Summa Teologica - II-II

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Articolo 1 - Se la vita religiosa implichi uno stato di perfezione

Supra, q. 184, a. 5; C. G., III, c. 130; De perf. vitae spir., cc. 11, 16; Quodl., 1, q. 7, a. 2, ad 2; 3, q. 6, a. 3; In Matth., c. 19

Pare che la vita religiosa non implichi uno stato di perfezione.

Infatti:

1. Ciò che è indispensabile per salvarsi non è proprio dello stato di perfezione.

Ma la religione è necessaria per salvarsi, poiché secondo S. Agostino [ De vera relig. 55.107 ] è con essa che noi « ci uniamo all'unico vero Dio »; oppure, come egli dice ancora [ De civ. Dei 10,3 ], perché è con essa che noi « eleggiamo di nuovo Dio, che avevamo perduto con le nostre negligenze ».

Quindi la vita religiosa non indica uno stato di perfezione.

2. Secondo Cicerone [ De invent. 2,53 ], la religione « rende culto ed ossequio alla natura divina ».

Ora, stando alle cose già dette [ q. 40, a. 2; q. 183, a. 3 ], rendere a Dio culto e ossequio appartiene più ai ministri degli ordini sacri che ai vari stati di vita.

Quindi la religione non indica uno stato di perfezione.

3. Lo stato di perfezione si contrappone allo stato degli incipienti e a quello dei proficienti.

Ma anche nella religione ci sono degli incipienti e dei proficienti.

Quindi la vita religiosa non implica uno stato di perfezione.

4. La vita religiosa è un luogo di penitenza, poiché nel Decreto [ di Graz. 2,7,1,45 ] si legge: « Il sacro Concilio comanda che chiunque sia disceso dalla dignità vescovile alla vita monastica e penitenziale non sia mai più assunto all'episcopato ».

Ora, lo stato di penitenza si oppone allo stato di perfezione: infatti Dionigi [ De eccl. hier. 6,1 ] mette i penitenti all'ultimo posto, cioè tra « quelli che devono purificarsi ».

Perciò la vita religiosa non è uno stato di perfezione.

In contrario:

Nelle Conferenze dei Padri [ 1,7 ] si leggono queste parole dell'Abate Mosè: « Dobbiamo ricordare che siamo tenuti ad abbracciare la macerazione dei digiuni, le veglie, i travagli, la nudità del corpo, le letture e tutte le altre virtù per poter salire con questi gradini alla perfezione della carità ».

Ora, quanto si riferisce agli atti umani riceve la specie e il nome dal fine a cui tende.

Quindi i religiosi rientrano nello stato di perfezione.

- Inoltre Dionigi [ De eccl. hier. 6 ] afferma che « i servi di Dio si uniscono all'amabile perfezione mediante il culto e il servizio di Dio ».

Dimostrazione:

Come si è già notato [ q. 141, a. 2 ], ciò che è comune a più cose viene attribuito per antonomasia a quella a cui conviene per eccellenza: come il nome di fortezza viene attribuito a quella virtù che conserva la fermezza dell'animo nei casi più difficili, e il nome di temperanza a quella virtù che tempera o modera i piaceri più violenti.

Ora la religione, come sopra [ q. 81, a. 2; a. 3, ad 2 ] si è spiegato, è la virtù con la quale si offre qualcosa per il culto e il servizio di Dio.

Perciò si dicono religiosi per antonomasia coloro che si consacrano totalmente al divino servizio, offrendosi a Dio come in olocausto.

Da cui le parole di S. Gregorio [ In Ez hom. 20 ]: « Ci sono alcuni che non riservano nulla per sé, ma immolano a Dio onnipotente il pensiero, la lingua, la vita e tutti i beni ricevuti ».

Ora, la perfezione dell'uomo consiste nell'unione totale con Dio, come si è visto [ q. 184, a. 2 ].

Quindi la vita religiosa sta a indicare uno stato di perfezione.

Analisi delle obiezioni:

1. Offrire qualcosa al culto di Dio è necessario per salvarsi, ma che uno si consacri totalmente al culto divino è proprio della perfezione.

2. Come si è già visto trattando della virtù di religione [ q. 81, a. 1, ad 1; a. 4, ad 1,2; q. 85, a. 3 ], a questa virtù non appartengono soltanto le offerte dei sacrifici e gli altri atti propri della religione, ma anche gli atti di ogni altra virtù, secondo che vengono fatti a onore e a servizio di Dio, divenendo così atti di religione.

Se dunque uno dedica tutta la sua vita al servizio di Dio, tutta la sua vita appartiene alla religione.

E in base a ciò, per la vita religiosa che conducono, quelli che sono nello stato di perfezione vengono detti religiosi.

3. La vita religiosa, come si è accennato [ s. c. ], sta a indicare uno stato di perfezione per il fine a cui tende.

Non è quindi necessario che chi è in religione sia già perfetto, ma che tenda alla perfezione.

Ecco perché Origene [ In Mt tract. 8 ], a proposito di quel passo evangelico [ Mt 19,21 ]: « Se vuoi essere perfetto », ecc., nota che « colui che ha scambiato le ricchezze con la povertà per essere perfetto non diventa del tutto perfetto nel momento in cui dà i suoi beni ai poveri; però da quel giorno la contemplazione di Dio comincia a disporlo a ogni virtù ».

E così nella vita religiosa non tutti sono perfetti, ma alcuni sono incipienti e altri proficienti.

4. Lo stato religioso fu istituito principalmente per acquistare la perfezione mediante pratiche atte a eliminare gli ostacoli che si oppongono alla carità perfetta.

Ma eliminando detti ostacoli vengono escluse più radicalmente anche le occasioni del peccato, il quale distrugge totalmente la carità.

Avendo quindi i penitenti il compito di togliere le cause dei peccati, ne segue che lo stato religioso è quello più indicato per fare penitenza.

Per questo nel Decreto [ di Graz. 2,33,2,8 ] si consiglia di entrare in monastero a uno che abbia ucciso la moglie, dicendo che si tratta di « una cosa migliore e più facile » della penitenza pubblica fatta rimanendo nel secolo.

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