I servi di Cana

Capitolo 2

Laudato si' mi Signore,

per sora luna e le stelle,

in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si' mi Signore,

per frate vento et per aere et nubilo et sereno

et omne tempo

per lo quale a le creature dai sustentamento.

« A questo tratto della misericordia di Dio andavo meditando, nella mia semplicità, dentro di me: Come è possibile che un Dio voglia abbassarsi con me poveretto peccatore? »

L'espressione di Fra Leopoldo è nitida.

Dalle prime battute del suo Diario vi è questa deliziosa scoperta della misericordia di Dio, il venire incontro all'uomo per rendergli più comprensibile la vita, più luminoso e confidenziale il dialogo con il mistero dell'Assoluto.

Si può dire che tutto il tracciato del Diario sia un avanzarsi graduale verso lo scoprire la misericordia di Dio, il vivere la misericordia, l'offrire in un qualche modo, secondo le proprie capacità, un contraccambio a un gesto così sublime quale è la Redenzione.

Fra Leopoldo rimane stupefatto dalla intensità dell'Amore di Dio.

Quella che nel campo dell'amicizia San Tommaso d'Aquino con molta originalità chiama la « redamatio », per Fra Leopoldo diviene « riparazione », un gesto direi non tanto penitenziale o cinereo, quanto un tentativo creato con tutte le forze di mantenere vivida l'amicizia con il Cristo.

Il 18 gennaio 1901 Luigi Musso, domestico di famiglie benestanti, cuoco e umile artigiano, veste le ruvide lane del Poverello d'Assisi nel Santuario - Convento si Sant'Antonio a Torino.

Il nome che riceve: Fra Leopoldo.

« Dopo tre giorni fui mandato nel Convento - Parrocchia di San Tommaso, dove facevo coll'aiuto di Dio quanto mi era possibile per osservare la Santa Regola del Padre San Francesco ».

Ha inizio proprio in questa Comunità l'intreccio di intesa fra il SS. Crocifisso e Fra Leopoldo.

Dolcemente, con estremo tatto Gesù modella quell'umile frate, gioioso di essere e di sentirsi al suo servizio.

Ancora una volta il Cristo si fa sentire: « Una grande confidenza passerà fra me e te » ( 18 agosto 1906 ).

Siamo nel clima intenso e forte dell'amicizia.

Fra Leopoldo risponde a quella confidenza annotando l' 8 settembre 1906: « Se potessi avere la scienza di un Sant'Antonio, San Bonaventura, di un Sant'Agostino, vorrei scrivere volumi da spargere per tutto il mondo per cantar le tue glorie, le tue misericordie immense! »

Viene spontaneo, a chi sfoglia oggi piano piano il Diario di Fra Leopoldo Musso, fare un accostamento su quanto il Magistero della Chiesa sottolinea così fortemente in un momento drammatico e insieme stupefacente.

Il richiamo viene offerto da quel celebre documento che il Santo Padre Giovanni Paolo II inviò al mondo il 30 novembre 1980, la Dives in misericordia.

Nel cielo di Dio, fra le innumerevoli stelle « pretiose et belle » come declama il Cantico delle Creature, Fra Leopoldo Musso appare all'improvviso, nella sua cucina, con la voce dal timbro caldo di profeta.

Dice il Papa: « Come i profeti, facciamo appello a quell'amore che ha caratteristiche materne e a somiglianza di una madre segue ciascuno dei suoi figli, ogni pecorella smarrita, anche se ci fossero milioni di tali smarrimenti, anche se nel mondo l'iniquità prevalesse sull'onestà, anche se l'umanità contemporanea meritasse per i suoi peccati un nuovo diluvio, come un tempo lo meritò la generazione di Noè.

Facciamo ricorso a quell'amore paterno, che ci è stato rivelato da Cristo nella sua missione messianica, e che raggiunge il culmine nella sua Croce, nella sua morte e risurrezione » ( Dives in misericordia 15 ).

La Croce sigilla come per tutti i cristiani autentici anche il destino di Fra Leopoldo Musso.

Non si tratta di vivere l'eco del passaggio di Gesù nell'arco di un passato ormai remoto, ma di esprimere con un atteggiamento forte la fede e addirittura la certezza del suo cammino fisico contemporaneo in mezzo a noi.

Fra Leopoldo scopre il Cristo come il grande incompreso di ogni tempo, un qualcosa di non accettato e non voluto.

Il sipario sulla vita del cuoco francescano si spalanca proprio in questo primo atto dell'avvicinarsi della mano di Dio alla mano dell'uomo.

Una ricerca di conforto, un estremo bisogno divino di tenere accanto a sé il capolavoro della creazione finito in mille pezzi per la follia di un gesto e di un pensiero.

Fra Leopoldo è seriamente colpito dalla concretezza contemporanea del Cristo crocifisso.

A suo modo ne diviene ambasciatore tracciando il suo rapporto soprannaturale sulle pagine del Diario.

È ancora una volta la naturalezza dell'avvenimento che lascia senza fiato.

Il clamore non esiste, l'eccezionale viene smussato dinanzi a una semplice constatazione.

Lo stesso Cristo di ieri è quello di oggi.

Vi è un passaggio del discorso che Giovanni Paolo II tenne a Fairbanks in Alaska, durante il suo viaggio verso la Corea: « " Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro " ... Poiché siamo qui insieme nel nome di Cristo, Cristo è in mezzo a noi.

Miei cari fratelli e sorelle, non proviamo un sentimento di gioia prorompente, una profonda serenità, sapendo che Gesù, il nostro Salvatore risorto, il nostro Sacrificio pasquale, la Luce del mondo, che questo Gesù dimora nei nostri cuori e ci dà la sua pace? ...

Quando incontra Tommaso Gesù gli dice immediatamente: " Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani, stendi la tua mano e mettila nel mio costato e non essere più incredulo ma credente! "

Tommaso rimase così colpito dalla gentilezza, dalla condiscendenza e dalla pazienza del Signore che riuscì appena ad articolare umilmente: " Mio Signore e mio Dio! " Sì, questo era davvero il Signore, trasformato dalla resurrezione e veramente vivo » ( 2 maggio 1984 ).

Queste parole pronunziate dal Papa in quella che Paolo VI definì la Chiesa « della solitudine e del deserto di neve », sintetizzano in modo mirabile la « ragione » il « perché » della chiamata evangelica di Fra Leopoldo Musso.

Anche il suo mondo era fatto di solitudine e di deserto di neve.

Da sempre l'uomo dinanzi al Cristo crea degli stacchi.

E da sempre il Cristo accende in questo « nubilo » il « sereno » perché alle creature venga « sustentamento ».

C'è questo rincorrersi fra Dio e uomo per le strade della vita che mette in evidenza sempre di più il tono di « amore » del messaggio cristiano.

È importante fissare bene questa idea, altrimenti si perde il meglio di tutto l'intreccio di simpatia che intercorre tra la « Sorgente » e la vita nostra di ogni giorno.

Tommaso rimane colpito dalla gentilezza, dalla condiscendenza e dalla pazienza del Signore.

Fra Leopoldo articola queste tre realtà nella propria esperienza di consacrato e pone in azione il suo tentativo di offrire una chiave di lettura del destino umano.

Per chi avesse timore di essere irretito in un Cristianesimo fatto di sospiri e languori, basta rifarsi al realismo crudo della Croce, alla gloria della resurrezione, per scoprire così il grande tema della vita umana.

Si evidenzia sempre di più il valore dell'adorazione, il vivere compiutamente l'amicizia concreta e non simbolica con il Cristo.

Il dramma del nostro essere cristiani sta proprio in questo fatto unico e formidabile: accettare che Dio c'è e dialogare con « gentilezza » con Lui.

Superare, in parole chiare, quell'ateismo pratico di fondo per inabissarci dentro al Verità.

Fu questo il problema di Pilato.

Non potremo mai dimenticarlo.

Guardando in faccia il Cristo che andava a morire, il Procuratore di Tiberio gridò: « Ma che cos'è la Verità ? » e si lavò le mani davanti al mondo, chiudendo sé e la sua storia in una prigione senza più luce.

« nel tempo dell'adorazione Gesù ci dà tanta dolcezza, con tanta benignità ci incoraggia a soffrire volentieri in questo breve tempo di vita!

Si passano ore e ore della notte in adorazione e non ci si accorge del tempo che va velocemente ... » ( 15 settembre 1906 ).

Sono espressioni delle prime pagine del Diario.

Fra Leopoldo inizia a percepire la necessità di rimanere in collegamento con il Cristo.

È in questo modo che si costruisce il valore della vita e se ne affronta il grandioso mistero proprio come atto di partecipazione riparatrice alla tragedia del Calvario.

Il silenzio di Cristo davanti a Pilato diventa eloquente per Fra Leopoldo.

Il semplice cuoco sa che la Verità non può essere espressa in parole ma in una persona concreta che viene condannata alla crocifissione.

È a questa persona che è stata annientata dall'odio e dalla prepotenza che Fra Leopoldo lega la propria esistenza, perché si rende conto benissimo che senza « quella » verità è impossibile vivere.

E ciò che il francescano vuole fare è comunicare appunto il vivere.

Si nota in modo chiarissimo nel Diario l'importanza che Fra Leopoldo dà alla vicinanza con il Cristo per portare a Lui conforto.

La parabola del Samaritano nell'ottica del converso, vede Cristo gettato ai bordi della strada dalla cattiveria di coloro che non vogliono scoprire il tesoro nascosto nella vita.

È importante curvarsi su di Lui, curare il suo tormento e le sue piaghe, soccorrerlo con il conforto e l'attenzione della vera amicizia.

È un atteggiamento difficile da accettare e da realizzare.

Agli occhi dei più, quel nostro preoccuparci di alleviare la sofferenza dell'uomo buttato via non ha senso e anzi diviene apertamente ridicolo perché sulla strada dell'esistenza non c'è tempo da sciupare per preoccuparsi di creare una parentesi di tempo e di attenzione per qualcuno che non serve.

Ma è proprio « questo qualcuno che non serve » che impressiona Fra Leopoldo e gli si imprime nella fantasia.

È su questa inutilità che si innesta la grande quercia del « perché » di ogni destino.

« Quando avete fatto tutto dite: siamo servi inutili », lo aveva affermato Cristo.

Ma Fra Leopoldo ha la certezza di non aver fatto niente.

Da qui l'urgenza di « riparare » in qualche modo alla disattenzione, all'indifferenza.

Nasce così uno stato d'animo traboccante di serenità che lo induce a partecipare quella scoperta dell'amicizia con il Cristo che, via via, diventa sempre più radicale, sempre più impegnativa.

È necessario dirlo, usare qualsiasi linguaggio ma giungere al cuore delle creature umane per annunziare lo splendore della Grazia.

Fra Leopoldo si guarda attorno e vede con estrema amarezza che la vita umana è una interminabile parabola del Samaritano.

Con la differenza che nessuno si curva sul malcapitato che giace morente sul ciglio della strada.

Tutti hanno da fare, tutti hanno fretta, tutti sono importanti.

Ancora una volta il gesto di Pilato: lavarsene le mani.

Non badare a ciò che può turbare l'andamento normale delle cose.

C'è una richiesta da parte del Cristo che Fra Leopoldo appunta: « Se tu mi dai tanto amore nell'adorarmi e ne fai promessa per tutto il tempo della tua vita, io ti dò tanta grazia » ( 16 settembre 1906 ).

Al cuoco abituato alle marmitte della cucina non sfugge la ragione di quella richiesta e soprattutto do quando nasconde.

« Il mio buon Gesù crocifisso è mestissimo, sovente mi fa intendere che lo consoli ... il dovere nostro è di consolare Gesù colla preghiera e penitenza; non abbiamo ancora concepito questo buon pensiero che ecco la bontà, la pietà di Gesù crocifisso, il quale, senza che noi ce ne accorgiamo, si fa piccolo come un bambino, ci carezza, ci dona la pace, l'allegrezza, la serenità: questo inestimabile tesoro si trova ai piedi di Gesù crocifisso, in adorazione comenel Venerdì Santo ... » ( 19 settembre 1906 ).

« Ah! non essere in grado di poter scrivere parole di fuoco, di amore da far conoscere a tutto il mondo la grandezza, la bontà di Dio!

L'amore del Signore per un'anima che ama, è sempre un fuoco continuo che la brucia ... » ( 24 settembre 1906 ).

Il 5 ottobre 1906 Fra Leopoldo annota queste parole percepite nel più profondo di sé: « Mi sono servito di te per gettare il seme, ora io lo coltivo con la grazia e colla carità.

Alle anime che mi amano sarò della santa "adorazione" sempre vicino e sarò la loro santificazione ».

L'attenzione dell'umile francescano si fa più precisa.

Il messaggio del Crocifisso è una richiesta di collaborazione.

Bisogna ricostruire il progetto primitivo dell'uomo.

E Fra Leopoldo non vuole essere assente da questo meraviglioso, affascinante servizio.

La scoperta di quanto è veramente valido nella vita, lo muove a intensificare sempre di più la vivacità della scelta di stare dalla parte del Cristo.

Il Vangelo è una dichiarazione precisa sulla « regalità » di coloro che si pongono nel grande mare negli ultimi, dei dimenticati.

La stessa situazione del Maestro di Nazareth gettato sul ciglio della strada, in un abbandono totale, tra l'indifferenza di quanti passano lungo la via.

« Dopo la nostra morte non si conosce più distinzione di titoli di Re né di Regine; quel che brilla sono le virtù praticate in vita.

Quando il tuo spirito uscirà dal tuo corpo, in un attimo traverserà le più alte sfere celesti, l'anima tua inebriata di quell'amore, che in terra tanto mi hai portato e che sarà centuplicato dopo la tua morte, gaudio immenso godrà.

Quanto è mai misericordioso Iddio!

Gli uomini del mondo se ricevono ingiurie, non la perdonano tanto facilmente; solo un Dio sempre tende le braccia per darci il bacio del perdono » ( 28 luglio 1908 ).

È la ricchezza della misericordia di Dio che Fra Leopoldo sottolinea è illumina.

Fa impressione scoprire che questo altissimo concetto teologico venga contemplato fra le mura di una cucina.

Ma l'inebriante fatto del Vangelo si racchiude appunto in questo capovolgere in continuazione il sistema di vedere umano per lasciare sempre più spazio all'ottica di Dio.

Per Fra Leopoldo non vi sono dubbi: « Meglio stare un'ora in colloquio con Gesù crocifisso, che godere per cent'anni le delizie del mondo ingannatore, che promette delle felicità che non ha mai possedute » ( 30 luglio 1908 ).

Il modo di presentare la verità è semplice, molto alla buona e alla portata di tutti.

Il messaggio è ovviamente lanciato per chi ha il coraggio di spogliarsi di ogni scienza per lasciare spazio all'esperienza di Dio.

È una cosa che solo gli ultimi possono conoscere e capire, proprio perché hanno rifiutato in partenza di abbigliarsi con « l'inganno » del mondo.

Eppure è con questo linguaggio che Dio si presenta alla Storia ponendo sul tappeto le proprie credenziali, e dichiarandosi solennemente a Mosé come « Dio di tenerezza e di grazia, lento all'ira e ricco di misericordia e di fedeltà » ( Es 34,6 ).

Tutta l'impostazione spirituale, in misterioso tracciato interiore di Fra Leopoldo tendono a palpitare in questo unico senso: la certezza della misericordia divina nel ricondurre il progetto « uomo » alle sue origini.

Giovanni Paolo II regalando al mondo la Dives in misericordia intesse tutta la lettera enciclica su questo fondamentale concetto.

Cristo vi compare come l'Incarnazione della misericordia e punto di riferimento per un costruire mirabilmente la dignità umana.

Misericordia che si rivela sulla Croce e nella Risurrezione.

Appare stupefacente l'affermazione del Papa: « La dimensione divina della redenzione non si attua soltanto nel far giustizia del peccato, ma nel restituire all'amore quella forza creativa nell'uomo, grazie alla quale egli ha nuovamente accesso alla pienezza della vita e della santità che proviene da Dio...

La Croce di Cristo sul Calvario sorge sulla via di quel admirabile commercium, di quel mirabile comunicarsi di Dio all'uomo, in cui è al tempo stesso contenuta la chiamata rivolta all'uomo, affinché donando se stesso a Dio e con sé tutto il mondo visibile, partecipi alla vita divina, e affinché come figlio adottivo divenga partecipe della Verità e dell'Amore che è in Dio e che proviene da Dio » ( Dives in misericodia 7 ).

L'esperienza rimane identica, fissata perennemente nella certezza di vivere all'ombra dello Spirito, quell'Amore che diventa più potente della morte, più potente del peccato.

La certezza di esperimentare in ogni istante la misericordia.

La Torino in cui vive Fra Leopoldo respira forse, senza pensarsi, l'incisività più forte di questa misericordia.

È una città della grande risposta d'amore di Dio nel clima violento di ateismo che lei si volle seminare nel cuore.

Luigi mosso, il futuro fra Leopoldo, è ancora un bambino quando in Piemonte vive i fermenti della Rivoluzione liberale e del Risorgimento, l'ora terribile della soppressione degli Ordini Religiosi e i conflitti fra Governo e Clero.

Ma è il momento in cui Torino fiorisce in San Giuseppe Cottolengo, il « manovale della Provvidenza » che si pone al servizio degli incurabili più gravi, gli handicappati rifiutati, in San Giovanni Bosco che si pone al centro di un'attività in favore dei giovani, per la loro educazione religiosa e umana.

Fra Leopoldo spalanca una sua adolescenza e la sua giovinezza nell'eco di queste voci vicinissime che senza interruzione portano nel tempo la sicurezza che ha Provvidenza in Dio guida di cammino misterioso della Chiesa nel mondo.

Torino è in questa pagina di cronaca italiana al centro dell'attenzione.

Vi dimora il Sovrano e vi si respira l'aria di capitale, ma la situazione economica è precaria, un quarto della popolazione vive di assistenza.

C'è miseria, fame, disoccupazione.

All'inizio del secolo nascono problemi nuovi e nella cucina del convento francescano di San Tommaso Dio prosegue la sua opera.

Tocca ora a Fra Leopoldo prendere in mano il lavoro interrotto da chi è venuto prima.

La semplicità evangelica del converso venuto dal Monferrato non perdere la propria luce.

Accetta con dignità e prontamente quanto di Cristo gli affida.

L'importante è rimanere legati in un mondo forte alla Croce; il resto, lo strumento per farsi capire l'arriverà dopo, al momento opportuno.

Sono passati cinquant'anni dalla canonizzazione del Cottolengo e di Don Bosco.

E Torino ha voluto ricordare insieme le due figure affidandone la rievocazione all'Arcivescovo di Milano Cardinale Carlo Maria Martini.

C'è un punto nel discorso del Porporato che va fissato per sempre, per capire la concatenazione degli avvenimenti, la potenza di un amore che non viene mai meno e che si chiama Grazia!

« Il Cottolengo e Don Bosco hanno aperto una via di in un nuovo dialogo con la società e ne hanno individuate tre forme: caritativa, educativa e culturale che si possono dare delle importanti indicazioni.

La carità oggi deve andare verso quelle forme di emarginazione e che sono dei nostri tempi, dalla droga alla malattia mentale alla trasformazione tecnologica che chiede una riqualificazione delle energie, alle nuove povertà spirituali e umane.

L'opera educativa deve seguire le nuove vie indicate dall'informatica e dalle scienze moderne per creare una nuova solidarietà universale.

Il confronto culturale tra Chiesa e società deve procedere sulle linee indicate dal nuovo Concordato per aprirsi a nuove presenze nella società.

Ma tutto questo si verificherà ad una condizione, se sapremo privilegiare l'incontro vero con le persone bisognose di calore umano, se sapremo amare.

Diceva Don Bosco: i giovani non è sufficiente che siano amati, bisogna che sappiano di essere amati.

Se sapremo amare così ripeteremo i miracoli del Cottolengo e di Don Bosco ».

Nel gennaio 1909 Fra Leopoldo ha un annunzio ben preciso.

I contorni forse gli sfuggono ma annota con fedeltà le parole del suo Crocifisso.

Il Cristo parla di un Ordine religioso.

« L'ordine che sorgerà, sia coltivato prima di tutto con la pietà, con la reciproca assistenza e umiltà, coll'attività e modestia e grande carità fraterna: in unione con Gesù crocifisso portare la croce con gaudio... ( 29 agosto 1908 )

L'opera che verrà sarà mondiale e darà abbondantissimi frutti come albero magistrale...

Da questa pianta dell'ordine darò molti santi ... ( 7 gennaio 1909 )

Dalla pia Unione verranno santi padri di famiglia e molte evocazioni. ( 14 marzo 1915 )

È mia volontà che la pia unione si estenda in tutto il mondo, per riparazione dei tanti insulti che mi si fanno, e perché da questa ne verrà dalla riforma del mondo portata nella gioventù educata nel nome di Dio ... »

Fra Leopoldo alza gli occhi verso il suo Signore.

Accetta l'incarico.

Ognuno nel Regno deve sapere offrire il proprio servizio.

Il cuoco di San Tommaso si rende conto che non si può rimanere inoperosi.

Bisogna fare qualcosa: incominciare!

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