Summa Teologica - III

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Articolo 7 - Se Cristo abbia sofferto con tutta l'anima

In 3 Sent., d. 15, q. 2, a. 1, sol. 3; a. 3, sol. 2; De Verit., q. 26, a. 3, ad 1; a. 9; Quodl., 7, q. 2; Comp. Theol., c. 232

Pare che Cristo non abbia sofferto con tutta l'anima.

Infatti:

1. Quando soffre il corpo, l'anima soffre indirettamente, in quanto essa è « l'atto del corpo » [ De anima 2,1 ].

Ma l'anima non è l'atto del corpo secondo ogni sua parte, poiché l'intelletto, come dice Aristotele [ ib. 3,4 ], non è l'atto di nessun corpo.

Quindi Cristo non ha sofferto con tutta l'anima.

2. Ogni potenza dell'anima patisce da parte del proprio oggetto.

Ma l'oggetto della ragione superiore sono le « ragioni eterne, che essa ha il compito di contemplare e di consultare », come dice S. Agostino [ De Trin. 12,7.9 ].

Ora, Cristo non poteva subire alcun danno dalla parte delle ragioni eterne, non essendoci in esse alcuna cosa che fosse in contrasto con lui.

Quindi egli non soffrì con tutta l'anima.

3. Quando il patire sensibile arriva fino alla ragione si parla di passione in senso pieno.

Questa però, come insegna S. Girolamo [ In Mt 4, su 26,37 ], in Cristo non si verificò, ma si ebbe solo la propassione.

Per cui Dionigi [ Epist. 10 ] scrive che « egli subiva le sofferenze che gli erano inflitte solo attraverso la conoscenza ».

Quindi Cristo non soffriva con tutta l'anima.

4. La sofferenza causa dolore.

Ma il dolore non può aver luogo nell'intelletto speculativo poiché, secondo il Filosofo [ Topic. 1,13 ], « al piacere che deriva dalla contemplazione nulla può contrapporsi ».

Perciò Cristo non soffrì con tutta l'anima.

In contrario:

Il Salmista [ Sal 88,4 ] afferma in persona di Cristo: « L'anima mia è ricolma di mali ».

E la Glossa [ interlin. ] commenta: « Non di vizi, ma di dolori, che l'anima condivideva con il corpo; oppure di mali che condivideva con il popolo in procinto di perdersi ».

Ma la sua anima non sarebbe stata ricolma di questi mali se egli non avesse sofferto con tutta l'anima.

Quindi Cristo dovette soffrire con tutta l'anima.

Dimostrazione:

Un tutto viene concepito sempre in rapporto alle parti.

Ora, le parti dell'anima sono le sue potenze.

Perciò si dice che soffre tutta l'anima o perché patisce nella sua essenza, o perché patisce in tutte le sue potenze.

Ma va notato che una potenza dell'anima può soffrire in due modi.

Primo, per una sofferenza sua propria: e questa deriva dal proprio oggetto, come quando la vista soffre per una luce troppo intensa.

Secondo, per la sofferenza del soggetto in cui risiede: come la vista patisce per la sofferenza relativa al senso del tatto esistente nell'occhio che è sede della vista; p. es. quando l'occhio subisce una puntura, o viene bruciato dal calore.

Se dunque si considera la totalità dell'anima in rapporto alla sua essenza, è evidente che in Cristo ha sofferto tutta l'anima.

Infatti tutta l'essenza di questa si unisce al corpo in modo da essere « tutta nel tutto, e tutta in ciascuna delle sue parti » [ Agost., De Trin. 6,6.8 ].

Perciò quando il corpo di Cristo soffriva e si disponeva alla separazione dall'anima, tutta l'anima ne soffriva.

Se invece consideriamo la totalità dell'anima in riferimento alle sue potenze allora, se parliamo dei patimenti propri delle varie potenze, è chiaro che Cristo soffrì nelle sue potenze inferiori, poiché in ciascuna di esse, fatte per agire nell'ambito delle realtà temporali, si riscontrava qualcosa che causava il dolore di Cristo, come si è dimostrato sopra [ a. 5 ].

Invece la ragione superiore in Cristo non soffriva nulla dalla parte dell'oggetto, cioè di Dio, il quale non era per l'anima di Cristo causa di dolore, bensì di godimento e di gioia.

- Se poi consideriamo la sofferenza che una potenza può ricevere a motivo del soggetto in cui risiede, allora tutte le potenze dell'anima di Cristo soffrivano.

Queste infatti sono tutte radicate nell'essenza dell'anima, che veniva raggiunta dalla passione per il patire del corpo di cui è l'atto.

Analisi delle obiezioni:

1. Sebbene l'intelletto, quale potenza particolare, non sia l'atto del corpo, tuttavia è tale l'essenza dell'anima in cui esso è radicato, come si è spiegato nella Prima Parte [ q. 77, aa. 6,8 ].

2. L'argomento è valido per la sofferenza derivante dall'oggetto proprio: infatti in questo senso la ragione superiore in Cristo non ebbe a soffrire.

3. Un dolore viene detto passione perfetta che turba l'animo quando la sofferenza sensibile arriva a distogliere la ragione dalla rettitudine del proprio atto, in modo che questa segua la passione, perdendo il libero arbitrio su di essa.

Ora, in Cristo la sofferenza sensibile non giunse fino alla ragione in questo senso; vi giunse però attraverso il soggetto, come si è spiegato [ nel corpo ].

4. L'intelletto speculativo non può provare dolore o tristezza dalla parte del suo oggetto, che è la verità in se stessa e che costituisce la sua perfezione.

Tuttavia può essere raggiunto anch'esso dal dolore, o dalla causa del dolore, nella maniera che abbiamo indicata [ ib. ].

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