Summa Teologica - III

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Articolo 2 - Se in Cristo vi sia un unico essere

In 3 Sent., d. 4, q. 1, a. 2, sol. 1; d. 6, q. 2, a. 2; d. 14, a. 1, sol. 1; d. 18, q. 1, a. 1, ad 3; De unione, a. 1, ad 10; a. 4; Quodl. 9, q. 2, a. 2; Comp. Theol., c. 212

Pare che in Cristo non vi sia un unico essere, ma due.

Infatti:

1. Il Damasceno [ De fide orth. 3,13 ] insegna che è duplice in Cristo tutto ciò che è attinente alla natura.

Ma l'essere è attinente alla natura, poiché deriva dalla forma.

Quindi in Cristo c'è un duplice essere.

2. L'essere del Figlio di Dio è la stessa natura divina ed è eterno.

Ma l'essere umano in Cristo non è la natura divina, bensì un essere temporale.

Quindi in Cristo non c'è un unico essere.

3. Nella Trinità, sebbene ci siano tre persone, c'è però un unico essere per l'unità di natura.

Ma in Cristo ci sono due nature, pur con una sola persona.

Quindi in Cristo non c'è un unico essere, ma due.

4. In Cristo l'anima, essendo la forma, dà l'essere al corpo.

Ma non gli dà l'essere divino, che è increato.

Quindi c'è in Cristo un altro essere oltre a quello divino.

E così in Cristo non c'è un unico essere.

In contrario:

Ogni ente in quanto ente è uno, poiché l'ente e l'uno sono tra loro convertibili.

Se dunque in Cristo l'essere fosse duplice e non unico, Cristo sarebbe due enti e non uno.

Dimostrazione:

Poiché in Cristo le nature sono due e unica è l'ipostasi, necessariamente è duplice in lui ciò che riguarda la natura, e unico ciò che riguarda l'ipostasi.

Ora, l'essere riguarda sia l'ipostasi che la natura: l'ipostasi come il soggetto che ha l'essere, la natura come il principio in forza del quale tale essere è posseduto; la natura infatti la indichiamo come forma, e questa è detta ente perché una cosa esiste in forza di essa: come in forza della bianchezza una cosa è bianca e in forza dell'umanità un uomo è uomo.

Si deve poi osservare che se una forma o natura non fa parte dell'essere personale dell'ipostasi sussistente, allora l'essere di tale forma non viene attribuito alla persona in senso assoluto, ma in senso relativo: come Socrate è detto bianco non in quanto è Socrate, ma in quanto è bianco.

E nulla impedisce che questo essere [ accidentale ] possa essere molteplice in una medesima ipostasi o persona: infatti l'essere per cui Socrate è bianco non è quello per cui è musico.

È invece impossibile che l'essere appartenente in senso assoluto all'ipostasi o persona sia in essa molteplice, poiché una medesima cosa non può avere che un unico essere.

Se dunque la natura umana si fosse unita al Figlio di Dio non ipostaticamente o personalmente, ma accidentalmente, come alcuni hanno sostenuto [ cf. q. 2, a. 6 ], allora bisognerebbe porre in Cristo un duplice essere, uno in quanto è Dio e uno in quanto è uomo.

Così come in Socrate l'essere per cui è bianco si distingue dall'essere per cui è uomo, non appartenendo l'essere della bianchezza allo stesso essere personale di Socrate.

L'essere invece dotato di un capo, l'essere corporeo e l'essere animato appartengono alla medesima persona di Socrate, per cui tutte queste cose insieme costituiscono l'unico essere di Socrate.

E se accadesse a Socrate, quando la sua persona si è già costituita, di acquistare mani o piedi od occhi, come accadde al cieco nato, queste acquisizioni non aggiungerebbero un nuovo essere a Socrate, ma solo delle nuove relazioni, poiché egli verrebbe a esistere non solo con le membra che già possedeva, ma anche con quelle che gli si sono aggiunte in seguito.

Così dunque, poiché la natura umana, come si è detto sopra [ q. 2, a. 6 ], si è unita al Figlio di Dio in maniera ipostatica o personale, e non accidentale, ne segue che la natura umana non gli fa acquistare un nuovo essere personale, ma solo una nuova relazione verso la natura umana dell'essere personale preesistente, in modo cioè che quella persona ormai sussista non solo secondo la natura divina, ma anche secondo la natura umana.

Analisi delle obiezioni:

1. L'essere consegue alla natura non perché questa sia il soggetto che lo possiede, ma poiché essa è il principio in forza del quale una cosa lo possiede; alla persona o ipostasi invece consegue come a ciò che lo possiede.

Perciò l'essere conserva l'unità dell'unica ipostasi piuttosto che assumere la dualità a motivo delle due nature.

2. L'essere eterno del Figlio di Dio che è la natura divina diventa l'essere dell'uomo, in quanto la natura umana viene assunta dal Figlio di Dio nell'unità della persona.

3. Come si è detto nella Prima Parte [ q. 50, a. 2, ad 3; q. 75, a. 5, ad 4 ], nelle persone divine non c'è altro essere all'infuori di quello della natura, dato che la persona divina si identifica con la natura: quindi le tre persone hanno un unico essere.

Avrebbero invece un triplice essere se l'essere della persona si distinguesse dall'essere della natura.

4. L'anima in Cristo dà l'essere al corpo in quanto lo rende animato in atto: lo completa cioè nell'ordine della natura specifica.

Ma se immaginiamo un corpo perfezionato da un'anima senza un'ipostasi che possegga l'uno e l'altra, allora il composto di anima e di corpo indicato con il termine umanità non significa un soggetto che esiste, ma il principio per cui un dato soggetto esiste.

Perciò l'essere appartiene alla persona sussistente, in quanto dice relazione con tale natura: e di questa relazione è causa l'anima, in quanto essa porta la natura umana al suo compimento informando il corpo.

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