Articolo 5 - Se la perfezione religiosa richieda l'obbedienza

C. G., III, c. 130; De perf. vitae spir., c. 10; C. impugn., c. 1

Pare che la perfezione religiosa non richieda l'obbedienza.

Infatti:

1. Alla perfezione religiosa appartengono le opere supererogatorie, alle quali non tutti sono tenuti.

Ma a ubbidire ai propri superiori sono tenuti tutti, stando a quelle parole dell'Apostolo [ Eb 13,17 ]: « Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi ».

Quindi l'obbedienza non è tra i requisiti della perfezione religiosa.

2. L'obbedienza si addice a quelli che devono essere governati dal senno altrui in quanto mancanti di discernimento.

Ora, l'Apostolo [ Eb 5,14 ] afferma che « il nutrimento solido è per gli uomini fatti, per quelli cioè che hanno le facoltà esercitate a distinguere il bene dal male ».

Perciò l'obbedienza non si addice allo stato di perfezione.

3. Se per la perfezione religiosa si richiedesse l'obbedienza, questa dovrebbe addirsi a tutti i religiosi.

Invece non si addice a tutti: poiché ci sono dei solitari che non hanno dei superiori a cui ubbidire.

E del resto anche i prelati degli istituti religiosi non sono tenuti all'obbedienza.

Quindi l'obbedienza non è richiesta dalla perfezione religiosa.

4. Se il voto di obbedienza fosse richiesto dalla vita religiosa, i religiosi sarebbero tenuti a ubbidire in tutto ai loro prelati: come con il voto di castità sono tenuti ad astenersi da ogni piacere venereo.

Invece essi non sono tenuti a ubbidire in tutto, come si è dimostrato sopra [ q. 104, a. 5 ] nel trattare della virtù dell'obbedienza.

Quindi per la vita religiosa non si richiede il voto di obbedienza.

5. Il servizio più gradito a Dio è quello prestato spontaneamente e non per necessità, come ammonisce l'Apostolo [ 2 Cor 9,7 ]: « Non con tristezza, né per forza ».

Ora, le cose fatte per obbedienza sono fatte in forza di un precetto.

Perciò sono più lodevoli le opere buone fatte spontaneamente.

Quindi il voto di obbedienza non si addice alla vita religiosa, con la quale si tende alle opere migliori.

In contrario:

La perfezione religiosa consiste soprattutto nell'imitazione di Cristo, secondo le sue stesse parole [ Mt 19,21 ]: « Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi ».

Ma la cosa più magnificata in Cristo è l'obbedienza, come nota S. Paolo [ Fil 2,8 ]: « Si è fatto obbediente sino alla morte ».

Quindi l'obbedienza è un requisito della perfezione religiosa.

Dimostrazione:

Lo stato religioso, come si è notato [ aa. 2,3 ] è un tirocinio o esercizio per raggiungere la perfezione.

Ora, chi viene istruito o esercitato per il conseguimento di un fine deve seguire la direzione di qualcuno da cui dipenda nell'istruzione e nell'esercizio come un discepolo dal maestro.

È quindi necessario che i religiosi, in ciò che riguarda la vita religiosa, stiano soggetti all'istruzione e al comando di qualcuno.

Nei Canoni [ Decr. di Graz. 2,7,1,45 ] infatti si legge: « La vita monastica dice vita di sottomissione e di discepolato ».

Ora, è l'obbedienza che sottomette al comando e all'istruzione di qualcuno.

Quindi l'obbedienza è tra i requisiti della perfezione religiosa ».

Analisi delle obiezioni:

1. Ubbidire ai prelati in ciò che è indispensabile per la virtù non è un'opera supererogatoria, ma un dovere per tutti; è invece proprio dei religiosi ubbidire negli esercizi della perfezione.

E questo secondo tipo di obbedienza sta al precedente come l'universale al particolare.

Poiché chi vive nel secolo si riserva qualcosa nel sacrificio che fa a Dio obbedendo ai prelati.

Quelli invece che vivono nella religione offrono totalmente se stessi e le loro cose a Dio, come già si è detto [ aa. 1,3 ].

Cosicché la loro obbedienza è universale.

2. Come dice il Filosofo [ Ethic. 2, cc. 1,2 ], con l'esercizio gli uomini acquistano gli abiti; acquisiti i quali essi possono esercitare tale attività al grado massimo.

Così dunque, obbedendo, coloro che non hanno ancora raggiunto la perfezione giungono ad essa.

Quelli poi che l'hanno già raggiunta sono prontissimi all'obbedienza: non perché abbiano bisogno di essere guidati nell'acquisto della perfezione, ma per mantenersi nel suo esercizio.

3. La dipendenza dei religiosi va intesa principalmente rispetto ai vescovi, che stanno ad essi come i perfezionatori rispetto ai soggetti da perfezionare, secondo l'insegnamento di Dionigi [ De eccl. hier. 6 ]; il quale aggiunge anche che « l'ordine monastico è soggetto all'influsso perfezionante dei vescovi, ed è istruito dalle loro divine illuminazioni ».

Quindi dall'obbedienza ai vescovi non sono sottratti neppure gli eremiti e i prelati religiosi.

E anche se in tutto o in parte essi ne sono esenti, tuttavia sono tenuti all'obbedienza verso il Sommo Pontefice, non solo nelle disposizioni generali, ma anche in quelle riguardanti in particolare la disciplina religiosa.

4. Il voto religioso di obbedienza si estende a tutta la condotta della vita umana.

Per questo esso ha una certa universalità, sebbene non si estenda a tutti e singoli gli atti: infatti alcuni atti non interessano la vita religiosa, poiché non riguardano l'amore di Dio o del prossimo, come il grattarsi la barba o il raccogliere una pagliuzza, e quindi non sono oggetto di voto o di obbedienza; altri sono poi addirittura contrari alla vita religiosa.

E non è possibile fare un confronto con il voto di castità, il quale esclude atti del tutto contrari alla perfezione religiosa.

5. È la necessità di coazione che rende l'atto involontario, e quindi indegno di lode e di merito.

Ma la necessità che accompagna l'obbedienza non è una necessità dovuta a una coazione, bensì alla libera volontà, in quanto l'uomo vuole ubbidire: sebbene forse egli di per sé non si sentirebbe di compiere ciò che gli è comandato.

Siccome quindi l'uomo si sottomette per amore di Dio, mediante il voto di obbedienza, alla necessità di fare cose che di per sé non gli piacciono, per ciò stesso le cose che egli fa sono più gradite a Dio, anche se sono meno eccellenti: poiché l'uomo non può dare a Dio nulla di più grande che il sottomettersi per lui alla volontà di un altro.

Per cui nelle Conferenze dei Padri [ 18,7 ] si legge che « i monaci più scadenti sono i Sarabaiti, i quali, impegnati nelle loro necessità e liberi dal giogo degli anziani, sono liberi di fare ciò che vogliono; sebbene essi si logorino nel lavoro giorno e notte più di quelli che vivono in un monastero ».

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