Contemplazione

IndiceA

Sommario

I. Introduzione: la problematica:
1. La contemplazione nella scrittura;
2. La contemplazione nella tradizione cristiana.
II. La preghiera contemplativa cristiana:
1. Una definizione;
2. Le forme principali della preghiera contemplativa:
a. La preghiera liturgica;
b. La preghiera contemplativa personale;
c. La contemplazione propriamente detta; la contemplazione mistica;
3. Contemplazione e vita cristiana.
III. L'oggetto della contemplazione:
1. La ricerca di Dio;
2. La presenza di Cristo;
3. Il rapporto al mondo della natura e della storia.
IV. La funzione della preghiera contemplativa:
1. La fede viva;
2. La purificazione;
3. L'illuminazione;
4. La funzione dei sensi spirituali.
V. Conclusione: la contemplazione elemento costitutivo della vita cristiana.

I - Introduzione: la problematica

L'attrattiva esercitata dall'idea di contemplazione è tale che sembra difficile mettere in dubbio la sua esistenza e il suo valore nella vita spirituale.

La stima che portiamo alle varie religioni è spesso basata sulla capacità che riconosciamo loro di suscitare e di nutrire una vita contemplativa [ v. Buddhismo; Ebraica ( spiritualità ); Induismo; Islamismo; Yoga/Zen ].

Inoltre non saremmo affatto capaci di concepire una vita santa, che non consacri un tempo più o meno lungo all'attività contemplativa.

In questo senso generale intendiamo per attività contemplativa la ricerca più o meno metodica di una conoscenza delle realtà superiori.

Per i greci, e ancora per lo stesso s. Tommaso, la contemplazione della verità veniva esercitata anche in quell'attività che noi chiamiamo scientifica, e il suo oggetto era costituito da qualsiasi specie di conoscenza.

La vita contemplativa veniva opposta all'attività pratica, ad es. al lavoro manuale, ma anche allo sforzo della vita morale.

Oggi il senso del termine "contemplazione" riguarda esclusivamente il campo religioso o estetico.

Esso connota sempre un certo disimpegno nei confronti della vita pratica e, sotto questo aspetto, l'idea di contemplazione si ricollega all'opposizione antichissima tra "theoria" e "praxis".

L'importanza della vita contemplativa per la vita religiosa è enorme.

Grandi religioni come ( v. ) l'induismo o grandi discipline spirituali come il ( v. ) buddhismo riservano un notevole spazio all'attività contemplativa ed esercitano una vera seduzione sui nostri contemporanei.

Quanto alla religione cristiana, essa ha sempre posto in primo piano le comunità contemplative.

I monaci hanno perpetuato la loro tradizione fino ai nostri giorni, quando abbiamo visto sorgere forme nuove di vita contemplativa, meno ritirate dal mondo, come p. es. quella adottata dai Piccoli fratelli e dalle Piccole sorelle di Gesù; anzi, persino certe forme di eremitismo hanno ripreso vita.

Ma ciononostante l'idea di contemplazione pone un certo numero di problemi nella prospettiva cristiana: gli uni riguardano l'interpretazione della scrittura, che non contiene praticamente il termine di contemplazione ed è incentrata sulla fede nella parola; gli altri riguardano l'idea di un disimpegno nei confronti del mondo: l'insistenza del messaggio cristiano sulla ( v. ) carità effettiva non rende molto evidente la stima assoluta accordata all'attività contemplativa.

Per alcuni dei nostri contemporanei quest'ultima ha piuttosto bisogno di giustificarsi; ciò che conta è la fede operante attraverso la carità.

1. La contemplazione nella Scrittura

Il problema della contemplazione nella scrittura si pone soltanto se diamo al termine "contemplazione" il significato molto ristretto di ricerca di una certa forma di conoscenza.

Se invece lo intendiamo nel senso di unione con Dio, come fa il testo del Vat II: « adesione a Dio con la mente e con il cuore » ( PC 5 ), allora è chiaro che la vita cristiana presuppone la contemplazione e che tutta la scrittura si propone come fine questa unione a Dio in Cristo.

Invece la parola "contemplazione" in senso stretto non ricorre nella scrittura.

I ( v. ) profeti per es. possono sì far conoscere la volontà di Dio, ma non hanno bisogno a questo scopo di un esercizio metodico: il loro dono profetico è di un altro ordine.

Ciò che si avvicina di più all'attività contemplativa è l'atteggiamento dei saggi dell'AT.

Essi hanno indubbiamente subito l'influsso del pensiero ellenistico, ma la cosa importante per noi è che essi l'abbiano recepito e siano arrivati a pensare che la sapienza, a cui sono pervenuti, è una partecipazione alla sapienza divina.

Attraverso la contemplazione dell'universo e dell'azione divina nella storia della salvezza essi sono arrivati a possedere una vera conoscenza di Dio e della sua provvidenza [ v. Consigli evangelici II, 2 ].

Nel NT le allusioni più esplicite a un'attività contemplativa si riscontrano nelle lettere di s. Paolo.

Il termine non viene adoperato, però vi troviamo la nozione di "conoscenza spirituale" ( gnosis ).1

S. Paolo non dice che tale conoscenza sia frutto di un'attività contemplativa, ma questa eventualità non è esclusa, perché sappiamo bene che egli dedicava lunghi momenti alla preghiera e che, all'inizio della sua vocazione cristiana, si era ritirato per due anni in Arabia.

La conoscenza di cui egli parla è certamente la coscienza della sua vita nel Cristo.

Essa proviene da una luce interiore che è frutto della presenza dello Spirito e che trasforma la vita di Paolo in una vita « in Cristo Gesù ».

Nella contemplazione di s. Paolo potremmo anche distinguere un movimento che va verso una più grande interiorità: Cristo vi appare dapprima come giudice, poi come colui alla cui vita noi partecipiamo, infine, nelle lettere della cattività, come colui che vive in noi.

Pur accettando la nozione di contemplazione cristiana, occorre notare bene la sua situazione particolare.

Essa non è mai presentata come l'attività suprema della vita cristiana e non ne costituisce lo scopo ultimo, che è invece la visione beatifica.

Il valore assoluto della vita cristiana è la ( v. ) carità e tutti i carismi vanno subordinati ad essa.

Certo, la visione beatifica può essere anticipata in qualche modo nella contemplazione, essa comunque rimane il frutto e la ricompensa della vita di carità.

Su questo punto un grande contemplativo come s. Giovanni della Croce non può emettere un giudizio diverso da quello del vangelo: « Saremo giudicati sull'amore ».

2. La contemplazione nella tradizione cristiana

Un problema storico particolare è posto dal fatto che la tradizione cristiana - segnatamente quella dei padri greci Clemente Alessandrino, Origene e Gregorio di Nissa - ha assegnato una posizione di tutto rilievo alla contemplazione.

I padri, tributari in questo della loro cultura ellenistica, esaltano il valore dell'attività contemplativa, che considerano come anticipazione della visione e quindi come contraddistinta da un carattere in qualche maniera assoluto.

Un certo numero di storici della spiritualità ritengono pertanto che la loro dipendenza dall'ellenismo sia troppo grande e che essi, sopravvalutando la contemplazione, abbiano abbassato il valore della fede e della carità operante.

Tale obiezione piuttosto grave, ripresa da un certo numero di cattolici contemporanei, è stata avanzata soprattutto da storici e teologi protestanti liberali.

Bisogna certamente riconoscere che l'obiezione contiene una parte di verità.

Un certo numero di padri, tributari di una cultura di prima grandezza, non hanno messo sufficientemente in rilievo la novità dell'atteggiamento cristiano, ne il primato della carità pratica.

Inoltre essi hanno senza dubbio accettato troppo facilmente la posizione neoplatonica che oppone attività sensibile e impegno nel mondo, da un lato, e primato della contemplazione noetica, dall'altro.2

Però, al di là delle esagerazioni di alcuni padri, bisogna tener conto di due questioni di fondo.

La prima è storica: ogni vita cristiana cerca di esprimersi nel linguaggio del proprio tempo, come scrive il Daniélou a proposito di s. Gregorio di Nissa: « Non è il caso di ricercare quali fossero gli elementi platonici del pensiero di Gregorio; bisognerebbe abituarsi a questo modo di vedere proprio di un pensiero totalmente cristiano che però ha attinto le proprie forme di espressione dal linguaggio filosofico del tempo in cui esso si è costituito ».3

Certo, la dissociazione tra il contenuto del pensiero e la sua espressione non può essere così radicale come pensa Daniélou, essa però risulta inevitabile, quando consideriamo lo sviluppo concreto della vita di fede: questa viene necessariamente vissuta e espressa in seno a una cultura particolare.

Oggi certuni non esitano neppure ad adoperare un vocabolario di origine marxista!

Tuttavia per noi il problema di fondo è più importante del problema dell'influsso storico: è legittima un'attività contemplativa nella vita cristiana?

Noi presupponiamo che la vita cristiana sia sostanzialmente identica in tutti i credenti; ciò nonostante vogliamo far notare che tale vita utilizza mediazioni differenti, le quali, senza escludersi a vicenda, contribuiscono a dare una fisionomia particolare alla vita spirituale.

Così possiamo parlare di spiritualità centrate sull'ascesi, sull'azione, sull'affettività, sulla contemplazione.4

Queste distinzioni, che ritroviamo del resto anche nell'induismo, si fondano sulla varietà dei tipi psicologici e non possiamo contestarne la legittimità.

Una volta accettata l'idea che una spiritualità trova il proprio modo principale di unione a Dio nell'attività contemplativa, non fa più meraviglia ch'essa dipenda nella sua maniera di esprimersi da culture che hanno dato un posto privilegiato alla contemplazione: i padri greci si sono appoggiati sulla loro cultura ellenistica; oggi un certo numero di cristiani cerca di ispirarsi alle discipline contemplative dell'estremo Oriente.

Dal punto di vista cristiano occorre tuttavia tener conto della nostra osservazione precedente [ I,1 ]: la contemplazione non è un fine in sé: è una mediazione per ottenere l'unione con Dio; ciò che conta in maniera incondizionata è la carità.

Ovviamente tale carità può essere vissuta sotto la forma della ricerca dell'unione con Dio attraverso l'amore; essa non può mai entrare in conflitto con il dovere della carità verso il prossimo.

Là dove questa carità concreta appare come un dovere urgente, essa subordina a sé tutte le altre manifestazioni della vita spirituale.

Le parole di Giovanni sono decisive: « Se uno dicesse: "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore » ( 1 Gv 4,20 ).

Ad ogni modo l'attività contemplativa, per quanto subordinata alla carità, gioca un ruolo importante nella vita cristiana.

Nel suo libro Western Mysticism dom Butier ha illustrato bene come i grandi maestri cristiani di vita spirituale - s. Gregorio Magno, s. Agostino, s. Bernardo - hanno sempre cercato di conciliare tra di loro le due esigenze della vita cristiana autentica: l'azione e la contemplazione; ma è chiaro che ad essi non è mai venuta in mente l'idea di mettere in discussione la legittimità della vita contemplativa.

La sua base è costituita dalla esigenza, sentita dallo spirito umano, di nutrirsi della verità.

Dal momento che uno aderisce al mistero della fede, tende ad assimilarlo sempre più completamente, considerandolo sotto tutti i suoi aspetti.

Per un cristiano il mezzo più semplice consiste evidentemente nell'approfondire la rivelazione contenuta nella scrittura [ v. Parola di Dio ].

Possiamo quindi dire che siamo di fronte a una contemplazione cristiana non solo quando il fedele si sforza di giungere alla conoscenza di Dio attraverso un'applicazione costante e metodica, ma anche quando egli prende in considerazione il mistero della fede per assimilarne il contenuto e pervenire così a un'adesione sempre più personale ad esso.

Noi chiamiamo preghiera mistica quella che è caratterizzata dalla ricerca e dal raggiungimento di un'unione con Dio ( o con un ( v. ) Assoluto, diversamente concepito dalle varie religioni ) grazie a un atto semplice di conoscenza ( ma anche di amore, di abbandono ), e distinguiamo da essa la vita contemplativa, il cui esercizio principale consiste nell'applicazione dello spirito e del cuore a una realtà superiore.

Nell'ordine cristiano chiameremo preghiera contemplativa ogni forma di adesione al mistero della fede, così come esso è realizzato in Cristo e proposto dalla chiesa.

II - La preghiera contemplativa cristiana

1. Una definizione

Applicando le nostre osservazioni precedenti, possiamo chiamare preghiera contemplativa ogni attività spirituale, che prende in considerazione il mistero del regno di Dio presente affinché l'anima vi aderisca più profondamente nella fede.

Il regno di Dio ci è reso presente in primo luogo nella sacra scrittura, ma è presente anche nella nostra anima e nello stesso mondo.

Di per sé poco importa collocarsi in un posto piuttosto che in un altro: alcuni contemplano più facilmente Dio nel mondo della natura o negli altri; tuttavia più comunemente lo contempliamo anzitutto nella sacra scrittura e in noi stessi.

La differenza non è sostanziale, ma piuttosto pedagogica, nel senso che ciascuno deve trovare il modo di contemplazione che gli è più adatto o più facile.

Dicendo che la preghiera contemplativa è caratterizzata dalla ricerca di un'adesione più personale al mistero della fede, la distinguiamo dallo studio dottrinale e teologico.

Anche quest'ultimo ha per oggetto il mistero della fede, ma cerca di comprenderlo più a fondo confrontando tra di loro i vari misteri e applicando questa luce alle questioni che l'umanità può porsi.

Quando lo studio dottrinale viene condotto in uno spirito contemplativo, esso sfocia nella preghiera; purtroppo non è raro il caso in cui esso si mantiene a un livello di astrazione intellettuale senza provocare un'adesione di fede più personale.

La preghiera contemplativa non si identifica con l'orazione mentale, che ne è la forma più praticata.

In essa dobbiamo includere anche la preghiera liturgica o la lettura della sacra scrittura, perché anche queste sono modi di applicazione dello spirito e del cuore alla realtà della fede.

Ne possiamo opporre in maniera assoluta preghiera mentale e preghiera vocale.

Infatti nella preghiera mentale abbiamo un discorso e delle parole interiori, mentre la preghiera vocale conduce da parte sua a un'adesione più personale al mistero della fede e a un rapporto più profondo con Dio.

La differenza concerne il ritmo della considerazione spirituale, che è scandito dalla lettura, dalla recitazione o dal canto nel secondo caso, mentre è spontaneo nel primo.

2. Le forme principali della preghiera contemplativa

Nella pratica cristiana possiamo distinguere tre forme principali di preghiera contemplativa.

a. La preghiera liturgica

La sua caratteristica principale è quella di essere la preghiera effettuata in nome della chiesa, in quanto noi siamo membri del corpo mistico: « La sacra liturgia è il culto pubblico che il nostro Redentore rende al Padre come capo della chiesa, ed è il culto che la società dei fedeli rende al suo capo e, per mezzo di lui, all'eterno Padre.

È, per dirla in breve, il culto integrale del corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del capo e delle sue membra ».5

La preghiera liturgica, effettuata durante la celebrazione eucaristica [ v. Eucaristia ] o durante la liturgia delle ore, è preghiera della chiesa, cui i fedeli devono partecipare « con retta disposizione d'animo », armonizzando « la loro mente con le parole che pronunziano » e cooperando « con la grazia divina per non riceverla invano » ( SC 11 ).

La preghiera liturgica ci presenta, nel corso del suo ciclo annuale, l'insieme del mistero di Cristo, che si è dispiegato nel tempo, e contribuisce così a ricordarci incessantemente l'essenziale della situazione cristiana.

È il mistero nel suo complesso che dobbiamo meditare e vivere, anche se possiamo arrestarci legittimamente su un suo aspetto particolare a seconda dei periodi della nostra vita e della grazia data a ciascuno.

La ragione profonda del valore incomparabile della preghiera liturgica ci viene indicata con chiarezza nella costituzione sulla liturgia del Vat II: Cristo è presente nella liturgia in maniera molteplice e questi modi di presenza gli conferiscono una densità insuperabile: « Per realizzare un'opera così grande.

Cristo è sempre presente nella sua chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche.

È presente nel sacrificio della messa, sia nella persona del ministro, essendo egli stesso che, "offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti", sia soprattutto sotto le specie eucaristiche.

È presente con la sua virtù nei sacramenti, al punto che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza.

È presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella chiesa si legge la sacra scrittura.

È presente infine quando la chiesa prega e loda, lui che ha promesso: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro" ( Mt 18,20 ) » ( SC 7 ) [ v. Celebrazione liturgica II,3 ].

b. La preghiera contemplativa personale

Comunemente viene detta ( v. ) meditazione.

Qui menzioniamo semplicemente l'importanza del suo fondamento, che è la lectio divina.

Questa è la lettura attenta e piena di gusto della sacra scrittura, che ci pone in contatto con la rivelazione del mistero della salvezza, il cui centro è Cristo nostro Signore.

Il contatto con la ( v. ) parola di Dio deve costituire il fondamento di ogni preghiera contemplativa, poiché l'oggetto di questa non è altro che il mistero della fede.

È a partire dal contatto con la sacra scrittura che dobbiamo ricercare la luce per la nostra vita.

Il cristiano, frequentando assiduamente la scrittura sacra, impara a formarsi dei giudizi retti, alla luce di Dio, giudizi che non sono soltanto il riflesso del pensiero dell'ambiente in cui egli vive.

A poco a poco egli trasforma così non soltanto il proprio giudizio, bensì anche la propria volontà, la propria affettività e la stessa immaginazione, che si orienta verso i temi scritturistici.

c. La contemplazione propriamente detta; la contemplazione mistica

Anche se il vocabolario spirituale non è fissato in maniera uniforme e varia a seconda degli autori, possiamo chiamare contemplazione propriamente detta l'attività che arriva a cogliere una realtà spirituale con un'operazione semplice.

Nella spiritualità cristiana distinguiamo comunemente l'operazione semplice, che si colloca al termine dell'attività meditativa e che chiamiamo contemplazione acquisita, e quella che non sta in continuità immediata con la meditazione, ma costituisce uno stato spirituale particolare, caratterizzato da un aspetto di passività di fronte all'azione di Dio, e che chiamiamo contemplazione mistica o passiva.

Anche se certi autori ( soprattutto della scuola domenicana ) contestano la legittimità della nozione di contemplazione acquisita, possiamo perlomeno attribuirle un valore pratico, verificato dall'esperienza.

La contemplazione mistica è fondata, da un lato, sul fatto che Dio può agire direttamente nell'anima e, dall'altro lato, sulla possibilità da parte dell'anima di compiere un'operazione semplice di tipo intuitivo-affettivo.

Tutti gli autori mistici ammettono due livelli di attività dell'anima: un livello comune, ove si effettuano le operazioni della conoscenza razionale e discorsiva, e un livello superiore, dove Dio si rende presente attraverso un modo semplice di conoscenza e di adesione.

Il modo di concepire questi due livelli e i nomi dati sono estremamente diversi, ma tale diversità non impedisce un accordo sostanziale.

Per quanto riguarda la ( v. ) mistica cristiana, il suo fondamento va ricercato nel dogma di fede dell'inabitazione di Dio nell'anima del giusto.

Così suonano i termini della dottrina comune, basata sui testi di s. Giovanni e di s. Paolo ( Gv 14-16 e Rm 8; Ef 3 ): « Iddio per mezzo della sua grazia sta nell'anima del giusto in una guisa più intima e ineffabile, come in un tempio, donde deriva quell'amore vicendevole, per cui l'anima è intimamente a Dio presente, è in lui più che non soglia farsi fra dilettissimi amici e gode di lui con una piena soavità.

Questa unione, che propriamente chiamiamo inabitazione, differisce non nell'essenza, ma solo nel grado da quella che fa i beati in cielo ».6

La presenza di Dio nell'anima è una presenza viva e attiva.

Dio infonde continuamente in essa le virtù teologali della fede e della speranza e, secondo le parole stesse della Scrittura, « l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci è stato dato » ( Rm 5,5 ).

Il dono della contemplazione quindi consiste essenzialmente nel fatto che l'anima prende coscienza di Dio presente e operante soprannaturalmente in lei.

I modi e i gradi di tale presa di coscienza sono molteplici.

Normalmente essa progredisce nel senso di una interiorizzazione sempre più profonda.

Per riprendere il simbolo utilizzato da s. Teresa, il castello interiore contiene molteplici stanze; in quella centrale si trova Dio.

La conoscenza contemplativa non è quindi una conoscenza separabile dall'esperienza della presenza di Dio.

Essa è una conoscenza per modo di con-presenza.

Come siamo consapevoli di conoscere e di amare un amico presente, così la coscienza spirituale che aderisce al regno di Dio presente in essa percepisce Dio stesso che l'attira e la spinge a quella adesione, concedendole la grazia necessaria.

Dio è libero di concedere o meno la coscienza della sua presenza attiva e di determinarne i modi e l'intensità.

È libero di illuminare l'anima sui misteri del regno, su se stesso e sul suo mistero trinitario, sull'umanità di Gesù e sui misteri ch'egli ha vissuto.

Tale libertà divina è sentita dall'anima come propria passività.

Ciò significa in primo luogo non che l'anima non eserciti alcuna operazione, poiché ella aderisce a questa presenza di Dio, bensì che l'iniziativa della manifestazione appartiene a Dio, così come dipendono da lui la durata e la forma ch'essa riveste.

Di più, dato che lo sguardo è semplice, dato che non richiede un grande dispendio di energia psichica, e dato che il godimento di Dio è profondo, l'operazione contemplativa appare come un riposo, se paragonata all'attività che viene dispiegata nelle altre forme di orazione.

La passività comporta il senso della gratuità dell'amore di Dio, che agisce quando vuole e come vuole.

Ogni sua manifestazione è sentita come una grazia e provoca sentimenti di ammirazione e di riconoscenza.

Il frutto principale di tale contemplazione è il senso della realtà di Dio.

Dio infatti, termine di un desiderio profondo e spesso doloroso, appare come l'unica realtà, a confronto della quale le creature sono un "niente" fino a quando non hanno ritrovato il loro vero valore in Dio.

Il mondo spirituale, per la resistenza stessa e per il rifiuto che oppone al desiderio angosciato dell'anima, appare veramente come un mondo obiettivo e non come la proiezione docile e malleabile di desideri soggettivi.

3. Contemplazione e vita cristiana

Non possiamo negare la legittimità e la ricchezza della vita contemplativa cristiana; ciò però non basta a risolvere il problema del suo posto nell'ambito della nostra spiritualità moderna, che attribuisce un'importanza grandissima all'impegno della carità e ricerca faticosamente l'unità della vita spirituale.

Il problema del rapporto tra vita contemplativa e azione è estremamente vasto e, come abbiamo visto, si è posto fin dagli inizi del cristianesimo.

Per non dilungarci troppo, indichiamo soltanto i principi della sua soluzione.

- Notiamo anzitutto la convergenza oggettiva della preghiera e dell'azione ( e in particolare dell'azione apostolica [ v. Apostolato ] ): ambedue riguardano l'instaurazione del regno di Dio in noi e nel mondo.

Infatti la preghiera mira direttamente a instaurare il regno di Dio in noi stessi, però viene esercitata anche sotto forma di offerta e di intercessione e contribuisce così alla venuta del regno di Dio; a sua volta l'apostolato ricerca l'instaurazione di tale regno nel mondo, ma permette con ciò stesso di esercitare le virtù teologali e santifica normalmente l'apostolo.

- L'azione autentica conduce alla preghiera, perché l'apostolo, consapevole del carattere soprannaturale dell'apostolato, deve diventare sempre più il « profumo di Cristo » ( 2 Cor 2,15 ).

Inoltre deve diventare sempre più sensibile alla presenza dello Spirito nel mondo e negli altri; la meditazione del vangelo lo conduce alla conoscenza personale di Cristo e del vangelo e lo prepara in tal modo a praticare un ( v. ) discernimento spirituale più retto e più fine.

- La preghiera autentica porta all'apostolato.

L'unione autentica con Dio operata dalla preghiera ce lo fa percepire come il Dio salvatore, la cui volontà salvifica e santificatrice è sempre attuale; così la contemplazione del Dio vivente ci rinvia alla sua opera di salvezza.

Per questo, come afferma il decreto del Vat II sulla vita religiosa, « è necessario che i membri di qualsiasi istituto, avendo di mira unicamente e sopra ogni cosa Dio, uniscano la contemplazione, con cui aderiscono a Dio con la mente e con il cuore, e l'ardore apostolico, con cui si sforzano di collaborare all'opera della redenzione e dilatare il regno di Dio » ( PC 5 ).

- L'unità radicale della vita spirituale - e quindi l'unità fra apostolato e preghiera - va ricercata nella vita teologale comune a tutti i cristiani e a tutte le situazioni concrete del cristiano.

Anche se con non poche differenze, la vita teologale è vissuta sia dall'apostolo che dal contemplativo.

Per il contemplativo la vita di fede conserva principalmente il carattere di oscurità nel cammino verso Dio; invece nella vita apostolica la fede si presenta come una nuova luce proiettata sul mondo da trasformare e come un principio di azione.

Ciò non toglie che l'apostolo vivrà l'oscurità della ricerca di Dio, presente nel mondo e nel contempo assente.

Per quanto riguarda la speranza, nella dottrina di quel contemplativo che è s. Giovanni della Croce essa appare come un rifiuto a far leva sulla vita passata con le sue grazie e un invito ad unirsi in ogni istante a Dio, inteso come salvatore e fonte di salvezza.

A sua volta l'apostolo ricerca l'adesione alla forza di Dio in vista delle difficoltà inerenti all'apostolato.

Infine non opponiamo la carità contemplativa e quella apostolica come se il loro oggetto fosse diverso: il prossimo per l'una, Dio per l'altra.

È chiaro che l'apostolo agisce per amore di Dio, così come il contemplativo cerca di aiutare il prossimo, e che entrambi vivono la carità personale nei confronti del prossimo immediato.

La differenza va colta sotto un altro punto di vista: l'amore di Dio adopera come sua mediazione la coscienza personale, mentre l'amore per il prossimo è anch'esso amore per Dio ma attraverso la relazione affettiva e effettiva con il prossimo.

Pertanto l'amore contemplativo è più immediato e più puro, mentre quello per il prossimo è più concreto e impegnativo.

In ogni caso è sempre necessario vivere la vita teologale con la massima intensità in tutte le circostanze della vita interiore e della vita apostolica.

In questa prospettiva la soluzione radicale mira ad allargare la coscienza spirituale tanto nella vita apostolica quanto nella contemplazione, grazie ad uno sforzo costante di vita teologale.

Considerare tutte le realtà interiori ed esteriori alla luce della fede, aspettare l'aiuto di Dio per espandere il regno di Cristo nel mondo e nei nostri cuori, infine vivere una unione di amore per mezzo della quale ci facciamo sempre più prossimi a Dio e agli altri: questa è la strada giusta. [ v. Escatologia V-VIII ].

III - L'oggetto della contemplazione

1. La ricerca di Dio

Se guardiamo all'attività contemplativa in generale, possiamo dire che il suo oggetto principale è la ricerca di Dio.

Bisogna tener presente che Dio non viene sempre concepito sotto una forma personale; in tal caso la sua ricerca assume l'aspetto più vago di una ricerca dell' ( v. ) Assoluto.

Nella religione cristiana il Dio personale è ricercato come colui che racchiude ogni valore.

Egli si identifica anzitutto con il valore supremo del sacro, che non è possibile trovare al di fuori di uno sforzo costante di rettitudine morale.

Egli è anche bontà e amore, termine del desiderio della beatitudine.

La teologia orientale insiste sull'aspetto della sua beltà [ v. Oriente cristiano; Immagine ].

Inoltre Dio è verità dello spirito, principio e fine di tutta la creazione.

Come si vede, sotto questo profilo la vita contemplativa costituisce sempre una vita elevata.

Se consideriamo l'azione di Dio, che si prende cura dell'universo e di ogni anima in particolare, la vita contemplativa tende a un abbandono sempre più totale alla divina provvidenza.

Al termine di tale cammino si finisce per guardare con fede a tutti gli avvenimenti che possono sopravvenire, cosa che conferisce una notevole continuità alla preghiera contemplativa.

La contemplazione cristiana si sviluppa normalmente in un senso trinitario.

Dato che, secondo le parole di Giovanni, Dio Padre, Figlio e Spirito santo abita in noi, la sua presenza attiva si disvela nella contemplazione.

Tutti i teologi insistono con ragione su questo aspetto originale della contemplazione cristiana: il disvelamento del mistero trinitario costituisce il vertice dell'esperienza contemplativa.

Bisogna tuttavia tener conto della varietà considerevole della preghiera contemplativa.

Non possiamo ad es. pretendere che l'esperienza trinitaria assuma una forma determinata.

Infatti essa può anche aver luogo a partire dalla percezione più particolareggiata della presenza dello Spirito santo o di quella del Verbo.

Possiamo anche dire che sono rare le esperienze trinitarie in cui il mistero di un Dio solo in tre persone distinte è percepito come tale.

Ne possiamo affermare che l'esperienza trinitaria debba necessariamente concludere lo sviluppo spirituale.

Nel caso di s. Teresa di Lisieux, per es. l'unione alla passione di Cristo nella notte della fede e la malattia fanno seguito all'esperienza trinitaria e culminano nella morte.

Dal punto di vista soggettivo la contemplazione trinitaria sviluppa certi stati inferiori estremamente profondi.

La ss. Trinità appare come pace e riposo opposti all'agitazione e all'inquietudine della vita nel mondo: i mistici che parlano del silenzio della Trinità vogliono precisamente indicare ch'essi entrano nel silenzio e nella serenità, facendo leva su una fiducia indefettibile nella Trinità eterna e beata.

Il senso dell'eternità come pienezza di vita e di amore combatte il senso della caducità del mondo in divenire e sottoposto alla morte.

2. La presenza di Cristo

Un certo numero di autori cristiani, conformemente alla loro posizione che colloca l'atto contemplativo in una conoscenza astratta, mette in discussione il posto della contemplazione del Cristo evangelico nell'orazione mentale.

Per essi l'atto mistico più elevato è quello che si libera di più dalla conoscenza sensibile e, di conseguenza, rifiuta la contemplazione dell'umanità di Cristo.

I principianti possono meditare legittimamente la vita di Cristo, ma i "perfetti" debbono elevarsi al di sopra di essa.

S. Teresa d'Avita ha dovuto confrontarsi con dottrine di questo genere, e la sua reazione è stata netta:7 la contemplazione dell'umanità di Cristo è sempre giovevole durante tutto lo sviluppo della vita spirituale ( il che non significa che non esistano mai dei momenti in cui la contemplazione si svolge senza riferimento immediato all'umanità di Cristo ).

La sua dottrina si fonda non solo sulla sua esperienza, bensì anche sugli insegnamenti e sulla pratica di numerosi santi.

Il fondamento di questa dottrina è ancorato nell'essenza della fede.

Gesù è infatti Dio e uomo, il Verbo incarnato, il mediatore unico.

In lui si manifesta una duplice beltà, divina e umana.

Non possiamo quindi lecitamente separare le due nature di Cristo, come se la sua natura umana fosse un velo che impedisce l'unione con Dio.

L'umanità di Cristo è propriamente la rivelazione di Dio, stando alle parole di Giovanni: « Chi ha visto me ha visto il Padre » ( Gv 14,9 ) e a quelle di Paolo: il « Dio che disse: rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo » ( 2 Cor 4,6 ).

Inoltre dobbiamo rilevare che il presupposto della diffidenza di certi autori nei confronti del ruolo dell'umanità di Cristo nella contemplazione è la loro concezione troppo intellettualista di quest'ultima.

Infatti, qualora si supponga che l'attività contemplativa abbia per fine una conoscenza intellettuale, è evidente che essa raggiunge tanto più profondamente la Trinità, quanto più si purifica dall'imperfezione della conoscenza sensibile.

Questa posizione racchiude qualcosa di giusto, perché la fede deve superare ogni conoscenza sensibile, però in pratica è frammentaria e pericolosa.

Infatti il movimento della contemplazione si ferma a Dio, termine di un'adesione di fede e di amore.

Ora una simile adesione può aver luogo sia per mezzo di un riferimento a Cristo, sia attraverso un'operazione di conoscenza astratta.

Ciò è tanto più vero, in quanto è l'amore la causa efficiente dell'adesione a Dio e quindi della contemplazione; ma l'intensità dell'amore non dipende tanto dalla chiarezza e dall'elevazione della conoscenza, quanto piuttosto dalla purezza dell'anima e dallo slancio del cuore, slancio che si sottrae a ogni misura.

Non dobbiamo restringere la contemplazione dell'umanità di Cristo a una contemplazione globale, bensì vedere in ogni mistero della sua vita un oggetto possibile di contemplazione.

Sotto questo profilo il vangelo va considerato come la sorgente privilegiata di tutta l'attività contemplativa del cristiano.

Cristo è modello di servizio, di umiltà, di bontà, di amore, di pazienza, ecc.

Perfino il suo silenzio davanti a Pilato o la sua preghiera solitaria possono diventare oggetto di contemplazione.

All'imperativo della nuova legge portata da Cristo corrisponde una forma esemplare che il vangelo ci fa conoscere, e il cristiano deve considerare l'esempio di Cristo come normativo per la propria condotta.

Qual è il fondamento ultimo di quest'attività contemplativa?

Dobbiamo ricercarlo nella presenza dello Spirito.

Infatti lo Spirito santo era presente in misura piena nella vita di Cristo ed è il garante della verità del racconto e delle parole evangelici.

Inoltre è sempre lui che è presente nel cuore del fedele.

Il cristiano, quando si dedica alla contemplazione, collega l'azione dello Spirito presente in lui con gli avvenimenti verificatisi in Cristo.

Di più, egli si unisce realmente al Cristo ora glorificato e vivente nella pienezza dello Spirito.

Lo Spirito santo perciò propone alla contemplazione la Parola viva e suscita nel contempo nel contemplativo il desiderio, l'accoglienza e la corrispondenza personale al messaggio oggettivo contenuto nella sacra scrittura.

Ne segue che l'attività contemplativa porta normalmente a un'imitazione di Cristo e più profondamente a una conformazione ai suoi stati ( sacerdote, mediatore, riparatore, Figlio unico, ecc.).8

3. Il rapporto al mondo della natura e della storia

Anche se per il cristiano Cristo è la via privilegiata che conduce alla contemplazione di Dio, rimane il fatto che il contemplativo può servirsi di altre mediazioni, per es. di quelle della natura e della storia.

In particolare tutte le spiritualità hanno sempre considerato la natura come un oggetto di contemplazione.

Grazie ad essa lo spirito si eleva fino a Dio.

Il medioevo ha conferito a tale contemplazione un'ampiezza straordinaria, considerando la natura come un'orma di Dio, un primo libro contenente la sua parola.

Qui ha trovato il suo fondamento una simbolica estetica e liturgica, che ha alimentato una vita religiosa caratterizzata da uno spiccato senso del sacro [ v. Simboli spirituali ].

Quel che un s. Francesco d'Assisi o un Rabindranath Tagore ritrovano nella natura è anzitutto l'innocenza delle origini: la natura così come essa è uscita dalle mani del creatore, prima del peccato.

I mistici, giunti al termine delle loro dure purificazioni, si riconciliano a loro volta con la natura e si servono dei suoi simboli per esprimere l'unità e l'innocenza ritrovate.

Più recentemente - e P. Teilhard de Chardin sarebbe un rappresentante autentico di questa tendenza - al senso della natura si è aggiunto il senso della storia come fondamento di una contemplazione di Dio.

Il progresso del mondo appare come una manifestazione dell'energia divina, lasciando nel contempo intravvedere Dio come termine di tutta l'evoluzione.

Di per sé non c'è nulla da obiettare a una simile esperienza: lo spirito di contemplazione si serve di tutto per mettersi alla ricerca di Dio e, inoltre, è certo che l'energia che si dispiega nel mondo deriva dall'energia prima che è in Dio.

Possiamo tuttavia notare il pericolo principale di questa prospettiva contemplativa, che è quello di affievolire il senso del Dio personale.

Su questo punto il linguaggio astratto di Teilhard de Chardin ( la Materia, il Fuoco, ecc. ) assomiglia a quello delle spiritualità astratte e metafisiche ( Piotino, Maestro Eckhardt ).

La difficoltà si accentua quando, anziché contemplare il dispiegamento dell'energia cosmica, contempliamo la storia umana per scoprirvi i segni della presenza divina.

Benché anche qui tutto derivi da Dio e benché il regno di Dio sia presente nel mondo, la realtà è sempre troppo ambigua, poiché anche la potenza del peccato continua a operare nel mondo.

Le parabole di Matteo ( Mt 13 ) sul buon grano frammisto al loglio sono un invito alla prudenza nell'interpretazione della realtà umana: questa non è solo l'orma del disegno di Dio, ma subisce anche l'influsso del « principe di questo mondo ».

Qualunque sia la mediazione che serve a portare lo spirito fino alla contemplazione di Dio, è bene tener presente la condizione necessaria di ogni vera contemplazione: essa non deve arrestarsi alla mediazione in se stessa, ma risalire fino a Dio.

Per es. chi contempla la natura arrestando su di essa il proprio sguardo, rimane invischiato in una mentalità pagana, che esalta le forze cosmiche; similmente non è raro il caso in cui uno si arresti all'amore delle persone senza proseguire il movimento spirituale fino a Dio.

IV - La funzione della preghiera contemplativa

La stima in cui viene tenuta la contemplazione è certamente basata sul fatto - da noi messo in luce - ch'essa è una manifestazione tra le più chiare della vita spirituale: grazie alla contemplazione lo spirito può elevarsi fino a Dio e intrattenersi in quest'unione per tempi considerevolmente lunghi.

Nessun'altra attività spirituale è suscettibile di una simile valorizzazione.

Ponendoci ora nella prospettiva cristiana, ci domandiamo che cosa la contemplazione apporti a una vita soprannaturale che si esercita non soltanto per mezzo della preghiera, bensì anche per mezzo dell'attività sacramentale, che possiede il privilegio di agire in virtù di una disposizione speciale di Dio e di santificare di per se stessa colui che riceve i sacramenti.

Diciamo, in una parola, che la contemplazione esercita una funzione trasformante.

1. La fede viva

Il primo aspetto della trasformazione operata dalla contemplazione riguarda la fede, che diventa una fede viva e personale.

Per capire il come di tale trasformazione, dobbiamo distinguere un duplice sospetto nella fede: il suo contenuto oggettivo, che è il mistero della salvezza ( e la contemplazione non può aggiungere nulla di sostanziale ad esso ), e la luce della fede concessa al soggetto.

La preghiera contemplativa provoca una continua riattivazione del lume della fede, rendendo così sempre più vivi per noi i misteri particolari della salvezza.

La luce della fede non soltanto illumina il contenuto oggettivo della fede, ma permette al soggetto di prendere meglio coscienza del rapporto che il mistero della salvezza ha con la sua vita: non si tratta più soltanto di aderire alla rivelazione universale della salvezza, ma di percepire che tale salvezza è una salvezza per me e che riguarda la mia esistenza concreta.

L'attività contemplativa personalizza la fede.

Di qui ne consegue una trasformazione della coscienza spirituale.

I valori percepiti nella contemplazione diventano le motivazioni principali dell'esistenza e dell'azione.

Il senso profondo dei diversi misteri penetra l'intelligenza e concorre alla formazione d'una concezione cristiana del mondo.

Anche l'affettività, in quanto si rivolge verso Dio in Cristo, si trasforma purificandosi e elevandosi.

R. Guardini ha descritto bene quel che possiamo intendere per coscienza cristiana, e noi possiamo applicare la sua descrizione ai frutti dell'attività contemplativa: « Ci si può avvicinare a quello di cui stiamo parlando anche con la distinzione fra fede e coscienza cristiana.

"Fede" significa che l'uomo accoglie la rivelazione come principio e fondamento della sua vita e vi rimane radicato con la fedeltà e l'amore; "coscienza cristiana" significa di più.

Per coscienza intendiamo il modo com'è costituito lo sguardo, il pensiero, il giudizio di un uomo; quali ne sono le misure e gli ordini, validi; quali atteggiamenti spontanei essa prende e così via.

Cristiana sarebbe la coscienza se per essa fosse vero quello che lo è secondo la rivelazione; possibile quella che secondo essa è possibile; buono, bello, nobile, familiare, consolante tutto quello che lo è per lei.

E non soltanto ad opera di un vero e proprio sforzo, ma - per quanto ciò è possibile di fronte alla rivelazione - per formazione interiore e naturalmente ».9

È evidente che la familiarità prodotta dalla contemplazione del mistero della fede conduce a questa cristianizzazione della coscienza.

2. La purificazione

La cristianizzazione della coscienza comporta necessariamente una purificazione, seguita da un'illuminazione.

È facile comprendere che la contemplazione contribuisce all'illuminazione della coscienza.

Vediamo ora come lo stato contemplativo sfoci in una purificazione profonda.

Tale del resto è l'insegnamento di s. Giovanni della Croce, il quale parla della contemplazione tenebrosa fonte di purificazione completa.

Quel che vale della contemplazione mistica vale anche - con minor intensità - della semplice preghiera contemplativa.

Ogni attività contemplativa ci saette in presenza di Dio, che è un Dio santo.

Come Pietro alla presenza di Gesù ha preso coscienza di:, essere un peccatore ( Lc 5,8 ), così colui che contempla, posto alla presenza del Dio santo, prende coscienza della distanza infinita che lo separa da Dio.

In lui si risveglia il desiderio di convertirsi e di pervenire alla santità.

Allora non si tratta più di una semplice esigenza morale, bensì di un'esigenza religiosa di imitare la santità di Dio.

Il peccatore, prendendo coscienza della santità di Dio, fa l'esperienza dello squilibrio profondo che il peccato ha introdotto in lui.

Anziché rispettare il sistema autentico dei valori - corporali, culturali, interpersonali, sacri -, il peccatore ha privilegiato per es., i valori corporali, oppure l'ambizione sociale o l'egoismo.

Fondando la propria contemplazione sul vangelo egli ristabilisce in se stesso il giusto senso dei valori e comincia con ciò stesso a ristabilire l'armonia di tutto il suo essere.

Quella che s. Giovanni della Croce chiama la notte dei sensi e dello spirito non è altro che la presa di coscienza del disordine instauratesi nell'anima: i sensi non obbediscono più alla ragione e questa non vuole sottomettersi ai lumi che le vengono dalla fede.

Invece la luce della contemplazione fa prendere coscienza di questo disordine, e la volontà, che continua a rimanere attaccata a Dio, conduce a poco a poco gli impulsi inferiori a sottomettersi alla legge evangelica della rinuncia e dell'amore.

Sempre sulla medesima linea di purificazione, la meditazione del vangelo ci fa prendere coscienza dell'imperfezione delle nostre intenzioni.

Crediamo di agire per amore o almeno per altruismo e scopriamo di agire in virtù di motivazioni inconsce che rivelano un turbamento profondo della nostra affettività: siamo pieni di pregiudizi, frutto della nostra educazione, o di inibizioni radicate nella nostra storia passata.

Lo Spirito di Cristo, che è uno spirito di verità e di chiarezza, ci obbliga a poco a poco a agire unicamente in funzione della vera carità.

Soffermandoci a lungo alla presenza di Dio che è amore, comprendiamo meglio che tutto il mistero della salvezza è fondato sull'amore: « Deus caritas est » ( 1 Gv 4,8 ).

La nostra visione del mondo si semplifica e si illumina.

Lo sforzo morate non consiste più semplicemente nella lotta contro le tendenze cattive, ma nell'instaurazione perseverante del primato della carità nel nostro modo di considerare il mondo e di comportarci con gli altri.

3. L'illuminazione

Quando parliamo dell'azione trasformatrice della contemplazione, non dobbiamo pensare ch'essa non differisca dalla trasformazione prodotta per es. dallo studio di un filosofo.

In quest'ultimo caso l'uomo si forma delle convinzioni che normalmente si ripercuotono sul suo comportamento.

L'azione trasformatrice della contemplazione è molto più profonda, perché ha per autore lo Spirito santo stesso, che agisce nel cuore del fedele contemplante.

I teologi hanno cercato di esprimere questo modo di agire dello Spirito santo.

Riferiamo a titolo di esempio ( ma anche perche questa dottrina ci sembra la più illuminante ) la spiegazione proposta dai tomisti.

Per essi la contemplazione chiama in causa i doni dello Spirito santo, e l'azione trasformante di questi si confonde con la crescita dei doni in colui che prega.

Per Giovanni di s. Tommaso la carità diffusa nel cuore dallo Spirito santo produce un'unione affettiva che ci rende per così dire familiari di Dio e confidenti dei suoi pensieri.

Tale unione sarà tanto più stretta quanto più l'attività contemplativa sarà intensa e continua.

In particolare nella contemplazione mistica « noi non conosciamo la verità dei misteri solo in virtù della testimonianza del Dio rivelante o in virtù di qualche luce particolare manifestante la verità, ma la conosciamo in maniera mistica e in virtù di una certa esperienza affettiva delle cose divine e di un'unione interiore con Dio ».10

Infatti la preghiera contemplativa si esercita nella fede e ci fa sperimentare un modo nuovo di conoscenza che deriva dall'amore, espressione della nostra condizione di figli di Dio.

L'amore fa uscire l'anima da se stessa per farla passare dal lato dell'oggetto amato e imprimere in essa una certa rassomiglianza con ciò che essa ama.

Questo principio generale, che descrive l'azione dell'amore, si applica in primo luogo all'amore spirituale esercitato nella contemplazione.

L'anima, unendosi a Dio attraverso la mediazione di Cristo, passa dal lato di Dio, penetra nel regno e vi si trasforma.

I tornisti, per esprimere il modo di tale trasformazione, parlano della connaturalità che l'anima viene a possedere in forza della sua unione con Dio.

Essa, vivendo più costantemente con Dio, si unisce più strettamente a lui e, stando alle parole di s. Paolo, « chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito » ( 1 Cor 6,17 ).

L'anima simpatizza con le realtà divine, così come nell'amore interpersonale la simpatia permette di comprendere l'altro e di rassomigliargli di più.

L'anima, grazie all'amore, percepisce che il mistero della fede possiede una coerenza interna profonda e che risulta adattato a tutte le situazioni spirituali in cui essa può trovarsi.

Quel che colpisce nella conoscenza donata dallo Spirito santo è la convergenza profonda delle verità di fede con la vita dell'uomo.

La conoscenza spirituale non va perciò concepita come un'attività speculativa, che manterrebbe la propria purezza solo a prezzo di un allontanamento dagli interessi vitali; al contrario, essa è la conoscenza vitale per eccellenza.

4. La funzione dei sensi spirituali

Se, come abbiamo mostrato, la conoscenza spirituale è vitale, non fa meraviglia ch'essa sfoci in una trasformazione degli stessi sensi.

Non che la vita contemplativa aggiunga dei sensi che non esisterebbero, però essa dona ai sensi una nuova dimensione: sembra infatti che essi colgano la realtà spirituale, come ci indica il vocabolario corrente della teologia spirituale.

Quando la verità spirituale è percepita dall'intelligenza, parliamo di intuizione o di sguardo semplice: si tratta del senso stesso della contemplazione.

Se l'anima, invece di vedere, prende coscienza di essere interpellata da Dio, l'esperienza spirituale prende l'aspetto di una parola interiore.

La realtà spirituale, interiorizzandosi ulteriormente, può essere considerata come un nutrimento dell'anima e allora parliamo di gusto spirituale.

Infine, quando essa appare come direttamente percepita dall'anima, come se Dio e l'anima si mettessero in contatto, troviamo il simbolo del tatto inferiore.

Tutte queste espressioni, che non bisogna necessariamente prendere in senso troppo stretto, mostrano bene che la vita spirituale abbraccia tutto l'uomo.

E dato che i sensi sono anche gli strumenti della nostra vita affettiva, comprendiamo meglio come l'attività contemplativa crei un clima affettivo qualche volta molto intenso.

V - Conclusione

La contemplazione elemento costitutivo della vita cristiana

L'attività contemplativa che abbiamo descritto, così diffusa in tutti i contesti religiosi, svolge una funzione troppo importante nella vita cristiana perché la possiamo considerare come facoltativa.

Certo, essa può assumere molte forme, ed è difficile determinarne la misura e il modo che convengono a ciascuno per garantire la crescita della sua vita spirituale.

Una cosa è tuttavia certa: la preghiera contemplativa è l'esercizio spirituale che contribuisce di più alla personalizzazione della vita di fede.

La ricchezza stessa della vita contemplativa e la molteplicità dei suoi aspetti ci permettono di capire perché l'atteggiamento del cristiano risulti spesso paradossale.

Egli la stima e non di rado la desidera, tuttavia non si dedica facilmente all'attività della contemplazione.

Questo ha una sua ragione profonda: agli inizi la preghiera appare facilmente come un'esperienza acquietante e rasserenante, perché rivela a se stessa la fine punta dell'anima attirata dai valori di superamento e di santità, ma è chiaro che non può evitare una fase di crocifissione dell'uomo carnale.

L'uomo che si sente responsabile della propria vita e del mondo che lo circonda, non accetta molto facilmente di dedicare un tempo più o meno lungo a un'attività di cui non vede immediatamente la fecondità.

E tuttavia, s'egli vuoi pervenire a una vita spirituale veramente incentrata su Dio che lo chiama all'unione con lui e alla santità, egli deve sforzarsi di incontrare Dio nella preghiera contemplativa.

Possiamo quindi considerare l'attività contemplativa come il termine di paragone della vita religiosa e spirituale.

O l'uomo si rifiuta all'apertura spirituale che gli permetterebbe di entrare in contatto con Dio, e in tal caso egli è un essere religiosamente morto.

Oppure, allettato e invaghito dall'attrattiva dei beni spirituali, si stabilisce in una comunicazione interpersonale che risponde al voto più profondo del suo essere creato a immagine di Dio e riscattato da Cristo, e diventa allora, grazie alla contemplazione, un'anima sempre più religiosa.

… e semplificazione della vita spirituale Antinomie V
… e liturgia Celebrazione II,3
… mediante sforzo ascetico Anziano II,1
Ascesi III,3
Maturità
… e cristocentrismo Cristocentrismo II
Nella parola Parola III,2
Nella celebrazione liturgica Celebrazione II,2b
Eucaristia II
Nell'icona Immagine III,2
Nell'oriente cristiano Oriente IV
… e vita attiva Antinomie IV
Contemplazione II,3
Corpo II,1
Escatologia V
Modelli II,3
Politica I,2c
… ed escatologia Escatologia III,2c
… in dimensione comunitaria Esercizi II,2
Nell'induismo Induismo IV

1 Dupont, Gnosis. La connaissance religieuse dans les épttres de saint Paul, Parigi, Desclée de Brouwer 1949
2 Arnou, Platonismo des Pères in DThC XII, 2258-2392
3 J. Daniélou, Platonismi et théologie mystique, 9
4 Ch. A. Bernard, Le projet spiritual, Roma, PUG 1970
5 Pio XII, enc. Mediator Dei
6 Leone XIII, enc. Divinimi illud
7 Vita e. 22; Le Mansioni, VI, e. 7
8 C. h. A. Bernard, Vie morale et croissance dans le Christ, Roma, PUG, e. IX
9 R. Guardini, Introduzione alla preghiera, Broscia, Morcelliana 19542, 126-127
10 ean de Saint Thomas, Les Dons du Saint-Esprit, trad. Raissa Maritain, Juvisy, Cerf 1931, 42