Esercizi

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Sommario

Esercizi di pietà - Esercizi spirituali

I. Pietà cristiana ed esercizi di pietà:
1. Contesto semantico e ambito di significazione;
2. Storia cristiana ed esercizi di pietà.
II. Religiosità cristiana ed esercizi di pietà:
1. Pietà cristiana: teocentrismo e antropocentrismo;
2. Esercizi di pietà ed economia salvifica.
III. Alcuni esercizi di pietà:
1. Il s.. rosario;
2. La via crucis;
3. Esercizi di pietà eucaristica.

I - Pietà cristiana ed esercizi di pietà

1. Contesto semantico e ambito di significazione

Per un'esatta focalizzazione della natura degli esercizi di pietà in uso nella comunità cristiana e per l'individuazione della spiritualità da cui nascono e alla quale orientano, e indispensabile un'adeguata determinazione della nozione di "pietà" cristiana.

Ora, sebbene il linguaggio cristiano abbia indubbiamente desunto il termine "pietà" dal corrispettivo latino "pietas", ne ha però modificato l'accezione, in diversa misura, introducendovi alcune connotazioni bibliche e caratterizzandolo, lungo il corso dei secoli, con sfumature diverse.

Non essendo possibile percorrere in questa sede tutte le diverse tappe storiche in cui furono precisati i contenuti e gli ambiti di significazione della nozione di pietà cristiana, ci limiteremo alla sottolineatura di quegli aspetti che la specificano sia rispetto alla sua significazione latina originaria, sia rispetto alla significazione che le viene comunemente attribuita nel linguaggio contemporaneo.

Per incominciare proprio da questo ultimo aspetto, non è difficile rilevare che nell'attuale linguaggio parlato la nozione di pietà risulta notevolmente impoverita rispetto a quella che le era già propria nel linguaggio latino.

Per i nostri contemporanei la pietà è prevalentemente sinonimo di commiserazione, di compatimento nei confronti di chi soffre o di chi si trova in difficoltà e, pur essendo catalogabile fra i più nobili sentimenti umani, è per l'appunto soprattutto un sentimento che, in ogni caso, va circoscritto entro l'ambito dei rapporti di un uomo con un suo simile o, anche, con le creature inferiori.

Non è improbabile che questa particolare accezione di pietà sia, almeno in parte, il frutto di una certa influenza cristiana, resta però vero che in essa manca una chiara connotazione religiosa.

La pietas latina, invece, era un atteggiamento ( o più precisamente uno stile di vita ) che caratterizzava non solo i sentimenti, ma anche tutti i comportamenti di un inferiore nei confronti di un superiore.

La sua sfera di esercizio era innanzitutto quella religiosa, nella quale l'uomo pio dimostrava di sapersi rapportare convenientemente con la divinità; ma, sia per il carattere familiare di alcune divinità ( i penati, i lari ), sia per l'appartenenza ad un mondo in qualche modo divino degli stessi antenati, la pietà si allargava dalla sfera religiosa a quella familiare e, più tardivamente, a quella sociale.

La pietà era l'atteggiamento che più di ogni altro doveva qualificare i rapporti che i componenti la famiglia intrattenevano con il pater familias e, correlativamente, con l'autorità civile ( l'imperatore ), con gli educatori, ecc.

Tuttavia, nonostante questa sua nativa capacità di espandersi in senso orizzontale, conserva un orientamento unidirezionale e ascendente.

Nella sfera umana, ma soprattutto in quella religiosa, la pietà latina è sempre un atteggiamento virtuoso che sale solo dal basso, che va dall'uomo a Dio.

La pietà cristiana, invece, si caratterizza soprattutto da questo punto di vista: infatti, pur conservando tutte le dimensioni della pietas latina e, quindi, il suo orientamento ascendente, ha come caratteristica quella di essere prima un atteggiamento di Dio verso l'uomo che dell'uomo verso Dio.

In tutta la bibbia è continuamente ricorrente l'insegnamento che Dio è la sorgente stessa della pietà, sia perché la pietà è un tipico comportamento di Dio nei confronti del genere umano e del suo popolo in particolare, sia perché la pietà che gli uomini nutrono tra di loro deve essere un'imitazione di quella che Dio ha nei nostri confronti.

Per comprendere la ricchezza dell'insegnamento biblico sulla pietà di Dio bisognerebbe integrarlo con tutto quello che la bibbia dice sulla bontà-misericordia di Dio ( heset ) e più ancora sulla sua fedeltà ( émet ); oltre tutto questa integrazione si rende indispensabile quando si vuole comprendere in che senso la pietà umana deve essere un'imitazione della pietà divina, non solo quando si realizza come rapporto tra uomini, ma più ancora quando si attua come rapporto dell'uomo con Dio.

Tuttavia basterà ricordare che Cristo è, simultaneamente, la piena manifestazione e la totale realizzazione sia della pietà di Dio verso gli uomini che della pietà degli uomini verso Dio.

Anche dalla constatazione che la pietà è tipizzata da Cristo sotto ogni suo aspetto possono derivare innumerevoli considerazioni; alcune le riprenderemo in seguito; per il momento interessa cogliere solo quell'indicazione che ci aiuta a passare dalla considerazione della natura della pietà cristiana alla considerazione degli esercizi di pietà.

Sia come segno-reale della pietà di Dio verso gli uomini, sia come tipo dell'uomo pio.

Cristo insegna che la pietà non è mai riducibile ad un puro sentimento, perché si esprime sempre in atteggiamenti concreti; è in questa prospettiva che Cristo stesso può essere considerato, in qualche modo, un "exercitium pietatis".

Già nel sec. III s. Cipriano scriveva: « Christi adventu, qui exercitio et exemplo hominis fungeretur»;1 ma, mentre il testo di Cipriano usa il termine "exercitium" nell'accezione che le era propria nel linguaggio latino profano, cioè azione che richiede sforzo ed impegno sia che si tratti di attività manuale, sia che si tratti di attività di pensiero, il testo che con maggiore probabilità ha influenzato la locuzione cristiana "esercizi di pietà" è il testo di s. Paolo che dice:« Esercitati nella pietà, perché l'esercizio fisico è utile a poco, mentre la pietà è utile a tutto » ( 1 Tm 4,7-8 ).

Senza trascurare il fatto che il testo paolino da alla nozione di pietà e al suo esercizio un'estensione molto ampia, «ad omnia utilis est», è giusto sottolineare che con ogni verosimiglianza questo testo è all'origine dell'antichissima distinzione tra "exercitia corporalia", con cui si indicherà soprattutto la pratica della mortificazione e dell' ( v. ) ascesi cristiana, e "exercitia spiritualia" che stavano ad indicare specialmente le diverse forme di ( v. ) preghiera.

È questa, ad es., la prospettiva dell'Ambrosiaster che, proprio commentando il testo paolino, sottolinea la differenza che intercorre tra "exercitium corporale" e "pietas".2

Fin dai primi secoli, quindi, mentre la parola "exercitium" entra nel linguaggio cristiano per indicare l'impegno che il discepolo di Cristo deve avere sia nella pratica delle virtù che nella pratica dell'orazione, l'effato "exercitia spiritualia" sta ad indicare soprattutto l'orazione.

Tuttavia, pur essendo molto antica l'identificazione tra esercizi di pietà e attività di preghiera, l'espressione "esercizi di pietà" troverà, lungo il corso della storia cristiana, diverse variazioni di significato che meritano di essere messe in risalto.

2. Storia cristiana ed esercizi di pietà

Dai documenti in nostro possesso risulta con molta evidenza che, fin dall'età apostolica ( At 2,42 ) e durante i primi secoli di vita cristiana, la pratica dell'orazione si esercitava in forma prevalentemente comunitaria e nell'ambito della celebrazione liturgica.

La preghiera personale aveva certamente un suo spazio, ma l' "exercitium" della pietà cristiana si identificava più facilmente con le diverse forme di azione liturgica.

Per di più, fin quando le comunità cristiane rimasero di piccole proporzioni e disseminate nello spazio, le celebrazioni liturgiche, senza perdere la loro intima e comune natura di "memoriale" dei misteri salvifici di Cristo [ v. Eucaristia I,1 ], si differenziavano notevolmente a livello rituale.

Il che, proprio perché consentiva una notevole creatività e, quindi, una buona rispondenza alle esigenze di ogni singolo contesto culturale, permetteva alle celebrazioni liturgiche di essere ugualmente espressive sia della pietà comunitaria che di quella individuale.

Quando, alcuni secoli dopo, la comunità ecclesiale ebbe la possibilità di estendersi dovunque e di darsi una strutturazione più completa ed organica, la liturgia divenne più omogenea e praticamente identica, anche a livello rituale, in vaste zone territoriali.

Questo processo di omogeneizzazione, mentre da una parte darà a popoli, etnicamente e culturalmente diversi, il vantaggio di esprimere anche visibilmente, attraverso riti identici, l'unità della loro fede, dall'altra conferirà alle celebrazioni liturgiche quel tono di ufficialità che limita, inevitabilmente, le possibilità espressive delle tradizioni locali e della pietà personale che, da questo momento, sentiranno maggiormente il bisogno di riservarsi altri spazi vitali.

Ma in connessione a questo primo fattore che ha segnato le prime apparizioni di esercizi di pietà meno comunitari e, in ogni caso, distinti dalla celebrazione liturgica, ne dobbiamo ricordare un secondo più determinante.

Con l'apparizione della vita cenobitica e, successivamente, di quella monastica, gli esercizi di pietà distinti dalla celebrazione liturgica non solo ebbero un più evidente rilievo, ma divennero una componente essenziale della spiritualità cristiana.

Nelle diverse scuole monastiche dell'alto medioevo, dove si continuava a dare largo spazio alla pietà liturgica e alla preghiera comunitaria, gli esercizi di pietà furono il tema di diverse trattazioni dottrinali, divennero espressione di un metodo di preghiera - come la "meditatio", l' "oratio" e la "contemplatio"3 - e ben presto assunsero delle forme ben determinate.

In questo contesto e con il passare del tempo gli esercizi di pietà subirono altre due modificazioni: l'una consiste in un processo che potremmo chiamare di interiorizzazione, l'altra, in qualche modo contrastante con la prima, è data dal progressivo identificarsi degli esercizi di pietà con determinate forme devozionali in onore del Signore, di Maria e dei santi.

Il processo di interiorizzazione lo si riscontrerà soprattutto in quegli esercizi di pietà ( v. meditazione, esame di coscienza [ v. Revisione di vita ], ecc. ) che intendevano formare ad una preghiera intesa come rapporto diretto e personale con Dio e, quindi, sottratta ad ogni pericolo di dissipazione esterna, compresa la stessa enunciazione orale della preghiera.

Tutto questo, se da una parte darà alla preghiera la possibilità di essere più sentita ed anche di costruirsi come autentica « elevazione della mente a Dio », dall'altra accentuerà la distinzione tra pietà liturgica e pietà personale e, in ogni caso, sarà la remota premessa che porterà a collegare in forma progressiva alcuni esercizi di pietà a particolari stati di vita cristiani.

Il che dimostrerà, a sua volta, alcuni aspetti vantaggiosi ma anche altri che lo furono meno: tra i vantaggi c'è da ricordare il fatto che gli esercizi di pietà favorirono l'affermarsi e lo specificarsi delle diverse spiritualità, ma tra quelli meno vantaggiosi c'è da registrare il fatto che non tutti gli esercizi di pietà nacquero in corrispondenza alle effettive esigenze dei diversi stati di vita.

Fu così che gli esercizi di pietà che avrebbero dovuto favorire il nascere di spiritualità diverse, in realtà hanno ottenuto l'effetto contrario: infatti, gli esercizi di pietà, tipici e adatti per una spiritualità monastica, si imposero praticamente anche a stati di vita a cui quella spiritualità non poteva essere propria.

Si deve anche a questo fatto se, nei secoli posteriori, la spiritualità del clero secolare [ v. Ministero pastorale ] e quella degli stessi ( v. ) laici non fu altro che una spiritualità monastica in ottavo o in sedicesimo.

Quanto all'agganciarsi degli esercizi di pietà alle diverse pratiche devozionali c'è da osservare che, mentre da una parte ciò segna il progressivo affermarsi di una pietà popolare che procede per vie non sempre facilmente controllabili, dall'altra sembra istituzionalizzare un certo rapporto tra pietà liturgica e pietà popolare.

In pratica però, e in una visione retrospettiva, bisogna riconoscere che, mentre agli inizi la celebrazione liturgica è riuscita a trasmettere qualche tratto delle sue caratteristiche più tipiche alla pietà popolare e alle pratiche devozionali in cui si esprimeva, con il passare del tempo queste ultime ebbero un certo sopravvento sulla celebrazione liturgica.

Questa simbiosi tra pietà popolare e pietà liturgica aveva una sua profonda ragion d'essere e avrebbe potuto disporre di una notevole carica formativa; purtroppo è lentamente e progressivamente degenerata e invece di fornire all'azione liturgica la possibilità di esaltare e trasformare i valori più veri della cultura e delle tradizioni locali e della stessa pietà personale, ha consentito il diluirsi dell'azione liturgica in semplici esercizi di pietà, per di più non sempre rettamente intesi.

A titolo puramente esemplificativo accenniamo al progressivo trasformarsi della celebrazione sacramentale della penitenza in una pratica devozionale dove le istanze individuali sembrano prevalere su quelle ecclesiali e dove il rapporto tra penitenza virtù e penitenza sacramento hanno potuto attenuarsi, a volte, più del consentito; allo sviluppo di alcune pratiche di pietà eucaristica, per altro lodevoli, ma non sempre in grado di sottolineare il loro necessario riferimento alla celebrazione eucaristica per eccellenza, la s. Messa; e, da ultimo, al prevalere del santorale sul temporale all'interno del calendario liturgico.

Ognuno di questi fatti meriterebbe un'analisi più dettagliata, non solo per dar loro una collocazione storica precisa, ma soprattutto per evitare di formulare nei loro confronti un giudizio troppo sbrigativamente positivo o negativo; resta comunque vero che la nascita e lo sviluppo di alcuni esercizi di pietà non seppero creare una giusta sincronizzazione tra pietà liturgica e pietà popolare e personale.

Non essendo possibile attardarci oltre su questo tema, qui ci accontentiamo di ricordare che nell'arco di tempo in cui si verificarono le modificazioni di cui sopra ( sec. X-XIV ), si possono registrare i primi avvii di alcuni esercizi di pietà che, in seguito, troveranno una loro sistemazione definitiva: l'ufficio della b. Vergine, il rosario, la via crucis, l'angelus Domini, ecc.

Dopo il concilio di Trento che, fra l'altro, dovette procedere alla riforma della vita monastica e religiosa e all'istituzione dei seminari per la formazione del clero, alcuni esercizi di pietà, come la meditazione e l'esame di coscienza quotidiani, alcune pratiche di pietà eucaristica ( varie forme di adorazione privata ), la stessa confessione frequente, il rosario, divennero una componente indispensabile della spiritualità religiosa e clericale; ben presto questi esercizi di pietà furono istituzionalizzati dalle costituzioni e dalle regole delle diverse famiglie religiose e dei seminari, e qualche esercizio divenne oggetto di ben precise disposizioni canoniche.

Per il mondo dei semplici fedeli le cose andarono diversamente.

Data l'impossibilità di istituzionalizzare la vita dei fedeli, la loro spiritualità rimase in certo modo sguarnita e aperta ad ogni iniziativa privata.

Fu così che, mentre da una parte gli esercizi di pietà tipici della vita religiosa e clericale divennero qualcosa come un nostalgico ideale che i fedeli migliori potevano sempre e in qualche misura tentare di raggiungere, dall'altra nacque una larga disponibilità per ogni pratica devozionale e per gli esercizi che ne erano l'espressione.

L'esercizio di pietà che più di ogni altro caratterizzerà la religiosità dei singoli fedeli e delle famiglie cristiane sarà il rosario.

In questo periodo, in cui la pietà cristiana si identifica sempre di più con la pratica degli esercizi di pietà, la pietà personale e la pietà liturgica sembrano camminare su strade divaricanti; la pietà personale si sentiva meglio servita dagli esercizi di pietà che dalle celebrazioni liturgiche, le quali, a volte, furono ridotte al rango di semplici occasioni offerte ai singoli per dedicarsi ai loro esercizi di pietà personale.

Per incontrare i primi sintomi di un riavvicinamento bisognerà aspettare la fine del secolo scorso e i primi decenni del nostro, quando il movimento liturgico metterà in atto ogni sforzo, sia a livello pastorale che a livello teologico, per rimettere la vita liturgica al centro della pietà cristiana.

Da allora ai nostri giorni è stata fatta molta strada; le difficoltà da superare non furono poche ma bisogna anche riconoscere che furono conseguiti non pochi successi.

D'altra parte è innegabile che il cammino da percorrere è ancora lungo; non tutti gli ostacoli sono stati rimossi e, per di più, alle difficoltà di sempre se ne sono aggiunte delle nuove.

In sostanza il problema fondamentale è quello di trovare una giusta posizione di equilibrio che consenta alla liturgia di affermarsi come momento privilegiato della pietà cristiana senza per questo sottrarre ogni spazio alla pietà personale, la quale, nel riaffermare i suoi innegabili e autentici valori, deve però rinunciare a vedere la celebrazione liturgica come un "exercitium" che non le consente, o le consente troppo poco, di realizzare se stessa.

II - Religiosità cristiana ed esercizi di pietà

1. Pietà cristiana: teocentrismo e antropocentrismo

Sebbene il problema più emergente sia quello di trovare il modo di evitare che la liturgia tolga respiro agli esercizi di pietà e viceversa, ogni sua soluzione adeguata sarà fortemente improbabile se prima non sarà stato risolto il problema di un equilibrio più fondamentale, e cioè quello della tensione teocentrica e antropocentrica della pietà cristiana.

Dal momento che quella cristiana è una religiosità di alleanza, dove ad ogni affermazione di Dio deve corrispondere un'affermazione dell'uomo, è abbastanza facile concludere che, in linea di massima, la doppia tensione non può e non deve costituire un'alternativa; sempre in linea di principio è anche più semplice e sbrigativo affermare che la pietà cristiana deve essere simultaneamente teocentrica e antropocentrica per il fondamentale motivo che è cristocentrica [ v. Cristocentrismo ].

Ma la soluzione del problema in questi termini, per quanto esatta, non può essere ritenuta soddisfacente se non sulla base di una verifica concreta delle effettive possibilità di convergenza che l'animazione teocentrica e quella antropocentrica trovano nell'ambito degli esercizi di pietà.

Se la convergenza è già difficile da individuare e da descrivere all'interno di qualunque atteggiamento di preghiera - basterebbe pensare alla problematicità della stessa nozione di preghiera e alle diverse soluzioni, a volte riduttive, a volte semplicemente evasive, che ne sono state date4 -, è ancora più difficile da configurare là dove si tratta di un "exercitium" che da all'atteggiamento di preghiera un "modus" che accentua e allarga tutte le ragioni della problematicità della preghiera stessa.

Per un'analisi approfondita di questa questione rimandiamo a studi più dettagliati e specifici; qui basterà dare rilievo ad alcuni fattori che possono contribuire, e di fatto hanno contribuito, a squilibrare il rapporto teocentrismo-antropocentrismo nella pratica degli esercizi di pietà.

Nella misura in cui gli esercizi di pietà, che si sono affermati e diffusi nei diversi stati di vita cristiana, non sono altro che un'edizione adattata degli esercizi di pietà nati espressamente per la vita monastica, danno il via ad un processo di sacralizzazione degli esercizi stessi e, quindi, di indebita accentuazione della loro dimensione teocentrica.

Sebbene anche la vita monastica debba comportare una giusta testimonianza di equilibrata e simultanea ricerca della gloria di Dio e della promozione umana, sta di fatto che, nella considerazione più comune, la scelta monastica è diventata il prototipo di una ( v. ) vita consacrata interamente a Dio rispetto ad altre forme di vita che a Dio non possono essere totalmente consacrate.

Gli esercizi di pietà della vita monastica, scaglionati a tempi fissi durante la giornata, diventano, quindi, l'espressione di un'esistenza che può disporre liberamente di tutto il proprio tempo per incontrarsi con Dio.

Per tutti gli stati di vita che non possono disporre con uguale libertà del proprio tempo, gli esercizi di pietà diventano il momento privilegiato, ma unico, nel quale si pensa di poter dare a Dio almeno una parte di quella vita e di quel tempo che non possono essergli dedicati interamente.

Ne derivano due conseguenze: un'inevitabile frattura tra vita di pietà e vita così detta profana e la già denunciata identificazione tra pietà cristiana ed esercizi di pietà; gli esercizi di pietà, che debbono essere un'espressione di una vita "pia" in tutta la sua estensione, diventano invece il fatto discriminante tra una vita pia e una vita non pia: da qui deriverà anche il significato spregiativo della qualifica "uomo pio".

Tuttavia, quasi come un inevitabile contraccolpo, a un'esasperata accentuazione del teocentrismo degli esercizi di pietà, corrisponderà una loro disordinata animazione antropocentrica: la preghiera detta ( parola dell'uomo ) prende il sopravvento sulla preghiera-ascolto ( della parola di Dio ) e la preghiera di domanda sopraffa la preghiera eucologica di benedizione e di ringraziamento.

Le scelte operabili, per apportare i correttivi necessari ad ognuna delle due forme di squilibrio sopra accennate, sono molte; ma qui occorre ricordare alcuni principi già chiaramente formulati dal magistero della chiesa.

L'insegnamento del Vat II ha posto le basi per un cammino proficuo in questo senso, sia affermando l'universale vocazione alla santità, quindi anche di chi vive nel mondo ( si veda in part. LG 39-42 ), sia dichiarando che « il cristiano che trascura i suoi doveri temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo; anzi quelli verso Dio stesso e mette in pericolo la propria salvezza eterna » ( GS 43 ).

All'inizio di questo paragrafo si diceva che bisogna evitare che la liturgia soffochi gli esercizi di pietà personale e che questi ultimi diventino un sostitutivo della liturgia; ma le due affermazioni del Vat II sopra citate ci aiutano a capire che occorre anche evitare ogni situazione di conflittualità tra esercizi di pietà ed esercizio dell'attività professionale.

Se si volesse tradurre questa indicazione in termini ancora più concreti si dovrebbe dire che, a situazioni di vita diverse, debbono corrispondere esercizi di pietà diversi che siano non solo compatibili con i diversi impegni professionali, ma anche capaci di esprimere e di edificare spiritualità diverse.

Su questa strada sono già stati compiuti buoni passi, sia modificando alcuni esercizi di pietà, già tradizionalmente in uso, per renderli più adatti alle singole spiritualità, sia creandone dei nuovi.

A questo proposito per evitare gli errori del passato bisognerà sollecitare la creatività all'interno dei singoli stati di vita, non solo di quelli religiosi o clericali, ma in particolare degli ( v. ) istituti secolari e dei vari gruppi di vita ecclesiale.

In ogni caso, però, è necessario fissare i criteri di fondo a cui gli esercizi di pietà debbono corrispondere.

2. Esercizi di pietà ed economia salvifica

Perché gli esercizi di pietà possano svolgere il loro servizio di edificazione e di espressione della spiritualità cristiana, debbono adeguarsi all'economia a cui corrisponde tutta la storia della salvezza e, in particolare, il massimo "exercitium pietatis" che è il Cristo stesso [ sopra, I,1 ].

In poche parole: si potrebbe dire che la funzione degli esercizi di pietà è di esplicitare simbolicamente i significati più profondi della storia della salvezza e di essere il punto simbolico di partenza per la sua attuazione.

In fondo si tratta della stessa funzione che è tipica e propria di ogni ( v. ) celebrazione liturgica, ma con connotazioni personali, temporali e contingenti che alla celebrazione liturgica non sono possibili.

La prima esplicitazione che gli esercizi di pietà debbono operare è quella che concerne la trascendenza e la gratuità della storia salvifica.

La salvezza, sia nel suo senso più globale e completo, sia nei suoi aspetti più dettagliati e storici, è dono gratuito della libera ed amorosa iniziativa divina.

Il cristiano fonda il suo sano ottimismo e la sua gioia in questa profonda convinzione.

Nella persuasione che tutto è grazia, trova senso la preghiera di lode e di ringraziamento, ma soprattutto la preghiera di domanda.

Il domandare del cristiano non è mai il tentativo, più o meno magico, di piegare la volontà dell'Onnipotente alla propria, ma, viceversa, lo sforzo quotidiano di conformare la propria volontà alla Sua.

Lo stesso ripetersi della preghiera cristiana, l'esercitarsi ogni giorno e/o a determinate scadenze in una pratica di pietà, oltre ad essere un gesto di obbedienza al vangelo che ci invita a chiedere con la costanza, apparentemente ossessiva e inopportuna, con la quale si bussa alla porta di un amico nel cuore della notte, è una chiara sottolineatura che, della grazia, abbiamo bisogno ogni giorno.

L'exercitium quotidiano di pietà diventa, quindi, connotativo di due grandi principi: che l'exercitium del terribile quotidiano, con il suo potere limitante e deprimente, non può essere affrontato con le sole nostre forze; e che questo esercizio del quotidiano, vissuto nella grazia, deve trasformarsi in grazia storica per noi e per gli altri.

È in questa prospettiva che l'esercizio di pietà può dare alla sua significazione della gratuità della storia salvifica quella nota personale, contingente e concreta che l'azione liturgica non riesce ad esprimere con uguale immediatezza.

In secondo luogo, poiché l'economia salvifica ha trovato il suo vertice nel mistero di Cristo che è mistero di alleanza e di incontro, gli esercizi di pietà non possono essere un fatto di isolamento e di fuga dal tempo, ma di verifica e di programmazione della nostra storia personale.

L'esercizio di pietà è certamente un gesto di obbedienza a quell'altro precetto evangelico che ci stimola a pregare il Padre nostro nel segreto, o, se si vuole, di fedeltà all'invito a sottrarsi agli assilli quotidiani per riposarsi un poco, tuttavia non è mai l'idillico isolamento nel quale è difficile stabilire se prevale la tentazione di monopolizzare Dio per se stessi o quella di escludersi dal mondo degli altri.

Ogni preghiera cristiana è sempre una "memoria" dei misteri di Cristo e, sebbene gli esercizi di pietà lo siano solo analogicamente rispetto al "memoriale liturgico" [ v. Eucaristia I,1 ], restano un momento in cui si sottopone la propria esistenza al giudizio salvifico che Dio ha pronunciato in Cristo.

Da questo punto di vista gli esercizi di pietà, oltre ad essere un rispettoso ascolto del Dio che ci parla nel nostro parlargli, diventano un momento di verifica penitenziale: da un confronto del nostro essere con quello di Cristo, da un confronto dei criteri con cui egli ha gestito la sua esistenza con quelli con cui noi gestiamo la nostra, emergono sia le carenze della vita trascorsa che gli orientamenti nuovi da assumere per quella da trascorrere.

Da ultimo gli esercizi di pietà, pur essendo a servizio della pietà personale o di gruppo, non possono sottrarsi ad ogni connotazione comunitaria e cattolica ( universale ).

Che ogni preghiera cristiana debba essere cattolica e, quindi, aliena da ogni animazione egoistica che tende a privatizzare ( non solo le grazie che Dio ci concede ma neppure lo stesso rapporto personale con Dio ), è una verità chiaramente insegnata dal NT.

La preghiera "domenicale" ( il Pater ) ne è un chiaro esempio; ma in ogni caso è una verità fondata sul fatto che, nell'accezione cristiana, la fraternità universale che elimina ogni possibilità di discriminazione non nasce da un vincolo etnico, culturale o strutturale, ma dal vincolo che lega tutti gli uomini, senza eccezione di sorta, all'unico Dio.

Non è possibile mettersi in rapporto con Dio senza mettersi in rapporto con tutti coloro che, almeno a titolo creaturale, sono in rapporto con lui.

Tuttavia, per limitare questo discorso che potrebbe avere ampie possibilità di sviluppo, potremmo dire che gli esercizi di pietà debbono avere una funzione analoga a quella dei carismi di cui Dio ci arricchisce.

Sebbene i carismi e le ( v. ) vocazioni siano un fatto personale, il modo cristiano di essere fedeli al proprio carisma e, quindi, a se stessi non è quello di considerare il carisma come un privilegio, bensì quello di trasformarlo in un servizio.

Anche i momenti di preghiera più intima, quale potrebbe essere la contemplazione o la meditazione, debbono conservare un'apertura sulla comunità ecclesiale e sull'umanità intera: non è possibile contemplare Dio e i misteri del suo Cristo senza rendersi conto che Dio è il Padre di tutti e che Cristo è il Salvatore di tutto il mondo.

Ciò per cui dobbiamo lodare e ringraziare Dio, ciò per cui possiamo gioire nel Signore è proprio quanto ci accomuna a tutti gli altri e, in ogni caso, è quello che ci fa desiderare anche per gli altri quanto è stato concesso a noi.

III - Alcuni esercizi di pietà

Alla luce di quanto è stato precedentemente esposto sarebbe interessante ( oltre che utile ) riesaminare i diversi esercizi di pietà tutt'ora in uso nella chiesa per stabilirne i pregi e le eventuali possibilità di aggiornamento.

Uno studio adeguato comporterebbe una ricerca su varie piste, che vanno dalla ricostruzione storica delle loro origini e del loro sviluppo all'individuazione della spiritualità e dei principi teologici che li sorreggono, fino alla sintesi dei più importanti insegnamenti del magistero su questo o quest'altro esercizio di pietà.

In questa sede ci limiteremo all'analisi di alcuni fra i più noti e praticati esercizi di pietà.

1. Il s. Rosario

L'origine del nome è incerta; è stata fatta l'ipotesi che il termine rosario sia una proiezione del sanscrito "japamala", che può significare sia "collana di preghiere" che "collana di rose"; ma, al di là delle incertezze sulla derivazione del nome, si può stabilire che la pratica di ripetere preghiere per un numero determinato di volte è molto antica ed è comune anche alle religioni non cristiane.

Già nel sec. X si ha testimonianza che ai religiosi incapaci di prendere parte alla recita dell'ufficio corale ( conversi illitterati ) veniva fatto obbligo di ripetere più volte la recita del Pater.

Quando, nel XII sec., incominciò a diffondersi l' "Ave Maria" nacque lentamente il psalterium b. Mariae V., che consisteva nella recita di 150 Ave.

La divisione in decine è posteriore di almeno due secoli e viene attribuita al monaco Enrico Egher ( + 1408 ) della certosa di Colonia.

Nella seconda metà del XV sec. sarà un altro certosino ( Domenico di Prussia, + 1461 ) ad introdurre l'uso di coniugare la recita delle decine con la contemplazione dei misteri della vita di Cristo e, verso la fine di questo stesso secolo, il domenicano Alano de la Roche ( + 1475 ) darà una larga diffusione alla recita del rosario; si deve a lui la leggenda che fa risalire l'origine del rosario a un'iniziativa di s. Domenico.

Dopo il concilio di Trento la recita del rosario divenne una pratica comune alla quasi totalità delle famiglie cristiane e, per renderla più accessibile, invalse lentamente l'uso di limitare la recita a sole 5 decine per volta.

È indubbio che la struttura del rosario, specialmente da quando alla ripetizione delle Ave si aggiunse la contemplazione dei misteri, è del tutto conforme alle caratteristiche della preghiera cristiana ed è per questo che il magistero l'ha raccomandato forse più di ogni altro esercizio di pietà.

Fra i documenti più recenti merita di essere ricordata l'esortazione apostolica Marialis cultus di Paolo VI,5 non solo perché evidenzia l'indole evangelica del rosario e i suoi rapporti con la preghiera liturgica, ma anche perché formula un'esplicita approvazione di alcuni pii esercizi che traggono ispirazione dal rosario: « Tra essi desideriamo indicare e raccomandare quelli che inseriscono nello schema consueto della celebrazione della parola di Dio alcuni elementi della corona della b. Vergine, quali la meditazione dei misteri e la ripetizione litanica della salutazione angelica.

Tali elementi acquistano così maggior risalto, essendo inquadrati nella lettura di testi biblici, illustrati con l'omelia, circondati da pause di silenzio, sottolineati con il canto ».6

2. La via crucis

Sebbene nella forma ancora largamente in uso ai nostri giorni la via crucis sia nata solo nel XVII sec., questo esercizio di pietà trova i suoi precedenti storici in pratiche devozionali che risalgono al XIII sec.

In quell'epoca, in cui la stessa drammatizzazione dei misteri di Cristo ( sacre rappresentazioni ) era in funzione di una contemplazione e di una catechesi, c'era già l'uso di esprimere la compartecipazione alla passione di Cristo facendo un percorso che in qualche modo riproducesse la via dolorosa.

In questa prassi l'imitazione prevaleva sulla meditazione, tuttavia la stessa imitazione sottendeva un ricco patrimonio di fede e di dottrina analogo a quello che animava la pratica dei pellegrinaggi.

Nel XIV sec. la necessità di aggiungere la meditazione al cammino rappresentativo era già avvertita, ma il gusto della drammatizzazione persisteva e la via crucis, che a volte contava fino a 47 stazioni, si svolgeva su percorsi diversi e adattati alle diverse possibilità di ricostruzione scenica della passione.

Queste prassi, pur attenendosi sostanzialmente ai racconti evangelici della passione, erano però largamente aperte a recepire tutte le leggende ( cadute, Veronica, ecc. ) fiorite attorno al tema della passione di Cristo.

Due secoli dopo, il carmelitano Jean Van Paesschen ci da, per la prima volta, la notizia di una via crucis in 14 stazioni, ma la testimonianza di una via crucis, dove le 14 stazioni si susseguono nell'ordine e con gli episodi da noi conosciuti, la si riscontra in Spagna solo nella prima metà del XVII sec.

Per ridare a questo "pio esercizio" quel giusto posto che gli spetta nella vita di pietà del popolo cristiano, sembra opportuno apportarvi alcune modifiche.

Ne ricordiamo tre in particolare.

Innanzi tutto occorre eliminare quegli elementi leggendari che possono favorire il sentimentalismo religioso ma che non sono ne necessari ne utili per edificare un'autentica pietà cristiana.

In secondo luogo, alle preghiere, più o meno retoriche e quasi sempre incapaci di mettere in risalto gli insegnamenti più profondi della passio Christi, bisognerà sostituire la lettura di brani biblici opportunamente scelti: la meditazione e la contemplazione ne trarrà maggiori benefici.

In terzo luogo, tenendo in più giusta considerazione l'inscindibile legame che intercorre tra la passione e la risurrezione di Cristo, occorrerà completare là via crucis con alcune stazioni che, sottolineando la vittoria di Gesù sulla sofferenza e la stessa morte, diano una visione più unitaria del mistero pasquale e, nello stesso tempo, un significato più completo a tutta la vicenda dell'esistenza umana redenta.7

3. Esercizi di pietà eucaristica

La pietà cristiana, che ha sempre visto nel sacramento dell'eucaristia il vertice della propria vita religiosa, ha creato attorno all'eucaristia numerosi esercizi di pietà.

Alcuni sono diventati delle vere celebrazioni liturgiche - come le processioni, la benedizione eucaristica, le ss. quarantore, le adorazioni solenni -, altri, invece, sono rimasti entro l'ambito della pietà personale - come le ore di adorazione, la visita al ss. Sacramento, ecc.

Ognuna di queste pratiche di pietà eucaristica ha una sua storia che può essere documentatamente ricostruita, ma a noi basta osservare che, nella stragrande maggioranza, hanno avuto un'unica matrice storico-culturale.

Si tratta della esigenza di proclamare la fede nella "transustanziazione" e, più precisamente, nella realtà della presenza di Cristo nell'eucaristia, messa in discussione prima dalla controversia berengariana ( sec. XI ) e poi dalla riforma ( sec. XVI ) [ v. Eucaristia II; III,2 ].

Senza attenuare i pregi di queste pratiche di pietà e la notevole importanza che hanno avuto nella formazione del popolo cristiano, vorremmo però sottolineare alcuni condizionamenti che sono derivati da quella matrice e che dovrebbero essere superati per dare maggiore autenticità ad alcune forme di pietà eucaristica.8

L'importanza di affermare la "presenza reale" è fuori discussione; resta però vero che nella misura in cui l'affermazione della presenza reale è diventata fine a se stessa ed ha lasciato cadere in ombra le ragioni di questa presenza e l'economia salvifica a cui corrisponde, gli esercizi di pietà eucaristica, oltre a sganciarsi più del dovuto dalla s. Messa fin quasi a sopraffarla, sono degenerati in una forma di trionfalismo eucaristico o in forme di pietismo distorto.

Il linguaggio di certa predicazione o di alcuni manuali di pietà ne costituisce la conferma: a volte si parla del Cristo eucaristico come del "Divin prigioniero" o dell' "Ospite solitario", mentre in altri casi si parla del Cristo che "troneggia" sugli altari o dei "trionfi" eucaristici che si realizzano nelle processioni.

Le intemperanze di questo linguaggio non dovrebbero preoccupare molto, se non rivelassero una certa mentalità e non favorissero una pietà malformata.

Le pratiche di pietà eucaristica non debbono essere espressione di una volontà di maggior vicinanza fisica a Cristo o del desiderio di farlo uscire da un presunto stato di abbandono e di isolamento.

Poiché Gesù Cristo è presente nell'eucaristia realmente ma in modo sacramentale, i nostri rapporti con lui non possono essere risolti in termini di maggiore o minore vicinanza fisica; d'altra parte ciò che deve essere proclamato è il trionfo dell'economia salvifica che ha portato Cristo a troneggiare nel servire.

La pietà eucaristica deve assumere le caratteristiche di un'attività sacramentale, cioè deve essere un segno efficace di un rapporto personale con Cristo e, più precisamente, di un rapporto salvifico in un contesto sacrificale ed ecclesiale.

Si tratta di fare di questi esercizi il momento in cui si assume l'impegno di trasferire nella vita vissuta l'economia salvifica da cui è nata l'eucaristia, cioè la logica della ( v. ) croce, dell'amore di donazione, del crescere mettendosi a servizio, dell'affermarsi donandosi.

Lo stesso dicasi delle funzioni solenni di pietà eucaristica: le processioni solenni e le adorazioni solenni non dovrebbero essere altro che il segno della nostra volontà di riconoscere che l'economia salvifica proclamata dall'eucaristia deve trovare applicazione non solo in noi stessi, ma anche nei nostri ambienti ( strade, piazze, posti di lavoro ) e in tutte le strutture della convivenza umana.

Insomma si tratta di sottoporre al giudizio salvifico del mistero eucaristico la nostra vita quotidiana e tutti i contesti di esistenza in cui può e deve essere data la testimonianza cristiana.

Esercizi spirituali

Sommario

I. Cenni storici: 1. Nella bibbia;
2. Prima di s. Ignazio;
3. La genesi degli ES ignaziani;
II. I contenuti:
1. Il fine degli ES;
2. Processo di purificazione e dimensione sacramentale;
3. Ricerca della propria identità e valori personali;
4. "In" e "con" Cristo per la vitalità del corpo mistico;
5. La vita nello Spirito: una gioia da comunicare.
III. Il metodo:
1. La concatenazione delle idee;
2. L'adattamento;
3. In attiva collaborazione
4. Unità di atmosfera.
IV. Gli attori degli ES:
1. Lo Spirito di Dio;
2. L'esercitante;
3. Colui che dà gli esercizi;
V. Elementi di sintonizzazione con il progetto del Padre:
1. Sentire e gustare;
2. L'esperienza delle risonanze interiori:
3. La ricerca dei segni dei tempi;
4. Le regole per sentire con la chiesa.
VI. Problematica attuale degli ES in Italia.
VII. Esperienze nuove:
1. ES ignaziani aggiornati;
2. Nuove forme di ES:
a. L'esperienza spirituale del "deserto",
b. I Cursillos de Cristianidad;
3. Il senso degli ES attuali.

L'espressione "esercizi spirituali" (ES) evoca idee e immagini per alcuni entusiasmanti, per altri noiose, forse tetre.9

Incontro personale con Dio, conoscenza "esperienziale" del Verbo incarnato, animazione e guida dello Spirito, ricerca e scoperta della propria identità in Dio… sono realtà vissute da chi ha avuto la fortuna di attendere a un corso di ES guidati e fatti con serietà e impegno.

I - Cenni storici

L'espressione ha fatto definitivamente fortuna con Ignazio di Loyola.

Anche prima, però, i credenti si "isolavano" per riflettere e pregare.10

1. Nella Bibbia

Nell'AT Abramo ( Gen 12,1 ), Mosè ( Es 3,1-6; Es 19,3-25 ), Elia ( 1 Re 19,1-8 ) sono stati chiamati da Dio per un incontro personale.11

Da sempre Dio è colui che « attira a sé e conduce nel deserto per parlare al cuore » ( Os 2,16 ).

Il richiamo del ( v. ) "deserto" come luogo di preghiera è presente anche nel NT, a partire dal Battista che venne raggiunto dalla parola di Dio durante la permanenza « nel deserto » ( Lc 3,2; Lc 1,8 ).

Gesù stesso dimostrò un'attrattiva per la solitudine.12

Particolarmente significativo il fatto che all'inizio della vita pubblica egli « fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo » ( Lc 4,1-2 ).

Fu uno dei momenti più intensi della sua vita: in quell'occasione l'uomo-Gesù accolse il progetto del Padre sul modo della redenzione.

Insomma: pregare è incontrarsi con Dio per conoscerne e accettarne la volontà di salvezza e i mezzi di cui servirsi.13

La primitiva comunità cristiana offre non poche esperienze di ES.

Particolarmente interessante quella dei primissimi cristiani: con Maria, madre di Gesù, essi « erano assidui e concordi nella preghiera » ( At 1,14 ).

Fu un'esperienza esaltante e privilegiata di… ES fatti per disporsi a ricevere lo Spirito santo, il "dono" che li avrebbe definitivamente segnati e lanciati.

Analoghe esperienze visse la comunità allargata ai neoconvertiti: « Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nella unione fraterna, nella frazione del pane e nella preghiera » ( At 2,42 ).14

Oltre all'assiduità e alla concordia nella preghiera abbiamo, dunque, l'ascolto della Parola e la frazione del pane, in un clima di fraterna carità.

2. Prima di s. Ignazio15

I monaci, fin dai primissimi secoli, si dedicarono ai vari "esercizi" di preghiera e di vita cristiana sia isolatamente negli eremi ( eremiti ) che comunitariamente nelle "laure" ( anacoreti ) e nei monasteri o cenobi ( cenobiti ).

S. Eutimie il grande ( + 473 ) per es., considerato il fondatore delle laure della Palestina, incoraggiò in modo particolare il "ritiro" durante la quaresima.16

Nel medioevo molti monasteri riservarono camere e anche "eremi" a coloro che volevano dedicarsi alla preghiera per un determinato periodo con lo scopo, per esempio, di ottenere una grazia speciale o di disporsi a ricevere un ufficio o un ministero.17

Dalla fine del sec. XIII al sec. XVI si verificò, soprattutto in Europa, una progressiva decadenza dello spirito cristiano e della pratica religiosa.

Per reagire al pericolo del laicismo e del naturalismo venne promossa la meditazione quotidiana metodica; anzi i grandi ordini religiosi costruirono "deserti" destinati alla preghiera e alla penitenza.

Fu in seguito a un ritiro fatto nella Certosa di Colonia che il fondatore della Devotio moderna, Gerardo Groote ( + 1384 ), si dedicò a questo movimento di rinnovamento religioso.

La sua spiritualità, divulgata soprattutto dal celeberrimo De imitatione Christi di Tommaso Hemerken da Kempis ( + 1471 ), è caratterizzata, sul piano dei contenuti, da una ardente devozione a Gesù e, sul piano del metodo, dagli esercizi riguardanti le diverse facoltà.18

È di questi tempi il De spiritualibus ascensionibus di Gerardo de Zutphen ( + 1398 ) e il Rosetum exercitiorum spiritualium di Mombaer o Mauburnus ( + 1494 ).

Altre opere di grandissima importanza furono l'Ejercitatorio di Garcia di Cisneros ( + 1510 ), e la Vita Christi di Ludolfo di Sassonia ( + 1377 ).

Grazie soprattutto a queste opere, l'espressione "esercizi spirituali" venne divulgata nell'Europa fino a diventare di uso comune.19

Gli ES hanno, dunque, non solo contenuti, ma anche precise tecniche e persino il nome specifico già prima di Ignazio di Loyola.

Che cosa, dunque, ha aggiunto il patrono degli ES?

3. La genesi degli ES Ignaziani

Ignazio, nato a Loyola nel 1491, « fino ai ventisei anni fu uomo dedito alle vanità del mondo ».20

La ferita riportata a Pamplona nel 1521 lo costrinse lungamente a letto.

In mancanza d'altro si rassegnò a leggere la Vita di Cristo del certosino Ludolfo di Sassonia e la Leggenda aurea del domenicano Giacomo da Varazze ( + 1298 ).

a. Le esperienze di Loyola

Gli esempi dei santi lo provocano, lo coinvolgono, gli fanno desiderare avventure del tutto diverse dalle precedenti.

Ma non si possono cancellare ventisei anni di vita con un semplice colpo di spugna.

Pensieri disparati e contrastanti si succedono ed egli si ritrova ora contento ed entusiasta, ora triste e ripiegato su se stesso.

In un primo momento non colse il significato di tali differenti stati d'animo.

« Un giorno gli si aprirono gli occhi un poco: cominciò a meravigliarsene, a ragionarvi su e, imparando dalla sua esperienza che alcuni pensieri lo lasciavano triste e altri allegro, a poco a poco, conobbe la diversità degli spiriti che lo agitavano; l'uno del demonio, l'altro di Dio ».21

Ignazio aveva scoperto uno degli elementi costitutivi più originali dei suoi ES.

Da Loyola a Montserrat, per una « confessione generale che durò tre giorni »,22 e a Manresa dove rimase dal 25 marzo 1522 al febbraio 1523.

b. Gli insegnamenti di Manresa

Dopo avere narrato numerose altre esperienze.23 che puntualmente codificherà nel libretto degli ES,24 Ignazio scrive: « Dio lo trattava allora come un maestro di scuola tratta un bimbo: gli insegnava »25 ed elenca cinque insegnamenti26 di cui il quinto assume per noi particolare significato.

Il penitente di Manresa si trovava sulle rive del Cardoner.

A un certo momento gli si aprirono « gli occhi dell'intelletto » e « capì e conobbe molte cose della vita spirituale, della fede e delle lettere, con tale luce che tutte le cose gli parevano nuove ».27

Fu in quell'occasione che imparò a meglio discernere gli spiriti;28 fu allora che « Dio gli concesse una profondissima conoscenza e un vivo sentimento dei misteri divini e della chiesa, gli comunicò gli Esercizi e gli mostrò nelle meditazioni del Regno e delle due Bandiere lo scopo della sua vita ».29

Insomma sulle rive del Cardoner « il suo intelletto fu talmente illuminato che egli sembrava un altro uomo e con un altro intelletto ».30

Gli ES, nella loro parte « sostanziale »,31 erano un fatto compiuto.32

Dopo essere stati sottoposti, spesso insieme al loro autore, a ripetuti esami in diverse città di Europa e, in particolare, ad Alcalà, Salamanca, Parigi, Venezia, Roma, furono definitivamente approvati da Paolo III il 31 luglio 1548 con il Breve Pastoralis Officii.33

II - I contenuti

Gli ES non hanno, ne possono avere, molto di originale dal punto di vista contenutistico.

Basti pensare che per tre quarti ( II, III e IV Settimana ) presentano la vita di Gesù.34

Ma è altrettanto vero che gli ES sono di un'originalità unica: sia perché Ignazio vi ha trasfuso le sue intuizioni e le sue esperienze, sia perché egli ha saputo collegare e amalgamare le differenti tappe e strutturare il tutto in maniera altamente unitaria e sistematica.

L'adattamento e la possibilità di mettere a fuoco gli elementi più centrali del messaggio cristiano sono altri tra i più originali pregi del metodo.

1. Il fine degli ES

Ignazio parla di quattro tappe ( ES 4 ), corrispondenti la prima alla via purgativa, la seconda a quella illuminativa, la terza e la quarta a quella unitiva ( ES 10 ).

All'inizio del libretto, nelle Annotazioni, abbiamo concise ma chiare indicazioni sul metodo e sulla natura degli ES: una serie di "attività spirituali" finalizzate ( ES 1 ).

L'esercitante ( E ) che, in attiva collaborazione, accetta di lasciarsi "pilotare" ( ovviamente e soprattutto dallo Spirito di Dio ), arriverà a « vincere se stesso e ordinare la propria vita senza lasciarsi determinare da alcun affetto disordinato » ( ES 21 ); attraverso una serie di esercizi,35 maturerà disposizioni di apertura e di accettazione del progetto che il Padre ha su di lui.

2. Processo di purificazione e dimensione sacramentale

La I Settimana ha principalmente lo scopo di "situare" l'È. nella storia della salvezza: qual è il suo rapporto con il Salvatore?

L'esperienza, così drasticamente descritta da Paolo ( Rm 7,14-25 ), ci persuade che, in ciascun uomo, forze disgregatrici portano a fare quello che non si vuole.

Prende cosi corpo, fino a imporsi in maniera ineluttabile man mano che si procede nella preghiera, la necessità di un Salvatore.

In realtà l'uomo chiamato ad aprirsi a Dio in libertà di spirito da quanto possa distrarlo da questo rapporto realizzante ( Principio e Fondamento: PF ), si ritrova, nella I Sett., paurosamente ripiegato su se stesso, tagliato da Dio, irrealizzato.

È l'esperienza - proposta da Ignazio come primo elemento di questo sconvolgente mosaico - degli angeli che si ribellano a Dio, di Adamo e di Èva, di un peccatore qualunque, dell'E. stesso.

Il terzo esercizio esamina, in maniera più diretta, le cause del peccato: nella preghiera, che diventa sempre più insistente, si chiede di conoscere i peccati, il disordine e il mondo e la grazia di aborrirli e di riequilibrarsi.

Si arriva così a verificare le condizioni migliori per accedere ai sacramenti della penitenza e dell'eucaristia: è la dimensione sacramentale verso cui, come viene chiaramente indicato fin dall'inizio della tappa ( ES 44; cf ES 18; ES 20 e ES 354 ), tutto deve convergere.

La I Sett. si conclude con una visione escatologica che se, da una parte, è particolarmente shockante, dall'altra ( ed è lo scopo da raggiungere ) apre, in maniera definitiva, a Cristo Salvatore.

La meditazione dell'inferno, infatti, aiuta non solo « a non cadere in peccato », qualora « per le mie colpe, mi dimenticassi dell'amore dell'eterno Signore » ( ES 65 c ), ma anche e soprattutto a fissare bene nella memoria e nel cuore che « Cristo nostro Signore […] non mi ha lasciato cadere » nell'inferno « mettendo fine alla mia vita » ( ES 71c ).

La conclusione: ringraziare Gesù « perché finora ha sempre avuto con me tanta pietà e misericordia » ( ES 71c ).

A questo punto si dovrebbe essere veramente pronti a battere definitivamente la strada della meravigliosa avventura cristiana.

3. Ricerca della propria identità e valori personali

La II Sett., dopo avere opportunamente sollecitato alla prontezza, alla diligenza e alla dedizione incondizionata ( ES 91-94 ), prospetta all'E., in visione sintetica, il progetto di Gesù: salvare il mondo seguendo lui.

La visione apostolica assume significato e ampiezza con le contemplazioni dell'Incarnazione, della Natività, della vita nascosta.

Con Gesù che s'incarna e vive secondo scelte ben definite e provocanti, l'E. può operare le sue opzioni, individuare il suo posto nel corpo mistico di Cristo, scoprire la sua identità.

Il processo di purificazione e di affinamento, iniziato con il PF, tenuto particolarmente presente durante la I Sett., continua adesso, alla luce smagliante degli esempi del Salvatore; a poco a poco, per via di assimilazione vitale, grazie all'azione dello Spirito, l'È. può fare sue le scelte di Gesù.

La trilogia della II Sett. ( Vessilli, Binari, Tre modi ) presenta, in modo definitivo e inequivocabile, la Via ( At 19,9 ).

La conoscenza non solo dei peccati e delle debolezze, ma anche delle tendenze e delle aspirazioni, l'esperienza delle consolazioni, delle desolazioni e del discernimento, la costante attenzione a mantenersi nell'equilibrio e, soprattutto, a lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio, costituiscono le condizioni ideali per vedere e valutare ( Lc 14,28ss ), per cercare e trovare la volontà divina.

Da quanto finora detto si può facilmente arguire che l'istanza personalistica ben s'integra con quella comunitaria.

Anche nella visione ignaziana Dio fa "cenno" al singolo, ma per inserirlo nel "corpo", per fargli prendere coscienza che è membro di popolo.

Tutto, fin dall'inizio degli ES, porta ad accettare e a vivere secondo la vocazione personale: non solo per realizzare se stesso, ma anche per contribuire al bene dei fratelli.

L'E. di Ignazio si scopre creato, quindi dotato di particolari capacità; redento, quindi riabilitato e chiamato a dare un suo contributo personale per la promozione umana integrale; animato dallo Spirito, quindi dotato anche di particolari carismi che lo rendono adatto e pronto ad espletare il compito cui la Provvidenza lo ha destinato ( LG 12 ).

In altri termini: se è vero che Dio lo chiama, è altrettanto vero che l'uomo è dotato di un patrimonio personale in ordine a una missione di liberazione e di salvezza.

Sono elementi che gli ES ben condotti fanno emergere e maturare.

Ma come, in concreto, attendere e vivere secondo la propria missione?

4. "In" e "Con" Cristo per la vitalità del Corpo Mistico

Man mano che la vita di Gesù si snoda sotto gli occhi attenti dell'E., il quadro entro cui impegnarsi assume sempre più chiari e definiti contorni: si vive tanto più intensamente quanto più ci si da a Dio, e ai fratelli, nello stato voluto da Dio, alle condizioni volute da Dio, sotto la guida dello Spirito di Dio, « ben radicati e fondati » in Gesù ( Col 2,7 ).

Gesù, considerato durante la I Sett. come restauratore dell'immagine del Padre, contemplato nella II come il modello cui ispirarsi per realizzare nel migliore dei modi il disegno del Padre, dovrà essere assimilato, in atto di permanente e profonda "simpatia", durante la III Sett., al punto che l'E. deve potere affermare con s. Paolo: « Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me » ( Gal 2,20 ).

Perciò chiederà « dolore con Cristo addolorato, schianto con Cristo affranto, lacrime, pena interna per tanta pena che Cristo ha sofferto per me » ( ES 203 ).

È la settimana dell'eucaristia e, quindi, dell'unione più intima che si possa concepire.

È il tempo della riflessione sulle grandi rivelazioni dell'Amore: « Io sono nel Padre e voi in me e io in voi » ( Gv 14,20 ); « perché tutti siano una cosa sola » ( Gv 17,21 ); « Rimanete in me e io in voi » ( Gv 15,4 ).

Ed è anche il tempo della comprensione del mistero della ( v. ) croce come mezzo privilegiato scelto da Dio, per la redenzione del mondo.

In ogni contemplazione ( ES 204 ) l'E, oltre a « considerare come [Gesù] soffre tutto questo per i miei peccati, ecc. » ( ES 197 ), deve anche chiedersi « che cosa devo io fare e patire per lui » ( ibid. ).

Deve, cioè, vedere come espletare la missione cui è chiamato a bene del corpo mistico.

A contatto, anzi in unione intima con Gesù che "libera" e "promuove" soffrendo e morendo, deve anche egli « fare e patire » qualche cosa: deve adottare le finalità e anche lo stile e i mezzi di Gesù; deve, alla luce di un preciso insegnamento della s. scrittura e di s. Paolo in particolare, accettare di completare nella sua carne « quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa » ( Col 1,24 ); deve per es. accettare l'eventuale invito a "condividere" la vita degli emarginati.

5. La vita nello Spirito: una gioia da comunicare

La IV Sett. è destinata alla contemplazione di Gesù risorto.

Ignazio vuole che l'E. chieda la grazia di rallegrarsi « e gioire intensamente di tanta gioia e gloria di Cristo nostro Signore » ( ES 221 ).

Per aiutare a raggiungere lo scopo suggerisce di portare l'attenzione sulle manifestazioni della divinità ( ES 223 ); di cercare, fin dal primo momento della giornata, di commuoversi e rallegrarsi « per tanta gioia e letizia di Cristo nostro Signore » ( ES 229 ), di ricordare e pensare « cose che causano piacere, allegria è gioia spirituale » ( ibid. ).

In fondo, si tratta di dare alla propria vita un sapore nuovo, proprio di coloro che si lasciano animare e condurre dallo Spirito.

Siamo alla fine dell'itinerario ed è il tempo dei frutti dello Spirito.

A contatto con il corpo risorto di Gesù, e nella misura in cui si approfondisce la considerazione dei « veri e santissimi effetti » della risurrezione ( ES 223 ), non si può non partecipare alla sua gioia.

Egli ha perfettamente adempiuto la sua missione: ha posto le condizioni per l'effusione dello Spirito promesso; e lo Spirito, una volta preso possesso dei nostri cuori, attesta « che siamo figli di Dio » ( Rm 8,15-16 ).

Anche questi, soprattutto questi, sono « veri e santissimi effetti » della risurrezione.

Abitato dallo Spirito, dotato di doni e di carismi particolari, l'E. della IV Sett. non può non "dire" la sua gioia di essere e di sentirsi salvato, non può non gustare l'onore di sapersi associato all'opera della salvezza; non può non "darsi" - anche per motivi di imitazione e di assimilazione al Risorto che esercita « l'ufficio di consolatore » ( ES 224 ) - all'edificazione del corpo mistico, nella gioia e nell'entusiasmo.

Nella maturità, che è frutto di azione divina, recepita in pienezza di docilità e di amorosa attenzione, egli sentirà l'esigenza di cuore - siamo alla contemplazione finale proposta da Ignazio - di incontrarsi con il Signore che colma di ogni sorta di doni e che da anche se stesso ( ES 234 ) di presenza ( ES 235 ) e lavorando ( ES 236 ); vedrà in ogni cosa, in ogni avvenimento, in ogni uomo, le tracce dell'Amore e, quindi, adorerà, loderà, ringrazierà ( ES 237 ).

Nel desiderio, sempre più vivamente percepito di essere "con" e "in" Dio - ma sempre nell'attenzione a una necessaria e permanente purificazione ( ES 238-248 ) - avrà sempre più dinanzi agli occhi il Padre, il Figlio, lo Spirito, la Madonna…, si sentirà loro « familiare » ( ES 249-257 ), li avrà nel cuore e sulle labbra ( ES 258-260 ).

Ma non in modo romantico e alienante, perché sa che « l'amore si deve porre più nelle opere che nelle parole…» ( ES 230-231 ). [ v. Volontà del Padre III,2,c ].

III - Il metodo

Accenniamo solo ad alcuni degli elementi che costituiscono la forza del metodo ignaziano rendendolo quanto mai attuale e valido.

1. La concatenazione delle idee

Quanto già detto sui contenuti dovrebbe aver fatto capire che uno dei segreti del metodo è da ricercarsi nella concatenazione delle idee all'interno dei singoli esercizi, tra un esercizio e l'altro, tra le varie tappe.

A parte il saggio che ne abbiamo fin dall'inizio, nel PF, a parte il fatto che l'E., riflettendo su questa meravigliosa pagina, viene praticamente iniziato a tale rigore logico, abbiamo anche esplicite affermazioni.

Diamo solo un esempio: non si può passare alla tappa seguente se prima non si sono colti i frutti della precedente, precisamente perché la seconda si radica e sviluppa la prima ( ES 4 b; ES 162; ES 209; ES 226 ).

2. L'adattamento

Questo dice pure la necessità della fedeltà sia a Dio che all'uomo.

Non tutti siamo fatti alla stessa maniera.

Non solo da un punto di vista di doti naturali, di capacità, di volontà d'impegno ( ES 4 b; ES 14; ES 18 ); c'è anche una "misura" di grazia che Dio, nella sua imperscrutabile sapienza e bontà infinita, conferisce a ciascuno come a lui piace.

Perciò chi da gli ES deve proporre quelle verità che sono « convenienti e conformi alle esigenze » concrete dell'E. ( ES 17 ).

Da cui l'aureo principio: « Gli esercizi spirituali si devono adattare alle disposizioni delle persone che vogliono farli » ( ES 18 ).36

3. In attiva collaborazione

Ignazio sollecita a impegnarsi e a collaborare con la grazia di Dio.

Il principio è talmente chiaro e ribadito che non pochi hanno accusato il nostro autore di volontarismo.

In realtà alcune sue espressioni, soprattutto se avulse dal contesto, prestano il fianco a un'accusa del genere.37

Per risolvere questa difficoltà è necessario "capire" la piccola frase che introduce la domanda della grazia propria di ciascun esercizio, che viene ripetuta, con una pedanteria unica, dalla prima ( ES 48 ) all'ultima ( ES 221 ) meditazione o contemplazione: « chiedere quello che voglio », oppure « chiedere la grazia che desidero » ( ES 91 c ) o, nella forma più completa: « chiedere a Dio nostro Signore quello che voglio e desidero » ( ES 48 ).

Ignazio, in altre parole, è convinto che tutto è dono di Dio, che nessun frutto può maturare se Dio non lo concede.

Perciò, nei momenti più importanti degli ES, egli invita ad insistere nella preghiera, interponendo anche la mediazione di Gesù e della Madonna ( ES 63 e ES 147 ).

Questo, però, non significa passività e quietismo.

L'esperienza degli ES del Mese è solo per persone mature, capaci, cioè, di impegno e di collaborazione, che chiedono quello che vogliono e desiderano, ma che anche vogliono e desiderano quello che chiedono, che fanno tutto quanto è in loro, ed è loro richiesto, per aprirsi alla grazia.

Il Dio che presenta Ignazio è un Dio che rispetta la libertà e le concrete capacità umane: a lui ci si rivolge non solo per chiedere di « voler muovere la mia volontà e mettermi nell'anima quello che devo fare circa la cosa proposta » ( ES 180 ), ma anche per dire: « Eterno Signore di tutte le cose, io col tuo favore e aiuto faccio la mia offerta […]; voglio e desidero ed è mia determinata decisione… » ( ES 98 ); non solo per offrire l'elezione, fatta dopo avere « pensato e ragionato sotto ogni aspetto sopra la cosa proposta » ( ES 182 ), ma anche per chiedergli di « riceverla e confermarla, se è di suo maggior servizio e lode » ( ES 183 ).

4. Unità do atmosfera

Durante gli ES bisogna separarsi « da tutti gli amici e conoscenti e da ogni preoccupazione terrena » ( ES 20 ) per andare ad abitare in « un'altra casa o camera, per dimorarvi il più segretamente possibile » ( ibid. ).

Oltre all'isolamento si richiede anche e soprattutto il raccoglimento.

Anzi è precisamente per questo che si sceglie quello: ci si apparta per concentrare « tutta l'attenzione in una sola cosa » e, quindi, esercitare più liberamente le facoltà naturali ( ibid. ) ».38

Ciò posto, sempre con l'aiuto di Dio, si dovrà badare non tanto a "conoscere" quanto a "capire", perché « non l'abbondante sapere sazia e soddisfa l'anima, ma il sentire e gustare le cose interiormente » ( ES 2 ); perciò, trovato il « punto » su cui riflettere e pregare, « lì mi riposerò, senza ansia di passare oltre, finché mi soddisfi » ( ES 76 ).

È anche grazie a questo modo di procedere, a questa fedeltà all'uomo e, cioè, ai suoi processi di assimilazione e di maturazione, che il discepolo di Ignazio potrà veramente maturare disposizioni che lo rendono attento e dato al servizio e alla maggiore gloria di Dio.

IV - Gli attori degli esercizi

I veri protagonisti degli ES ignaziani sono lo Spirito di Dio e l'E.

In linea generale chi li da deve svolgere solo un compito di iniziazione e di discreta assistenza.

1. Lo Spirito di Dio

Chi, al contrario, deve dominare il campo, dall'inizio alla fine, e per tutta la vita ( e in maniera cosciente, una volta che si è fatta l'esperienza degli ES ) è lo Spirito santo.39

Gli ES in realtà hanno, innanzi tutto, lo scopo di mettere l'E. in sintonia con lo Spirito di Dio, per conoscerne la volontà realizzatrice e, quindi, impostare la vita secondo il progetto paterno.

In ogni fase degli ES, e fin dall'inizio, bisogna creare le condizioni richieste perché l'E. sia « illuminato dalla divina virtù » ( ES 2 ), perché il creatore possa comunicarsi e agire « direttamente con la creatura » ( ES 15 ), muovere la volontà e mettere nell'anima quello che bisogna scegliere ( ES 180 ).

2. L'esercitante

Molti elementi che lo riguardano sono già stati sottolineati.

Qui ricordiamo il suggerimento di iniziare gli ES « con cuore aperto e con generosità », offrendo se stesso e le proprie cose al Signore ( ES 5 ), emettendo cioè quell'atto di fede per cui « l'uomo si abbandona a Dio tutt'intero liberamente » ( DV 5 ).

Nel corso degli ES l'E. dovrà individuare tutte e singole le parti della vocazione cristiana, cogliere i contenuti della volontà paterna, scegliere, in libertà da tutto ciò che non è Dio e in pienezza di apertura a lui.

In fondo tutto si riduce a questo: avere capacità di riflessione e di decisioni ponderate, impegnarsi sinceramente per fare l'esperienza proposta da Ignazio, "volere" seguire il Signore.

Insomma gli ES suppongono una certa maturità sia umana che cristiana.

Giustamente, nel n. 649 delle Costituzioni della Compagnia, Ignazio scrive: « Generalmente, non si daranno se non gli Esercizi della prima Settimana; e se si danno interi, lo si farà con persone scelte o con chi desidera prendere una decisione intorno allo stato della propria vita ».

3. Colui che dà gli esercizi

Deve, innanzi tutto, ricordare che occupa un posto di secondo piano rispetto allo Spirito di Dio; perciò, soprattutto in alcune circostanze, deve semplicemente scomparire ( ES 15 ).

Il suo, comunque, è un compito di discreta e paterna presenza.

Oltre a dare i « punti », deve adattare, sostenere, incoraggiare, vigilare perché l'E. non formuli propositi avventati, non sia indiscreto nella scelta dei mezzi, non si esaurisca…

Soprattutto deve aiutare a discernere gli spiriti.

È quanto risulterà anche dal paragrafo che segue.

V - Elementi di sintonizzazione con il progetto del Padre

Lo Spirito, che ci abita, insegna, ricorda, guida.

L'uomo, però, generalmente parlando, non procede per via di intuizioni.

Conoscere, capire, desiderare, volere, agire, sono attività che richiedono tempo, che comportano, a volte, lunghi processi di assimilazione, maturazione, decisione.

1. Sentire e gustare

Anche per questo Ignazio vuole che si « senta » e si « gusti » ( ES 2 ), che ci si soffermi solo su una parte di una verità, che si ritorni, con costanza e perseveranza, quotidianamente e a più riprese, su quanto si è precedentemente poco o molto gustato.

Le ripetizioni, i riassunti, le applicazioni dei sensi, sono abituali negli ES, dal primo al trentesimo giorno.

Di più: alla fine di ogni meditazione o contemplazione bisogna riflettere per vedere « come mi è andata » ( ES 77 ) e, due volte al giorno, esaminarsi per fare ulteriore opera di puntualizzazione sulle mozioni di Dio.

In questo clima, saturo di grazia divina e di impegno umano, si attenderà, a suo tempo, a cercare e trovare la volontà di Dio.

Ignazio ne parla dal n. 175 al n. 189, descrivendone i tempi: il primo si ha quando Dio « chiama » in maniera del tutto chiara e inequivocabile ( ES 175 ); il secondo quando ci si serve delle esperienze delle consolazioni, delle desolazioni, del ( v. ) discernimento ( ES 176 ); il terzo quando si scopre la divina volontà "ragionando".

Diremo brevemente dei due ultimi.

2. L'esperienza delle risonanze interiori

Fin dalla prima giornata degli ES si è invitati a notare e a soffermarsi su quei punti in cui si è provata « maggiore consolazione o desolazione o maggior sentimento spirituale » ( ES 62 ).

Ci sono, insomma, risonanze intime e profonde in noi che Ignazio, fedele alla più sicura tradizione, chiama consolazioni e desolazioni.

All'origine di tali "sentimenti" ci sono gli "spiriti": quello buono agisce per la nostra realizzazione, quello cattivo per la nostra alienazione e dispersione ( ES 318 ).

Frutto dell'azione dell'uno è quanto apre all'amore e alla gioia ( consolazione ); quanto, al contrario, ripiega e chiude in se stessi ( desolazione ) è il frutto bacato del « nemico dell'umana natura » ( ES 325 ).

Di conseguenza il desiderio di scegliere o la scelta stessa, una volta operata, che produce consolazioni, è da Dio. E tanto basti.

3. La ricerca dei ( v. ) segni dei tempi

E quando le risonanze interiori non sono presenti in maniera chiara e distinta?

In questo caso l'E. è invitato a procedere a un lavoro di attenta investigazione su tutto quanto possa aiutare a scegliere quello che "sentirà" essere di maggior gloria di Dio ( ES 179 ).

Si tratta, a nostro avviso, di cercare, scoprire e interpretare i segni dei tempi, pensando e ragionando « sotto ogni aspetto sopra la cosa proposta » ( ES 182 ); di « scorgere negli avvenimenti […] quali siano le esigenze naturali e la volontà di Dio » ( PO 6 ); di esaminare « quei segni di cui si serve ogni giorno il Signore per fare capire la sua volontà ai cristiani prudenti » ( PO 11 ), di « cercare in ogni avvenimento la sua volontà » ( AA 4 ).

4. Le regole per sentire con la Chiesa

Va da sé che in questo lavoro di ricerca, a volte complesso, è necessario lasciarsi aiutare ( condizione per non vagare nel buio ) e "ascoltare" coloro a cui il Signore ha dato il compito di guidarci: « è necessario che tutte le cose delle quali vogliamo fare elezione […] s'inquadrino entro i limiti della santa Madre Chiesa gerarchica » ( ES 170 ); bisogna « tenere l'animo apparecchiato e pronto a obbedire in tutto alla vera sposa di Cristo nostro Signore, che è la nostra santa Madre Chiesa gerarchica » ( ES 353 ).

Insomma il pensiero di Ignazio, solidamente fondato anche in questo punto sulla scrittura, combacia con quanto insegna la chiesa a proposito della genuinità e dell'uso dei carismi: « Il giudizio sulla loro genuinità e ordinato uso appartiene all'autorità ecclesiastica alla quale spetta soprattutto di non estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono » ( LG 12 ).

VI - Problematica attuale degli esercizi in Italia

L'esigenza di raccogliersi e di isolarsi per alcuni giorni, per ritrovare se stessi e dedicarsi a un dialogo restauratore con il Signore è vivamente sentita anche ai nostri giorni.

E non soltanto dai religiosi e dai sacerdoti.

Basti pensare alla fioritura di gruppi di preghiera, alle forme organizzate di ( v. ) neocatecumenato, ai gruppi di Rinnovamento nello Spirito [ v. Carismatici ].

L'opuscolo Tempi detto Spirito40 elenca ben 382 Case di ES.

Senza contare le settimane di studio e di preghiera organizzate dalle diocesi o dai religiosi,41 ricordiamo che la FIES ( Federazione Italiana ES ), durante i suoi quattordici anni di attività,42 ha organizzato sette Assemblee generali.

I temi in esse dibattuti danno una chiara idea della problematica attuale degli ES in Italia: «Gli Esercizi spirituali di tre giorni per laici », « Gli Esercizi degli adolescenti e delle adolescenti », « Gli Esercizi di orientamento », « La preghiera negli Esercizi », « L'ascolto della parola di Dio negli Esercizi spirituali », « Conversione e riconciliazione », « Esercizi spirituali: incontro personale dell'uomo d'oggi con Cristo ».

Il tema degli ES occupa un posto di rilievo nella stampa anche periodica;43 le iniziative, sia a livello diocesano che regionale e nazionale, si moltiplicano.44

Si è d'accordo che gli ES sono validi e attuali,45 ma il discorso sul metodo per una loro più efficace incidenza diventa sempre più vivo e sentito.

Sotto questo profilo importanza rilevante assumono le esperienze di Spello, Bose, Cuneo; i Cursillos, i Corsi di cristianità [ sotto, VII, 2,b ], ecc.

La gerarchia ecclesiastica, pur continuando ad assegnare agli ES, soprattutto ignaziani, un posto di primo piano, ha ripetutamente sollecitato un loro aggiornamento.

Paolo VI per es. ha ammonito di guardarsi da « una ripetizione formalistica, e direi, pigra » dello schema ignaziano e ha auspicato la « rielaborazione degli Esercizi ».46

Convegni e stampa hanno dato un loro sostanziale contributo, ma sono le esperienze, organizzate da competenti e dirette a persone "disposte", che possono adeguatamente rispondere all'interrogativo sulla loro validità e attualità e sul loro necessario aggiornamento.

Gli ES ignaziani, in modo particolare, sono stati pensati e scritti per essere "fatti", non per essere discussi: sono oggetto di esperienza più che di dotti studi e di raffinate disquisizioni.

Certo, « chi propone a un altro il modo e l'ordine di meditare o contemplare » ( ES 2 ) deve vivere e sentire i problemi del tempo, conoscere la teologia, l'antropologia, la metodologia e secondo i contributi degli autori più aggiornati; deve adottare le conclusioni certe degli autori più qualificati; deve capire e seguire gli insegnamenti e le direttive della gerarchia ecclesiastica; ma, soprattutto, deve aiutare l'E. a cogliere « il vero fondamento della storia » ( ES 2 ) e a lanciarsi nell'avventura, nella docilità allo Spirito che rinnova la faccia della terra, che cambia il cuore di pietra in cuore di carne, che apre orizzonti insospettati, che abilita e « rende adatti e pronti ad assumersi varie opere e uffici utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della chiesa » ( LG 12 ).

Per ottenere questi scopi ci si può certamente servire di varie forme e metodi di preghiera; ma - se è vero come è vero che tali temi rientrano a tutto diritto nello schema ignaziano - dobbiamo tenere presente anche oggi « la classica struttura degli Esercizi ignaziani, così valida e provvidenziale nel suo clima di riflessione e di profondo silenzio ».47

Purché si sappia « vedere la profondità di dottrina che [il metodo] contiene, la ricchezza spirituale di cui è sorgente, l'applicabilità enorme che esso apre davanti ».48

Gli ES sono un carisma anche per la chiesa di oggi?

Preferiamo la forma interrogativa per lasciare al lettore la libertà di una sua conclusione.

Per quanto ci riguarda non possiamo dare che una convinta risposta positiva.

Ma a condizione che, sia nel dare che nel fare gli ES, si seguano almeno le indicazioni essenziali date da Ignazio.

In concreto:

a. chi li dà deve conoscerli per esperienza personale e avere quelle capacità richieste a un « educatore nella fede»; deve, soprattutto, sapere adattare;

b. chi li riceve, oltre al desiderio esplicito di farli, deve essere umanamente maturo e avere concrete possibilità per una più piena e autentica maturità cristiana;

c. sia chi li dà che chi li riceve devono sapere dare spazio al principale protagonista degli ES: lo Spirito santo.

Per quanto riguarda il fine specifico degli ES non possono esserci dubbi: conoscere e attuare il progetto del Padre è un fatto che tocca esistenzialmente tutti gli uomini di qualunque tempo.

Quanto al metodo: in Ignazio niente è rigido e predeterminato; tutto deve essere adattato alla reale situazione dell'E., alle sue disposizioni, al fine che si propone ( ES 18 ).

La tematica, infine, è, come abbiamo visto, desunta dalla scrittura e, in particolare, dal vangelo: è la persona di Gesù che costituisce il soggetto quasi unico, certo predominante, di tutti gli ES.

La tensione verso una libertà realizzante ( PF ), la metànoia ( I Sett. ), l'individuazione delle istanze più profonde e vitali del proprio essere ( la personale ( v. ) vocazione ), la scoperta dei carismi e la volontà di inserirsi nella società per prestare il proprio contributo per la crescita del corpo mistico ( II Sett. ), il desiderio di essere "uno" con Cristo, sia nel dolore che nella gioia ( III e IV Sett. ), sono i temi di fondo degli ES e sono pure i grandi temi della teologia spirituale anche dei nostri giorni.

VII - Esperienze nuove

1. ES Ignaziani aggiornati

Se gli ES sono un'esperienza ecclesiale in divenire entro la storia salvifica, bisogna riconoscere che s. Ignazio vi ha recato un'indicazione veramente fondamentale, che non può essere dimenticata.

Questo non significa che gli ES ignaziani non debbano essere ripensati e aggiornati periodicamente.

Paolo VI ha invitato alla « rielaborazione degli esercizi » ignaziani,49 soprattutto cercando di « adeguare la loro ricchezza alla terminologia del Vat II ».50

All'interno dei rinnovamenti è doveroso saper cogliere il messaggio essenziale costante degli ES ignaziani, così da non smarrire il loro prezioso messaggio.

La FIES così li descrive: « Gli esercizi sono un'esperienza forte di Dio, in un clima di ascolto - e di interiorizzazione - della Parola di Dio in ordine a una conversione ( metànoia ) che è, insieme, donazione sempre più totale a Cristo e alla chiesa nelle circostanze concrete e attuali ».51

Appaiono valori irrinunciabili: l'ascolto meditato della parola di Dio, offerta sotto forma di lettura, di meditazione o di conferenza; ricerca di conversione evangelica ed ecclesiale, testimoniata all'interno della propria vita; proposta di un'iniziale esperienza di comunione unitaria caritativa fra gli E.

Questo nucleo permanente viene introdotto in ulteriori integrazioni svariate.

Per lo più sono apporti che rinnovano solo un aspetto esteriore degli ES ignaziani.

Così, ad es., l'esigere che gli ES siano scelti per iniziativa dei partecipanti, non sotto prescrizione canonica e consuetudinaria; siano condotti da una équipe Unitaria d'operatori ( annunciatore della parola, animatore liturgico, direttore del regolamento esteriore, ecc. ); siano abolite talune pratiche di pietà in comune ( litanie dei santi, rosario, via crucis, visita al ss. Sacramento prima del pranzo ); siano ridotte le prediche e sia offerta la possibilità di alcuni momenti di conversazione per una comunicazione fraterna ( dopo pranzo e dopo cena ); sia favorita la contemplazione mediante l'uso dell'immagine ( diapositive ) con sottofondo musicale.

Altri suggerimenti interessano più intimamente lo svolgimento degli ES.

A modo d'es. si possono ricordare: gruppo limitato di partecipanti per favorire un contatto intimo coi singoli; maggior spazio lasciato al raccoglimento, alla preghiera personale, alla meditazione intima della parola di Dio, alla liturgia delle ore; istruzioni integrate da circoli di studio; celebrazioni comunitarie soprattutto della penitenza e dell'eucaristia ( concelebrazione ).

2. Nuove forme di ES

Il tempo ecclesiale presente si caratterizza anche per una ricchezza variata di forme e pratiche di ES al di fuori dello schema ignaziano.

A riguardo di questa esperienza ecclesiale, taluni vi lamentano un gusto esasperato di voler apparire nuovi; altri deprecano che vi si smarrisca il senso autentico degli ES; altri vi leggono un'adesione allo Spirito e ai suoi doni o una lodevole adattabilità della comunità ecclesiale alle molteplici esigenze spirituali delle anime.

Sembra che le nuove forme innovative testimonino, oltre la diffusa aspirazione a un'autentica vita cristiana, la validità perenne degli ES stessi come mezzo efficace alla conversione.

Le nuove proposte di ES si orientano in diverse direzioni.

Gli uni preferiscono ES ininterrotti di varie settimane, attuati mentre si continua nel proprio lavoro quotidiano, tenendosi raccolti su un tema giornaliero indicato da una guida spirituale, destinando un determinato tempo alla preghiera.

In una maniera opposta, altri fanno gli ES dimorando nella foresteria di monasteri di clausura e partecipando all'orazione monastica comunitaria.

In favore di adolescenti e di giovani si preferisce un corso estivo di orientamento in cui vengano approfondite le motivazioni di fede nel rapporto personale col Cristo, si risvegli il senso di appartenenza e di partecipazione alla comunità ecclesiale, si offra un'esperienza di preghiera, si instauri una comunione fraterna di amicizie caritative, si impegni al lavoro manuale per scoprire le proprie attitudini vocazionali.

A titolo esemplificativo meritano di essere ricordate due esperienze odierne, che testimoniano non solo l'originalità ma anche il profondo senso cristiano ecclesiale di questi nuovi ES.

a. L'esperienza spirituale del ( v. ) "deserto"

È attuabile nello spazio di diversi giorni ( uno, tre, una settimana, quaranta giorni ).

È un ritorno all'esperienza benedettina del « prega e lavora », rivissuta nella spiritualità di Carlo de Foucauld: la persona, che ha un corpo stanco per il lavoro, sente di offrirsi con totalità a Dio nella propria povertà.

Un responsabile organizza la giornata su tre componenti fondamentali: meditazione continuata su un tema colto dalla parola di Dio; un lavoro manuale intenso fino a stancare fisicamente; qualche ora di preghiera per lo più innanzi al Santissimo esposto.

Oppure meditando sul tema indicato, si cammina tutta la giornata, prendendo con sé la bibbia e il pasto frugale.

Nell'esperienza spirituale del "deserto" gli E. tralasciano tutti i conforti di vita; si mettono in ascolto di Dio al contatto della natura accolta nella sua schietta semplicità; fanno un incontro autentico con Dio nello Spirito di Cristo al di fuori di ogni schema strutturalmente prestabilito, per sentirsi disponibili a una rinnovata vita evangelica; si sentono profondamente affratellati con altri che ricercano solo Iddio in Cristo.

b. I Cursillos de Cristianidad

Una seconda forma innovativa è offerta dai Cursillos di cristianità ( CdC ).

Si va prendendo sempre più coscienza come la fede possa essere ridotta a puro fatto sociologico, a una pratica rituale, a una forma d'organizzazione religiosa.

I CdC si offrono per maturare negli animi cristiani il primato dell'evangelizzazione, per coscientizzarli sul senso del proprio stato battesimale, per rendere la fede vissuta qual fermento dell'intera propria esistenza personale e di ogni ambiente.

L'evangelizzazione kerigmatica nei CdC avviene attraverso tre fasi: preevangelizzazione ( precursillo ), annuncio vero e proprio ( cursillo ) e maturazione cristiana nella chiesa in vista della testimonianza nel mondo ( postcursillo ).

Il precursillo si presenta fattibile in un gruppo, quando questo si riunisce fiducioso in servizio verso gli altri; quando si interroga sul senso da dare alla propria missione sociale e come attuarla da credenti inseriti in Cristo.

Nel cursillo i partecipanti si raccolgono per tre giorni in preghiera e meditazione sulla parola di Dio: sono giorni di ricerca del Signore, di esperienza nella comunione dei santi, di chiesa donata in salvezza dei fratelli, di evangelizzazione kerigmatica impostata in senso catecumenale, di pratica di un itinerario battesimale.

Con l'aiuto dei cursillos l'anima si lascia introdurre dallo Spirito nel mistero pasquale del Cristo, per partecipare alla sua vita divina caritativa ed esprimersi vitalmente nella comunità ecclesiale.

Nel postcursillo i corsisti ricevono un inserimento più organico nella chiesa con approfondito impegno di testimonianza.

Essi appaiono ormai degli evangelizzati, abilitati ad esprimersi come evangelizzatori.

Uniti fra loro i corsisti formano piccoli gruppi di animazione evangelica nei vari ambienti della società.

I CdC sono un'evangelizzazione battesimale moderna « ormai comprovata dall'esperienza, accreditata dai suoi frutti, che percorre oggi, con tessera di cittadinanza, le strade del mondo ».52

3. Il senso degli ES attuali

Soggiacenti agli ES odierni stanno talune impostazioni spirituali, tipiche dell'epoca ecclesiale attuale, che vengono riprese con grande libertà creativa nelle singole forme concrete di ES.

In passato gli ES offrivano una riflessione sistematica sull'impegno personale religioso morale; oggi invitano l'E. a prendere coscienza della propria identità cristiana.

Se ieri immaginavano il partecipante che si interrogava: « Che cosa debbo fare? », oggi ritengono che egli debba chiedersi: « Chi sono io? ».

Gli ES sono preoccupati non tanto di offrire consegne operative, quanto di precisare l'essere antropologico cristiano di fondo.

Intendono rendere cosciente l'E. nell'impegno evangelico di diventare uomo nuovo; inculcano la necessità di un'ascosi pasquale che uniformi allo Spirito di Cristo.

Gli ES oggi mirano non tanto a ribadire norme morali o doveri del proprio stato, quanto a risvegliare al senso autenticamente cristiano.

Gli ES non sono finalizzati a una confessione sacramentale ben fatta, ne a far apprendere il senso delle norme riguardanti la propria professione, ne a un aggiornamento dottrinale religioso-spirituale.

Essi devono introdurre nell'esperienza pasquale caritativa con Dio e coi fratelli mediante lo Spirito di Cristo.

Un'esperienza che sa sconvolgere interamente la propria mentalità e la propria affettività; che sa rinnovare l'interiorità profonda dell'io; che testimonia nella propria preghiera il vivere in unione con lo Spirito; che restituisce al mondo gli E. come uomini nuovi, testimoni del Cristo all'interno della realtà quotidiana concreta.

Se ieri si ricordava che gli ES tendevano alla salvezza, dei singoli, così da invitare al raccoglimento interiore e al silenzio, oggi preferibilmente essi vengono presentati qual iniziazione alla vita cristiana ecclesiale, comunitaria.

Durante gli ES si suggeriscono e si propongono i mezzi atti a un interscambio, fraterno: comunicazione di esperienze interiori fra i partecipanti, liturgia d'assemblea, ascolto dell'altro, programmazione di comunicazioni caritative da completare nella vita successiva, integrazione delle istruzioni mediante la partecipazione vicendevole delle proprie considerazioni ed, esperienze, esercizio di discernimento spirituale comunitario.

La guida spirituale ideale dovrebbe testimoniare l'esperienza di s. Antonio abate.

Questi si è presentato direttore spirituale delle, anime non a motivo di un incarico ufficiale ricevuto, ma perché era diventato "spirituale" attraverso una propria esperienza ascetico-mistica.

Conviene che il direttore degli ES si qualifichi non tanto per l'incarico ricevuto quanto per l'abilitazione avuta attraverso carismi propri.

Esperto nella vita dello Spirito, egli sa intuire con chiarezza le esigenze spirituali dei singoli E., sa entrare con sicurezza nelle richieste culturali spirituali di ogni tempo, sa trasmettere con fedeltà quanto lo Spirito richiede ad ogni anima, in ogni situazione sa testimoniare un delicato discernimento spirituale.

Il direttore degli ES non è tanto il dotto teologo che disserta sulla dottrina spirituale, quanto colui che inizia l'E. a discernere secondo lo Spirito, colui che lo educa alla gioia di camminare alla luce interiore evangelica.

Gli ES devono realmente essere una scuola di esperienza ecclesiale nello Spirito di Cristo.

Celebrazione
Devozione
Eucaristia
Preghiera
… mariani Maria IV,4
Discernimento spirituale Discernimento III,2
Come disposizione alla grazia Ascesi II
Come spiritualità del deserto Deserto III,3
… di s. Ignazio Ascesi II
Volontà III

S. G. B. de La Salle

Le persone consacrate a Dio hanno bisogno di essere esercitate nella pratica dell'obbedienza MD 13
Tre tipi di disobbedienti MD 14,2
Cosa si deve chiedere a Dio nella preghiera MD 39,2
Dio ci fa un grande onore, invitandoci a ricevere Gesù Cristo nell'Eucarestia MD 50,1
In comunità ci sono diversi che hanno lasciato il mondo ma non ne hanno abbandonato lo spirito MD 76,3
Il peccato e la sregolatezza in una Comunità sono l'abominazione e la desolazione nel luogo santo MD 77,1-2
Riflettere sulle colpe commesse durante quest'anno verso voi stessi e verso la regolarità MF 92,1
San Sulpizio MF 98,1
San Severo vescovo MF 103,2
Purificazione della Vergine Maria MF 104,2
San Leone Magno MF 114,3
Apparizioni di san Michele MF 125,2-3
San Gregorio Nazianzeno MF 126,3
S. Pietro Celestino MF 127,1-3
San Bernardino MF 128,3
San Filippo Neri MF 129,2
San Germano vescovo di Parigi MF 131,3
Quelli che la Provvidenza ha scelto per educare i ragazzi, debbono compiere nel loro impiego le funzioni degli Angeli custodi MR 197,2
Un maestro deve rendere conto a Dio del modo con cui ha svolto la sua missione MR 205,2

1 Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum 3, 1, 1868, p. 29
2 Patrologia Latina del Migne 17, 473-474
3 Scala Ciaustralium, Patrologia Latina del Migne 184, 475-484
4 G. Moioli, Preghiera in DETM, 799-805; Id., Preghiera in NDT, 1198-1213; cf inoltre . ( v. ) Eucaristia III, 1
5 2 febbraio 1974. Sul rosario cf Aa. Vv., Il culto di Maria oggi.
Sussidio teologico pastorale. Alba, Edizioni Paoline 1978, 267-273.
Questo ricchissimo volume prende in considerazione tutta la pietà mariana, sia liturgica che extraliturgica
6 Marialis cultus, 51
7 L. Boros, Irruzione su Dio. La via crucis come anti-pellegrinaggio, Bari, Edizioni Paoline 1977
8 Una lucida sintesi storica e teologica, che può contribuire notevolmente alla costruzione di una corretta pietà eucaristica, è quella di A. Gerken, Teologia dell'eucaristia, Alba, Edizioni Paoline 1977
9 Iparraguirre, Problematica attuale degli esercizi spirituali in Presenta pastorale 42 (1972) 692s
10 La capacità di concentrarsi per riflettere, decidere e scegliere è un'esigenza dell'uomo in quanto tale.
Vogliamo dire che l'uomo ha quot;esercitato" sempre la sua intelligenza e la sua volontà seguendo particolari "metodi" e "tecniche". Anche i "contenuti" della ricerca, soprattutto filosofica, hanno non poche affinità con i nostri ES: si pensi alla riflessione su Dio e sul fine dell'uomo. Nel filone cristiano, però, troviamo tecniche e soprattutto contenuti qualitativamente diversi
11 E per avere affidata una missione: Gen 12,1; Es 3,10ss; Es 19,3ss; 1 Re 19,15ss
12 Mt 14,13.23; Mt 26,36; Mc 1,35.45; Mc 6,31; Lc 4,42; Lc 9,18; Gv 6,15
13 Ricordiamo anche l'invito di Paolo a Timoteo: « Esercitati nella pietà… » ( 1 Tm 4,8 )
14 Paolo dovette ispirarsi a questo tipo di riunioni quando, nella lettera agli Efesini, augura di essere « ricolmi dello Spirito » e di intrattenersi « a vicenda con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore… » ( Ef 5,18-20 )
15 Per studi più approfonditi e completi vedi: A. Codina, Los origines de los Ejercicios espirituales de s. Ignacio de Loyola, Barcellona, Biblioteca Balmes 1926; E. Anelili, Ruolo e significato degli Esercizi spirituali nella storia della spiritualità cristiana in Presenza pastorale 42 (1972) 671-689
16 Secondo il Viller nei sec. VII e VIII il ritiro quaresimale era praticato da quasi tutti i cristiani: M. Viller, Le XVII.ime siede et l'origine des retraites spirituelles in RAM 9 (1928) 150-162
17 Ib., 359-371
18 Tra le pratiche proposte ricordiamo l'esame di coscienza. Si prefiggevano di raggiungere la purezza del cuore e la riforma della vita tramite gli "esercizi spirituali" della vita purgativa, illuminativa e unitiva
19 L. von Hertiing, De usu nominis exercitiorum spiritualium ante S. p, Ignatium in Archiviimi Historicum Societatis lesu 2 (1933) 316
20 S. Ignazio di Loyola, Autobiografia e diario spirituale (Autob.), Firenze, LEF 1959, n. 1
21 Autob., 8
22 Ib., 17
23 Ib., 19-27
24 Regole per il discernimento degli spiriti della prima (313-327) e della seconda (328-336) Settimana e Regole per sentire e conoscere gli scrupoli (345-351)
25 Autob. 27
26 Ib., 28-30
27 Ib., 30
28 Fontes Narrativi de s. Ignatio de Loyola et de Societatis lesu initiis, 4 voli. (FN), Roma 1943-1965, I, 80, 10; 161, 18
29 FN I,30s
30 FN II, 6
31 Ignacio Iparraguirre, Practica de los Ejercicios de san Ignacio de Lojola en vida de su autor (1522-1556), Bilbao-Roma 1946
32 Ignazio continuò a ritoccarli anche in seguito: cf FN I, 319; Polanco Giovanni Alfonso, Vita Ignatii Loyolae et rerunì Societatis fesu bistorta, 6 voll.,. Madrid 1894-1898,. III, 530
33 Fino ad oggi 38 papi hanno testimoniato circa 600 volte a loro favore.
Ricordiamo, in particolare, due atti ufficiali di Pio XI: la Costituzione Summorum Pontificum del 25 luglio 1922 in cui, su richiesta di 672 tra cardinali, arcivescovi e vescovi, il papa costituiva Ignazio « celeste patrono di tutti gli Esercizi spirituali » e degli enti che li promuovono; l'Enciclica Mens Nostra del 20 dicembre 1929
34 Anche per quanto riguarda l'altro quarto (la I Sett.) non possono esserci dubbi: tratta di verità desunte dalla bibbia. Già Paolo III aveva affermato che la dottrina contenuta negli ES è tutta biblica (Breve Pastoralis Officii)
35 Il richiamo agli esercizi fisici è di Ignazio, ma il paragone ricorre già in 1 Cor 9,21-27
36 Ricordiamo, a questo proposito, che Ignazio, oltre che di. Esercizi completi, sia aperti (19) che chiusi (20), parla anche di ES. di prima settimana (18 b) e di ES leggeri (18 c). Cf Armando Guidetti La Annotación 18: metodo olvidato de Ejercicios ignacianos, in Los Ejercicios de San Ignacio a la lus del Vaticano II, Madrid, BAC 1.968', 62M38
37 Si pensi per es., alle indicazioni riguardanti l'Esame particolare e generale (24-43), le Addizioni (73-90), le Elezioni (175-189) e, soprattutto, al suggerimento del quarto punto delle contemplazioni della III Sett.: « E qui cominciare con tutte le forze a eccitarmi al dolore, alla tristezza, al pianto: e lavorare alla stessa maniera negli altri punti che seguono »
38 E per essere aiutato a raggiungere questo scopo che l'E. si servirà della luce o della oscurità (79; 130 c) e anche dei « conforti della stagione, per es., del fresco, in estate e, d'inverno, del sole e del caldo » (229 e); per questo ancora non riderà, ne dirà cose che provochino il riso (80), terrà a freno gli occhi (81)
39 C'è oggi nella chiesa di Dio una più netta presa di coscienza della presenza e dell'azione dello Spirito.
Gli ES danno un sostanziale contributo a movimenti di questo genere: non solo perché allo Spirito viene attribuito un posto di primissimo piano, non solo perché essi sono stati concepiti come mezzo per cercare e trovare la divina volontà e quindi, in concreto, anche i carismi ricevuti; non solo perché il carisma (o almeno l'arte e l'esercizio ) del discernimento è uno degli elementi costitutivi del metodo; ma anche perché ai sacramenti, e in particolare all'eucaristia, alla preghiera di lode, alla devozione alla Madonna, alla fedeltà alla gerarchia… è riservato un posto di particolare importanza
40 Tempi dello Spirito. Case per ritiri ed Esercizi spirituali in Itialia, Brescia,. FIES 1975, pp. 147
41 Citiamo, per la loro particolare importanza, i Convegni organizzati dalla Compagnia di Gesù di cui il Centoum Ignatianum Spiritualitatis (C.P. 9048, Roma) ha pubblicato gli atti.
42 L'Assemblea costituente é del 28-30 dicembre 1964
43 Il nostro dossier su Gii Esercizi spirituali oggi, in RasT 16 (1975) 242-262
44 Notiziario degli Esercizi spirituali in Italia
45 «Sappiamo che la predicazione più efficace è proprio quella degli Esercizi spirituali » (Paolo VI alla Prima Assemblea Generale FIES, 29 dicembre 1965)
46 Guai se gli Esercizi spirituali, per avere quel paradigma meraviglioso e magistrale che s. Ignazio ha loro lasciato, diventassero una ripetizione formalistica e, direi, pigra, di questo schema [ ….]; c'è tutta una rielaborazione degli Esercizi che Noi auguriamo davvero che i nostri bravi sacerdoti sappiano dare» (29 dic. 1965)
47 Vescovi del Triveneto, Sulla validità degli Esercizi spirituali,, novembre 1967. Cf anche la Lettera dello Episcopato Lombardo su I tempi dello spirito e gli Esercizi spirituali, marzo 1973
48 Paolo VI, 29 dicembre 1965
49 Paolo VI, 29 dicembre 1965
50 Paolo VI; Lettera al cord. Cushing, 25 luglio 1966
51 FIES, Che cosa è e che cosa fa, Suppl. n. 32 al Notiziario (cf nota 3fr), 28
52 Paolo VI, AAS 1966, 500