Summa Teologica - III

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Articolo 1 - Se Cristo avesse un'altra scienza oltre a quella divina

In 3 Sent., d. 14, a. 1, sol. 1; De Verit., q. 20, a. 1; Comp. Theol., c. 216

Pare che Cristo non avesse un'altra scienza oltre a quella divina.

Infatti:

1. La scienza è necessaria per conoscere qualcosa.

Ma con la scienza divina Cristo conosceva tutto.

Sarebbe stato dunque superfluo che in lui ci fosse qualche altra scienza.

2. Una piccola luce svanisce dinanzi a una luce più grande.

Ma ogni scienza creata sta alla scienza increata di Dio come una piccola luce a una luce più grande.

Quindi in Cristo non splendeva altra scienza che non fosse quella divina.

3. L'unione della natura umana con quella divina è un'unione personale, come risulta da quanto detto sopra [ q. 2, a. 2 ].

Ma alcuni ammettono in Cristo una certa « scienza dell'unione », con la quale cioè Cristo avrebbe conosciuto meglio di chiunque altro gli aspetti del mistero dell'incarnazione.

Ora, dal momento che l'unione personale abbraccia le due nature, in Cristo non ci dovrebbero essere due scienze, ma una sola appartenente all'una e all'altra natura.

In contrario:

S. Ambrogio [ De Incarn. 7 ] afferma: « Dio assunse nella carne la perfezione della natura umana: prese la sensibilità dell'uomo, ma non la sensibilità orgogliosa della carne ».

Ora, della sensibilità dell'uomo fa parte la scienza creata.

Quindi in Cristo c'era un'altra scienza oltre a quella divina.

Dimostrazione:

Come si è spiegato [ q. 5 ], il Figlio di Dio ha assunto una natura umana integra, cioè non il corpo soltanto, ma anche l'anima; e non solo quella sensitiva, ma anche quella razionale.

Era perciò necessario che avesse una scienza creata per tre motivi.

Primo, per la perfezione della sua anima.

Questa infatti considerata in se stessa è in potenza a conoscere, « come una tavoletta su cui non è scritto nulla » [ De anima 3,4 ], ma su cui tuttavia si può scrivere, data la presenza dell'intelletto possibile « mediante il quale l'anima può diventare ogni cosa », come dice Aristotele [ ib., c. 5 ].

Ora, ciò che è in potenza rimane imperfetto se non passa all'atto.

Non era d'altra parte conveniente che il Figlio di Dio assumesse una natura umana imperfetta: doveva invece assumerla perfetta, proprio perché essa doveva servirgli come strumento per riportare alla perfezione tutto il genere umano.

Era quindi necessario che l'anima di Cristo fosse arricchita di una scienza che ne fosse la perfezione propria.

In Cristo quindi ci doveva essere un'altra scienza oltre a quella divina.

Altrimenti l'anima di Cristo sarebbe stata più imperfetta dell'anima degli altri uomini.

Secondo, perché « essendo ogni cosa ordinata alla sua operazione », come dice Aristotele [ De caelo 2,3 ], Cristo avrebbe inutilmente un'anima intellettiva se non la esercitasse nella conoscenza.

Il che appartiene alla scienza creata.

Terzo, poiché c'è una scienza creata che è naturale per l'anima umana, quella cioè con cui conosciamo naturalmente i primi princìpi: il termine scienza infatti è qui preso in senso lato per una qualsiasi conoscenza dell'intelletto umano.

Ma a Cristo non mancava nulla di ciò che è naturale, avendo egli preso tutta la natura umana, come si è detto sopra [ q. 5 ].

Per questo nel Sesto Concilio Ecumenico [ 4 ] fu condannata la sentenza di coloro che negavano in Cristo due scienze o due sapienze.

Analisi delle obiezioni:

1. Cristo conosceva tutto con la scienza divina mediante un'operazione increata che è l'essenza stessa di Dio, essendo l'intellezione di Dio la sua stessa natura, come dice Aristotele [ Met. 12,9 ].

Ma evidentemente tale operazione non poteva procedere dall'anima umana di Cristo, che è di un'altra natura.

Perciò se l'anima di Cristo non avesse avuto altra scienza che quella divina, non avrebbe conosciuto nulla.

E così sarebbe stata assunta invano, « essendo ogni cosa ordinata alla sua operazione ».

2. Di due luci la più piccola viene soverchiata dalla più grande se sono dello stesso ordine, come il lume di una candela dalla luce del sole, essendo ambedue sorgenti luminose.

Ma se la luce maggiore è illuminante e la minore illuminata, questa non viene soverchiata, bensì potenziata, come la luce dell'aria dalla luce del sole.

E in questo modo la luce della scienza [ creata ] non si affievolisce, ma piuttosto si intensifica nell'anima di Cristo per la luce della scienza divina, che è « la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo », come dice il Vangelo [ Gv 1,9 ].

3. In forza delle due nature che si uniscono si riscontra in Cristo sia la scienza della natura divina che quella della natura umana, cosicché in forza dell'unione ipostatica si attribuisce all'uomo ciò che è di Dio e a Dio ciò che è dell'uomo, come si è detto sopra [ q. 3, a. 6, ob. 3 ].

Ma in forza della stessa unione non si può porre in Cristo una nuova scienza.

Poiché tale unione è fatta per costituire un'unica persona, mentre la scienza non esiste nella persona se non in dipendenza da una certa natura.

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