Scienziato

Sommario

I. Introduzione.
II. Il metodo scientifico.
III. La vocazione dello scienziato.
IV. La missione dello scienziato.
V. I risultati della ricerca scientifica.
VI. Le prospettive della scienza.

I - Introduzione

Dobbiamo qui parlare dello scienziato come di uno dei protagonisti più in vista e forse più responsabili di questo nostro mondo moderno, un mondo dominato dai vertiginosi sviluppi della tecnica e pertanto inestricabilmente complesso nei suoi aspetti e di difficile interpretazione nelle sue vie e nelle sue mete.

Un tema del genere è dunque tutt'altro che semplice, tanto più che il termine "scienziato" viene qui a richiamare la distinzione dei ruoli tra "uomo di scienza'' e "uomo di fede" e ancora la questione di come i due ruoli coesistano in una stessa persona, armonizzandosi e, eventualmente, opponendosi.

Oltre ad esaminare la figura dello scienziato nella specificità del suo lavoro e dei suoi doveri verso la società umana, ci proponiamo anche vedere come egli dovrebbe realizzarsi in quanto cristiano e che parte può avere in un mondo che la scienza ha profondamente trasformato, in bene e in male, e che da essa attende anche in larga misura di essere risanato.

Ci sembra che, per mettere in luce tutti questi aspetti, basterà esaminare le principali attribuzioni dello scienziato, compendiandole nelle seguenti voci: il metodo; la vocazione; la missione; i risultati; le prospettive.

Ognuno di questi elementi sarà visto in funzione dei due atteggiamenti che distinguono da una parte lo scienziato e dall'altra il credente.

Nel confronto appariranno taluni rischi di malinteso, di disaccordo e d'incomprensione, ma anche, forse in misura insospettata, molta materia per una perfetta intesa ed una promettente armonia.

II - Il metodo scientifico

La scienza modernamente intesa, a cui qui ci riferiamo, è quella che ha il suo tipo nella fisica, ma che abbraccia più o meno strettamente, a cominciare dalla chimica e dalla biologia, tutte le altre, ugualmente al centro dell'attuale sviluppo tecnologico del mondo e contrassegnate dallo stesso tipo di indagine empirico-razionale e dall'impiego sistematico dell'analisi matematica.

È noto che il metodo sperimentale-induttivo di queste scienze procede dall'accertamento dei fatti all'ipotesi e alla verifica e mira alla formulazione di leggi destinate a formare, nel loro insieme, una coerente e sempre più vasta "immagine del mondo".

Sappiamo quali preziose doti di positività e di realismo l'esercizio di questo metodo sviluppa nel ricercatore, pena l'insuccesso.

Dalla scrupolosa oggettività nell'accertamento dei fatti all'attento discernimento e spirito critico nel vagliarli e collegarli, dall'umile impegno di adeguarsi il più possibile allo stile della natura, anche quando, sul filo dell'immaginazione, si ricercano ipotesi valide e funzionanti, fino al finale ricorso a decisivi esperimenti per verificare se dalle cause ipotizzate seguono gli effetti previsti, occorrono doti che sono vanto dello scienziato, ma che costituiscono anche quel distintivo di solide virtù e di onestà intellettuale che sono proprie di ogni autentico cristiano.

Sono infatti i requisiti per una fruttuosa ricerca della verità in ogni ordine: nel campo delle scienze naturali, ove i risultati sono verificabili; in quello filosofico, ove mancando una verifica tangibile ci si può solo affidare al retto equilibrio della ragione; in quello teologico, infine, ove ci si voglia render conto delle premesse razionali della fede cristiana, riconoscere le fonti della rivelazione e i motivi precisi di una scelta tra le tante religioni esistenti.

Sotto tale aspetto, l'acquisto di una mentalità veramente "scientifica" non può essere che di aiuto nel porre le basi di una fede pienamente convinta e coerentemente vissuta.

Come avviene allora che molti uomini di scienza restano lontani da questo ideale e si sentono impediti ad una adesione di fede dalla loro stessa formazione scientifica?

Basta notare che, a differenza da un'economia di fede, comportante un'autorità, un messaggio divino, una regola di vita, la ricerca scientifica impegna un settore di attività ben delimitato e tutto lasciato alla libera iniziativa dell'uomo, non comporta principio di autorità, né accettazione di verità dogmatiche, né principi etici autonomi.

È una differenza facilmente comprensibile e dovrebbe fornire la chiave per l'eliminazione di ogni malinteso.

Se tante difficoltà continuano a sussistere lo si deve in gran parte a molti fattori educativi ed ambientali.

Certo l'accordo tra attività scientifica e vita di fede si realizza in modo ideale quando entrambe hanno avuto un armonico e parallelo sviluppo in tutto il periodo di formazione, mentre potrà essere irrimediabilmente compromesso quando, senza alcun elemento equilibratore, la mente finisce per chiudersi entro un orizzonte puramente scientifico.

Appaiono allora i deleteri effetti di quel vizio professionale che è la "mentalità specialistica".

Se ad esserne colpito è lo scienziato sperimentale, egli rifuggirà da ogni attività intellettuale al di fuori del suo ristretto campo di ricerca, rifiuterà ogni allargamento di orizzonti nel campo della scienza stessa e più ancora in senso interdisciplinare.

Disdegnerà soprattutto di occuparsi di concetti che sanno di filosofico o di teologico ma che soli potrebbero offrire una base solida alle sue convinzioni di fede.

Se lo stesso male colpisce invece il ricercatore teorico, l'elaboratore di teorie - tipo di scienziato in cui sonnecchia il filosofo -, egli finirà per assolutizzare le nozioni scientifiche che gli sono familiari, le eleverà al rango di principi universali dell'essere e del conoscere, si ridurrà a sviluppare in un senso unilaterale la sua personalità di uomo, perderà il senso delle realtà metafisiche e di una Verità trascendente.

Resteranno pertanto senza risonanza nel suo spirito il regno sovrastante delle realtà spirituali: anima immortale, esistenza ed azione di Dio nel mondo, redenzione, chiesa e doveri che ne conseguono.

Il peggio è che ci si arrischia a dare giudizi di valore che sono propri di una posizione filosofica senza accorgersi di non essere più entro il campo di propria competenza ove soltanto si poteva legiferare con autorità.

Errori simili, avallati in apparenza dalla scienza o dai suoi rappresentanti di un certo nome, hanno potuto ingannare non pochi scienziati e filosofi.

Un caso del genere assai rilevante si ebbe con la concezione meccanicistica e deterministica della natura, che dall'epoca galileiana si venne affermando grazie ai successi della meccanica dal campo astrale a quello molecolare.

Si venne dunque alla concezione di un mondo-macchina e si arrivò a pensare che anche gli organismi viventi e l'uomo stesso altro non fossero che delle pure macchine.

Su tutto questo fecero leva per secoli i fautori di un materialismo ateo o almeno di una distorta idea di Dio, proclamando l'inutilità della preghiera, l'impossibilità del miracolo, la negazione di ogni libertà.

Quando invece, con la scoperta dei "quanti" ( Planck, 1900 ) e della teoria della relatività ( Einstein, 1905 ), una gran ventata di novità sconvolse la fisica, il vecchio scientismo prese nuove forme non meno deleterie.

Anzitutto l'indeterminismo, microfisico quantistico di Heisenberg parve distruggere il principio di causalità ( sicché a filosofi come Orestano sembrarono perdere valore le prove dell'esistenza di Dio su quello fondate ) e si teorizzò a lungo su un mondo non più dominato da leggi ferreamente necessarie, ma abbandonalo al capriccio della casualità pura.

Quanto alla teoria di Einstein, parve a molti che la dimostrata relatività delle misure di spazio e di tempo, secondo lo stato di movimento di colui che misura, implicasse una vera relatività filosofica, cioè la riconosciuta inesistenza di un qualsiasi valore immutabile o entità assoluta.

Il primo di questi errori, dovuti all'impatto di novità sorprendenti e poco approfondite, fu corretto dallo stesso Heisenberg, il quale mostrò che l'indeterminismo non poteva offrire una valida base epistemologica per la negazione della causalità fisica.1

Quanto al secondo è ben noto come l'aver riconosciuto relative certe grandezze fisiche non ha fatto che spostare il carattere di assolutezza ( invariabilità ) da queste grandezze ad altre.2

Ci furono d'altra parte negazioni più radicali come quella del neopositivismo ( di Vienna e di Chicago ), che riducendo la fisica a puro formalismo delle proposizioni, a pura analisi del linguaggio, al puro osservabile, con esclusione di ogni concetto ed entità di tipo metafisico, aveva finito per travolgere in uno stesso disastro la realtà del mondo materiale e la stessa fisica che ne studia le leggi.

Punto di vista che è stato ampiamente confutato e che già si condanna da sé per la sua stessa eccessiva negatività.3

È evidente come i suddetti errori abbiano potuto turbare la fede dei semplici e costituire dei comodi pretesti ed alibi per l'incredulità, ma non certo causa determinante.

Per concludere questi rilievi riguardanti il metodo, insistiamo non tanto sulle preziose affinità rilevate tra spirito scientifico e spirito religioso, ma sulla necessità di integrare quello nel più vasto spazio di questo che ha tante dimensioni in più.

Quelle affinità da sole non bastano a far riconoscere, anzi possono indurre a negarlo chiudendosi in una posizione "scientista", questo "di più" che integra e dà pienezza ad una autentica vita di fede.

Infatti se non si può pretendere di giustificare per via di metodo scientifico l'intrinseco contenuto delle verità di fede ( dogmi ), si dovrà almeno ammettere con perfetta razionalità che quelle verità, pur inaccessibili alla ragione, devono accettarsi perché non ci sarebbe altra via di possederle in modo sicuro che per rivelazione.

III - La vocazione dello scienziato

Il mondo materiale è per il cristiano l'espressione del pensiero di Dio, riflesso lontano della sua bellezza e dono del suo amore.

È quindi normale che alla scienza, che ha per compito di investigare l'universo per decifrarne il disegno, ci si dedichi come attratti dal fascino di una misteriosa verità che si cela nelle cose.

Come non parlare di "vocazione" in coloro che si sentono così attratti verso la scienza da dedicarvi tutta una vita e come non temere che tale scelta si faccia invece per motivi meno degni?

Solo a frammenti si rivela nei vari campi questa fascinosa verità, ma è assai meno il loro tradursi in applicazioni tecniche che appaga l'intelletto, che non il loro coordinarsi in una sempre più vasta sintesi.

Questa ripaga assai meglio la società del dispendio e dei sacrifici che l'impresa scientifica comporta nel suo insieme.

Anzi, un lavoro di ricerca che non sia seguito o affiancato da uno sforzo di ripensamento che renda comprensibili alla gran massa dei non specialisti i risultati e la problematica che impegna gli scienziati, priverebbe il lavoro scientifico di una delle sue finalità essenziali.

Assolvono a questo dovere quanti si dedicano alla cosiddetta "divulgazione scientifica", lavoro di importanza capitale perché sensibilizza ai problemi della scienza larghi strati della società e li rende partecipi delle sue acquisizioni.

L'arte del divulgatore, scienziato ed anche un po' filosofo, dovrebbe offrire una sintesi dei risultati più significativi sfrondati da ogni tecnicismo, ma far rivivere anche le ansie e la drammaticità della ricerca, come la profonda gioia della scoperta.

A molti scienziati di oggi, presi nella morsa del loro quotidiano impegno, consci dell'enorme distanza tra ogni ristretto campo di ricerca specializzata e una visione globale, sembra anacronistico un tale discorso, sembra loro una poesia d'altri tempi, ormai perdutasi nella giungla della scienza moderna.

A quella "poesia" si contrappone la condizione concreta in cui opera il ricercatore sperimentale, prosastica, data la necessità di mirare ogni volta a obiettivi ben ristretti, la rigorosa attenzione a mille minuti particolari tecnici, richiedenti estrema pazienza, fatica e dedizione senza limiti: « Pazienza, pazienza,… ogni atomo di silenzio reca il dono di un frutto maturo ».

Solo a questo prezzo si riesce a portare qualche minimo sassolino al grande edificio della conoscenza.

Spesso il ricercatore si specializza in un solo apparecchio ( Wilson nella camera a nebbia, Aston nello spettrografo di massa,… ), « nuovo talvolta ma sempre perfezionato secondo un certo pensiero… lo costruisce con cura gelosa, con una pazienza da certosino, con una precisione da orologiaio…, vi si affeziona, fa corpo con esso », vi lavora per tutta la vita, ed è incredibile il tempo che vi deve spendere per renderne perfetto ogni dettaglio.4

Quando gli avviene di scoprire qualcosa, spesso non sa che ciò era stato previsto da qualche teorico, infatti non ha tempo di leggere ne la forma mentis per capire le memorie dei teorici.

( Così capitò a Davisson e Germer con la diffrazione degli elettroni, prevista da de Broglie e ad Anderson col positrone, già previsto da Dirac ).

E così, come già detto per il metodo, anche la vita del ricercatore è per austerità e sacrificio tanto affine all'ascesi cristiana.

Solo la dedizione a una nobile causa, fosse solo la conquista di qualche briciola di verità, vale a giustificarla.

Veramente « dovunque esiste qualche cosa di buono ci dev'essere dietro una forza spirituale »,5 per cui basterà riferire queste particolari verità alla loro prima sorgente per riconoscerle come dono di Dio che s'irradia tra noi e per sentirsi spinti al vero ascetismo cristiano.

Il Vat II ha sottolineato la validità di questi valori umani per un loro recupero in Cristo.

Nel suo Spirito - ci dice - noi siamo vivificati e coadiuvati mentre « andiamo pellegrini incontro alla finale perfezione della storia umana che corrisponde in pieno col disegno del suo amore » ( GS 45 ).

Tale è stata la coscienza di sempre nella chiesa, secondo il detto paolino: « ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra » ( Ef 1,10 ), e non ha atteso il concilio per manifestarsi: « No, nostante la colpa originale - scriveva il Mouroux nel 1953 - tutto conserva l'impronta divina, tutto è ancora capace di essere orientato e reso utile, come il ferito di guarire e di lavorare.

Tutto è, in causa, riscattato da Cristo, e la benedizione divina è ridiscesa sulle cose, sugli esseri, sulle fatiche umane.

La chiesa non ha mai pensato che le cose siano cattive; è il cuore dell'uomo che diventa cattivo, che fa cattivo uso delle creature e le fa gemere sotto la pressione di questo pervertimento.

Ma i cieli cantano sempre la gloria di Dio; l'uomo ha ricevuto la vocazione di figlio di Dio e la, custodisce; lo sforzo umano è sempre destinato a migliorare il mondo o a riscattare le anime.

Le realtà, i valori temporali, possono essere feriti e pericolosi ma sono innocenti e sempre degni di essere amati ».6

E allora, proprio da una condizione che poteva parere prosastica e proprio in forza della superiore logica del Vangelo - « se il chicco di grano… non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto » ( Gv 12,24 ) -, rifiorisce l'intima poesia che prelude a lungo andare alla stagione dei frutti.

Ma essi potranno appagare la nostra sete di conoscenza solo prendendo posto in una sintesi, in una visione d'insieme da contemplare.

Vi accenneremo ancora parlando dei risultati; qui avvertiamo solo che si tratta di quadri che colgono aspetti di una visione del mondo presa a diversi livelli, come altrettante raffigurazioni pittoriche della stessa realtà, inesauribile nei suoi aspetti e mai completamente esplorata.

Qui dunque lo scienziato cristiano è chiamato a lavorare da artista con una sensibilità raddoppiata per le due nobilissime qualità che impersona.

È chiamato a comunicare un mondo di meraviglie e di bellezza che a lui si è rivelato.

Questa è l'essenza della sua vocazione a livello di conoscenza: trasmettere questa gioia di conoscere la sapienza che è nelle cose e che fa di questo mondo creato un dono di ineffabile amore.

IV - La missione dello scienziato

La religione ha un compito benefico nei riguardi dell'uomo: far sì ch'egli raggiunga con pienezza il suo fine, e spetta in conseguenza allo scienziato cristiano un corrispondente compito salvifico verso la società umana.

L'universo materiale è, nel pensiero cristiano, qualche cosa di sacro, perché opera di un Dio infinitamente adorabile, personale e trascendente, di un Dio che nella sua opera ha impresso i connotati riconoscibili della sua unicità, sapienza, bontà, amore e gioia in grado ineffabile.

Di un Dio soprattutto che ha creato l'uomo a sua immagine, e quindi come essere cosciente e volitivo cui compete un dominio conoscitivo e operativo sull'universo sempre più pieno per riplasmarlo e umanizzarlo.

In quanto creazione, cui egli stesso è chiamato a cooperare, questo gran mondo è per il cristiano tutt'altro che un mostruoso, fatale apparato, indifferente al bene e ai destini umani.

Diversamente da ogni altra religione, per quella cristiana la vicenda del tempo non è un volgersi a vuoto, un inespressivo e ciclico "eterno ritorno", ma una storia, un lineare sviluppo, un imperativo di progresso verso una meta.

Se i lineamenti precisi di questa meta sfumano nel mistero escatologico, il valore delle promesse giustifica le più radiose speranze.

Certo, l'ombra del peccato oscura il regno della natura e dell'uomo, ma l'incontro con Cristo ci offre un potere di recupero veramente esaltante.

Nel fatto dell'incarnazione si compie una sintesi tra le entità che parevano più opposte: non soltanto la materia e lo spirito s'incontrano, ma la natura e la grazia, l'essere creato e il creatore, l'uomo e Dio.

Un fatto che ha implicazioni e conseguenze profondissime che si è lungi dall'aver esplorato.

Qui la natura e l'uomo si riscattano, le stesse attività umane, e tra esse la costruzione della scienza e della tecnica, acquistano un valore che in ogni altra concezione della realtà sarebbe impensabile.

Si spiega allora assai bene il fatto comunemente ammesso che la scienza fisico-matematica ha avuto esclusivamente, e non certo per caso, origine in ambiente profondamente penetrato di idee cristiane.7

Sorprende infatti che una scienza matematico-sperimentale della natura non sia sorta presso nessuna delle grandi civiltà del passato.

Ne presso i greci, cosi bravi matematici e astronomi e filosofi, ne preso i cinesi e gli indiani, ne presso gli ebrei.

Ne presso gli arabi e gli egiziani, che avevano tanto coltivato la matematica e sviluppato l'alchimia, s'era visto nascere quel tipo di ricerca empirico-razionale su base matematica che caratterizza la scienza moderna e ne ha condizionato il successo.

È ampiamente ammesso che dovettero essere determinanti per tale sviluppo gli elementi sopra indicati del pensiero cristiano come furono intensamente vissuti nel periodo scolastico medievale.

"Tutto legato dal senso di una razionalità inesorabile, dal concetto dell'ordine e della legalità, questo lungo periodo di dominazione della logica e della teologia ha senz'altro fornito al nascere della scienza una base ideale di preparazione.8

Questi elementi furono, ripetiamolo, il senso acuto della razionalità della natura ( e quindi di Dio e dell'uomo ), il senso della storia e della realtà progressiva del tempo e, infine, il ritrovato senso di dignità del mondo materiale ( che, coll'incarnazione del Verbo, si spinge fino alla risurrezione dei corpi, alla loro finale glorificazione e alla stessa trasfigurazione ultima del mondo materiale in « nuove terre e nuovi cieli » ), per cui, non solo l'universo può, ma deve essere conosciuto e manipolato dall'uomo, ed egli è spronato all'iniziativa operosa, avendo ogni azione contingente irripetibili riflessi nell'ai di là.

La scienza moderna non è che una struttura mentale perfettamente rispondente a questo imperativo; e se è véro che essa non è sorta senza contrasti e polemiche, tutto però è avvenuto entro lo stesso orizzonte cristiano poiché la quasi totalità dei protagonisti furono e vollero restare credenti.

E una volta creato questo poderoso strumento, lo si riconosce provvidenziale giacché per suo mezzo la stessa concezione cristiana si fa incomparabilmente più profonda allargando i suoi orizzonti a piani di realtà altrimenti irraggiungibili.

Infatti, da una migliore conoscenza del creato si giunge a una migliore conoscenza di Dio, mentre il cooperare all'opera della creazione non può avere altra mira che di umanizzarla, cioè di orientare lo sviluppo tecnologico in senso favorevole all'uomo con pieno rispetto alle sue finalità extraterrene.

Ma c'è di più: se il cristianesimo ha favorito il nascere della scienza, non varrà anche, attraverso i suoi esponenti più degni, a conservare la scienza stessa nella sua autenticità contro tutte le sofisticazioni che la minacciano?

Ora ci sembra che distorsioni deformanti, la scienza può subirne in tre momenti del suo sviluppo: all'inizio, ove i presupposti siano logicamente errati o concretamente falsi, o i propositi non eticamente leciti; nel corso del procedimento, ove esso si svolga con metodologie mal fondate, azzardate o discutibili; alla conclusione, ove si traggono conseguenze al di là delle premesse o si facciano estrapolazioni oltre i limiti di validità di un dato campo d'indagine.

Questi errori non sono soltanto a base dello "scientismo" di coloro che presumono valide in altri campi, e spesso anche senza alcun limite, teorie scientifiche più o meno provate, ma ancora, con mentalità analogamente deviante, di una certa "tecnolatria" che promuove norme di azione in campo sociale spesso immorali e causa di incalcolabili danni.

( Per es. un birth control basato su valutazioni errate ed attuato con pratiche abortive ).

Torneremo su questa pericolosa illusione che la scienza e la tecnica possano bastare a risolvere tutti i problemi dell'uomo, ma si affaccia fin d'ora la questione: che cosa si può chiedere in proposito allo scienziato cristiano?

Egli dovrà certamente proporsi di dirottare l'attuale mondo tecnologico verso traguardi più umani.

È per questo necessario che egli accetti senza riserve la sua missione, che operi da scienziato con pieno rigore metodologico, costituendosi esempio di onestà professionale in un mondo che cede al compromesso e facilmente indulge alla demagogia.

Occorre anche che egli viva la sua fede con vera pienezza, con impegno e senso di responsabilità sul piano del pensiero e dell'azione.

V - I risultati della ricerca scientifica

Vediamo ora come i risultati della scienza si vengono a integrare in una visione cristiana del mondo.

Ci chiediamo: Quali verità religiose una visione scientifica del mondo può, per analogia, richiamare, esprimere o far meglio risaltare?

Vedremo con esempi, che si potrebbero moltiplicare, come essa appunto richiama alcuni tratti di una concezione cristiana del mondo, di Dio e dell'uomo.

Il cristiano per es. ha dovuto sempre opporsi a un'idea dell'origine dell'universo come di un atto di ordinamento, fors'anche attribuito al caso, di una preesistente materia informe.

Ora la fisica ha fatto enormi progressi nel campo dell'analisi microscopica della materia e ci dice che questa è essenzialmente ordinata fin dalle sue strutture più minute, fin dalla sua più intima costituzione: « Chi l'ha ordinata l'ha anche creata, l'ha ordinata creandola, l'ha creata nell'ordine.

Creatore e ordinatore sono uno solo, dice la scienza; non poteva ordinare l'intimo essere se non chi lo creava ».9

Ancora: la fede ci dice che Dio ha creato il mondo come una realtà finalizzata all'uomo perché ne tragga possibilità di vita e luce di conoscenza.

Ora, questa luce è sprizzata vivissima e lo testimonia l'immensità dello scibile sia nel vasto campo della scienza come nelle solide costruzioni della filosofia, e tutto si è compiuto partendo dall'osservazione immediata, da ciò che è direttamente accessibile ai sensi.

Si è proceduto dal visibile all'invisibile, dal tangibile all'inaccessibile, al piccolissimo e al grandissimo.

Si è pervenuti al regno dell'immateriale, al mondo dei valori e della metafisica.

Ma una volta che, con combinazione di complessi strumenti e di ragionamento matematico, si è giunti a penetrare ai due estremi opposti del micro e del macrocosmo, la fisica vi ha scoperto qualcosa di allucinante e di sconvolgente.

Nel cuore dell'atomo eccoci di fronte a tutto un guizzare inafferrabile di corpuscoli e di onde che si susseguono ribelli ai nostri tentativi di una precisa messa a fuoco della loro sfuggente identità.

A livello di quelle che ci sembravano le più profonde radici dell'essere, vediamo sfumare quella confortevole solidità e nettezza che caratterizza il mondo della nostra esperienza immediata come ha inesorabilmente decretato il principio di indeterminazione di Heisenberg!

Ma così non crolla anche questo mondo della comune esperienza e con esso anche tutto l'edificio della scienza e dei valori che vi avevamo costruito?

E ancora: cosa troviamo di stabile nella struttura in grande dell'universo?

Minata da una generale, precipitosa espansione, questa stessa immensità materiale va disperdendosi quasi fosse destinata a svanire nel nulla!

Anzi, a livello appunto di totalità cosmica, come struttura spazio-temporale in rapida evoluzione, non riusciamo a formarci un'immagine chiara e distinta dello stato presente dell'universo indipendentemente dalla sua storia.

Ma tutto ciò rispecchia bene il concetto che noi avevamo del mondo come contingente, ontologicamente instabile e creato dal nulla.

Anche il fatto, ora riconosciuto, che esso consta di entità simmetricamente opposte, "particelle" ed "antiparticelle" ( materia ed antimateria ), destinate ad elidersi mutuamente, ne da una sensazione molto viva.

Ritornando all'indeterminismo subatomico, ci possiamo chiedere che senso ha questa impossibilità di scandagliare a fondo le più sottili radici del mondo fisico.

Per vedere infatti i minimi componenti dell'atomo dobbiamo illuminarli, alterando con ciò posizioni e movimenti.

A quel livello, ovviamente, si sono oltrepassati i limiti della conoscenza sensibile; per procedere oltre occorre una luce più fine, più immateriale, quella dell'intelletto che "legge al di dentro": è la metafisica che subentra alla fisica.

È il fallimento della pretesa scientista, anche limitata alla realtà materiale, di autosufficienza del metodo scientifico.

Esso non può indagarla fino in fondo, fino a toccare, al limite delle sue esplorazioni, i solidi pilastri dell'architettura dell'universo.

Ecco invece che questi pilastri, che danno al mondo la sua consistenza e lo rendono conoscitivamente accessibile all'uomo - e ciò da sempre, assai prima che imparassimo a fabbricare microscopi e camere di Wilson e sincrotroni -, sono di ordine metafisico e riposano essi stessi sui dati della comune osservazione.

Potrà sembrare paradossale, ma è stato lo stesso Heisenberg a notarlo: « I concetti del linguaggio naturale, seppur vagamente definiti, sembrano essere più stabili nell'espansione della conoscenza che i termini precisi del linguaggio scientifico ottenuti come idealizzazione da un gruppo di fenomeni molto limitato ».

E ciò perché i primi, « formati in immediata connessione con la realtà…, rappresentano la realtà stessa », mentre i secondi hanno con essa un contatto più remoto per interposti ragionamenti.10

Ed è in fondo il ritorno di un pensiero familiare a s. Agostino, mirante a sottolineare il finalismo generale della creazione, cioè di un mondo fatto per l'uomo e a lui dato come mezzo di elevazione: le cose in fondo non hanno natura e, se pur possiedono una realtà loro propria, nella misura in cui servono all'uso giornaliero, la perdono però non appena il pensiero si accinge a spiegarle.

Analoghe difficoltà, dicevamo, s'incontrano quando l'attenzione si volge all'altro polo del mondo, quello dell'universo in grande.

Qui però si ritrova, non solo un principio di indeterminazione analogo a quello che vige in microfisica, ma anche, come ha notato il cosmologo Me Crea che l'ha introdotto, un principio di compenso.

Cioè, mentre a causa della sopravvenuta evoluzione cosmica noi ricaviamo, osservando le regioni più lontane e quindi più antiche, informazioni sempre più incerte sugli stadi originari dell'universo, tuttavia quanto più incerti sono questi dati, tanto meno noi ne abbiamo bisogno per dedurne la susseguente evoluzione cosmica fino allo stato presente.11

Se ciò è vero, noi possiamo dedurre per via razionale quello che non ci è dato sapere per via osservazionale.

Ed è che quest'universo tuttora in espansione deve aver avuto un inizio unitario e inoltre, come Lemaìtre aveva ben visto, che esso sia sbocciato come da un seme in tutta la sua grandiosa complessità, da un'unica particella, da un atomo, modello compiuto di tutte le sottostanti specie atomiche che ne sono nate e racchiudente tutte le future potenzialità della materia.12

Qui siamo allo sbocco finale - in attesa di mete ancor più significative - di una tendenza sistematicamente in opera in seno alle varie scienze, come ancora vedremo.

Ci basti intanto costatare che questo sbocco ci richiama all'unità della causa e al finalismo che l'accompagna, cioè a Dio che nell'universo rivela la sua natura e le sue intenzioni nei confronti dell'uomo: ci è dato infatti abbracciare l'universo nella sua immensità e riconoscerne i lineamenti d'insieme.

Tanto più che si sono viste successivamente cadere, col procedere dell'investigazione scientifica, tutte le barriere che un razionalismo di corte vedute aveva pregiudizialmente poste alla conoscenza umana.

È noto come i riconosciuti limiti di visibilità dei microscopi ottici sono stati imprevedibilmente oltrepassati coll'ultramicroscopio e poi, assai meglio e più imprevedibilmente, grazie alla scoperta di L. de Broglio ( dell'onda associata alle particelle corpuscolari ), col microscopio elettronico, protonico, ecc.

È noto anche come il positivista A. Comte aveva appena proclamato l'inconoscibilità della composizione chimica dei corpi celesti, quando, grazie allo spettroscopio, si poté sviluppare una vera e propria "chimica delle stelle".

Tutte le scienze si sono arricchite di cognizioni ritenute impensabili: la struttura interna della terra ci si rivela mediante le onde sismiche, si scoprono astri invisibili dalle perturbazioni del moto di quelli visibili, si arriva a conoscere la composizione interna di stelle e pianeti e a fotografare il nucleo della nostra galassia, sottratto alla vista da una cortina opaca di nebulose, mediante i raggi infrarossi.

Se l'universo si estendesse infinitamente nello spazio e nel tempo esso, nella sua totalità, ci resterebbe praticamente inconoscibile.

Si era parlato in tal caso di una frontiera di Olbers come di un limite di osservabilità ( oltre il quale le galassie, recedendo a velocità superiore a quella della luce, resterebbero inosservabili ).

Ma la nuova cosmologia riconosce che l'universo non può essere che finito ed accessibile all'osservazione fino alle sue estreme distanze, fino alle sue prime origini!13

Ma c'è ancora di più: a questa possibilità di conoscenza la relatività einsteiniana aggiunge la scoperta di una più sorprendente possibilità di presenza, almeno di diritto, fin nelle più remote plaghe del vasto universo!14

Lungi dunque dall'avallare certe rassegnate rinunzie di una scienza senza Dio, come nello spenceriano "ignorabimus", il cristiano vede confermate dalla scienza moderna queste esaltanti possibilità che può perfettamente capire anche se parevano lontane dai suoi sogni più audaci.

VI - Le prospettive della scienza

Il cristiano che naviga sul grande veliero della scienza potrà dunque contare su venti assai propizi, anche se dovrà guardarsi da scogli insidiosi.

Vediamo ancora quale rotta egli segue e quali possono essere i suoi traguardi sulla via della conoscenza e dell'azione.

Quanto alla prima non intendiamo diffonderci sulle "prove" dell'esistenza di Dio, che non avremmo allora da disturbare la scienza, anche se è vero che a quelle prove classiche questa può conferire particolare vivezza e incisività.

Perciò sorvoliamo sulle infinite bellezze sparse per i tre regni della natura, così saturi di meraviglie, di sorprendenti invenzioni, così sapientemente organizzati, così armoniosamente coordinati tra loro, così mirabilmente lanciati in un'avventura grandiosa di lungo respiro, mirante a preparare sul pianeta terra, sullo sfondo generale di un immenso universo, per l'immane lavorio delle ere geologiche, una confortevole abitazione per l'uomo.

Quand'anche perdesse di vista questo quadro generale tanto suggestivo, l'uomo di scienza troverà di che stupirsi nel suo stesso campo di ricerca, di che alimentare la sua fede per una analogia che s'impone e colpisce.

Egli trova dovunque in natura delle costanti fisiche numericamente ben definite ( costante h di azione, g di gravitazione, e di carica elettrica elementare, c di velocità della luce, ecc. ), trova dei meccanismi funzionanti, delle leggi precise, vale a dire un dover essere che appella a una mente di ordine superiore che decide e governa.

Uno spettacolo impressionante è dato dal cammino ascendente della scienza dal molteplice al semplice.

Già al finire del sec. XVII Newton aveva stupito il mondo con la sua teoria della gravitazione universale; poi vennero i grandi principi di conservazione ( della materia, dell'energia e dell'elettricità ), quello di degradazione dell'energia.

In seguito, nel giro di un secolo o poco più, tutte le branche della scienza furono invase dalle teorie unitarie che venivano a collegare domini prima ritenuti eterogenei e dispersi: quella di Maxwell aggruppava nell'elettromagnetismo tutte le forme dell'energia radiante; quella cinetica abbracciava il comportamento termodinamico della materia; quella chimica, iniziata da Mendelejeff e approfonditasi più tardi nella moderna fisica nucleare, che ritrovava un'unità di disegno strutturale, e quindi un'intima relazione di parentela, tra le più diverse specie di materia, qui come nei più remoti angoli dell'universo.

È un grande movimento d'insieme che coinvolge in un progressivo e più radicale collegamento tutta la scienza e che abbiamo visto culminare in una cosmogonia unitaria, quella del "grande scoppio iniziale" ( il big bang o primeval fireball ) e coincide, con eventuali varianti, con quella lemaìtriana dell'atomo primitivo, cioè una monogenesi di atomi, stelle e radiazioni.

Notiamo che ad essa si è pervenuti attraverso lo sviluppo delle moderne teorie relativiste e col superamento delle opposte teorie dei "cicli cosmici" ( di Dauvillier, Bonnor e Sandage ) e dello "stato costante" ( di Bondi, Gold, Hoyle ).

Non sarà neppure essa l'ultimo traguardo, perché come ogni altra teoria ben fondata, anche se non verrà smentita, sarà certo inglobata in altre più comprensive collocate a un livello di concettualizzazione di ordine superiore.

Tale è il cammino seguito dalla cosmologia che mentre si basava inizialmente su soli dati sensoriali, ed in seguito strumentali, procede oggi verso modelli più astratti, meno intuitivi, più concettuali, come in quello che è ora in elaborazione sulla base di una nuova "relatività proiettiva".15

Un analogo fenomeno ascensionale unitario è anche riconoscibile in biologia e in matematica, per limitarci a due scienze madri tradizionali.

Quanto al mondo biologico, pur così caratterizzato da una estrema molteplicità di forme e vastità nello spazio e nel tempo, è noto quale enorme fascino abbia esercitato l'idea evoluzionista di un'unità di origine e di discendenza delle specie vegetali ed animali.

Ignoriamo fino a che punto tale teoria sia da ritenere plausibile, ma quello che è chiaro è che vi è un piano organico grandioso e preciso in tutto questo e che una mente poderosa controlla e muove tutto il mondo biologico dal di dentro in un vasto disegno di cui ignoriamo le mete lontane e gran parte del meccanismo.

L'idea-chiave di questo è venuta però in luce negli ultimi venti anni: qualcosa di particolarmente suggestivo per noi che viviamo ormai nell'era dei computers.

È il fatto della programmazione, mirabilmente condensata, come si è scoperto, nel cuore di ogni cellula vivente, nella struttura cromosomica, in quell'ADN che definisce appunto il codice genetico di ogni vivente.

Poi, la matematica, dicevamo: anch'essa offre al credente spunti possenti all'ascesi del pensiero, partecipa al gran movimento unificatore di tutta la scienza, avanza dal sensibile al razionale puro, ci mette di fronte a un dualismo di aspetti che nella sua inseparabilità riflette le due facce della realtà ovunque riconoscibili nei loro aspetti complementari: materia e spirito, immanenza e trascendenza, immagine e concetto.

Prendiamo ad es. la rappresentabilità, mediante la geometria analitica, delle figure geometriche mediante forme algebriche.

Non è meraviglioso questo potere inglobante della formula che in una equazione ad m incognite e di grado n racchiude una generica figura di ordine n di uno spazio m-dimensionale?

Si da così il caso che nel concetto di una formula sola ( potendo m ed n assumere tutti i valori numerici da zero a infinito ), in cui i coefficienti siano particolarizzati in tutti i modi possibili, siano contenute tutte le infinite figure geometriche ed iper-geometriche possibili, passando dalle più complesse inimmaginabili alle più semplici, a superfici come le quadriche e al piano, a curve come le cubiche, le coniche fino alla retta e al punto.

Questo è un esempio formidabilmente espressivo di come, in un concetto solo, semplice e unitario, si può compendiare un'infinita moltitudine di enti estremamente diversi.

Esso ci da quindi un'idea analogica abbastanza appropriata di come il pensiero divino può in un atto semplicissimo e unitario abbracciare la totalità dell'esistente e del possibile.

E veniamo ad un concetto, tanto familiare al pensiero cristiano, quello di complementarietà, che si è imposto nella matematica come nella fisica.

Tante cose infatti che sembrano contraddittorie ( materia e spirito, natura e grazia… ) si ritrovano conciliate in una sintesi di ordine superiore.

Questa nozione che ci richiama in fondo al senso del mistero, e della trascendenza, entrò in fisica nel connubio materia-energia, in quello spazio-tempo della relatività e nel doppio aspetto corpuscolo-onda delle particelle elementari.

In forma nuova esso riappare nel passaggio dal mondo inorganico al vivente, nel coordinamento dei fenomeni fisico-chimici con quelli biologici e a livelli superiori come quello della coscienza.

In matematica questo concetto si ritrova nel fatto sorprendente che non si può dare un coordinamento unitario al mondo delle forme geometriche ne a quello delle forme algebriche senza l'appello ad elementi che trascendono l'intuizione come i punti impropri e gli immaginari.

Così ne il regno delle forme geometriche, ne quello delle realtà sensibili potrebbero avere unità, compiutezza e significato senza un loro recondito retroscena inaccessibile ai sensi.

Ecco dunque le prospettive del progresso scientifico: il riconoscimento di una suprema unità, di un supremo pensiero, dal mondo dei sensi a quello invisibile della ragione, dall'essere al dover essere, dal mondo creato al creatore.

Passiamo infine dal campo della conoscenza a quello dell'azione.

Se la scienza ha origini cristiane ed essa è, come abbiamo visto, tutta intrisa di pensiero cristiano, ciò è potuto avvenire perché « essa è opera della ragione e perché Cristo ha più che mai aperto agli uomini gli occhi della ragione ».16

Uguale razionalità dovrebbero ispirare le applicazioni tecniche.

Loro fine supremo è infatti alleviare la fatica dell'uomo, moltiplicarne la potenza, difenderlo dalle malattie, aiutarlo a realizzarsi e quindi a vivere più libero e felice.

Su questa via, davvero, la tecnica ha apportato immensi benefici: ampi poteri di manipolazione sulla materia e sull'ambiente, rapidità di trasporti e di comunicazioni, diffusione della cultura, ecc.

Ma sappiamo a prezzo di quali nuove oppressioni e sofferenze tali conquiste sono state ottenute: « Tutto ciò che l'uomo inventa per liberarsi finisce per asservirlo ».17

Sussistono nei paesi altamente industrializzati condizioni di lavoro e di vita assai dure, poiché altre finalità si sono insinuate e presiedono lo sviluppo tecnico: interessi egoistici, sete di guadagno, spirito di sopraffazione.

La crisi dell'odierna civiltà tecnologica consiste in una serie di squilibri che mettono seriamente in pericolo la pace e l'avvenire del mondo.

Lo squilibrio tra paesi ricchi tecnicamente evoluti e paesi poveri sottosviluppati e affamati.

Non meno grave d'altra parte è che, dove si svolge a pieno ritmo, questo progresso tecnico si fa invadente, sfugge, si direbbe, dalle mani dell'uomo, al controllo d'ogni legge morale, rompe un equilibrio fra i diversi valori culturali ( scienza, tecnica, filosofia ) e tra la cultura stessa e la religione, che andava invece gelosamente mantenuto.

Ci si dovrà dedicare col massimo impegno alla ricostituzione di questi equilibri che col loro dissesto minacciano paurosamente la società umana.

Tocca agli specialisti della scienza fare appello alle più avanzate risorse della scienza e della tecnica per risanare quelle situazioni che sono state compromesse da un uso scriteriato e senza scrupoli della tecnica stessa.

L'impresa però sarebbe destinata a fallire se non si tenesse conto della globalità dei problemi che hanno anche una dimensione morale e spirituale e perciò essa è di particolare pertinenza dello scienziato cristiano.

Tralasciando altri aspetti della complessa questione esaminiamo brevemente come va visto in prospettiva cristiana e con quali speranze di soluzione il fenomeno veramente allarmante del neomalthusianismo.

La situazione beninteso che preoccupa i neomalthusiani, lo spettro della fame che minaccia sempre più l'umanità, la contaminazione sempre più estesa dell'ambiente ecologico in conseguenza del ritmo crescente dello sviluppo industriale, ecc. è di certo tale da preoccupare, ma più allarmante è la loro preoccupazione a giudicare dai rimedi che essi propongono.

Il fenomeno base è la "esplosione demografica" verificatasi dopo il 195018 e i rimedi proposti per una rigorosa limitazione delle nascite ottenuta mediante sterilizzazione o aborti ( tutte cose moralmente illecite ).

Malthus, come si sa, aveva sostenuto che la popolazione del mondo si accresce con un ritmo più rapido che non quello dei mezzi di sussistenza e che pertanto essa è condannata a riempire la terra in misura insopportabile ed a perire per fame.

Se le sue previsioni si fossero avverate la terra che aveva allora ( fine del sec. XVIII ) 1 miliardo di abitanti ne avrebbe oggi più di 100 miliardi mentre invece ne ha solo 4 [ fine del 1976 ]!

Ci fu dunque un madornale errore per quanto riguarda il ritmo di crescita della popolazione, che com'è noto subisce variazioni cicliche di notevole entità, dipendenti da complessi fattori di assai difficile valutazione.19

Un altro grave errore riguardava la stima delle risorse alimentari per le quali si può contare su un ritmo di aumento ben più rapido e tale da riequilibrare ( se si vuole ) in breve tempo l'attuale grave situazione.

Si è osservato che l'insieme dei terreni oggi coltivati assomma a poco più dell'estensione dell'Australia, che è certo ben poca cosa rispetto al totale delle terre emerse.20

Considerando anche che le cifre pessimistiche date dalla FAO nel 1957 e nel 1969 circa il fabbisogno minimo di calorie ( 2300 al giorno per ogni persona invece di 1600 come sostiene Colin Clarke ) e quindi circa la gravita della penuria di cibo nei paesi del terzo mondo, sono grossolanamente errate,21 si aprono molto migliori prospettive circa la disponibilità di risorse alimentari, per le quali si può dire che si offrono le seguenti vie al progresso:

1) più estesa ed intensiva utilizzazione della terra;

2) sfruttamento del mare e delle idrocolture;

3) ricorso alle possibilità della chimica e della biochimica.

Quanto alla prima, non si può ignorare quanto grandi siano ormai i progressi dell'agronomia e quali incrementi essi potrebbero far realizzare alla produzione nei terreni già coltivati col razionale uso di macchine, di fertilizzanti, di colture più appropriate ( si ricuperano terreni prima utilizzati per la produzione di gomma, colori di anilina, fibre tessili, ecc. oggi preparabili per via sintetica ), con nuove sementi di migliore rendimento e di più alta qualità, ottenute per processi di ibridazione e selezione genetica ( "rivoluzione verde" ).

Si calcola che 7 miliardi di ettari ( cioè la metà delle terre emerse ) siano coltivabili coi metodi dell'agricoltura classica e c'è chi pensa che con le attuali risorse scientifiche tutta la terra sia coltivabile: la difficoltà consiste nell'ottenere che si attuino queste possibilità, nella misura almeno in cui siano anche economicamente vantaggiose e che la campagna non venga sistematicamente abbandonata.

In secondo luogo c'è in gran parte da realizzare quella che è stata chiamata "la rivoluzione blu", cioè attingere al gigantesco potenziale di alimenti contenuto nel mare e nelle acque interne.

Questa ricchezza, disseminata su ben tre quarti di tutta la superficie terrestre, fornisce oggi appena il 2% in calorie ed il 10% delle proteine animali consumate dall'uomo, mentre è di gran lunga superiore a quella ottenibile dalle terre emerse.

Infine è in pieno sviluppo il settore delle sintesi chimiche relative alla produzione di sostanze alimentari ( proteine e aminoacidi ) a partire per es. dal petrolio ( sostanza troppo preziosa dal punto di vista chimico per poterne continuare a fare spreco come combustibile! ).

In definitiva si deve dire che non è stata sfruttata che qualche millesima parte delle possibilità che la terra offre per sfamare i suoi figli, sicché nulla giustifica scientificamente l'inumano ricorso al "controllo delle nascite".

Non l'incremento demografico è causa della fame, ma è la fame, la denutrizione che, come per una provvidenziale difesa della specie minacciata di estinzione, scatena un aumento di fecondità e quindi di natalità.22

Come si vede, questo della fame nel mondo è un problema perfettamente risolubile coi mezzi scientifici odierni; non è un problema tecnico ma un problema morale, un problema politico, campi nei quali la ragione troppo spesso non riesce a prevalere e ciò spiega il sussistere di tanti squilibri, sperequazioni, incongruenze, psicosi di odio e guerre di sterminio.

Perciò è vero che, come avrebbe detto Einstein, la politica è ben più difficile della fisica!

Queste in breve le prospettive che la scienza e la tecnica ci offrono, e pur nella gravita dei problemi che premono, creati in massima parte dall'incoscienza e dagli errori degli uomini, sono nettamente positive.

E lo sono perché realistiche espressioni di una visione di fede che ha al suo vertice Dio, la più possente, la più imperiosa e benefica delle realtà.

Ammirazione per la scienza Eroismo II
  Modelli II,3
… e spiritualità Spiritualità IV,3
Negazione dell'assoluto Assoluto I
Utilizzazione del reale Celebrazione I

1 Jean Wahi, Science et Phitosophie in Civ. d. Macchine 1963, n. 2, 19
2 V.: Max Planck, La conoscenza del mondo fisico. Torino 1943, 139ss
3 F. Selvaggi, Introduzione al positivismo logico. Roma, La Civiltà cattolica 1951
4 L. Leprince-Ringuet, Atomi e Uomini, trad. dal francese. Alba, Edizioni Paoline 1960, 55ss
5 R. Tagore, Strane contraddizioni in Civ. d. Macchine 1963, 1, 53
6 Jean Mouroux, Senso cristiano dell'uomo, Brescia 1953, 21
7 Arcidiacono, Progresso scientifico e pensiero religioso in RasT 1971/1
8 Tav. rotonda: Progresso scientifico e contesto culturale in Civ. d. Macchine 1963, n. 3, 19ss
9 E. Medi, Il mondo come lo vedo io. Roma 1974, 23
10 W. Heisenberg, Physics and Philosophy, Londra 1958, 171. Cf anche: Jean Wahi, Science et Philosophie in Civ. d. Macchine 1963, n. 2, 19
11 Mc Crea, Cosmology today in Rev. d. Quest. Scientif. Lovanio, Apr. 1970
12 Il nostro Come si evolvono i cieli, I-II, Messina 1958
13 Il nostro Atomo, Universo, Creazione, Alba, Edizioni Paoline 1977
14 Si tratta dell'accorciamento relativistico delle distanze: il nostro art. Gite stellari e paradosso degli orologi in Il Fuoco, Roma 1964
15

V. Arcidiacono. Relatività ed esistenza, Roma 1973; Id., Universo e relatività, Milano 1967

16 Così F. Carnelutti in Civ. d. Macchine 1963, n. 5, 75
17 « L'uomo ha coscienza della sua aspirazione alla libertà e della sconfitta di questa aspirazione… inventa la macchina, con essa ingrandisce le capacità del corpo e decuplica la sua potenza… afferma la sua supremazia sul mondo e prepara la liberazione.
Ora la macchina rende il lavoro più disumano che mai,… L'uomo inventa il cinema… germe di un'immensa speranza… ma, rimpinzato di immagini violente e di spettacoli immorali, si istupidisce e lascia che questo stupefacente collettivo intorpidisca quanto gli rimane di libertà interiore »: J. Mouroux, o. c., 193-194
18 Tale fenomeno fu dovuto non ad aumento di natalità ma alla drastica diminuzione della mortalità dovuta ai progressi della medicina, antibiotici, insetticidi, ecc. Josue de Castro, A explosào demografica e a forme mundial, in Civ. d. Macchine 1968, n. 4, 23-34
19 Alcuni di questi rientrano nel quadro della cosiddetta "teleonomia" che mantiene gli equilibri nel mondo biologico
20 H. de Farcy S. J., L'umanità lotterà veramente contro la fame? in CC 1975, I
21 Dice il Clarke: "Ho sfidato il prof. Ehriich a dimostrare la sua affermazione che di anno in anno la produzione alimentare diminuisce rispetto all'aumento della popolazione e l'ho costretto a ritrattarla. Invece nel complesso dei Paesi in via di sviluppo la produzione è cresciuta più velocemente della popolazione, ed ora essa supera del 6% quella degli anni '50. Ove (come a Cuba ed in Algeria) è diminuita, è attribuibile a malgoverno… Nel 1969 il direttore generale della FAO disse che la metà dei Paesi in via di sviluppo era sottoalimentata (prima un altro direttore aveva detto che i 2/3 della popolazione mondiale soffrono la fame), gli chiesi le prove, non ne aveva!" (articolo di Silvestre Theisen nell'Osserv. Rom. del 14-3-1973)
22 Così avviene che tra i postumi delle guerre vi è la penuria di cibo e da qui un aumento di natalità.
D'altra parte il Daniélou avvertiva giustamente con John Nef che bisogna sfatare il mito che la guerra sia strumento di progresso tecnico.
Lungi dal fare progredire la tecnica, essa ne impedisce lo sviluppo in sensi più fecondi (Rischi e responsabilità nel progresso scientifico in Civ. d. Macchine 1964, 1, 19-34).
Si afferma anche che l'aumento della popolazione aumenta l'inquinamento, ma, osserva il Theisen, « se una nave è in avaria si buttano via i passeggeri o la si ripara? L'automobile è una causa principale di inquinamento.
Se quello che si risparmia riducendo le bocche da sfamare si investe in più auto, l'inquinamento aumenta!
Siamo troppo ricchi per utilizzare i rifiuti! ».
I rifiuti si possono bruciare per avere energia, le acque di fogna si possono utilizzare ricavandone gas combustibili ed il residuo per irrigare. La chimica e la fisica sono oggi certamente in grado di risolvere questo problema