Il Popolo Ebraico e le sue Sacre Scritture

II. Temi fondamentali delle scritture del popolo Ebraico e loro accoglienza nella fede in Cristo

19. Alle Scritture del popolo ebraico, da essa ricevute come autentica Parola di Dio, la Chiesa cristiana ha unito altre Scritture, che esprimono la sua fede in Gesù, il Cristo.

Di conseguenza, la Bibbia cristiana non comprende un « Testamento » unico, ma due « Testamenti », l'Antico e il Nuovo, che intrattengono tra loro rapporti complessi, dialettici.

Per farsi un'idea corretta delle relazioni tra la Chiesa cristiana e il popolo ebraico, è indispensabile lo studio di questi rapporti, la cui comprensione è mutata col tempo.

Questo capitolo presenta prima una visione d'insieme di queste variazioni per poi soffermarsi su uno studio più preciso di temi fondamentali, comuni all'uno e all'altro Testamento.

A. Comprensione cristiana dei rapporti tra Antico e Nuovo Testamento

1. Affermazione di un rapporto reciproco

Definendo le Scritture del popolo ebraico « Antico Testamento », la Chiesa non ha voluto affatto suggerire che esse siano superate e che se ne potesse ormai fare a meno.37

Al contrario, essa ha sempre affermato che Antico Testamento e Nuovo Testamento sono inseparabili.

Il loro primo rapporto sta proprio in questa inseparabilità.

Quando, all'inizio del II secolo, Marcione voleva rifiutare l'Antico Testamento, si scontrò con una totale opposizione da parte della Chiesa posta-postolica.

Il rifiuto dell'Antico Testamento portava del resto Marcione a respingere anche gran parte del Nuovo - accettava solo il vangelo di Luca e una parte delle lettere di Paolo -, il che dimostrava chiaramente che la sua posizione era insostenibile.

È alla luce dell'Antico Testamento che il Nuovo comprende la vita, la morte e la glorificazione di Gesù ( cf 1 Cor 15,3-4 ).

Ma il rapporto è reciproco: da una parte, il Nuovo Testamento richiede di essere letto alla luce dell'Antico, ma, dall'altra, invita a « rileggere » l'Antico alla luce di Cristo Gesù ( cf Lc 24,45 ).

Come è stata fatta questa « rilettura »?

Essa si è estesa a « tutte le Scritture » ( Lc 24,27), a « tutte le cose scritte nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi » ( Lc 24,44 ), ma il Nuovo Testamento ci presenta solo un numero limitato di esempi, senza formulare una teoria metodologica.

2. Rilettura dell'Antico Testamento alla luce di Cristo

Gli esempi forniti dimostrano che venivano utilizzati diversi metodi, presi, come abbiamo visto sopra, dalla cultura del mondo circostante.38

I testi parlano di tipologia39 e di lettura alla luce dello Spirito ( 2 Cor 3,14-17 ), suggerendo l'idea di un duplice livello di lettura, quello del senso originario, percepibile in un primo tempo, e quello di una interpretazione ulteriore, rivelata alla luce di Cristo.

Nel giudaismo era abituale fare certe riletture.

Era lo stesso Antico Testamento a mettere su questa strada.

C'era, ad esempio, la rilettura dell'episodio della manna; non si negava il dato originario, ma se ne approfondiva il senso vedendo nella manna il simbolo della Parola con cui Dio nutre continuamente il suo popolo ( cf Dt 8,2-3 ).

I libri delle Cronache sono una rilettura del libro della Genesi e dei libri di Samuele e dei Re.

Lo specifico nella rilettura cristiana è che viene fatta - come abbiamo appena ricordato - alla luce del Cristo.

L'interpretazione nuova non abolisce il senso originario.

L'apostolo Paolo afferma inequivocabilmente che « gli oracoli di Dio sono stati affidati » agli Israeliti ( Rm 3,2 ) e dà per scontato che questi oracoli dovevano e potevano essere letti e compresi fin da prima della venuta di Gesù.

Quando parla di un accecamento degli ebrei circa « la lettura dell'Antico Testamento » ( 2 Cor 3,14 ), egli non intende parlare di una totale incapacità di lettura, ma di un'incapacità di rilettura alla luce di Cristo.

3. Rilettura allegorica

20. Il metodo nel mondo ellenistico era diverso, ma l'esegesi cristiana se ne servì ugualmente.

I greci interpretavano talvolta i loro testi classici trasformandoli in allegorie.

Dovendo commentare poemi antichi, come le opere di Omero, dove gli dei sembravano agire come uomini capricciosi e vendicativi, gli autori attribuivano loro un significato più accettabile dal punto di vista religioso e morale sostenendo che il poeta si era espresso in modo allegorico e che aveva voluto in realtà descrivere i conflitti psicologici umani, le passioni dell'anima, sotto la finzione di lotte tra dei.

In questo caso, il senso nuovo, più spirituale faceva scomparire il senso originario del testo.

Gli ebrei della diaspora utilizzarono talvolta questo metodo, in particolare per giustificare agli occhi del mondo ellenistico certe prescrizioni della Legge che, prese alla lettera, potevano sembrare prive di senso.

Filone d'Alessandria, nutrito di cultura ellenistica, si mosse in questa direzione.

Egli sviluppava talvolta, in modo originale, il senso originale, ma, altre volte, adottava una lettura allegorica che lo svuotava completamente.

In seguito la sua esegesi fu respinta dal giudaismo.

Nel Nuovo Testamento si trova una sola menzione delle « cose dette per allegoria » ( allegoroumena: Gal 4,24 ), ma in realtà si tratta in questo caso di tipologia; cioè i personaggi menzionati nel testo antico sono presentati come evocatori di realtà future, senza che venga messa minimamente in dubbio la loro esistenza nella storia.

Un altro testo di Paolo pratica l'allegoria per interpretare un dettaglio della Legge ( 1 Cor 9,9 ), ma questo metodo non viene mai adottato da lui come orientamento generale.

I padri della Chiesa e gli autori medievali ne faranno, al contrario, un uso sistematico, nei loro sforzi per offrire un'interpretazione attualizzante, ricca di applicazioni alla vita cristiana, di tutta la Bibbia, fin nei suoi minimi dettagli - sia, del resto, per il Nuovo Testamento che per l'Antico.

Origene, ad esempio, vede nel pezzo di legno di cui si serve Mosè per rendere dolci le acque amare ( Es 15,22-25 ) un'allusione al legno della croce; nella cordicella di filo scarlatto con la quale Raab fa riconoscere la sua casa ( Gs 2,18 ) un'allusione al sangue del Salvatore.

Venivano sfruttati tutti i dettagli che si prestavano a fornire un punto di contatto tra l'episodio veterotestamentario e le realtà cristiane.

In ogni pagina dell'Antico Testamento si trovavano una moltitudine di allusioni dirette e specifiche a Cristo e alla vita cristiana, ma si correva il rischio di staccare ogni dettaglio dal suo contesto e di ridurre a nulla i rapporti tra il testo biblico e la realtà concreta della storia della salvezza.

L'interpretazione diventava arbitraria.

Certo, l'insegnamento proposto aveva un suo valore, perché animato dalla fede e guidato da una conoscenza d'insieme della Scrittura letta nella Tradizione.

Ma non era un insegnamento basato sul testo commentato; veniva sovrapposto ad esso.

Era quindi inevitabile che nel momento stesso in cui questo approccio riscuoteva i migliori successi, entrasse in una crisi irreversibile.

4. Ritorno al senso letterale

Tommaso d'Aquino percepì in modo chiaro il pregiudizio inconscio che sosteneva l'esegesi allegorica: il commentatore poteva scoprire in un testo solo quello che egli già conosceva in precedenza e, per conoscerlo, aveva dovuto trovarlo nel senso letterale di un altro testo.

Da qui la conclusione tratta da Tommaso d'Aquino: non è possibile argomentare in modo valido a partire dal senso allegorico, ma solo a partire dal senso letterale.40

Iniziata nel Medioevo, la valorizzazione del senso letterale non ha poi mai cessato di imporsi.

Lo studio critico dell'Antico Testamento è andato sempre più in questa direzione, arrivando alla supremazia del metodo storico-critico.

Si è così messo in moto un processo inverso: il rapporto tra l'Antico Testamento e le realtà cristiane è stato ristretto a un numero limitato di testi.

Il rischio oggi è quello di cadere nell'eccesso opposto, che consiste nel rinnegare globalmente, insieme agli eccessi del metodo allegorico, tutta l'esegesi patristica e l'idea stessa di una lettura cristiana e cristologica dei testi dell'Antico Testamento.

Da qui lo sforzo avviato nella teologia contemporanea, per strade differenti che ancora non sono confluite in un consenso, di rifondare una interpretazione cristiana dell'Antico Testamento esente da arbitrarietà e rispettosa del senso originale.

5. Unità del disegno di Dio e nozione di compimento

21. Il presupposto teologico di base è che il disegno salvifico di Dio, che culmina in Cristo ( cf Ef 1,3-14 ), è unitario, ma si è realizzato progressivamente attraverso il tempo.

L'aspetto unitario e l'aspetto graduale sono entrambi importanti; così come lo sono la continuità su alcuni aspetti e la discontinuità su altri.

Fin dall'inizio, l'agire di Dio nei suoi rapporti con gli uomini è teso verso la pienezza finale e, di conseguenza, alcuni aspetti che saranno costanti cominciano a manifestarsi: Dio si rivela, chiama, affida delle missioni, promette, libera, stipula alleanza.

Le prime realizzazioni, per quanto provvisorie e imperfette, fanno già intravedere qualcosa della pienezza definitiva.

Questo è particolarmente evidente in alcuni grandi temi che si sviluppano attraverso tutta la Bibbia, dalla Genesi all'Apocalisse: il cammino, il banchetto, la dimora di Dio tra gli uomini.

Operando una continua rilettura degli eventi e dei testi, l'Antico Testamento stesso si apre progressivamente a una prospettiva di compimento ultimo e definitivo.

L'esodo, esperienza fondante della fede d'Israele ( cf Dt 6,20-25; Dt 26,5-9 ), diventa il modello di ulteriori esperienze di salvezza.

La liberazione dall'esilio babilonese e la prospettiva di una salvezza escatologica vengono descritte come un nuovo esodo.41

L'interpretazione cristiana si situa in questa linea, ma con la differenza che essa vede il compimento già sostanzialmente realizzato nel mistero di Cristo.

La nozione di compimento è estremamente complessa,42 e può essere facilmente falsata se si insiste unilateralmente o sulla continuità o sulla discontinuità.

La fede cristiana riconosce il compimento, in Cristo, delle Scritture e delle attese d'Israele, ma non comprende tale compimento come la semplice realizzazione di quanto era scritto.

Una tale concezione sarebbe riduttiva.

In realtà, nel mistero del Cristo crocifisso e risorto, il compimento avviene in modo imprevedibile.

Comporta un superamento.43

Gesù non si limita a giocare un ruolo già prestabilito - quello del Messia - ma conferisce alle nozioni di messia e di salvezza una pienezza che era impossibile immaginare prima; le riempie di una nuova realtà; si può parlare, a questo riguardo, di « nuova creazione ».44

Sarebbe infatti un errore considerare le profezie dell'Antico Testamento delle fotografie anticipate di eventi futuri.

Tutti i testi, compresi quelli che, in seguito, sono stati letti come profezie messianiche, hanno avuto un valore e un significato immediati per i contemporanei, prima di acquistare un significato più pieno per gli ascoltatori futuri.

Il messianismo di Gesù ha un significato nuovo e inedito.

Il primo scopo del profeta è di mettere i suoi contemporanei in grado di comprendere gli eventi del loro tempo con lo sguardo di Dio.

È meglio perciò non insistere eccessivamente, come fa una certa apologetica, sul valore di prova attribuita al compimento delle profezie.

Questa insistenza ha contribuito a rendere più severo il giudizio dei cristiani sugli ebrei e sulla loro lettura dell'Antico Testamento: più si trova evidente il riferimento al Cristo nei testi veterotestamentari, più si ritiene ingiustificabile e ostinata l'incredulità degli ebrei.

Ma la constatazione di una discontinuità tra l'uno e l'altro Testamento e di un superamento delle prospettive antiche non deve portare a una spiritualizzazione unilaterale.

Ciò che è già compiuto in Cristo deve ancora compiersi in noi e nel mondo.

Il compimento definitivo sarà quello della fine, con la risurrezione dei morti, i cieli nuovi e la terra nuova.

L'attesa messianica ebraica non è vana.

Essa può diventare per noi cristiani un forte stimolo a mantenere viva la dimensione escatologica della nostra fede.

Anche noi, come loro, viviamo nell'attesa.

La differenza sta nel fatto che per noi Colui che verrà avrà i tratti di quel Gesù che è già venuto ed è già presente e attivo tra noi.

6. Prospettive attuali

L'Antico Testamento possiede in se stesso un immenso valore come Parola di Dio.

Leggere l'Antico Testamento da cristiani non significa perciò volervi trovare dappertutto dei diretti riferimenti a Gesù e alle realtà cristiane.

Certo, per i cristiani, tutta l'economia veterotestamentaria è in movimento verso Cristo; se si legge perciò l'Antico Testamento alla luce di Cristo è possibile, retrospettivamente, cogliere qualcosa di questo movimento.

Ma dato che si tratta di un movimento, di una progressione lenta e difficile attraverso la storia, ogni evento e ogni testo si situano in un punto particolare del cammino e a una distanza più o meno grande dal suo compimento.

Leggerli retrospettivamente, con occhi da cristiani, significa percepire al tempo stesso il movimento verso Cristo e la distanza in rapporto a Cristo, la prefigurazione e la dissomiglianza.

Inversamente, il Nuovo Testamento può essere pienamente compreso solo alla luce dell'Antico Testamento.

L'interpretazione cristiana dell'Antico Testamento è quindi un'interpretazione differenziata a seconda dei diversi tipi di testi.

Essa non sovrappone confusamente la Legge e il Vangelo, ma distingue con cura le fasi successive della storia della rivelazione e della salvezza.

Si tratta di un'interpretazione teologica, ma al tempo stesso pienamente storica.

Lungi dall'escludere l'esegesi storico-critica, la richiede.

Quando il lettore cristiano percepisce che il dinamismo interno all'Antico Testamento trova la sua realizzazione in Gesù, si tratta di una percezione retrospettiva, il cui punto di partenza non si situa nei testi come tali, ma negli eventi del Nuovo Testamento proclamati dalla predicazione apostolica.

Non si deve perciò dire che l'ebreo non vede ciò che era annunciato nei testi, ma che il cristiano, alla luce di Cristo e della Chiesa, scopre nei testi un di più di significato che vi era nascosto.

7. Contributo della lettura ebraica della Bibbia

22. Lo sconvolgimento prodotto dallo sterminio degli ebrei ( la shoa ) nel corso della seconda guerra mondiale ha spinto tutte le Chiese a ripensare completamente il loro rapporto col giudaismo e, di conseguenza, a riconsiderare la loro interpretazione della Bibbia ebraica, l'Antico Testamento.

Alcuni sono arrivati a domandarsi se i cristiani non debbano rimproverarsi di essersi impadroniti della Bibbia ebraica facendone una lettura in cui nessun ebreo si riconosce.

I cristiani dovrebbero allora leggere questa Bibbia come gli ebrei, per rispettare realmente la sua origine ebraica?

Ragioni ermeneutiche obbligano a dare a quest'ultima domanda una risposta negativa.

Infatti, leggere la Bibbia alla maniera del giudaismo implica necessariamente l'accettazione di tutti i presupposti di quest'ultimo, cioè l'accettazione integrale di ciò che è costitutivo del giudaismo, in particolare l'autorità degli scritti e delle tradizioni rabbiniche, che escludono la fede in Gesù come Messia e Figlio di Dio.

In rapporto alla prima questione, la situazione è invece diversa, perché i cristiani possono e devono ammettere che la lettura ebraica della Bibbia è una lettura possibile, che si trova in continuità con le sacre Scritture ebraiche dall'epoca del secondo Tempio ed è analoga alla lettura cristiana, che si è sviluppata parallelamente ad essa.

Ciascuna delle due letture è correlata con la rispettiva visione di fede di cui essa è un prodotto e un'espressione, risultando di conseguenza irriducibili l'una all'altra.

Sul piano concreto dell'esegesi, i cristiani possono, nondimeno, apprendere molto dall'esegesi ebraica praticata da più di duemila anni, e in effetti hanno appreso molto nel corso della storia.45

Dal canto loro possono sperare che gli ebrei siano in grado di trarre profitto anch'essi dalle ricerche esegetiche cristiane.

Indice

37 Sull'origine di questa espressione, si veda sopra, n. 2.
Oggi in alcuni ambienti si tende a usare l'appellativo « Primo Testamento », per evitare la connotazione negativa che si potrebbe attribuire ad « Antico Testamento ».
Ma « Antico Testamento » è un'espressione biblica e tradizionale che non ha in sé alcuna connotazione negativa: la Chiesa riconosce pienamente il valore dell'Antico Testamento
38 Cf I.D.: « Metodi esegetici giudaici usati nel Nuovo Testamento », nn. 12-15
39 Cf Rm 5,14; 1 Cor 10,6; Eb 9,24; 1 Pt 3,21
40 Tommaso d'Aquino, Summa theologica, I, q. 1, a. 10. ad 1um, cf anche Quodl. VII, 616m
41 Is 35,1-10; Is 40,1-5; Is 43,1-22; Is 48,12-21; Is 62
42 Cf sotto, II B.9 e C, nn. 54-65
43 « Non solum impletur, verum etiam transcenditur », Ambrogio Autpert, citato da H. de Lubac,Exégèse médiévale, II. 246
44 2 Cor 5,17; Gal 6,15
45 Cf il documento della Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, I.C.2: « Approccio mediante il ricorso alle tradizioni di interpretazione giudaiche »