Summa Teologica - II-II

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Articolo 4 - Se chi ha fatto voto di entrare in religione sia tenuto a restarvi per sempre

Pare che chi ha fatto voto di entrare in religione sia tenuto a restarvi per sempre.

Infatti:

1. È meglio non entrare in religione che uscire dopo esservi entrati, secondo le parole di S. Pietro [ 2 Pt 2,21 ]: « Meglio sarebbe stato per loro non aver conosciuto la via della giustizia, piuttosto che abbandonarla dopo averla conosciuta ».

E nel Vangelo [ Lc 9,62 ] si legge: « Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio ».

Ma chi si è obbligato a entrare in religione è tenuto a entrarvi, come si è visto [ a. prec. ].

Quindi è tenuto anche a restarvi per sempre.

2. Si è sempre tenuti a evitare ciò che dà scandalo e cattivo esempio agli altri.

Ma il fatto che uno, dopo essere entrato in religione, ne esca per tornare nel secolo, dà cattivo esempio e scandalo agli altri, i quali vengono distolti dalla vita religiosa, o sono spinti a uscirne.

Perciò chi entra in religione per adempiere un voto fatto in precedenza è tenuto a restarvi per sempre.

3. Il voto di farsi religiosi è da considerarsi perpetuo, e per questo è superiore ai voti temporanei, come si è detto [ a. 3, ad 3; q. 88, a. 12, ad 1 ].

Ora, ciò non sarebbe vero se uno, dopo aver fatto voto, entrasse in religione con il proposito di uscirne.

Quindi chi ha fatto il voto di entrare in religione è anche tenuto a rimanervi in perpetuo.

In contrario:

I voti che vengono fatti nella professione, proprio perché obbligano a restare per sempre in religione, devono essere preceduti da un anno di prova, che invece non è richiesto dal voto semplice, con il quale uno si obbliga a entrare in religione.

Perciò chi fa il voto di entrare in religione non è tenuto per questo a restarvi per sempre.

Dimostrazione:

L'obbligo derivante da un voto dipende dalla volontà: poiché « fare un voto è un atto della volontà », come dice S. Agostino [ Glossa P. Lomb. in Ps 75,12 ].

Perciò l'obbligo si estende secondo la volontà e l'intenzione di chi fa il voto.

Se costui dunque intende obbligarsi non solo a entrare in religione, ma anche a restarvi per sempre, è tenuto a restarvi.

- Se invece intende obbligarsi a entrarvi per provare, conservando la libertà di rimanere o di uscire, è evidente che non è tenuto a restarvi

- Se infine nel fare il voto uno ha pensato semplicemente di entrare nella vita religiosa, senza pensare alla possibilità di uscirne o di restarvi per sempre, pare che sia tenuto a entrare secondo la legge comune, la quale concede ai postulanti un anno di prova.

Per cui non è tenuto a restare in religione per sempre.

Analisi delle obiezioni:

1. È meglio entrare in religione con l'idea di provare che non entrarvi affatto, poiché in tal modo uno può disporsi a rimanervi per sempre.

E ciò non significa che uno torni o guardi indietro, a meno che non trascuri di compiere ciò a cui si era obbligato.

Altrimenti chiunque per un certo tempo fa un'opera buona sarebbe inadatto per il regno di Dio se poi non continuasse a farla: il che è evidentemente falso.

2. Se chi è entrato in religione poi ne esce, specialmente se per cause ragionevoli, non genera scandalo e non dà cattivo esempio.

E se altri si scandalizzano è uno scandalo passivo da parte di costoro, non uno scandalo attivo da parte di chi esce: poiché questi ha semplicemente fatto quanto gli era lecito fare ed era richiesto da una causa ragionevole, come la malattia, la debolezza o altre cose del genere.

3. Chi entra per uscire subito evidentemente non soddisfa al suo voto: poiché nel farlo non intendeva questo.

Egli perciò è tenuto a mutare proposito, e a provare se la vita religiosa è conveniente per lui.

Però egli non è tenuto a rimanervi per sempre.

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