La beatitudine della mitezza

B298-A3

Can. Rodolfo Reviglio

San Matteo, nel suo Vangelo, ha dato ampio spazio alle parole con le quali Gesù ha annunciato le linee fondamentali del suo insegnamento: parabole, affermazioni molto chiare e incisive, ma anche conversazioni affabili e confidenziali.

Al termine del cap. 11 conclude un suo discorso con delle parole molto belle e di grande ricchezza e profondità ( in parte sono una vera lode del Padre ): « Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agii intelligenti e le hai rivelate ai piccoli.

Si, o Padre, perché cosi è piaciuto a te.

Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.

Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò.

Prendete il vostro giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime.

Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero » ( Mt 11,25-30 ).

Si è fatta una citazione un po' lunga perché, oltre ad essere stupenda, apre veramente un ampio orizzonte sulla beatitudine della mitezza.

Infatti Gesù, in questo brano conclusivo di un suo discorso, non solo ci ha descritto il rapporto confidenziale tra lui e il Padre, ma ci ha espresso con luminosità il vero stile di mitezza, bontà e dolcezza, che costituisce il rapporto intimo tra le Divine Persone.

Ed è per questo che Gesù conclude, esortando noi a imitarlo nella umiltà e nella mitezza.

Analizziamo bene questa beatitudine, partendo da un certo stile che caratterizza non di rado il rapporto tra gli esseri umani.

Molto spesso si crede di ottenere di avere ragione, se si usa un linguaggio forte e lo si sostiene con atteggiamenti di malintesa superiorità ( basta pensare a certe discussioni e a conseguenti liti, nelle quali si alza la voce, si assumono atteggiamenti di durezza e di caparbietà, pur di ottenere e far valere le proprie, cosi dette, ragioni ).

Innanzitutto, se siamo tutti stati creati per essere - e riconoscerci - figli di Dio e fratelli tra di noi ( e la preghiera del Padre nostro lo manifesta in modo pieno e splendente ), il nostro rapporto reciproco deve essere improntato alla fraternità, alla gentilezza, alla confidenza: insomma, alla mitezza!

In questa beatitudine Gesù non ci offre solo un insegnamento morale, ma ci descrive una componente essenziale che Dio ha voluto utilizzare creando noi uomini "a sua immagine e somiglianza".

Dio non ha voluto fare dell'umanità e del mondo un serraglio di bestie feroci!

Ha voluto trasmettere tra di noi e nel cuore di ciascuno di noi il suo stile di vita.

Ecco perché lo traduce in una delle prime beatitudini.

Se invece guardiamo la società di oggi ( e lo stile di vita esistente in tante famiglie, scuole, gruppi e associazioni di vario genere ), ci accorgiamo non solo che questa beatitudine non è vissuta e tanto meno conosciuta, ma che la tendenza della maggior parte delle persone è di tipo irascibile e non di rado offensive.

Eppure dobbiamo dire: Dio ci ha creati per essere felici, e una delle esigenze della vera felicità è proprio la bontà e la mitezza.

Ma c'è di più: il Vangelo non si diffonde con le parole grosse e violente, ma con espressioni ( di vita prima ancora che di parole ) di mitezza e mansuetudine!

Certamente - soprattutto nei casi in cui ci troviamo in difficoltà a motivo di persone che sono nell'errore o che usano modi e rapporti scortesi - troviamo difficoltà a usare parole miti e atteggiamenti umili e semplici; eppure, dobbiamo dire che con i modi forti non otteniamo nulla di buono, ma piuttosto esasperiamo gli animi e il clima dei rapporti, mentre con la mitezza e l'umiltà raggiungiamo non solo lo scopo di affermare la verità, ma anche quelle di creare contatti più dolci e cordiali.

E qui viene il punto fondamentale: per usare la bontà e la mitezza è necessario saper soffrire, sapere addossarci la croce, saper accettare di essere insultati e offesi.

Ma proprio nella misura in cui noi resistiamo cercando di tenere un atteggiamento umile e mite, a poco a poco non solo correggiamo e convertiamo il cuore di chi ci sta trattando con arroganza, ma conduciamo il clima verso la ricerca sincera e generosa della verità.

Questo atteggiamento diventa una stupenda arma di apostolato e di conversione: anzi, una forma privilegiata di evangelizzazione.

Se nei primi tempi del cristianesimo sono stati i martiri che, subendo la morte a motivo della fede, hanno contribuito al diffondersi del Vangelo ( come si diceva: « il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani » ) e a convertire tanti cuori e tante mentalità egoistiche e offensive, oggi questo stile e questo spirito possono arrecare frutti ancora più suggestivi e fruttuosi.

Più che mai la società odierna - e tutti i vari tipi di rapporti: nelle famiglie, nei gruppi, nella politica e nell'amministrazione, nello sport e nella letteratura - ha bisogno di questa lezione della Croce di Cristo; ha bisogno che noi cristiani, a cominciare dalle persone e dai gruppi più impegnati, offriamo alla società e alla cultura una testimonianza che, non di rado, sarà criticata e beffeggiata, ma alla fine trionferà: per il bene di tutti e per la gloria del Signore Gesù Cristo, morto sulla croce e modello imperituro dell'Amore infinito di Dio!