Maturità

IndiceA

… Spirtuale

Sommario

I. Esigenze e segni della maturità spirituale:
1. Segni di "infantilismo" spirituale;
2. Segni della maturità spirituale.
II. Presupposti umani della maturità spirituale:
1. Fattori di maturazione nell'uomo;
2. Caratteristiche della maturità umana.
III. Itinerario psicologico alla maturità spirituale:
1. Il processo ascetico nella vita spirituale;
2. Lo stato mistico nella vita spirituale;
3. Immaturità psichica e vita spirituale.

È forse possibile e legittimo identificare la "personalità matura" con il cosiddetto "uomo naturale", cioè quel tipo di uomo che è legato, rinchiuso nell'aspetto terrestre della natura umana?

La risposta non può essere altro che negativa, perché personalità matura significa personalità integrata, ed è sinonimo quindi di una persona che ha risposto fedelmente a tutti i valori.

Ora è indiscutibile che, tra questi valori, vi è in primo piano l'appello al trascendente, l'apertura ad una superiore integrazione.

L'uomo naturale non ha diritto di essere e di rimanere tale: Ad maiora nati sumus.

Nella storia della chiesa nessuno forse, più di s. Agostino, può dirsi l'esempio tipico di questa metamorfosi dell'uomo "naturale" aperto all'alto, verso il trascendente.1

Questa superiore integrazione non potrà attuarsi attraverso un semplice contatto estetico.

Se l'uomo naturale vuole elevarsi al trascendente, gli occorre ben altro: una volontà costante di autosuperamento, una volontà praticamente efficace.

Questa elevazione è possibile e non è neppure un fatto straordinario; essa può essere determinata da diversi fattori: un dolore grave, una grande tentazione, una percezione chiara e decisiva del fine ultimo dell'esistenza; non potrà, tuttavia, realizzarsi in pieno se non attraverso un itinerario psicologico di tipo ascetico, inteso come processo verso la "maturità" dell'uomo.

La maturità psico-affettiva, secondo i recenti documenti del magistero ecclesiale, è da considerarsi come la mèta degli sforzi personali e sociali per lo sviluppo integrale dell'uomo, come premessa ad un rigoglioso sviluppo spirituale: per il conseguimento, cioè, di quella maturità di vita cristiana, alla quale s. Paolo esortava gli efesini affinché raggiungessero la dimensione dell'uomo maturo « al livello di statura che attua la pienezza del Cristo » ( Ef 4,13 ).

La "maturità umana" è intesa come la consapevole pienezza di tutte le proprie capacità fisiche, psichiche e spirituali, ben armonizzate e integrate tra loro.

L'invito a sviluppare una piena personalità umana, benché sempre presente nei documenti del magistero, da qualche tempo a questa parte è divenuto particolarmente accorato ed insistente, in accordo con le conquiste delle scienze umane.2

La crescita umana costituisce come una sintesi dei nostri doveri.

Ma c'è di più: tale armonia di natura, arricchita dal lavoro personale e responsabile, è chiamata ad un superamento.

Mediante la sua inserzione nel Cristo l'uomo accede ad una dimensione nuova, a un umanesimo trascendente.3

L'educazione cristiana non comporta solo la « maturità propria dell'umana persona », ma tende a far sì che i battezzati « si preparino a vivere la propria vita secondo l'uomo nuovo nella giustizia e santità della verità, e così raggiungano l'uomo perfetto, la statura della pienezza di Cristo » ( GE 2 ).

Per mezzo di una formazione sapientemente organizzata « negli alunni si coltivi anche la necessaria maturità umana, particolarmente comprovata in una certa fermezza d'animo, nel saper prendere decisioni ponderate e nel retto modo di giudicare uomini ed eventi» ( OT 11 ).

I - Esigenze e segni della maturità spirituale

Sia nell'AT che nel NT è costante l'invito al progresso spirituale ( Ger 6,16; Sal 27,11; 2 Cor 4,16; Eb 3,7; Eb 4,10; 2 Pt 3,18; Ef 4,13ss; Col 1,10 ).

La maturità, o perfezione cristiana, è il pieno sviluppo di tutte le potenzialità della grazia, a tutti i livelli dell'organismo soprannaturale.

Essa ha già nella fede il suo orientamento, il suo significato, la sua spinta ( Gv 6,29; Ef 3,17 ), ma si realizza essenzialmente nella carità ( Mt 5,44ss; 1 Cor 13,1ss; Gv 17,21 ).

La fede e la speranza teologali sono connesse con la carità, come immediata preparazione ad essa, in modo tale che il dominio della carità nella vita dell'uomo non può divenire perfetto se, allo stesso tempo, non diventa perfetto l'esercizio della fede e della speranza.

Ricevute come germi di vita eterna, le tre virtù sono destinate a crescere, a vitalizzare il cristiano, ad attuare la sua perfezione.

S. Paolo ne parla come di forze dinamiche, aventi un ruolo determinante nella maturazione della vita spirituale ( 1 Ts 1,3; 1 Ts 5,6ss ).

Egli oppone un comportamento cristiano "infantile" ad uno veramente "adulto".

Spesso usa le contrapposizioni "bambini-adulti", o "imperfetti-perfetti" ( 1 Cor 2,6; 1 Cor 13,10s; 1 Cor 14,20; Fil 3,15; Col 1,28 ).

Secondo s. Paolo, "bambino" è colui che è all'inizio della vita cristiana, che è ai primi passi ancora insicuri e ai primi balbettamenti indistinti; "adulto" o "perfetto" è il cristiano in cui i germi di vita nuova ricevuti nel battesimo si sono sviluppati ed hanno raggiunta quella pienezza che possedevano solo in potenza e la cui personalità è in una costante apertura a ulteriori approfondimenti.

Una tappa decisiva nella maturazione della personalità cristiana è lo smettere di comportarsi da bambini per assumere il comportamento dell'adulto, cioè per assumersi le nuove responsabilità della fede e della grazia ( Gal 4,1ss; 1 Cor 13,11 ).

1. Segni di "infantilismo" spirituale

Quali le espressioni di infantilismo spirituale, da cui il cristiano deve liberarsi?

Come si possono riconoscere?

Dagli scritti del NT si rilevano particolarmente questi:

a) L'incapacità ad accettare il vangelo nella sua totalità di contenuto e di esigenze ( 1 Cor 3,1ss ).

Ciò è segno che si è ancora troppo legati alle concezioni religiose naturalistiche.

Si comportano da bambini i corinzi che « vanno in cerca della sapienza » umana, anziché della « sapienza di Dio », che è annunciata dalla « stoltezza della predicazione » ( 1 Cor 1,21s ).

b) L'essere mossi dalla "carne" anziché dallo "Spirito".

L'opposizione tra "uomini carnali" e "uomini spirituali" in s. Paolo è parallela all'opposizione "bambini-adulti" ( 1 Cor 3,1; 1 Cor 1,10ss ).

Segno di questo infantilismo è l'essere mossi da motivi umani, da gelosie, da contese.

c) Il non aver preso coscienza della giusta posizione del credente di fronte a Dio: ci si crede già sapienti e di avere già conosciuto le vie e i segreti di Dio, e perciò si ritiene di non avere più nulla da imparare; mentre i segreti del regno non sono rivelati « ne dalla carne ne dal sangue », ma da Dio ( Mt 16,17 ), il quale li rivela agli umili ( Mt 13,11 ).

d) L'autosufficienza e la presunzione di chi crede troppo nelle proprie forze e non riconosce che tutto è dono di Dio.

Il seguace di Cristo, adulto nella fede, deve possedere certi aspetti positivi dello spirito d'infanzia, che lo rendono capace di semplicità, di accoglienza gioiosa della grazia, di umiltà, di assenza di calcolo, di generosità, di sincerità e di immediatezza ( Mt 19,14; Mt 18,3s; Lc 12,32 ).

e) Il mettere l'attenzione più su noi stessi che su Dio; un'affettività concentrata su di sé, invece di un'affettività libera di potersi donare all'Altro che « ci ha amato per primo» ( 1 Gv 4,10 ).

f) Il concepire la libertà quasi come un libertismo ( 1 Cor 8,9; 1 Cor 9,4s; 1 Cor 10,29 ), mentre dobbiamo essere in grado di discernere cose e azioni secondo i criteri di Cristo, dal momento che tutto appartiene a noi, e noi apparteniamo a Cristo ( 1 Cor 3,23 ).

g) Il lasciarsi prendere dalla brama dei carismi visibili, invece di aspirare ai doni più alti e di impegnarsi nella « via ancora più eccellente » che è quella della carità ( 1 Cor 12,31; 1 Cor 13,1ss ).

h) L'instabilità e la volubilità di una fede non solidamente ancorata nel vangelo ( Ef 4,14 ) e che perciò si lascia sconvolgere dalle correnti spirituali, che non nascono dalla purezza evangelica.

Le convinzioni solide, proprie dell'adulto, sono fondamento della fermezza della personalità cristiana e dell'intera comunità.

2. Segni della maturità spirituale

Il superamento degli infantilismi è solo l'aspetto negativo del processo di maturazione spirituale.

Questo non è solo rinuncia a ciò che è imperfetto, ma è positivo sviluppo verso la più piena vitalità ed espressione della grazia.

I segni di questa maturità spirituale sono molteplici.

Non potendo farne un elenco completo, ne indichiamo i più manifesti.

a) La « convinzione sicura » ( Rm 14,5 ) o la « piena convinzione » ( 1 Ts 1,5 ) che genera una specie di evidenza dell'esistenza di Dio e della sua provvidenza ( Rm 4,21 ).

Così l'uomo approfondisce i suoi rapporti con Dio, prende progressivamente coscienza del piano salvifico di Dio, che si attua in lui.

b) La trasformazione e rinnovazione della mente e del cuore, cioè della personalità nel suo profondo centro ( Rm 12,2 ), è tale da consentire un perfetto « discernimento del bene e del male » ( Eb 5,14; 1 Cor 14,20 ), anzi un ( v. ) discernimento della « volontà di Dio: quello che è buono, che piace a lui ed è perfetto » ( Rm 12,2 ).

Questa "volontà di Dio", questa "perfezione" non si identifica più con un codice di leggi dato una volta per sempre.

La "perfezione" del cristiano è caratterizzata da una docilità e sottomissione a un volere divino che bisogna ricercare, discernere e di cui non si possono misurare con anticipo le esigenze.

c) La docilità allo Spirito santo, e l'iniziativa per discernere ciò che di più piace al Signore, porterà ad essere « pieni della conoscenza della volontà [di Dio], con perfetta sapienza e intelligenza spirituale », e così pure a « produrre frutti di ogni opera buona e crescere nella conoscenza di Dio» ( Col 1,9s ).

Così pure porterà a una abbondante produzione dei « frutti dello Spirito » e a un costante « camminare secondo lo Spirito » ( Gal 5,22ss ).

d) Cristiani maturi sono coloro che hanno la capacità spirituale di penetrare a fondo il mistero di Cristo e di accettarlo ( 1 Cor 2,6s; Ef 1,9; Col 1,27 ), e perciò si aprono anche all'edificazione della chiesa, che è il sacramento di Cristo ( Ef 2,20ss ).

Ciò vuol dire capacità di entrare in dialogo costruttivo con gli altri: dialogo con Dio, coi fratelli e col mondo.

e) Nella maturità cristiana, "tutto l'uomo" si impegna in modo radicale e totale, nei confronti di Dio e della salvezza del mondo.

Infatti, una matura vita teologale fa uscire definitivamente da una visione egocentrica della vita, fa vivere all'uomo l'esperienza di non appartenere più a sé, ma a colui che l'ha chiamato alla salvezza e che gli chiede la collaborazione per la salvezza del mondo.

La forza soprannaturale della grazia e delle virtù teologali ordina unitariamente l'intelletto e la volontà verso un nuovo e più alto centro di unità, che è Dio in se stesso: tutta la persona è protesa verso l'unico termine che è Dio, somma verità e sommo bene: « Mio Signore e mio Dio » ( Gv 20,28 ).

f) Altro segno della maturità cristiana è la "stabilità della ( v. ) conversione" della mente e del cuore.

L'impegno dell'adulto non è come la promessa del bambino, soggetta a volubilità e rimpianti, ma è una presa di posizione da cui non si torna indietro.

È un patto stretto con Dio, a cui si resta obbligati, non in forza di costrizione, ma in base a una scelta
operata nell'incontro dell'amore salvifico di Dio e della libera volontà dell'uomo di essere salvato.

Solo chi è giunto a maturità spirituale è capace di una stabile "demondanizzazione", che vuol significare rinuncia alle valutazioni terrene e allontanamento dal male, e di una altrettanto stabile "esistenza escatologica", che qualifica il cristiano come definitivamente orientato a Dio in Cristo ( Mt 6,21 ) [ v. Escatologia ].

g) Un segno di maturità cristiana è la "integrazione" della propria personalità in Cristo, cioè il fatto che tutta intera la vita del cristiano venga integrata con le stesse virtù di Cristo ( 1 Ts 5,23 ).

La vita teologale, sviluppata nelle sue potenzialità, da unità dinamica ai pensieri, agli affetti, ai desideri, alle azioni.

Il cristiano adulto si è purificato da quelle tendenze affettive che fanno di Cristo più un bisogno psichico che una persona a cui ci si dona liberamente, ed è perciò in grado di sostenere la sua decisione quali che siano le circostanze della vita.

Il cristiano adulto « sta nella fede » ( Rm 11,20 ), distaccato dal male e rivolto a Dio che continuamente lo salva.

È questa la tensione che "integrava" in Cristo l'esistenza di s. Paolo: « Se vivo ora in carne, vivo in fede del Figlio di Dio, che mi ha amato ed ha sacrificato se stesso » ( Gal 2,20 ).

h) Infine, è un senso di maturità cristiana "l'impegno nella chiesa e nel mondo", cioè la capacità di superare i limiti angusti del proprio "io" e di entrare in rapporto costruttivo e creativo con gli altri.

Questa apertura agli altri il cristiano l'attua nella ( v. ) carità, nell'impegno ecclesiale e nell'impegno verso il mondo da salvare.

La maturità cristiana non consiste nel vivere la grazia in modo astratto e disincarnato, ma nell'incontro della vita teologale e dell'impegno temporale.

Nella chiesa e per la chiesa, il cristiano adulto vive l'impegno della santità e la comunione della carità, sapendo accettare anche i difetti della chiesa stessa, e assumendo l'impegno di lavorare perché la chiesa si avvicini sempre più a Cristo suo modello e suo capo ( Fil 1,27; 1 Ts 1,7s; Ef 4,13ss ).4

Il cristiano adulto esprime la sua vita negli atti esterni della testimonianza, dell' ( v. ) apostolato, della vita morale ( Gc 1,22; 1 Ts 1,3 ); non può tacere ciò di cui ha fatto l'esperienza ( At 4,20 ), non può non ridire la parola ascoltata ( 2 Cor 4,13; 2 Tm 4,2 ).

E così cresce non solo la vita del singolo cristiano, ma anche quella della chiesa come totalità.

Tutta la chiesa progressivamente prende più coscienza delle implicazioni del vangelo per la salvezza del mondo, e adatta la sua missione allo sviluppo del medesimo.

In tal modo, la vita dei singoli e della chiesa si esprime meglio come "servizio" o "ministero", sull'esempio di Cristo ( Mc 10,45 ).

[ v. Mistero pasquale IV,4 ].

II - Presupposti umani della maturità spirituale

La persona umana è un essere distinto, "incomunicabile", autonomo; essa costituisce un'unità sostanziale.

Da questa singolarità e unità della persona scaturisce la singolarità e l'unità della personalità.

Ed è proprio questo carattere specifico che rende la disunione o disintegrazione della personalità - nel caso, ad esempio, di doppia personalità - un fenomeno così impressionante.

1. Fattori di maturazione nell'uomo

Alla situazione concreta di ogni singolo individuo, che si esprime in una maggiore o minore integrazione della personalità e, correlativamente, di un maggiore o minore sviluppo della medesima, è strettamente legato il problema educativo della vita spirituale.

Il concetto di "integrazione" significa essenzialmente unità funzionale; significa armonia all'interno della personalità dell'individuo, armonia fra desideri, tendenze, pensieri, ambizioni e propositi, fra mentalità e comportamento.5

L'integrazione si riflette in unità di intenzionalità, come pure in una unità di azione; essa si manifesta nell'abilità di prendere delle decisioni senza eccessiva perplessità di fronte alle difficoltà che si debbono affrontare.

Nella personalità ben integrata vi sono spesso conflitti, ma tali conflitti non si risolvono mai in forme di disadattamento o di nevrosi.

La soluzione del conflitto si verifica sempre in modo tale che l'unità è preservata e l'armonia fra tendenze in conflitto è ristabilita.

La personalità ben integrata è quella in cui i molteplici tratti e bisogni della natura umana sono organizzati in un tutto che funziona come unità.

L'integrazione è essenzialmente una caratteristica del processo di sviluppo.

Lo sviluppo fisiologico, però, non garantisce per se stesso l'integrazione, a causa delle molteplici influenze disgregatrici che l'individuo subisce durante l'età evolutiva.

Il concetto di "sviluppo" è fondamentale in psicologia; esso significa progresso verso una mèta: la "maturità" è la mèta, cioè qualche cosa che dev'essere raggiunto attraverso lo sviluppo.

Una personalità matura è quella, appunto, in cui si è verificato un completo sviluppo delle capacità e degli attributi richiesti dalle sue condizioni di essere adulto.

La maturità è, quindi, qualche cosa che si acquista gradatamente lungo il cammino della vita.

Ciò non vuoi dire che il bambino non abbia personalità, ma solo che vi è grande differenza fra la personalità del bambino e quella dell'adulto.

Lo studio delle determinanti responsabili di questo cambiamento permette di comprendere lo sviluppo della personalità.

Si potrebbe essere indotti a pensare che la personalità matura di un individuo sia il risultato finale delle determinanti psichiche e sociali, in unione con le qualità fisiche dell'organismo.

Una tale conclusione costituisce un grave errore, di cui è permeata gran parte della letteratura psicologica.

L'uomo è l'espressione complessa di molteplici influenze, sia interne che esterne; ma è anche, in grande misura, ciò che egli fa di se stesso.

Oltre l'ereditarietà, la motivazione, l'affettività, l'ambiente, vi è nell'individuo la capacità innata di scegliere, di autodeterminarsi in una linea di condotta, di tracciare da se stesso il proprio destino.

Se è vero che i tratti, le attitudini, le caratteristiche di un individuo non sono materia di libera scelta, è pur vero che i fattori personali possono essere influenzati grandemente dal processo di autodeterminazione e dalla capacità di autocontrollo.6

Perché si possa avere un uomo "maturo" occorre che le forze affettive, integrate tra loro, si integrino pienamente con la ragione, in maniera che questa possa utilizzare le dette forze in modo veramente razionale.

Dall'armonica fusione della ragione e dell'affettività, senza blocchi, rimozioni o difese, si ottiene il più alto grado di maturità e il massimo vantaggio per l'uomo.

In tal modo la ragione viene a godere dell'apporto di energia e di gioia che proviene dall'affettività e, allo stesso tempo, assume quest'ultima al proprio livello: il soggetto gode di unità armonica interiore ed è nelle condizioni migliori per raggiungere i suoi fini.

Sul piano ontologico, la maturità affettiva è la pienezza dell'affettività spirituale e la sua integrazione con l'affettività sensibile.

Se manca questa integrazione, cioè questa capacità dell'affettività spirituale di assumere al proprio livello quella sensibile, l'uomo o sarà trascinato dalle passioni, o sarà diviso in se stesso.

Si può anche dire, in base ad una concezione ispirata al pensiero cristiano, che la maturità affettiva coincide con la maturità morale, anzi con la maturità dell'uomo in quanto tale.

Va osservato, poi, che la mancanza di integrazione morale della persona può portare ad una "disintegrazione" sempre maggiore, aggravando il conflitto tra anima e corpo e tra le relative funzioni.

Questo rilievo coincide, sul piano propriamente scientifico, con le osservazioni della psicologia dinamica e clinica, per cui ogni arresto nella crescita dell'uomo, cioè nel processo di maturazione e di integrazione, coincide con una "regressione" a livelli più immaturi, e quindi meno "umani", del comportamento.

La personalità matura, per essere tale, deve raggiungere la maturità in tutti i suoi aspetti, compreso naturalmente, in modo particolare, quello affettivo.

Il ruolo dell'affettività, infatti, viene considerato come elemento fondamentale nella costruzione della personalità, perché esso è tra i processi che maggiormente concorrono alla sua integrazione.

Proprio perché l'affettività viene considerata una dimensione fondamentale della personalità, la maturità affettiva si può ritenere un requisito indispensabile per il funzionamento ottimale della personalità stessa.

In riferimento all'affettività acquista particolare risalto la "dimensione sessuale" dell'uomo.

Anche se viene diversamente inteso, non si può negare lo stretto legame tra affettività e sessualità, e la loro interdipendenza nell'integrazione della personalità.

Il Lutte parla della sessualità come di un elemento essenziale nel processo verso la maturità.7

Secondo Callieri, la vita sessuale umana è da considerarsi come l'indicatore più sensibile delle tendenze di base del singolo individuo, anche di quelle più controllate e meno espresse.8

Perché si possa parlare di persona matura, l'istinto sessuale deve sorpassare due tipiche forme d'immaturità: il narcisismo e l'omosessualità, e raggiungere l'eterosessualità.

Questo è un primo stadio dello sviluppo sessuale, ma è necessario anche un secondo stadio: l'amore deve divenire un dono, non la ricerca di se stessi.

Una sessualità matura comporta non solo l'accettazione del valore sessuale integrato nell'insieme dei valori umani, ma anche l'affettività matura e la conseguente capacità di rinuncia fisica, come un modo di perfezione della personalità in altra direzione.

2. Caratteristiche della maturità umana

Con l'espressione di "maturità umana", usata per qualificare la personalità matura, si vuole fare riferimento, in genere, al fatto che un individuo ha realizzato un passaggio graduale dalla disorganizzazione psichica, caratteristica dei primi anni di vita, alla integrazione, alla coerenza, alla costruttività e creatività dell'età adulta, di cui è in grado di affrontare i problemi e di assumersi le responsabilità in modo razionale.

In tal senso, la maturità rappresenta l'apice della vita umana.

La maturità è caratterizzata dall'armonia fra tutti gli elementi della personalità di un individuo: dal che risulta l'adattamento nei riguardi di se stesso e degli altri, l'integrazione all'interno della propria personalità, il senso di responsabilità e la capacità di autocontrollo.

Si tratta di condizioni psicologiche altamente positive, le quali portano all'equilibrio fisico e psichico, alla possibilità di affrontare serenamente ogni nuova situazione della vita, e rappresentano la mèta finale per ogni educatore.

La maturità umana si esplica, o si dovrebbe esplicare, con l'equilibrato superamento dell'antitesi giovanile "io-ambiente", attraverso un costruttivo e gradevole adattamento sociale, e con la completa attuazione delle potenzialità istintive variamente sublimate e, viceversa, con la rapida e completa liquidazione di tendenze caratteristiche dell'età più giovane.

Una diagnosi di raggiunta maturità psicofisica risulta estremamente complessa.

Questi sono i tratti della personalità che possono schematicamente rappresentare il profilo psicologico dell'uomo maturo:

a. la capacità di adattarsi a determinate condizioni, modificazioni e responsabilità nel contesto sociale in cui viene a trovarsi;

b. la capacità di cooperare con altri simili e di subordinarsi ai piani di una autorità, nell'ambito familiare e sociale;

c. la capacità di specializzarsi, e quindi di aver fiducia nelle proprie risorse personali in un determinato campo d'azione;

d. la capacità di affrontare realisticamente i problemi della vita con un adeguato autocontrollo dei propri impulsi.

Il concetto di "maturità" così inteso si identifica sostanzialmente con il concetto di "normalità".

A questo proposito, M. Eck scrive quanto segue: « L'uomo normale, equilibrato, non è per me il sognatore inattivo; ma, sempre in una vita di fede e di speranza, è colui il cui equilibrio può sopportare lo sforzo e il rischio, è colui che cammina sulla corda tesa, è colui che ricostruisce la sua casa distrutta prima della pace… è colui che rifiuta di scrivere la parola fine ».9

Possiamo fare nostra la descrizione della personalità matura che ci offre G. Zunini, sulla scia dei criteri di maturità proposti da Allport: « La personalità matura è quella che ha superato il prevalente riferimento a se stessa, estendendosi alla comprensione degli altri e partecipando attivamente alla loro vita, con un rapporto affettivo di intimità e di rispetto.

Riguardo a se stessa la persona matura ha raggiunto una capacità di dominio, che non consiste nella eliminazione di impulsi e di contrasti, non è beatamente estebilmente serena, ma è capace di sopportare le contrarietà, sia da parte degli altri e più ancora nell'intimo di se stessa, con un fondamentale senso di sicurezza, che dà anche una misura agli entusiasmi e timori sproporzionati.

Ha una conoscenza del mondo realistica, adeguata alle circostanze, che è in grado di trattare appropriatamente e con impegno efficiente nel suo lavoro.

È in grado di osservarsi senza perdersi in una analisi eccessiva o deprimente: così da rendersi conto di ciò che dipende da essa e di ciò che invece subisce, con un certo senso di distacco, interessato, certo, ma anche sorridente nelle vicende proprie ed altrui.

È in grado di mantenere una linea coerente nella sua vita riferendosi a dei principi di condotta, a dei valori direttivi, dei quali uno ha il posto dominante ».10

Una personalità formata, e quindi matura, esige « l'equilibrio ordinato degli istinti, sotto il dominio della ragione, in conformità con la legge morale ».11

Ma un tale equilibrio non si potrà acquistare se non tenendo conto del triplice primato delle leggi della vita psichica:

1) Il primato del totale sul parziale: partendo dal presupposto già enunciato, che lo psichismo è un tutto organico, compatto e coerente, ne segue che le varie attività, tanto d'ordine conoscitivo, quanto di carattere conativo, debbono essere subordinate alla finalità del tutto; ne segue che le singole facoltà non possono essere sviluppate più di quanto richieda la loro funzionalità, nel tutto organico dello psichismo umano.

2) Il primato dell'aggettivo sul soggettivo: tutte le facoltà umane sono rivolte verso l'ordine dei valori oggettivi; la sana psicologia tende quindi alla vittoria sull'io egoisticamente chiuso, alla mortificazione, come condizione normale di equilibrio vitale: donarsi al vero e al bene, rinunciando alle vane soddisfazioni dell'egoismo, non è esaurirsi, ma partecipare della natura e della ricchezza del vero e del bene, nelle loro molteplici manifestazioni e implicazioni.

3) Il primato dell'evoluzione creatrice: la tendenza al proprio sviluppo e al proprio potenziamento è la legge di tutti i viventi, ed in modo speciale dell'uomo; di conseguenza, seguire questo impulso è garanzia di sanità e di integrità; ne segue ancora che, essendo la persona umana orientata essenzialmente al trascendente, l'automatismo degli istinti dovrà essere assoggettato alla libertà dello spirito.

Ogni processo di formazione umana è il realizzarsi di una nuova espansione e di un nuovo consolidamento di tutto l'essere, cioè un divenire qualche cosa di più e qualche cosa di meglio, attraverso l'armonico espandersi ed irrobustirsi di tutte le facoltà dell'uomo; ed è un processo organico, nel quale ogni fattore si matura per sé e per il tutto.

Una personalità sarà tanto più matura quanto più efficienti saranno le sue potenzialità e le sue funzioni, considerate in se stesse e in rapporto al tutto.

Il processo di formazione sarà tanto meglio riuscito, e quindi la personalità adeguatamente sviluppata e psichicamente matura, quanto più si verificano in essa queste condizioni:

a. ogni attività è ordinata al servizio dello spirito;

b. la donazione generosa agli altri primeggia sull'egoismo;

c. domina l'impulso a perfezionare ulteriormente se stessi.

Queste sono le leggi fondamentali della maturità umana; e questi sono anche i cardini che reggono la formazione alla maturità spirituale.

III - Itinerario psicologico alla maturità spirituale

L'aspetto positivo dell'aumento delle virtù viene, oggi, accentuato di fronte all'aspetto negativo della mortificazione [ v. Ascesi IV ].

Ma dobbiamo diffidare di una concezione puramente meccanicistica della formazione e dello sviluppo delle virtù.

Per combattere un vizio, non basta coltivare l'abitudine opposta.

Questo procedimento è alla base dell'addestramento, ma questo non basta per acquisire le virtù del cristiano: esse implicano necessariamente una motivazione adeguata ed il controllo della ragione.

Le esigenze proprie della virtù superano di gran lunga le esigenze di una semplice abitudine ad agire in un dato modo.

Non è superfluo qui sottolineare che la perfezione del cristiano si misura dal grado di carità che governa o ispira le sue azioni.

Nell'impegno quotidiano per l'acquisizione della santità, il cristiano si sforza di accrescere tutte le virtù, sia infuse che acquisite.

Va tenuto presente che le stesse virtù infuse possono rimanere statiche e sterili se l'individuo non coltiva le virtù acquisite in modo da poter utilizzare le facoltà soprannaturali di cui dispone, perché la grazia agisce sempre per mezzo della natura.

Le virtù acquisite dovrebbero raggiungere un grado tale di perfezione da potersi combinare armoniosamente con le virtù infuse.

La vita spirituale è, nella sua essenza, una vita di crescita, di sviluppo e di evoluzione.

L'anima percorre diverse fasi nel suo cammino dalla conversione alla santità; tali fasi, però, non vanno considerate come compartimenti stagni.

La recezione della grazia e il suo accrescimento fino alla pienezza non tolgono l'iniziativa all'individuo e non annientano la sua personalità.

Ben diversamente, la grazia perfeziona e divinizza la persona umana con tutte le sue caratteristiche.

La via verso la santità è strettamente personale: i santi descrivono la loro personale ascensione verso la perfezione, ma la loro strada non è necessariamente quella che tutti gli uomini debbono o possono seguire.

Di particolare rilievo, in questo contesto, è il pensiero di Erikson, il quale analizza la "forza dell'ego" riprendendo il vecchio termine di "virtù" e pone in rilievo, a partire dalla sua stessa esperienza clinica, le virtù fondamentali, la cui formazione è sollecitata e richiesta dai singoli stadi dello sviluppo:

la speranza, la volontà ( controllo e iniziativa ), la tensione verso il futuro e la completezza, che devono svilupparsi soprattutto nella fanciullezza e dovranno essere alla base di tutta la vita morale futura;

la fedeltà o lealtà, come virtù dell'adolescenza; l'amore e la cura di ciò che si è generato ( persone o idee ), quali virtù dell'età adulta;

infine la saggezza, virtù della piena maturità, che permette di cogliere il senso ultimo della vita.12

Ciò che colpisce, nella concezione di Erikson, è il posto di onore assegnato alla virtù della ( v. ) speranza.

Evidentemente, il termine "virtù", usato per indicare un aspetto dello psichismo, assume il significato di un atteggiamento ( o un insieme di valutazioni e aspettative ) che ha un effetto costruttivo sullo svolgimento della condotta di una persona.

La virtù della speranza è la costante fiducia che i nostri più profondi desideri e bisogni saranno saziati, nonostante le inevitabili delusioni e frustrazioni parziali.

Il frutto di questa virtù è un fondamentale ottimismo, che permette al soggetto di considerare come "benevola" la realtà con cui viene in contatto, e perciò di apprezzare e di amare tale realtà, e permette quindi di uscire dall'isolamento e dall'alienazione dell'egoismo.

L'opzione fondamentale, umanamente matura, quella cioè di accogliere la realtà e di adeguarsi ad essa, è resa possibile principalmente dalla virtù della speranza.

Ed è questa stessa virtù, nel senso qui inteso, il principio e lo stimolo per l'attuazione dell'itinerario psicologico alla maturità spirituale.

1. Il processo ascetico nella vita spirituale

Questo itinerario si può identificare con un processo ascetico, che tende non già e contrastare e reprimere le tendenze normali dell'uomo, bensì a regolare e dirigere le sue migliori energie, sia biologiche che psicologiche.

Si confonde spesso l'ascesi con le esagerazioni dell'ascetismo; si rivela non di rado il solito pregiudizio che l'ascesi debba ridursi, in fondo, ad un fenomeno patologico.

È certo, invece, che l'esercizio ascetico è perfettamente normale e che una certa forma di ascesi è un requisito essenziale per il pieno sviluppo della personalità umana.

Il tendere alla perfezione psichica non è altro che un processo ascetico, inteso non come fenomeno straordinario e riservato a pochi, ma come esperienza comune e necessaria a tutti.

In senso ristretto, cioè limitato all'aspetto puramente negativo del fenomeno, l'ascesi viene concepita essenzialmente come "rinuncia", ossia come repressione delle tendenze perniciose dell'uomo, come mortificazione e penitenza.

In senso più ampio, che assomma tanto l'aspetto negativo quanto quello positivo, l'ascesi assume il significato di "sforzo metodico", o di esercizio, che si propone sia di sviluppare le attività virtuose, sia di regolare le tendenze disordinate [ v. Ascesi I-III ].

Sulla base di questa concezione più positiva del processo ascetico, i precetti della morale cristiana e gli stessi consigli evangelici sembrano acquistare una maggiore efficacia formativa.

In questa prospettiva, l'atto di purificazione interiore e di dedizione altruistica nasce da un duplice fondamentale bisogno:

1) il bisogno tipicamente "naturale" di ristabilire l'armonia tra le contrastanti tendenze che si agitano nell'essere umano;

2) il bisogno tendenzialmente "soprannaturale" di aprirsi completamente all'influsso e all'azione divina della grazia.

L'esistenza di un conflitto interno all'essere umano è un dato riconosciuto non solo dalla religione e dalla morale, ma anche dall'esperienza psicologica di ogni uomo.

Non è necessario indicare qui l'origine di tale stato di cose; basterà dire che, comunque si spieghi, rimane sempre il fatto indiscusso di questo equilibrio rotto, o per lo meno instabile, proprio della personalità umana.

Nel suo aspetto naturale, l'ascesi è lo sforzo metodico per ristabilire questo "equilibrio psichico"; nel suo aspetto soprannaturale, l'ascesi è parimenti lo sforzo metodico per raggiungere la "perfezione cristiana".

Ora, siccome il vertice della perfezione cristiana consiste nella dedizione totale alla volontà di Dio, s'impone necessariamente un previo lavoro di distacco dalla propria volontà [ v. Volontà del Padre ].

Partendo dal presupposto che l'ascesi è uno sforzo in vista del compimento più perfetto possibile della volontà di Dio, possiamo assegnare all'ascesi questi tre compiti:

a. scoprire l'ideale assegnato da Dio;

b. mirare a questo ideale come scopò della vita;

c. realizzare questo ideale secondo le leggi normali della psicologia.

Sia nel suo tendere come nel suo progressivo adeguarsi ad un ideale, l'ascesi implica necessariamente uno sforzo metodico da parte di ciascun individuo.13

Secondo J. Maréchal, l'ascesi è soprattutto « un ridurre positivamente le attività inferiori a mettersi con perfetta docilità agli ordini dello spirito ».14

Ora è evidente che "sottomettere" non vuol dire "annientare".

Queste attività, infatti, rimangono sempre come condizione, sostegno e strumento di efficienza.

L'ascetismo autentico non calpesta le risorse provvidenziali della sensibilità umana, non mutila o rinnega la bellezza della natura.

Questo orientamento è prevalentemente positivo, nel senso che si pone l'accento sul concetto di integrazione; ma questa non può realizzarsi senza un certo grado di rinuncia, senza l'eliminazione di tutto ciò che non può essere integrato.

Lo sforzo che l'ascesi comporta non è soltanto esigito dal bisogno dell'uomo di perfezionarsi, ma è congeniale alla messa in atto di tutte le potenze dinamiche dell'individuo; è equilibrio delle molteplici e spesso disordinate forze emotive, che non mutila nell'uomo le sue capacità, ne comporta antagonismi con i doveri sociali.

Di conseguenza, il parlare di educazione ascetica, è un parlare saggio per chi voglia realizzare appieno la propria umanità, appunto perché l'ascesi cristiana è una condizione spirituale del tutto conforme alla natura dell'uomo e rispettosa delle sue leggi.

Ciò non deve portare, tuttavia, a misconoscere che essa è in una posizione privilegiata nella vita dell'uomo e quindi, pur rimanendo nella prospettiva di una spiritualità piena, essa non è sempre facilmente proponibile, specie nell'età adolescenziale, per le difficoltà e resistenze connesse con la crisi evolutiva.

Si vuole con ciò affermare che l'educazione ascetica è una forma di educazione, che può sortire più sicuro successo quando l'equilibrio psico-fisico ha raggiunto una maggiore consistenza e quando la maturità personale consente scelte più impegnative e ponderate.

Spesso l'ascetismo adolescenziale è visto come sintomo patologico di una nevrosi e non come un normale meccanismo di difesa di un soggetto non ancora maturo davanti alle prepotenze degli impulsi.

Questo meccanismo di difesa, qualora non presenti segni patologici evidenti, può costituire « un mezzo di maturazione umana e soprannaturale quando la serietà delle motivazioni e l'azione di un saggio educatore correggeranno eventuali inizi spuri e guideranno la lotta contro gli istinti rafforzando l'io dell'adolescente e aprendolo a un quadro completo di valori ».15

2. Lo stato mistico nella vita spirituale

Lo stato mistico, nella sua essenza, consiste in una "vibrazione spirituale" che commuove lo spirito da cima a fondo, e in una "aspirazione" a trascendere ogni preoccupazione concettuale per cogliere il divino attraverso la conoscenza e l'amore.

In tal modo il divino penetra nel più intimo dell'anima, trasformando la personalità nei suoi modi di pensare, di agire e di sentire.16

Per giungere a questa unione che lo trasforma, il mistico deve superare molte tappe, alcune delle quali esigono un grande sforzo ascetico.

Se è vero che la vita mistica ha dei momenti di gioia impareggiabili, è anche vero che può essere cosparsa di fenomeni inquietanti e conturbanti.

Nella vita mistica bisogna distinguere ciò che fa parte dello slancio per raggiungere il divino, e ciò che deve essere considerato come il prezzo pagato alla debolezza della natura umana.

« Per quanto siano in alto - scrive Pascal - sono però anch'essi simili in qualche cosa ai più piccoli degli uomini».

Si tratta di distinguere, nella vita mistica, ciò che è essenziale da ciò che è soltanto accidentale, ciò che è normale da ciò che è patologico.

Ogni fatto mistico è un'esperienza, un avvenimento, un "Erlebnis", la cui trama viva ed attiva è in continuo sviluppo.

L'esperienza mistica ha per principio direttivo un'incessante evoluzione, che non si arresta praticamente mai; teoricamente si realizza nelle cosiddette "nozze spirituali".

La via regale della mistica non è il ragionamento, ma la "fede".

Attraverso l'orazione accordata dalla grazia, il mistico giunge alla "conoscenza sperimentale" di Dio, vale a dire che Dio è sentito, si potrebbe dire che è come "toccato" da un senso speciale.

L'orazione di raccoglimento si accompagna a un senso di certezza della presenza di Dio.

Dall'orazione di unione il mistico passa all'estasi, il cui ultimo stadio si rivela mediante il rapimento dello spirito.

Allora, l'incatenamento dei sensi è tale che le funzioni di relazione vengono abolite, o quanto meno assai ridotte.

Il vero mistico non aspira a questi trasporti, bensì all'unione spirituale con Dio.

Il mistico appare realmente posseduto da Dio, come se fosse affetto da "teopatia".

Alcuni disordini mentali, alcune malattie fisiche possono innestarsi anche su uno stato mistico autentico, confondendone gli elementi in modo tale da rendere delicatissima la discriminazione di ciò che appartiene al fattore mistico da ciò che deriva dal fattore patologico.

A queste difficoltà si aggiungono quelle derivanti dalle contraffazioni della vita mistica, che rendono spesso assai difficile lo sceverare il vero dal falso.17

Non mancano coloro che, negativamente impressionati dalla scoperta di sostrati sessuali nell'ascesi e nella contemplazione, prendono motivo per considerare tali fenomeni come una semplice forma di sublimazione della "libido" sessuale e per irridere alla religione e ai suoi riti.

A questo proposito, è necessario osservare che un simile atteggiamento è ingiustificato ed ingiusto.

Esso potrebbe, forse, valere nelle forme di ascetismo disincarnato e di pseudo-misticismo; ma non in una concezione personalistica dell'uomo, secondo la quale la via d'accesso alla sua conoscenza è quella della scoperta delle mirabili capacità che il corpo rivela quando è pervaso dalla animazione spirituale della razionalità.

Non dovrebbe, quindi, recare meraviglia se l'uomo, nell'esercizio delle sue facoltà spirituali e nel desiderio di elevarsi a Dio, reca in questa ascesa quanto vi è di più profondamente umano nella sua corporeità ragionevole.

Si può rimproverare a molti studiosi di non distinguere sufficientemente l'essenziale dall'accessorio, i temi fondamentali dai particolari patologici.

Secondo il De Sinéty, si possono distinguere i mistici in quattro categorie:

a. i mistici affetti da gravi forme psicopatologiche;

b. i mistici nevrotici e psicopatici;

c. i mistici autentici con leggere anomalie psichiche;

d. i mistici autentici e pienamente normali.

Il caso di misticismo studiato da Janet, per es., appartiene alle esperienze di misticismo patologico che si alternano ad esperienze di misticismo quasi normale.

In questo caso, come in diversi altri riportati da Lhermit te, si tratta di soggetti affetti da forme morbose di carattere religioso, ma che in nulla si differenziano da quelle comuni: il loro interesse è relativo.

Assai più interessanti sono i soggetti della seconda categoria: si tratta di persone virtuose e devote, la cui vita è ricca spiritualmente, eppure presentano disturbi mentali più o meno gravi, persino delle leggere e parziali forme di psicosi; i disturbi possono essere passeggeri e senza conseguenze serie, oppure durare a lungo parallelamente ad una vita spirituale intensa.

Tipico esempio di tali soggetti è il caso di P. Surin, autore di opere valide, apprezzato direttore spirituale, costante e paziente nell'esercizio delle virtù cristiane e che, tuttavia, presenta un complesso quanto mai vario di sintomi patologici.

3. Immaturità psichica e vita spirituale

Le diverse fasi della storia personale di un individuo lasciano dietro a loro degli strati d'interesse, che mantengono spesso forti cariche affettive.

Anche quando questi interessi sono scaduti da lungo tempo, essi possono continuare a manifestarsi.

Talvolta sono intrinsecamente modificati e s'integrano bene nelle motivazioni più mature e più sfumate dell'individuo.

Talvolta, invece, essi riappaiono più o meno sotto la loro forma primitiva e continuano ad esercitare la loro influenza indipendentemente dalla sintesi mentale del soggetto; e rischiano, a loro volta, di falsare la rettitudine dei giudizi.

Nella storia personale di un individuo si possono verificare "ritardi" dello sviluppo, forme di "regressione", oppure "sfasamenti" e "conflitti", oltre che vere e proprie "deviazioni".

Questi diversi modi comportamentali sono tutti espressione di immaturità psichica e rendono più difficile, se non impossibile, l'itinerario alla maturità spirituale.

L'immaturità nevrotica e caratteriale può manifestarsi in ogni campo dell'attività umana, perciò anche nell'ambito della realtà religiosa, tanto più che la religione ed i suoi problemi sono molto densi di carica affettiva, di sentimenti di gioia o di paura, ecc.

In generale, si può dire che il nevrotico trasferirà in Dio i bisogni affettivi frustrati dalle figure parentali, e vivrà nei riguardi di lui i suoi problemi conflittuali inconsci.

Il soggetto immaturo potrà vivere la realtà religiosa, ad es., come dipendenza materna, o come bisogno di affetto e di sicurezza: ciò lo porterà a scaricare contro Dio l'ambivalenza affettiva verso il padre odiato ed amato allo stesso tempo.

In particolare, il rapporto con Dio può essere vissuto da una persona immatura come bisogno di sicurezza contro l'angoscia o contro gli impulsi istintuali, percepiti come minacciosi a causa della debolezza del proprio io, oppure come bisogno di punizione: ad esempio, gli "ascetismi" adolescenziali di soggetti tiranneggiati dal senso di colpa.18

Dio sarà vissuto dall'immaturo come potenza magica, distributrice di beni, o come un essere lontano che lo ha abbandonato, o come autorità protettrice o punitrice da propiziarsi con sacrifici esagerati.

Così pure un'incrollabile fiducia nella Provvidenza potrà essere una difesa contro l'angoscia: anche se è vero che, accanto a questa motivazione nevrotica, può coesistere e svilupparsi un'autentica motivazione di fede, sorretta dalla grazia.

Per tutti questi soggetti il sentimento religioso sarà frutto di razionalizzazione; sarà un sistema di difesa contro il timore, l'abbandono, il disgusto, la vergogna, ecc.

Si hanno cosi tutte le deformazioni della religiosità, vissuta spesso senza fede vera e senza amore autentico, senza gioia ne speranza, talvolta come schiavitù formalistica a pratiche intese, per lo più, in senso superstizioso o magico.

La religione potrà essere anche un investimento privilegiato per un perfezionismo ossessivo, o per innumerevoli manifestazioni della nevrosi ossessiva e di quella fobica, che vanno col nome di scrupoli: così il fobico sarà protetto dalla sua paura della morte o della dannazione; il depresso potrà accusarsi della sua indegnità; il masochista potrà torturarsi confessando nei più minuti particolari colpe reali o immaginarie, oppure darsi a penitenze inaudite.

Alcuni soggetti nevrotici si rifugiano nella religione per sfuggire alle difficoltà e agli impegni terreni; prima o poi, però, si accorgono di non trovare neanche in essa il soddisfacimento delle esigenze inconsce: ciò può accadere, per es., quando si trovano davanti alle difettosità delle persone che per loro incarnano la religione.

Allora affermano di "perdere la fede", e magari si raffreddano realmente nella pratica religiosa, trattandosi di una fede basata su motivazioni prevalentemente nevrotiche, e quindi non autentiche.

Certi soggetti squilibrati sembra che abbiano una vita di fede e di carità teologale invidiabile, ma non può innestarsi negli atti della vita, che restano pertanto discordanti rispetto all'ideale.

Il piano psicologico e il piano spirituale dovrebbero unirsi ed armonizzarsi in un essere adulto e normalmente evoluto.

Nel nevrotico, invece, persistono delle immaturità del carattere, dei residui dell'affettività infantile, che sono la fonte della nevrosi; essi possono, d'altra parte, coesistere con elementi indiscutibili di maturità.

La personalità adulta nevrotica può avere una vita spirituale valida ed autentica, ma spesso comporta degli elementi equivoci in rapporto alla maturità spirituale globalmente intesa [ v. Patologia spirituale ].

Da quanto abbiamo qui sopra esposto ci sembra di poter trarre queste deduzioni: se non vi è rapporto tra la "salute fisica" e la maturità spirituale, esiste invece un rapporto, ed è determinante, tra la "salute psichica" e la maturità spirituale [ v. Psicologia e spiritualità ].

Le condizioni umane della vita spirituale saranno tanto più idonee ad una collaborazione con la grazia quanto più la personalità che le possiede si avvicina alla perfezione della sua salute psichica.

« Quanto più grande - scrive A. Snoeck - sarà la parte della libertà salvaguardata nell'uomo, tanto maggiore sarà la disponibilità alla espansione del valore più alto nell'umanità: l'oblazione tutta personale, e pienamente libera, all'amore del Padre nel Cristo ».19

La salute psichica, nella sua forma più matura, è quella completamente aperta agli altri mediante l'amore: ce lo ripete in vari toni la psicologia profonda delle diverse scuole.

L'egoismo chiuso porta facilmente allo squilibrio psichico, ed è destinato necessariamente a inaridire l'essere personale, tagliandolo fuori dalle fonti della espansione vitale che hanno sede nell'effettiva comunicazione dell'altro da sé.20

Onde si deve dedurre che la vera normalità, che s'identifica con la maturità psichica, risiede nel rapporto dinamico tra l'io e l'altro, cioè nella piena realizzazione del carattere bipolare della personalità.

Le condizioni umane che favoriscono la vita spirituale, fino alla sua espressione più qualificata, si riassumono nel concetto di "maturità umana".

Ora, cercare di maturare la propria personalità, aiutare gli altri a maturare la loro, significa collaborare con l'azione divina della grazia per costruire l'edificio spirituale dell'uomo.

Cercare di realizzare la maturità umana dell'individuo vuol dire mettere le basi che rendono possibile la sua "maturità spirituale".

Nella misura in cui l'uomo è capace di fare in un modo veramente responsabile la sua opzione fondamentale di fronte alla grazia, egli si trova virtualmente nella condizione di poter realizzare l'espressione più perfetta del consenso alla grazia, cioè la santità; nella misura, invece, in cui egli non è capace di essere pienamente cosciente e responsabile, cioè di essere veramente uomo - o per mancato sviluppo intellettivo, o per alterazione mentale - anche l'espressione della grazia sarà proporzionalmente limitata.

Diciamo: limitata, ma pur sempre esistente.

In questi termini, così ci sembra, si pone il problema del rapporto reale tra maturità psichica e maturità spirituale.

Itinerario
Progresso
… sua configurazione Antinomie III
Anziano II
Itinerario II,1
Itinerario IV
Itinerario IV,2
Sessualità IX
… e mistero pasquale Mistero IV,3
… e senso religioso Comunità II
… e Maria Maria IV,3
… presso i giovani Giovani I,4
Secondo l'esistenzialismo Itinerario II

1 L'ascése chrétienne et l'homme contemporain, Parigi, Cerf 1951, 368
2 L. S. Filippi, Maturità umana e celibato, Brescia, La Scuola 1970, 26-30
3 Paolo VI, Populorum progressio 16
4 S. Lyonnet, La vocazione alla perfezione secondo san Paolo in La vita secondo lo Spirito, Roma, AVE 1971, 259-284; K. Rahner, I gradi della perfezione in Saggi di spiritualità, Roma, Edizioni Paoline 1965, 45-78
5 R. Zavalloni, Educazione e personalità: principi di psicoterapia educativa,Milano, Vita e Pensiero 19683, 194-204
6 M. B. Arnold-J. A. Gasson (Edd.), Thè human person: an approach to an integral theory of personality, New York, Ronaid, 1954, 294-370; V. V. Herr, Integration and self-ideal, ivi, 283-293
7 G. Lutte, Le développement sexuel de l'adolescent in Orientamenti pedagocici 3 (1964) 480
8 B. Callieri, Aspetti psicopatologici degli stati ipersessuali in Stati ipersessuali e terapia, Roma, Istituto G. Mendel 1959, 212
9 M. Eck, L'equilibro de la personnaiité in VSpS n. 53 (1960) 154
10 G. Zunini, Homo religiosus, Milano, Il Saggiatore 1966, 221
11 G. Pastori, Il substrato biologico della personalità, Brescia, La Scuola 1948, 66
12 E. H. Erikson, Introspezione e responsabilità: saggi sulle implicazioni etiche dell'introspezione psicoanalitica, Roma, Armando 1968, 115-159
13 A. Roldàn. Introducción a la ascètica diferencial, Madrid, Razón y Fé 1960, 463; A. M. Perrault, L'ascétiqiie différentielle in Ang 38 (161) 382-397
14 J. Maréchai, Etudes sur la psychologie des mystiques, Bruxelles, Ed. Universelle 19382, t. I, 190
15 A. Valeriani, Il nostro corpo come comunicazione, Brescia, La Scuola 1964, 264
16 J. Lhermitte, Mistici e falsi mistici, Milano, Vita e Pensiero 1955, 7
17 R. Zavalloni, Psicologia pastorale, Torino, Marietti 19702, 190-207
18 L. S. Filippi, Maturità umana e celibato, cit. 168-173
19 A. Snoeck, L'hygiène mentale et les principes chrétiens, Parigi, Lethielleux 1953, 87
20 R. Titone. Ascesi e personalità, Torino, SEI 1956, 228