Supplemento alla III parte

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Articolo 2 - Se i santi dopo la risurrezione vedranno Dio con gli occhi del corpo

Pare che i santi dopo la risurrezione vedranno Dio con gli occhi del corpo.

Infatti:

1. L'occhio glorificato avrà una virtù superiore a quella di qualsiasi occhio non glorificato.

Ora, il santo Giobbe vide Dio con i suoi occhi [ Gb 42,5 ]: « Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono ».

Perciò a maggior ragione potrà vedere Dio per essenza l'occhio glorificato.

2. Sempre nel libro di Giobbe [ Gb 19,26 ] si legge: « Nella mia carne vedrò Dio, mio Salvatore ».

Sembra dunque che nella patria Dio sarà visto con gli occhi del corpo.

3. S. Agostino [ De civ. Dei 22,29 ] così si esprime a proposito della vista degli occhi glorificati: « La potenza di quegli occhi sarà ben più forte non nel senso che vedranno con l'acutezza maggiore che alcuni attribuiscono ai serpenti e alle aquile, poiché per quanto acuta sia la vista di questi animali, essi tuttavia non possono vedere altro che i corpi, ma nel senso che vedranno le realtà incorporee ».

Ora, ogni potenza conoscitiva adatta a vedere le realtà incorporee può essere elevata a vedere Dio.

Quindi gli occhi glorificati potranno vedere Dio.

4. La distanza fra le realtà corporee e quelle incorporee è identica reciprocamente.

Ma l'occhio incorporeo è capace di vedere le realtà corporee.

Quindi l'occhio corporeo è in grado di vedere le realtà incorporee.

Da cui l'identica conclusione.

5. S. Gregorio [ Mor. 5,34 ] a proposito di quel testo di Giobbe [ Gb 4,16 ]: « Stava lì zitto uno di cui non conobbi l'aspetto », ecc., afferma: « L'uomo, che se avesse osservato il precetto sarebbe divenuto spirituale anche nella carne, peccando divenne carnale anche nell'anima ».

Ma per il fatto che è divenuto carnale nell'anima, come spiega il Santo [ Gb 4,16 ], « egli pensa solo alle cose che riceve nell'anima traendole dalle immagini dei corpi ».

Quando perciò egli, secondo la promessa fatta agli eletti, diventerà spirituale anche nel corpo, potrà vedere anche con la carne le realtà spirituali.

Quindi si torna alla conclusione precedente.

6. L'uomo può essere reso felice soltanto da Dio.

Egli però lo diventerà non solo nell'anima, ma anche nel corpo.

Quindi potrà vedere Dio non solo con l'intelletto, ma anche con il corpo.

7. Come Dio sarà presente con la sua essenza nell'intelletto, così lo sarà pure nel senso: poiché egli « sarà tutto in tutti », come dice S. Paolo [ 1 Cor 15,28 ].

Ora, egli sarà visto dall'intelletto per il fatto che la sua essenza viene a congiungersi con esso.

Quindi potrà essere visto anche dal senso.

In contrario:

1. S. Ambrogio [ In Lc 1,11 ] afferma: « Non si cerca Dio con gli occhi del corpo, né lo si abbraccia con la vista, né lo si afferra col tatto ».

Quindi Dio non sarà visto da alcuno dei sensi del corpo.

2. S. Girolamo [ In Is 3, su 6,1 ] insegna: « Gli occhi del corpo non solo non possono percepire la divinità del Padre, ma neppure quella del Figlio e dello Spirito Santo; la percepiscono invece gli occhi della mente, di cui sta scritto: "Beati i puri di cuore" ».

3. Il medesimo Santo [ Agost., Epist. 147,23 ] ha pure affermato: « Una realtà incorporea non è vista con gli occhi del corpo ».

Ora, Dio è sommamente incorporeo.

Quindi, ecc.

4. S. Agostino [ Epist. 147,11 ] spiega: « "Dio nessuno l'ha mai visto", né in questa vita così come egli è, e neppure nella vita angelica nel modo in cui sono visibili le realtà che vediamo con la vista del corpo ».

Ma è detta angelica la vita beata in cui vivranno i risuscitati.

Quindi, ecc.

5. « L'uomo », scrive S. Agostino [ De Trin. 14,4.6 ], « si dice che è fatto a immagine e somiglianza di Dio poiché è in grado di vedere Dio ».

Ma l'uomo è a immagine di Dio secondo l'anima, non secondo il corpo.

Quindi egli vedrà Dio con l'anima e non con il corpo.

Dimostrazione:

Una cosa può essere vista dai sensi del corpo in due modi: per se e per accidens.

Viene percepito per se ciò che è in grado di produrre un'impressione nel senso corporeo.

Ora, una cosa può produrre per se tale impressione o sul senso come tale, o su questo o quell'altro senso particolare; e ciò che produce per se l'impressione sul senso è il sensibile proprio: come il colore rispetto alla vista e il suono rispetto all'udito.

- Siccome però il senso in quanto tale si serve di un organo corporeo, esso non può ricevere qualcosa se non corporalmente: poiché « tutto ciò che è ricevuto lo è secondo la natura del ricevente » [ De causis 12 ].

Per cui tutte le realtà sensibili producono un'impressione nel senso come tale secondo la loro estensione o grandezza.

Così dunque l'estensione e tutto ciò che la accompagna, come il moto, la quiete, il numero e le altre cose del genere, sono denominate sensibili comuni, ma sempre sensibili per se.

Viene sentito invece per accidens ciò che non produce un'impressione sul senso, né in generale in quanto è un senso né in quanto è questo senso particolare, ma è unito a ciò che per se lascia un'impressione sul senso: come « Socrate », « il figlio di Diaris », « un amico » e altre cose del genere, che direttamente e in genere sono conosciute dall'intelletto, e in particolare sono conosciute dalla cogitativa nell'uomo e dall'estimativa negli altri animali.

E queste cose si dice che il senso esterno le sente, anche se per accidens, quando in base a ciò che è oggetto diretto della sensazione la facoltà chiamata a conoscerle direttamente le afferra immediatamente senza dubbi e senza procedimenti discorsivi: come vediamo che uno vive in base al fatto che parla.

In caso diverso invece non si dice che un dato senso vede, neppure per accidens.

Dico dunque che Dio non può essere visto in alcun modo con la vista del corpo, né sentito con altri sensi, come visibile per se, né qui in vita, né in patria.

Se infatti si toglie al senso ciò che gli appartiene come senso, non sarà più il senso; e così se alla vista si toglie ciò che è la vista in quanto vista, non avremo più la vista.

Siccome dunque il senso come tale percepisce l'estensione, e la vista come senso particolare percepisce il colore, è impossibile che la vista percepisca quanto non è né colore né estensione, a meno che non si parli di senso in modo equivoco.

Dato quindi che la vista e i sensi saranno specificamente identici nei corpi gloriosi, non sarà possibile che il senso veda l'essenza divina come un oggetto visibile per sé.

La vedrà invece come visibile per accidens, poiché da una parte la vista corporea vedrà una così grande gloria di Dio nei corpi, specialmente in quelli gloriosi, e soprattutto nel corpo di Cristo, e dall'altra l'intelletto vedrà tanto chiaramente Dio che egli sarà percepito nelle realtà viste corporalmente come nella locuzione si percepisce la vita.

Per quanto infatti allora il nostro intelletto non vedrà Dio a partire dalle creature, tuttavia lo scorgerà nelle creature viste corporalmente.

E di questa visione corporale di Dio parla S. Agostino al termine del De Civitate Dei [ c. 29 ], come risulta evidente a chi esamina queste sue parole: « È assai credibile che allora noi vedremo i corpi del nuovo cielo e della nuova terra in modo da scorgervi Dio dovunque presente, e da percepirlo con assoluta chiarezza nell'atto di guidare tutto l'universo materiale; non già come adesso "intendiamo le realtà invisibili di Dio partendo dalle cose che egli ha fatto", ma come quando non appena guardiamo gli uomini non già crediamo, bensì subito vediamo che essi vivono ».

Analisi delle obiezioni:

1. Quelle parole di Giobbe si riferiscono agli occhi dello spirito, ai quali l'Apostolo allude in quell'espressione [ Ef 1,18 ]: « Possa egli illuminare gli occhi della vostra mente ».

2. L'affermazione riferita va intesa non nel senso che vedremo Dio con gli occhi del corpo, ma nel senso che vedremo Dio tornando a esistere nel nostro corpo.

3. S. Agostino con quelle parole si esprime condizionalmente e in tono di ricerca.

Il che appare evidente da quanto precede: « Saranno quindi di una virtù ben diversa, se con essi vedremo quelle nature incorporee »; e poi continua: « La potenza », ecc.; e finalmente conclude con le parole da noi riferite sopra [ nel corpo ].

4. Qualsiasi conoscenza si compie mediante una qualche astrazione dalla materia.

Più quindi una forma corporea è astratta dalla materia, più è un principio conoscitivo.

Per questo una forma che ha tutta la sua esistenza nella materia non è in alcun modo un principio di conoscenza; nel senso invece ciò si riscontra in qualche modo, in quanto esso viene a separarsi dalla materia; e nel nostro intelletto ancora di più.

Così dunque un occhio spirituale dal quale viene rimosso ogni impedimento a conoscere è in grado di vedere la realtà materiale.

Ma da ciò non segue che un occhio corporeo, nel quale c'è una mancanza di capacità conoscitiva nella misura in cui è materiale, possa conoscere perfettamente dei conoscibili incorporei.

5. Sebbene la mente divenuta carnale non possa pensare che agli oggetti ricevuti dai sensi, tuttavia li pensa in modo immateriale.

E similmente è indispensabile che la vista apprenda in maniera corporea tutto ciò che vede.

Essa quindi non può conoscere ciò che non può essere percepito corporalmente.

6. La beatitudine è la perfezione dell'uomo in quanto uomo.

E poiché l'uomo non è tale in forza del corpo, bensì in forza dell'anima, mentre il corpo rientra nell'essenza dell'uomo in quanto questi è reso perfetto dall'anima, così la beatitudine dell'uomo non consiste principalmente che in un atto dell'anima, derivando da questa al corpo come per una certa ridondanza, come risulta evidente da quanto abbiamo già detto [ q. 85, a. 1 ].

Ci sarà tuttavia una certa felicità anche per il nostro corpo per il fatto che esso vedrà Dio nelle creature sensibili, e specialmente nel corpo di Cristo.

7. L'intelletto ha la capacità di percepire le realtà spirituali, non così invece la vista corporale.

Perciò l'intelletto potrà conoscere l'essenza divina ad esso presente e unita; non così invece la vista corporale.

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