Varietates legitimae

Indice

Premessa

1. Nel Rito romano sono state ammesse nel passato legittime diversità e ancora esse sono previste dal concilio Vaticano II, nella costituzione « Sacrosanctum concilium », soprattutto nelle missioni.1

« La chiesa, in quelle cose che non toccano la fede o il bene di tutta la comunità, non desidera imporre, neppure nella liturgia, una rigida uniformità ».2

Avendo conosciuto e conoscendo ancora una diversità di forme e di famiglie liturgiche, ritiene che questa diversità, lungi dal nuocere alla sua unità, la valorizza.3

2. Nella lettera apostolica Vicesimus quintus annus, il papa Giovanni Paolo II ha indicato lo sforzo per radicare la liturgia nelle differenti culture come un compito importante per il rinnovamento liturgico.4

Già previsto nelle precedenti istruzioni e nei libri liturgici, tale lavoro deve essere perseguito, alla luce dell'esperienza, accogliendo, là dove è necessario, i valori culturali « che possono armonizzarsi con gli aspetti del vero e autentico spirito della liturgia, nel rispetto dell'unità sostanziale del Rito romano, espressa nei libri liturgici ».5

a) Natura di questa istruzione

3. Su mandato del sommo pontefice, la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha preparato questa istruzione in cui: si definiscono le Norme per adattare la liturgia all'indole e alle tradizioni dei vari popoli, contenute negli artt. 37-40 della costituzione « Sacrosanctum concilium »; si spiegano in modo più preciso certi princìpi, espressi in termini generali in questi articoli; sono rese più chiare le prescrizioni e, infine, si determina meglio l'ordine da seguire per osservarle, di modo che questa materia sia ormai posta in applicazione unicamente secondo queste prescrizioni.

Mentre i princìpi teologici concernenti le questioni di fede e inculturazione hanno ancora bisogno di essere approfonditi, è parso bene a questo dicastero aiutare i vescovi e le conferenze episcopali

a considerare gli adattamenti già previsti nei libri liturgici o a metterli in atto, secondo il diritto;

a sottomettere a un esame critico gli adattamenti forse già accordati e infine,

se in certe culture il bisogno pastorale rende urgente quella forma di adattamento della liturgia che la costituzione dice « più profonda » e dichiara nel contempo « più difficile », ad organizzarne l'attuazione e la pratica, secondo il diritto, nel modo più appropriato.

b) Osservazioni preliminari

4. La costituzione « Sacrosanctum concilium » ha parlato di adattamento della liturgia indicandone alcune forme.

In seguito, il magistero della chiesa ha utilizzato il termine « inculturazione » per designare in modo più preciso « l'incarnazione del Vangelo nelle culture autoctone e nello stesso tempo l'introduzione di queste culture nella vita della chiesa ».7

« L'inculturazione "significa un'intima trasformazione degli autentici valori culturali attraverso la loro integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle differenti culture" ».8

Si comprende quindi il cambiamento di vocabolario, anche nel campo liturgico.

Il termine adattamento, ripreso dal linguaggio missionario, poteva far pensare a dei cambiamenti soprattutto di punti singoli ed esteriori.9

Il termine « inculturazione » può meglio servire a indicare un duplice movimento: « Attraverso l'inculturazione, la chiesa incarna il Vangelo nelle diverse culture e, nel contempo, introduce i popoli con le loro culture nella propria comunità ».10

Da una parte, la penetrazione del Vangelo in un dato ambiente socioculturale « feconda come dall'interno, fortifica, completa e restaura in Cristo le qualità dello spirito e le doti di ciascun popolo ».11

Dall'altra parte, la chiesa assimila questi valori, nel caso essi siano compatibili con il Vangelo, « per approfondire l'annuncio di Cristo e per meglio esprimerlo nella celebrazione liturgica e nella vita multiforme della comunità dei fedeli ».12

Questo duplice movimento operante nell'inculturazione esprime così una delle componenti del mistero dell'incarnazione.13

5. Così intesa, l'inculturazione ha il suo posto nel culto come negli altri campi della vita della chiesa,14 costituendo uno degli aspetti dell'inculturazione del Vangelo che domanda una vera integrazione, nella vita di fede di ciascun popolo, dei valori permanenti di una cultura, più che delle sue espressioni transitorie.

Essa deve dunque essere strettamente connessa con una più vasta azione, con una pastorale concertata, che consideri l'insieme della condizione umana.

Come tutte le altre forme di azione evangelizzatrice, questa complessa e paziente attività domanda un impegno metodico e progressivo di ricerca e discernimento.

L'inculturazione della vita cristiana e delle sue celebrazioni liturgiche, per un popolo nel suo insieme, non potrà del resto che essere frutto di una progressiva maturazione nella fede.

6. La presente istruzione considera situazioni molto differenti.

In primo luogo, i paesi di tradizione non cristiana, nei quali il Vangelo è stato annunciato in epoca moderna da missionari che hanno portato nel contempo il Rito romano.

È oggi più chiaro che « entrando in contatto con le culture, la chiesa deve accogliere tutto ciò che, nelle tradizioni dei popoli, è conciliabile con il Vangelo, per apportarvi le ricchezze di Cristo e per arricchirsi essa stessa della sapienza multiforme delle nazioni della terra ».19

7. Diversa è la situazione nei paesi di antica tradizione cristiana occidentale, nei quali la cultura è stata da lungo tempo permeata dalla fede e dalla liturgia espressa nel Rito romano.

Ciò ha facilitato, in questi paesi, l'accoglienza della riforma liturgica e le possibilità di adattamento previste nei libri liturgici dovrebbero essere sufficienti, nell'insieme, per rispondere giustamente alle legittime diversità locali ( Cfr. sotto, nn. 53-61 ).

Nei paesi poi in cui coesistono più culture, soprattutto a causa dell'immigrazione, bisogna tener conto dei problemi particolari posti da simile situazione ( Cfr. sotto, n. 49 ).

8. Ugualmente, occorre fare attenzione all'instaurazione progressiva, nei paesi di tradizione cristiana e no, di una cultura segnata dall'indifferenza o dal disinteresse per la religione.20

Davanti a quest'ultima situazione, non bisognerebbe parlare di inculturazione della liturgia, poiché in tal caso non si tratta tanto di assumere, evangelizzandoli, dei valori religiosi preesistenti, quanto piuttosto di insistere sulla formazione liturgica21 e di trovare i mezzi più adatti per raggiungere gli spiriti e di cuori.

  Indice

1 Cfr. Sacrosanctum Concilium, 38; Cfr. anche n. 40,3
2 Sacrosanctum Concilium, 37
3 Cfr. Orientalium Ecciesiarum, 2;
Sacrosanctum Concilium, 3 e 4;
Catechismo della Chiesa cattolica, nn. 1200-1206, in particolare nn. 1204-1206
4 Cfr. Giovanni Paolo II, let. ap. Vicesimus quintus annus, 16
5 Cfr. Giovanni Paolo II, let. ap. Vicesimus quintus annus, 16
7 Giovanni Paolo II, enc. Slavorum Apostoli, 21;
Cfr. Discorso ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la cultura ( 17-1-1987, n. 5 )
8 Giovanni Paolo II, enc. Redemptoris Missio, 52
9 Giovanni Paolo II, enc. Redemptoris Missio, 52;
Sinodo dei vescovi 1985, Relazione finale Exeunte coetu secundo ( 1985 ), D 4
10 Giovanni Paolo II, enc. Redemptoris Missio
11 Gaudium et spes, 58
12 Gaudium et spes, 58
13 Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi Tradendae, 53
14 Cfr. Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium, can. 584 §2: « Evangelizatio gentium ita fiat, ut servata integritate fidei et morum Evangelium se in cultura singulorum populorum exprimere possit, in catechesi scilicet, in ritibus propriis liturgicis, in arte sacra, in iure particulari ac demum in tota vita ecclesiali »
19 Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la cultura ( 17-1-1987, n. 5 )
20 Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la cultura ( 17-1-1987, n. 5 );
Cfr. anche Giovanni Paolo II, let. ap. Vicesimus quintus annus, 17
21 Cfr. Sacrosanctum Concilium, 19 e n°. 35,3