Varietates legitimae

Indice

II. Esigenze e condizioni preliminari per l'inculturazione liturgica

a) Esigenze provenienti dalla natura della liturgia

21. Prima di ogni ricerca di inculturazione, va tenuta presente la natura stessa della liturgia.

Essa « è il luogo privilegiato dell'incontro dei cristiani con Dio e con colui che egli ha inviato, Gesù Cristo ( Cfr. Gv 17,3 ) ».39

È, ad un tempo, azione di Cristo sacerdote e azione della chiesa suo corpo, poiché per compiere la sua opera di glorificazione di Dio e di santificazione degli uomini, esercitata mediante segni sensibili, egli associa sempre a sé la chiesa, la quale, per mezzo di lui e nello Spirito Santo, rende al Padre il culto a lui gradito.40

22. La natura della liturgia è intimamente legata alla natura della chiesa, al punto che è soprattutto nella liturgia che si manifesta la natura della chiesa.41

Ora, la chiesa ha delle caratteristiche specifiche che la distinguono da ogni altra assemblea o comunità.

Infatti, non si costituisce per decisione umana, ma è convocata da Dio nello Spirito Santo e risponde nella fede al suo appello gratuito ( ekklesia è in rapporto con klesis, « chiamata » ).

Tale carattere singolare della chiesa è manifestato dal suo riunirsi come popolo sacerdotale, in primo luogo nel giorno del Signore, dalla parola che Dio rivolge ai suoi figli e dal ministero del sacerdote, che per il sacramento dell'ordine agisce nella persona di Cristo capo.42

Poiché cattolica, la chiesa oltrepassa le barriere che separano gli uomini: per il battesimo, tutti diventano figli di Dio e formano, in Cristo, un solo popolo dove « non c'è più giudeo né greco, non c'è più schiavo né libero, non c'è più uomo né donna » ( Gal 3,28 ).

Così essa è chiamata a raccogliere tutti gli uomini, a parlare ogni lingua, a permeare ogni cultura.

Infine la chiesa cammina sulla terra, lontano dal Signore ( Cfr. 2 Cor 5,6 ): nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni essa porta l'impronta del tempo presente, ma è tesa verso la beata speranza e la manifestazione di Cristo Gesù ( Cfr. Tt 2,13 ).43

Ciò trova espressione nella sua stessa preghiera di domanda: mentre pone attenzione ai bisogni degli uomini e della società ( Cfr. 1 Tm 2,1-4 ), essa professa che siamo cittadini del cielo ( Cfr. Fil 3,20 ).

23. La chiesa si nutre della parola di Dio, consegnata per iscritto nell'Antico e nel Nuovo Testamento e, proclamandola nella liturgia, l'accoglie quale una presenza di Cristo: « è lui che parla quando nella chiesa si leggono le sacre Scritture ».44

Nella celebrazione della liturgia, la parola di Dio ha dunque una importanza massima,45 di modo che la sacra Scrittura non può essere sostituita con nessun altro testo, per quanto venerabile esso sia.

Ugualmente, la Bibbia fornisce alla liturgia l'essenziale del suo linguaggio, dei suoi segni e della sua preghiera, specialmente nei salmi.47

24. Poiché la chiesa è frutto del sacrificio di Cristo, la liturgia è sempre celebrazione del mistero pasquale di Cristo, glorificazione di Dio Padre e santificazione dell'uomo per la potenza dello Spirito Santo.48

Il culto cristiano trova in particolare la sua più fondamentale espressione quando ogni domenica, nel mondo intero, radunati intorno all'altare sotto la presidenza del sacerdote, i cristiani celebrano l'eucaristia: insieme ascoltano la parola di Dio e fanno memoriale della morte e risurrezione di Cristo, nell'attesa del suo avvento glorioso.49

Attorno a questo polo centrale, il mistero pasquale si attualizza, con delle specifiche modalità, nella celebrazione di ciascuno dei sacramenti della fede.

25. L'intera vita liturgica s'impernia sul sacrificio eucaristico innanzitutto e sugli altri sacramenti, affidati da Cristo alla sua chiesa,50 che ha il dovere di trasmetterli fedelmente ad ogni generazione con sollecitudine.

In virtù della sua autorità pastorale, essa può disporre ciò che può essere utile al bene dei fedeli, secondo le circostanze, i tempi e i luoghi.

Ma non ha nessun potere su ciò che dipende dalla stessa volontà di Cristo e che costituisce la parte immutabile della liturgia.52

Intaccare il legame che i sacramenti hanno con Cristo che li ha istituiti, e con gli atti fondanti della chiesa,53 non sarebbe più inculturarli, ma svuotarli della loro sostanza.

26. La chiesa di Cristo è resa presente e significata, in un dato luogo e momento, dalle chiese locali o particolari, che nella liturgia ne manifestano la vera natura.54

Per questo ogni chiesa particolare deve essere in accordo con la chiesa universale non soltanto sulla dottrina della fede e sui segni sacramentali, ma anche sugli usi ricevuti universalmente dall'ininterrotta tradizione apostolica.

È il caso della preghiera quotidiana,56 della santificazione della domenica, del ritmo settimanale, della Pasqua e della presentazione dell'intero mistero di Cristo lungo l'anno liturgico,57 della pratica della penitenza e del digiuno, dei sacramenti dell'iniziazione cristiana, della celebrazione del memoriale del Signore e del rapporto tra liturgia della parola e liturgia eucaristica, della remissione dei peccati, del ministero ordinato, del matrimonio, dell'unzione dei malati.

27. Nella liturgia, la chiesa esprime la propria fede in forma simbolica e comunitaria: ciò spiega l'esigenza di una legislazione che inquadri l'organizzazione del culto, la redazione dei testi, lo svolgimento dei riti.59

Ciò giustifica anche il carattere imperativo di questa legislazione, nel corso dei secoli fino ad oggi, per assicurare l'ortodossia del culto, ossia non soltanto per evitare errori, ma per trasmettere l'integrità della fede, poiché la « legge della preghiera » ( lex orandi ) della chiesa corrisponde alla sua « legge della fede » ( lex credendi ).

Qualunque sia il grado di inculturazione, la liturgia non potrà sottrarsi a una forma costante di legislazione e di vigilanza da parte di coloro che hanno ricevuto questa responsabilità nella chiesa: la Sede apostolica e, secondo il diritto, le conferenze episcopali per un dato territorio, il vescovo per la sua diocesi.61

b) Condizioni preliminari per l'inculturazione della liturgia

28. La tradizione missionaria della chiesa si è sempre preoccupata di evangelizzare gli uomini nella loro lingua.

Spesso è successo che furono proprio i primi evangelizzatori di un paese a fissare per iscritto le lingue trasmesse fino ad allora soltanto oralmente.

E a buon diritto, poiché è attraverso la lingua materna, veicolo della mentalità e della cultura, che è possibile raggiungere l'anima di un popolo, suscitare in esso lo spirito cristiano, permettergli una partecipazione più profonda alla preghiera della chiesa.62

Dopo la prima evangelizzazione, è di grande utilità per il popolo nelle celebrazioni liturgiche la proclamazione della parola di Dio nella lingua del paese.

La traduzione della Bibbia, o almeno dei testi biblici usati nella liturgia, è così necessariamente il primo momento di un processo d'inculturazione liturgica.

Affinché la recezione della parola di Dio sia retta e fruttuosa, « è necessario che venga promossa quella soave e viva conoscenza della sacra Scrittura, che è attestata dalla venerabile tradizione dei riti sia orientali che occidentali ».64

Così l'inculturazione della liturgia suppone da principio una appropriazione della sacra Scrittura da parte di una data cultura.

29. La diversità delle situazioni ecclesiali non è senza importanza per giudicare il grado di inculturazione liturgica necessario.

Altra è la situazione dei paesi evangelizzati da secoli e nei quali la fede cristiana continua ad essere presente nella cultura, altra quella dei paesi in cui l'evangelizzazione è più recente o non ha penetrato profondamente le realtà culturali.66

Differente ancora è la situazione di una chiesa dove i cristiani sono in minoranza rispetto al resto della popolazione.

Una situazione più complessa può infine esserci quando la popolazione conosce un pluralismo culturale e linguistico.

Soltanto una valutazione precisa della situazione potrà chiarire il cammino verso soluzioni soddisfacenti.

30. Per preparare un'inculturazione dei riti, le conferenze episcopali dovranno fare appello a delle persone competenti, sia nella tradizione liturgica del Rito romano che nella conoscenza dei valori culturali locali.

Sono necessari degli studi preliminari d'ordine storico, antropologico, esegetico e teologico.

Tuttavia, essi hanno bisogno di essere confrontati con l'esperienza pastorale del clero locale, in particolare indigeno.67

Sarà anche prezioso il parere dei saggi del paese, la cui saggezza si è aperta alla luce del Vangelo.

La stessa inculturazione liturgica cercherà di soddisfare le esigenze della cultura tradizionale,68 tenendo conto anche delle popolazioni segnate dalla cultura urbana e industriale.

c) Responsabilità della conferenza episcopale

31. Trattandosi di culture locali, si capisce perché la costituzione « Sacrosanctum concilium » domanda in questo ambito l'intervento delle « competenti assemblee episcopali territoriali di vario genere legittimamente costituite ».69

A tale riguardo, le conferenze episcopali devono considerare « con attenzione e prudenza ciò che, in questo ambito, può opportunamente essere ammesso nel culto divino dalle tradizioni e dall'indole dei singoli popoli ».70

Esse potranno talora ammettere « ciò che nei costumi dei popoli non è indissolubilmente legato a superstizioni o ad errori ( … ), purché possa armonizzarsi con gli aspetti del vero e autentico spirito liturgico ».71

32. Spetta alle conferenze episcopali valutare se l'introduzione nella liturgia, secondo la procedura indicata più avanti ( Cfr. n. 62 e nn. 65-69 ), di elementi improntati ai riti sociali e religiosi dei popoli, che sono attualmente parte viva della loro cultura, possa arricchire la comprensione delle azioni liturgiche senza provocare ripercussioni sfavorevoli per la fede e la pietà dei fedeli.

Esse veglieranno, in ogni caso, affinché si eviti il pericolo che una tale introduzione non appaia ai fedeli come il ritorno a uno stato anteriore all'evangelizzazione ( Cfr. sotto, n. 47 ).

Ad ogni modo, se nei riti e nei testi sono giudicati necessari dei cambiamenti, occorre armonizzarli con l'insieme della vita liturgica e, prima d'essere praticati, ancora meno ordinati, che siano presentati con cura innanzitutto al clero e quindi ai fedeli, così da evitare il rischio di turbarli senza ragioni proporzionate ( Cfr. sotto, n. 46 e n. 69 ).

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39 Giovanni Paolo II, let. ap. « Vigesimus quintus annus » ( 4-12-1988, 7 )
40 Cfr. Sacrosanctum Concilium, 5-7
41 Cfr. Sacrosanctum Concilium, 2;
Giovanni Paolo II, let. ap. « Vicesimus quintus annus » ( 4-12-1988, 9 )
42 Cfr. Presbyterorum ordinis, 2
43 Cfr. Lumen gentium, 48;
Sacrosanctum Concilium, 2 e n. 8
44 Cfr. Sacrosanctum Concilium, 7
45 Cfr. Sacrosanctum Concilium, 24
47 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2585-2589
48 Cfr. Sacrosanctum Concilium, 7
49 Cfr. Sacrosanctum Concilium, 6, n. 47, n. 56, n. 102, n. 106
Missale Romanum, Institutio generalis, 1, 7, 8
50 Cfr. Sacrosanctum Concilium, 6
52 Cfr. Sacrosanctum Concilium, 21
53 Cfr. S. Congregazione per la dottrina della fede, dichiarazione « Inter insigniores » ( 15-10-1976 )
54 Cfr. Lumen gentium, 28 e n. 26
56 Cfr. Sacrosanctum Concilium, 83
57 Cfr. Sacrosanctum Concilium, 102, n. 106 e Appendice
59 Cfr. Sacrosanctum Concilium, 22; n. 26; n. 28; n. 40,3 e n. 128.
Codice di Diritto Canonico, can. 2 e passim
61 Cfr. Sacrosanctum Concilium, 22; n. 36 §§ 3 e 4; n. 40, 1 e 2; n. 44-46;
Codice di Diritto Canonico, can. 447ss e can. 838
62 Cfr. Giovanni Paolo II, Enc. « Redemptoris Missio » ( 7-12-1990, 53 )
64 Sacrosanctum Concilium, 24
66 Per questo in Sacrosanctum Concilium è espressamente detto nei n. 38 e n. 40: « soprattutto nelle missioni »
67 Cfr. Ad gentes, 16 e n. 17
68 Cfr. Ad gentes, 19
69 Sacrosanctum Concilium, 22 §2; Cfr. n. 39; n. 40,1 e 2;
Codice di Diritto Canonico, cann. 447-448ss
70 Sacrosanctum Concilium, 40
71 Sacrosanctum Concilium, 37