Buddhismo

IndiceA

Sommario

I. La figura del Buddha.
II. Le dottrine etico-salvifiche.
III. Il Nirvana e l'escatologia.
IV. La meditazione.
V. Buddhismo tantrico.
VI. Il buddhismo contemporaneo.

Il vasto mondo religioso del buddhismo presenta, per gli occidentali, difficoltà e complessità tali da poter scoraggiare chiunque avesse la pretesa di volerne comprendere la portata e districarne i grovigli interpretativi.

Ma è anche vero che là dove non può essere di aiuto l'erudizione viene in soccorso quella capacità di penetrazione che è data da certe affinità elettive e da "convergenze" che derivano da altre tradizioni religiose come l'ebraismo [ v. Ebraica ( spiritualità ) ], il cristianesimo, l' ( v. ) Induismo e l'' ( v. ) Islamismo, nelle loro componenti mistiche ed etico-sapienziali.

Solo una intima compenetrazione ed un incontro delle diverse spiritualità può far emergere la dimensione più profonda del buddhismo: quella che è, forse oggi più che mai, di grande rilevanza per il nostro tempo, che sembra aver dimenticato il valore della ( v. ) meditazione, della ( v. ) contemplazione unite alla pratica di un'etica rigorosa.

Il buddhismo è un esempio altissimo di religione etico-salvifica proiettata verso l'escatologia nirvanica, ma presenta altresì le migliori condizioni per un impegno morale e per una convivenza umana, in armonia e solidarietà con tutte le creature viventi e con il mondo naturale.

I - La figura del Buddha

La figura del Buddha,1 predicatore religioso ( vissuto tra il 566 e il 485 a. Cr. ) di una legge ( dharma ) salvifica e fondatore di una comunità ( sangha ) che raccoglie monaci e laici, è divenuta, non solo per i seguaci della sua dottrina, ma anche per altri, quella di uno dei più grandi maestri di spirito che abbia avuto l'umanità.

Il Buddha è infatti ancor oggi uno dei modelli o dei "tipi" ideali cui molti desiderano adeguarsi.

Ciò che sappiamo di lui, da un punto di vista storico,2 è certo ancora troppo poco per farci penetrare a fondo i problemi che travagliarono il suo spirito, le finalità precise che voleva proporsi; ma è certo che egli, profondamente colpito dagli aspetti negativi della vita ( emblematicamente rappresentati dalla malattia, dalla vecchiaia e dalla morte ), scelse una vita di rinuncia al mondo per cercare un nuovo significato della esistenza, una nuova luce che gli schiudesse le porte della verità.

Ottenuta l'illuminazione ( bodhi ) con mezzi non consueti alla prassi degli sramana ( eremiti ), degli yogin o dei mistici speculativi del brahmanesimo,3 vale a dire in modo straordinario, egli, dopo alcune esitazioni, desiderò di rendere partecipi anche altri della sua sapienza e si accinse a predicare quella dottrina che ci verrà tramandata in seguito dai testi canonici4 e verrà ampliata e commentata in tutta la letteratura post-canonica e nei commentari alle opere ritenute fondamentali.

Il Buddha Sàkyamuni insegnò e praticò quel "cammino intermedio" che evita gli opposti di una vita di piaceri e di un estremo ascetismo, ma si attenne sempre alla rinuncia ad ogni forma di egoismo, ivi compreso quello che deriva dall'attaccamento alla propria anima.

Egli visse fin verso l'80o anno di età, e non si presentò mai come creatura sovrumana.

Dopo la sua morte non fu la sua persona ad essere onorata, ma la sua dottrina, rappresentata simbolicamente, nell'arte dell'antico buddhismo, dalla ruota, dall'albero ( sotto cui egli raggiunse l'illuminazione ), dalla pietra su cui si sedette ( il "trono" rimasto vuoto dopo che egli aveva raggiunto il Nirvana supremo ) o dalle impronte dei suoi piedi.

Tuttavia non tardarono a manifestarsi ben presto atti di culto nei confronti delle reliquie del suo corpo che, si dice, vennero suddivise tra vari gruppi di devoti.

Le reliquie, conservate negli stùpa, divennero punti di riferimento e mete di pellegrinaggio, e tali sono ancora ai nostri giorni.

L'attenzione alla personalità del fondatore portò come conseguenza anche quell'arricchimento leggendario della sua biografia che tenderà, col passare dei secoli, a fare del Buddha un essere non solo fuori del comune, ma addirittura soprannaturale fino a pervenire, in certe scuole, ad una dottrina docetistica della sua vita terrena.

Ma se tutto ciò ha fatto dubitare alcuni studiosi della storicità del Buddha ( storicità peraltro ormai indiscussa ), ha consentito una serie di indagini simbolico-mitologiche che hanno facilitato una maggiore penetrazione nel complesso mondo spirituale del buddhismo, lungo il suo ampio arco geografico-temporale.

La figura del Buddha, comunque egli venga concepito dalle varie scuole religiose che si sono costituite tra i suoi seguaci, fin da epoca molto antica, resta sempre per tutti quella di un predicatore di salvezza, di un uomo esemplare e, per molti, anche quella di un essere dimorante in una sfera ultraterrena, onnisciente e benevolo verso tutte le creature.

II - Le dottrine etico-salvifiche

Gli insegnamenti del Buddha, raccolti principalmente nei Sùtra ( discorsi ), sono destinati a monaci e laici e vertono principalmente sulle tematiche fondamentali del dharma: ossia sulle quattro nobili verità ( esistenza del dolore, della sua causa, dei mezzi per eliminarlo e della sua estinzione ), e sui cinque precetti etici ( comuni peraltro anche al Jainismo ): non rubare, non uccidere, non mentire, non commettere adulterio ( che si tradurranno, per i monaci, nei corrispondenti voti religiosi di povertà, non violenza assoluta [ ahimsà ], castità perfetta ), e, infine, il quinto precetto che vieta l'uso di bevande inebrianti.

I monaci devono seguire inoltre tutta quella normativa disciplinare che è contenuta nella prima parte del Canone ( Vinaya ), in base alla quale essi dovevano fare il loro esame di coscienza durante la cerimonia dell'Uposai ha, onde compiere la relativa confessione dei peccati, ed eventualmente subire la penitenza.

Dice un testo del Vinaya: « La comunità sarà invitata a riunirsi da un monaco di vecchia esperienza e profonda competenza che si rivolgerà ai monaci con queste parole: "Che la venerabile comunità mi ascolti! Se la comunità lo riterrà opportuno potrà celebrare l'Uposatha e recitare la lista dei precetti".

L'atto preliminare consisterà nel dichiarare a un decano la propria purezza.

Tutti coloro che saranno in pace con la propria coscienza dichiarino: "Siamo in ascolto".

Colui che avrà commesso una colpa dovrà confessarla pubblicamente, coloro che invece si sentiranno innocenti staranno in silenzio.

Come nella confessione individuale così anche in questa assemblea l'invito sarà rivolto ai monaci tre volte; il monaco che, al terzo invito, pur ricordando la sua colpa non la confesserà apertamente, diventerà automaticamente un menzognero ».5

Sul piano della povertà il monaco non può possedere beni di sorta, come avverte il pratimoksha ( il compendio delle regole monastiche per la recitazione in comune ) : « Se un monaco pratica un qualsiasi commercio, le cose che ne costituiscono l'oggetto gli saranno confiscate …

Se un monaco maneggia dell'oro e dell'argento o ordina ad altri di farlo, quei metalli preziosi gli devono essere confiscati … ».

Non meno rigide sono le norme che riguardano la castità: « Se un monaco, con pensieri libidinosi, fa proposte disoneste a una donna o a minorenne di entrambi i sessi, deve essere scacciato per sempre dalla comunità …

Se un monaco percorre il cammino che conduce da un villaggio all'altro in compagnia di una monaca, a meno che non vi siano dei pericoli, deve fare penitenza …».

Il monaco è messo in guardia anche contro i peccati di orgoglio e di odio: « Se un monaco si vanta di possedere capacità soprannaturali proprie dei santi, anche se, dopo essere stato messo alla prova, desidera essere assolto dalla sua colpa esclamando … "Ho peccato di orgoglio e mi pento della mia colpa", questo monaco deve essere scacciato per sempre dalla comunità …

Se un monaco, spinto dall'odio, accusa senza una ragione valida un religioso puro e innocente di una colpa che comporta l'espulsione definitiva dalla comunità, anche se in seguito egli dichiara la sua accusa senza fondamento, deve essere temporaneamente scacciato dalla comunità …

Se un monaco disprezza un altro monaco deve fare penitenza … ».

Il comportamento del religioso viene in tal modo regolato fino ai minimi particolari, anche per quanto riguarda il comportamento esterno, l'uso degli abiti, della ciotola per il cibo e il modo di nutrirsi: « Quando si entra in una casa bisogna tenere il corpo coperto … si deve aver cura dell'aspetto esteriore … si deve fare poco rumore … non si deve ridere … si deve tenere il capo scoperto … ecc.».6

Per quanto riguarda l'uso dei cibi il monaco non deve ingerire alimenti solidi più di una volta al giorno e deve mendicare quotidianamente il suo pasto.

La vita monastica di rinuncia al mondo non deve tuttavia far pensare al buddhismo come ad una religione prevalentemente ascetica.

Il Buddha anzi insegnò, come sappiamo, quella "via intermedia" che si trova tra i due estremi di una vita di piaceri o di puro istinto ed una vita di rigori penitenziali.

La predicazione della non violenza è, prima fra tutte, volta a promuovere il rispetto per gli altri, l'armonia con tutti i viventi - ivi inclusi gli animali - in una solidarietà tra uomo e mondo naturale che favorisce il convivere di tutte le creature e quindi potenzia e non sminuisce i valori positivi della vita.

Lo stesso dicasi per gli altri precetti destinati a promuovere il rispetto dei beni altrui e del proprio bene individuale, morale e fisico.

Di importanza decisiva sono poi le virtù buddhiste come la maitri ( amicizia ), la mudila ( gioia simpatetica ), la karunà ( compassione ), l'equanimità ( upekshà ), che realizzano l'apertura dell'uomo verso tutti e sublimano ogni atto umano etico in una carità universale, onde si può affermare, a buon diritto, che il Buddha sia stato il primo ad annunciare un messaggio di universale amore.

La dottrina buddhista conosce ed insegna anche l'eroismo, ma non come pratica fine a se stessa, ne come semplice rinuncia, bensì come dono, a favore degli altri e, di conseguenza, come atto altamente meritorio.

Il carattere eminentemente etico del buddhismo fa di questo una religione fortemente responsabilizzata ed interiorizzata.

La legge del karman, per cui ognuno riceve in questa vita - e nelle successive reincarnazioni - i premi e i castighi che merita per le sue opere, fa sì che nessuno possa sfuggire alle conseguenze delle proprie azioni.

Anche la confessione dei peccati, pubblica o privata, non comporta la soppressione o la remissione di tutte le colpe, ma solo di quelle leggere.

Nessuno può quindi sottrarsi alle proprie responsabilità ed ognuno è chiamato a divenire sempre più cosciente di ciò che compie e sempre più esperto nella conoscenza del dharma.

III - Il Nirvana e l'escatologia

Il fatto che il buddhismo sembra mancare di un fondamento ontologico-metafisico, poiché non ha il concetto di Dio, ne possiede un'adeguata concezione dell'anima, non infirma il valore etico della sua dottrina, poiché questa riceve la sua giustificazione teleologica nel suo rapportarsi alla salvezza ultima che è il Nirvana, qualunque sia la "definizione" che di esso hanno dato le diverse scuole filosofiche.

Ricordiamo soltanto alcune formulazioni allusive date nei testi canonici a proposito del Nirvana.

« Esso è l'incondizionato, l'altra riva, il difficile a vedersi, senza tempo, eterno, al di là di ogni molteplicità, senza morte, beatitudine … assenza di ogni angustia, isola, rifugio, luogo di riposo, ecc. ».7

Il Nirvana si contrappone a tutto ciò che è di questo mondo, ed è qualificato sia come cessazione del dolore - ossia come pace, riposo, ecc. - sia come al di là di ogni temporalità e di ogni fenomeno, come "l'altra riva" che ancora non si conosce e non si conoscerà fin tanto che non si sarà raggiunta.

Il Nirvana è dunque un assoluto trascendente8 e, come tale, non è connesso causalmente con il cosmo, restando però il fine ultimo raggiungibile da tutti i viventi che pervengano alla perfetta purificazione.

In quanto estinzione e cessazione delle rinascite o delle esistenze terrene e in quanto incondizionato, asamskrta non creato, ab-solutus,9 ha dato luogo a non poche controversie interpretative, ma tutte le scuole restano d'accordo sul fatto che lo asamskrta è « la estinzione delle passioni ( ràga ) dell'odio ( dvesa ) e dell'errore »,10 anche in questo mondo.

Le controversie metafisiche sulla natura del Nirvana e sui modi di sopravvivenza spirituale,11 in tale Assoluto Al-di-là, non intaccano minimamente la finalità escatologica dell'etica, delle pratiche ascetico-meditative e del "culto" buddhista, anche là dove il Nirvana riceve le sue interpretazioni più apofatiche.12

Da ciò si comprende il valore eminentemente religioso del buddhismo che, fin dalle origini, si contrappone agli orientamenti intellettualistico-speculativi del brahmanesimo.

Il buddhismo si riallaccia, tuttavia, alla tradizione "monastica" indiana - sia pure in maniera nuova - e al concetto di una salvezza ultima di cui il Buddha non si stancò di ripetere l'annuncio a tutti - rivolgendosi ad essi in lingua volgare e parlando per mezzo di parabole, similitudini, aforismi -, ma non mediante "dimostrazioni" teoretiche.

Le questioni relative alla esistenza di uno spirito ( atman ) dell'uomo, di una sua sostanza immortale vennero considerate secondarie, se non dannose in confronto alle più urgenti questioni riguardanti la salvezza.

Il silenzio del Buddha intorno ai problemi metafisici è da considerarsi quindi come un voler far tacere una curiosità che, in sé, non è "salvifica", o comunque al di là della portata della umana categorizzazione.

IV - La meditazione

La meditazione costituisce nel buddhismo il secondo grande cardine della vita religiosa.

Nella formulazione dell'ottuplice sentiero13 che conduce alla salvezza si accenna infatti anche ai metodi di concentrazione e di meditazione: retta comprensione, retta intenzione, retto parlare, retto agire, retto modo di sostentarsi, retto sforzo, retta concentrazione, retta meditazione.

Dal che risulta come l'etica e la meditazione si completino e si sostengano vicendevolmente e insieme formino gli elementi costitutivi della prassi soterica del buddhismo.

Scopo ultimo della meditazione è il raggiungimento dell'illuminazione o dello stato di Nirvana.

Ma poiché a tale stato non si perviene se non dopo lungo tempo e dopo aver ottenuto una perfetta purificazione, è necessario esercitarsi costantemente nelle pratiche meditative che si articolano in vari momenti e secondo i vari aspetti della dottrina buddhista.

Ricordiamo anzitutto la riflessione sui "tre gioielli": il Buddha. il Dharma, il Sangha, che comportano:

a. la meditazione sulle virtù del Buddha, sui suoi epiteti, sulla sua figura di « maestro degli uomini e degli dèi »14 ed implica una viva fede ( sraddhà ) nella dottrina da lui insegnata;

b. meditazione sul Dharma, ossia sulla legge come essenzialmente interiore e realizzabile da parte di ciascuno;

c. meditazione sul Sangha, la comunità dei santi, in cui fruttificano i meriti di tutto il mondo apportanti benefici e gioia spirituale.

La meditazione buddhista ha come oggetto anche gli aspetti negativi della realtà, come la transitorietà di tutte le cose, la morte corporea, rappresentabile in tutti i suoi lati più ripugnanti ( cadaveri in putrefazione, scheletri e cos e simili ).

Siffatte meditazioni sono ordinate a promuovere il distacco e a favorire l'umiltà.

I sentimenti di odio debbono invece essere combattuti con la meditazione sulle virtù della amicizia, della compassione, ecc. e dal ricordo degli esempi del Buddha, anche nelle sue vite anteriori, allorché egli compì atti di eroismo nel perdono dei nemici e nella carità verso tutte le creature.15

La pratica buddhista della meditazione deve molto anche alle tecniche dello yoga [ v. Yoga/Zen ], a partire da quelle che regolano il controllo del respiro, l'attenzione, la concentrazione.

Segno evidente che il buddhismo deriva da una antica matrice indiana di pratiche spirituali ed "estatiche", come attestano ad es. gli otto stadi di "trance" che si articolano in:

primo stadio, nato dal distacco dai piaceri sensibili e caratterizzato da una gioia esaltante;16

secondo stadio, privo di discorsività che ha origine dalla concentrazione ed è caratterizzato da una gioia serena ed "unica", sorta autonomamente;

terzo stadio è quello della coscienza limpida e tranquilla che fruisce della gioia di chi è equilibrato ed attento;

il quarto stadio supera ogni sentimento di piacere e di dolore e beneficia di ulteriore purezza ed equilibrio;

il quinto, superando ogni forma percettibile ed ogni molteplicità, raggiunge l'infinito spazio;

il sesto perviene alla coscienza infinita;

il settimo è il pensiero del nulla;

e l'ottavo raggiunge la sfera dove non vi è ne percezione, ne assenza di percezione.

Non vi è dubbio che simili classifiche rendano perplesso il lettore occidentale comunemente non abituato a questo tipo di meditazione; anche se, come è stato osservato, essa può trovare riscontro in alcuni scritti di mistica cristiana, cominciando dalla Teologia mistica dello Pseudo Dionigi l'Areopagita ( I, 1 ).

Ma il contesto in cui si inserisce la meditazione buddhista rende il discorso comparativo assai arduo e fa dei vari gradi "estatici" quanto di più rarefatto abbia prodotto la letteratura mistica di ogni tempo e di ogni paese.

Il buddhismo del Grande Veicolo poi ha ulteriormente sviluppato ed illustrato le tecniche meditative che tanta parte avranno nel buddhismo cinese17 e successivamente in quello giapponese ove si insegna l'illuminazione detta satori: subitanea luce che coglie per intuizione la totalità del reale concentrata in un oggetto particolare.

Il buddhismo indiano già conosceva anche la possibilità di "saltare" dei gradi nella serie degli esercizi di meditazione prescritti, come si può rilevare ad es. dall'appendice della Yogacarabhùmì di Sangharaksha,18 che a sua volta si ricollega alla letteratura della Prajnàpàramità ( perfetta saggezza ).19

La scuola della perfetta saggezza insegna a penetrare nella vacuità ( sùnyatà ) di tutte le cose - come del resto verrà analiticamente illustrato dalla « Scuola del cammino intermedio » ( Màdhyamika ) - e a non sopravalutare nemmeno gli stessi mezzi di salvezza.20

Di particolare importanza, per la dottrina dell'ascesi meditativa, è la Yogacarabhùmì di Asanga ( IV sec. ) in cui vengono presentati diciassette gradi di ascesa, di cui gli ultimi due riguardano il Nirvana: ossia il Nirvana con attributi e quello senza attributi.

Dalla riflessione sulle pratiche meditative di Asanga e dei due Vasubandhu ( IV-V sec. ) sono derivate poi quelle scuole filosofiche idealistiche che hanno svolto in senso "illusionistico" e metafisico ciò che, originariamente, altro non era se non una riflessione sull'inanità di tutte le cose ed una tecnica per contemplare immagini interiori del Buddha, durante certi stati di trance.

Da ciò derivò la teoria dell'esistenza della sola mente ( citta-màtra ) e della realtà fisica come avente esistenza puramente illusoria e nominale.

Nel buddhismo cinese della scuola Ch'an, derivante dal dhyàna ( meditazione ) del Grande Veicolo indiano, il metodo di intuizione è volto a scoprire nel più profondo dello spirito o della mente la vera essenza della realtà che coincide con ciò che venne chiamata Buddhità.

La quale potrà essere colta non mediante ragionamenti deduttivi o analisi concettuali, bensì mediante una subitanea intuizione.

Infatti, ogni tipo di analisi intellettualistica del reale, facendo uso del pensiero del singolo, in cui entra a far parte il nostro "ego" individuale, rientra nel nostro mondo empirico e limitato.

Solo la illuminazione o il risveglio ( Wu in cinese; satori in giapponese ) può farci conoscere la unità indifferenziata della realtà e consentirci la penetrazione delle cose senza dicotomia tra soggetto e oggetto, eliminando il sé individuale e cosciente e lasciandoci possedere dalla mente profonda e universale.

La scuola Ch'an conosce vari metodi per far raggiungere la illuminazione: basti ricordare la "terapia d'urto" della scuola Lin che consiste nel far provare uno choc, mediante un urlo improvviso, o un colpo di bastone, come per provocare un "risveglio"; oppure mediante un dialogo "assurdo" in cui la risposta data dal maestro non abbia alcuna relazione con la domanda posta dal discepolo, come per indicare che egli scoprirà da sé la verità e che quest'ultima non è esprimibile in parole; analogamente il maestro può porre al discepolo una sorta di problema insolubile ( kung-an ) volto a far comprendere la inutilità del molto ragionare per risolvere i problemi ultimi.

Di siffatti metodi e questioni è ricca l'aneddotica del buddhismo Zen 21 che sembra tanto sconcertante a chi si accosti ad essa per la prima volta.

Esistono naturalmente anche metodi tradizionali, come quelli della scuola Ts'ao-tung, secondo cui resta fondamentale il metodo dell'introspezione meditativa sotto la guida di un maestro che impartisce il suo insegnamento anche verbalmente.

Metodo che è assai più consono per coloro che non sono atti a cogliere intuitivamente i "segni" talvolta enigmatici e perfino "violenti" della prassi Lin-chi.

Resta tuttavia indiscusso il fatto che il buddhismo cinese della scuola Ch'an ha favorito un comportamento ed una spiritualità caratterizzati da spontaneità, semplicità, in linea anche con la tradizione del taoismo filosofico è mistico.

V - Buddhismo tantrico

Il buddhismo tantrico, chiamato, più comunemente, Veicolo di diamante ( Vajrayàna ) o Mantrayàna ( Veicolo dei mantra o delle invocazioni sacre ), si ricollega in gran parte al Mahàyàna, almeno per quanto riguarda il concetto dell'Assoluto non duale, ma per il suo simbolismo e per i suoi riti si mostra erede del tantrismo indù ed è solidale con altre religioni orientali.

Basti pensare all'uso dei mandala,22 "cerchi sacri", e all'uso della preghiera contemplativa rivolta al Buddha amithàbha ( dall'infinito splendore ) o all'Adi-buddha ( originario ) che presiede gli altri Buddha23 e i bodhisattva.24

Tipico fenomeno del tantrismo è soprattutto lo sdoppiamento dei Buddha e dei bodhisattva in coppie, maschile e femminile, che rappresentano l'unione della sapienza e del metodo,25 come attesta, ad es., l'iconografia tibetana in cui appaiono le immagini di yab-yum ( padre e madre ) unite in amplesso.

Ciò ha dato luogo anche a certe pratiche sessuali, di ordine iniziatico, intese ad accelerare il raggiungimento del Nirvana; pratiche limitate tuttavia a cerchie esoteriche assai ristrette e da molti considerate pericolose, o quantomeno ambigue.

Più diffuse e comuni invece le cerimonie "magiche" che consistono nell'evocazione di determinate divinità tramite sillabe sacre, nell'identificarsi ad esse mediante gesti ( mudrà ) appropriati e mediante la recitazione dei mantra relativi, il tantrismo buddhista conosce poi tutta una serie di riti magici destinati ad ottenere benefici materiali e spirituali ( prosperità, buoni raccolti, ecc. ) o a prevenire catastrofi ( grandine, alluvioni, ecc. ); il che attesta una certa concessione ad antichi culti e credenze pre-buddhisti sia di derivazione indiana, sia tibetana, cinese e indo-cinese.

I Tantra che stanno alla base del buddhismo tibetano26 sono classificabili secondo quattro categorie fondamentali: kriyà ( magia rituale ), caryd ( devozione religiosa ) - in cui emerge il culto al Buddha Vairocana -, yoga, che consiste nell'entrare a far parte di una "famiglia" di Buddha ( cui del resto già si apparteneva per una sorta di innata predisposizione ) e nel conseguente culto delle divinità che fanno parte del "gruppo", e infine anuttara-yoga ( yoga supremo ), allorché il corpo stesso dello yogin è considerato un mandala vivente tale da essere orientato in tutte le sue energie psico-fisiche a divenire il "corpo perfetto" della divinità prescelta.

Fenomeno, quest'ultimo, di completa sublimazione di tutti gli istinti e di tutte le forze del corpo e dello spirito che si trasformano in "pensiero di illuminazione" ( bodhicitta ).

Anche in Cina ebbero qualche diffusione i culti tantrici, ma soprattutto fu in uso il culto del Buddha Vairocana e del Buddha Amithàbha ( passato poi in Giappone sotto il nome di Amida ) e del suo subordinato Avalokitesvara ( Kuan-yin ) con la sua paredra femminile ( Pai-i Kuan-Yin ).

Particolarmente in uso fu la invocazione del nome ( nien-fo ) del Buddha, che secondo alcuni maestri aveva il merito di cancellare innumerevoli peccati.

Tra gli insegnamenti più moderati e significativi del buddhismo cinese dobbiamo ricordare quello di Tz'u-min ( VII-VIII sec. ) che cercò di armonizzare l'esercizio del nien-fo e la meditazione Ch'an insistendo sui tre cardini del buddhismo: apprendimento della dottrina, meditazione, moralità.

VI - Il Buddhismo contemporaneo

Il buddhismo, che era quasi scomparso in India dopo il suo declino a partire dal XII sec., ma era sopravvissuto nei vari paesi dell'Asia, ha avuto una nuova fioritura a partire dalla fine del sec. scorso, sia a motivo degli interessi degli studiosi occidentali, sia a causa delle emergenti correnti culturali anti-colonialistiche.

Sorse così la Mahàbodhi Society ( 1891 ), fondata a Ceylon, che si prefiggeva tra l'altro la diffusione della letteratura buddhista in tutto il mondo, e la fondazione di una nuova comunità internazionale.

Il neo-buddhismo che derivò da tali iniziative assunse una forma eclettica ( rispetto alle molteplici scuole buddhiste ) ma anche semplificata, quasi a voler tornare alla "purezza"delle origini e ai "dogmi" fondamentali del messaggio antico; ma ben presto la diffusione stessa delle scritture buddhiste e il progresso degli studi, sia in Asia che in Europa e in America, permisero anche l'accrescersi di un interesse per i metodi della meditazione mistica e fecero convergere l'attenzione di filosofi, psicologi e storici delle religioni sugli aspetti speculativi, terapeutici e religioso-archetipali contenuti nei testi buddhisti.

In tal modo la spiritualità buddhista è stata rivissuta anche nelle opere di noti scrittori come Rabindranàth Tagore, o di filosofi come Sarvepalli Radhakrishnan,27 studiosi quali A. Huxiey, E. V. Arnold,28 psicologi come C. G. Jung, che ha rivalorizzato la simbologia mandalica e i metodi di concentrazione su di essa.

Il valore del buddhismo per il nostro tempo assume quindi forme molteplici, che si configurano variamente a seconda delle tradizioni locali dei paesi asiatici29 e a seconda delle esigenze religiose dell'Occidente, non escluse quelle ecumeniche delle diverse confessioni cristiane.

Di qui anche l'aumento degli interessi comparatistici a livello etico, mistico e speculativo.

L' ( v. ) Induismo ad es. cerca di sottolineare più la continuità e la affinità tra le tematiche buddhiste e quelle brahmaniche, anziché la "rottura" o le divergenze; sì che il Nirvana viene assimilato al "netined" apofatico della tradizione upanishadica e il Buddha stesso tende ad essere considerato come un "realizzato", ossia come colui che ha ritrovato la sua unità con l'Assoluto, oppure, secondo una tradizione ormai universalmente accettata nell'induismo, come un avatàra ( incarnazione ) di Vishnu.

Già il neo-induismo aveva fatto del Buddha uno dei grandi maestri dell'umanità, accanto a Cristo e Maometto; ma in tempi più recenti ancora il suo messaggio di fratellanza universale è stato posto accanto a quello di Mosè, di Socrate, di Confucio, Lao Tze e di Gesù Cristo, ripreso poi da altri grandi "profeti",

fino al Mahatma Gandhi, infaticabile apostolo della non violenza e delle virtù morali predicate quali mezzi di universale salvezza.

Nonostante l'accentuazione posta da alcuni "modernisti" buddhisti sugli aspetti razionalisti30 e "positivisti" del buddhismo, o le istanze portate avanti dai marxisti per fare del Buddha un socialista ante litteram - e della sua dottrina un ateismo per le masse -, il buddhismo è apprezzato ancora oggi per le sue istanze monastiche, per il suo richiamo ad un mondo ultraterreno, ad una dimensione sovrumana: elementi presenti soprattutto nelle scuole mahàyàniche cinesi ( Taiwan ), nello Zen giapponese, nel Lamaismo profugo e spoglio, ormai, del suo potere temporale.

Il buddhismo giapponese conosce però, oltre allo Zen, di pratica assai difficile, quelle forme più diffuse e popolari note per il nome del loro fondatore Niciren - caratterizzate tutte da spirito nazionalistico e da impegno politico sociale-soprattutto, l'amidismo, di carattere devozionale, suddiviso in varie sette, tracui il Jódó che si ispira ai modi di una fede semplice nei confronti del Buddha Amida, concepitocome dio misericordioso e provvidente.

[ Per tutto il tema v. Yoga/Zen ].

Spiritualità YogaZen III,2
Carità Carità II,1
Meditazione e Yoga Corpo II,1
YogaZen III
Contemplazione Contemplazione I
Nirvana ed escatologia Buddhismo III
Escatologia II

1 Il termine aggettivale buadha può essere reso in italiano con "illuminato" o "svegliato". Il nome storico era quello di Siddhràrta Gautama, della tribù dei Saka
2 Sul problema della storicità del Buddha cf A. Foucher, La vie du Buddha d'après les textes et les monuments de l'Inde, Parigi, Payot 1949; E. Lamotte, Histoire du Bouddhisme Indien, Lovanio, Bibliothèque du Muséon 1958; A. Bareau, Recherches sur la biographìe du Buddha …, Parigi, E.F.E.O., 1963
3 Ci riferiamo, precisamente, alle Upanishad antiche e alla dottrina del Brahman-Atman, per cui cf anche K. Bhattacarya, L'Àtman-Brahtnan dans le Bouddhisme ancien, Parigi, E.F.E.O., 1973
4 Il Tipitaka, in pàli e i testi trammentari dei Canoni perduti in sanscrito e nelle traduzioni cinese e tibetana
5 A. Bareau, Buddha, la vita, il pensiero, i testi esemplari, Milano, Accademia 1972, 183
6 Ibid., 190-191
7 Samyutta Nikaya, IV, 361-62, Pali Text Society (= P.T.S.)
8 Le interpretazioni sul significato del Nirvana differiscono da una scuola all'altra. Cf ad es., A. Bareau, Les Sectes bouddhiques du petit Véhicule, Parigi, E.F.E.O., 1955 e L'Absolu en Philosophie bouddhique, Parigi, Tournier et Constans 1951; cf anche la voce: Buddhismo in Nuova Enciclopedia Garzanti, a cura di L. Schmithausen; J. W. De Jong, Thè Absolute in Buddhist thought, in Essays in Philosophy, Madras, Ganesh et C. 1962, 56-64
9 Il Nirvana è l'incondizionato per eccellenza, anche se il buddhismo conosce altri "incondizionati".
I primi traduttori cinesi dei testi canonici usarono comunque lo stesso termine: wu wei ( tratto dal taoismo ) per tradurre le parole asamskrta e nirvana ( estinzione )
10 Samyutta Nikàva, IV, 359-373, P.T.S.
11 È una delle questioni cui il Buddha non rispose e non è discussa in termini di sostanzialità spirituale
12 Secondo la scuola Sautràntica il Nirvana non viene concepito ontologicamente, bensì come semplice cessazione delle impurità ( Klesa ) e del dolore; il Nirvana, rispetto al mondo terreno, resta sempre come un Ganz Anderes, un totalmente Altro
13 L'ottuplico sentiero altro non è che una esplicitazione della nobile verità della via che conduce alla estinzione del dolore
14 Gli dèi vengono considerati come creature sovrumane, reincarnazioni di uomini, dovute ai loro meriti; ma anche gli dèi abbisognano della verità del Dharma buddhista per raggiungere la salvezza suprema che consiste nel Nirvana
15 Le vite anteriori del Buddha vengono descritte nella raccolta dei Jdtaka
16 E. Conze, Buddhist Meditation, Londra, G. Allen and Unwin, 1956, 113-118
17 Kenneth K. S. Ch'en, Buddhism in China, Princeton, University Press 1972
18 P. Demiéville, La Yogdcàrabhùmi de Sangharaksa in B.E.F.E.O., XLIV, 1954, 339-436
19 E. Conze, Thè Prajfiaparamitd Literature, L'Aja, Mouton 1960
20 Questi sono i paradossi tipici della letteratura della scuola della perfetta saggezza.
Vedi ad es., E. Conze: I libri buddhisti della Sapienza: Sutra del diamante e Sutra del Cuore, Roma, Ubaldini 1976
21 101 Storie Zen, a cura di Nyogen Senzaki e Paul Reps, Milano, Adelphi 1973
22 G. Tucci, Teoria e pratica del Mandala, Roma, Ubaldini 1970
23 Il Mahayàna ha moltiplicato i Buddha, nel tempo e nello spazio
24 Molti sono anche i bodhisattva, coloro che differiscono l'entrata del Nirvana affinché gli uomini possano beneficiare del loro aiuto
25 Upaya e prajna. Le figure femminili dei bodhisattva sono chiamate: ad es., Tara, Pàndaravàsini, Manci, Locanà, Vidyaràjni
26 Nel Canone buddhista tibetano si contano 22 volumi di Tantra ( nella raccolta del Kanjur ) ed 86 di testi esegetici tantrici ( nella raccolta del Tanjur )
27 La sua Filosofia indiana, Torino, Einaudi 1974
28 Ricordiamo, in proposito, il richiamo a questi due ultimi autori da parte di J. G. Jennings in Thè Vedantic Buddhism of thè Buddha, Oxford, University Press 1948, Introductory notes, LXXVI
29 H. Dumoulin, Buddhismus der Gegenwart, Friburgo, Herder 1970
30 Ad es., K. N. Jayatilleke in Early Buddhist Theory of Knowledge, Londra, G. Al len and Unwin 1963