Utopia

IndiceA

Sommario

I. L'utopia come categoria ideologica:
1. L'« Utopia » di s. Tommaso Moro;
2. Dopo T. Moro;
3. Dopo Marx;
4. Il pensiero antiutopico e la ripresa dell'utopia.
II. Utopia come simbolo e vita spirituale:
1. Utopia e immaginazione simbolica;
2. Temi utopici del messaggio cristiano;
3. Funzione dell'utopia nella vita spirituale.

I - L'utopia come categoria ideologica

1. L'« Utopia » di S. Tommaso Moro

De opimo reipublicae statu acque nova Insula Utopia libellus vere aureus nec minus salutaris quam festivus clarissimi disertissimi viri Thomae Mori: questo il titolo con cui il pensiero "utopico" fece il suo ingresso nella storia.

L'opera venne pubblicata a Lovanio nel 1516: Moro aveva affidato l'incarico di sorvegliare la pubblicazione ad Erasmo.

Lo scritto si presenta in due libri ed ha forma di dialogo.

Moro, inviato da Enrico VIII in missione a Bruges, incontra ad Anversa un amico, Pietro Gilles, che gli presenta Raffaello Itlodeo, compagno di Amerigo Vespucci nei suoi viaggi.

Con lui discorrono delle sue navigazioni, ma immediatamente il discorso si sposta sul problema centrale del primo libro, che da il suo significato, spirituale e realistico insieme, alla prospettiva utopiana.

La discussione verte sul tema: se sia opportuno, per un uomo libero e dotto, partecipare al Consiglio del re.

Itlodeo sostiene che non è opportuno, perché i suoi consigli non sarebbero mai accolti: i re aspirano infatti ad aumentare il loro tesoro, il loro regno, il loro potere.

Nelle corti regali i consiglieri possono dare avvisi solo in questa direzione.

Proporre, in tali sedi, leggi ed istituti che limitino i poteri del re, sia verso i suoi sudditi che verso gli altri regni, sarebbe impresa impossibile e, perciò, folle.

Moro ne conviene con Itlodeo, ma afferma che si deve evitare, nei Consigli dei re, una « filosofia accademica, convinta che qualsiasi cosa si addica in qualsiasi luogo », e che occorra « darsi da fare per vie indirette ( obliquo ductu ) affinché quello che non puoi trasformare in bene, tu faccia almeno che non sia cattivo ».

Ma Itlodeo rifiuta di estendere sino a questo punto la cooperazione al male, e ribatte il suo principio: un uomo ragionevole non può prendere parte al Consiglio dei prìncipi perché essi sono dominati dalla volontà di potere.

Viene emesso così un giudizio radicalmente critico sulla società cristiana esistente: essa non è ragionevole, e perciò, a maggior ragione, non è cristiana.

I comandamenti di Cristo sono ancora più lontani dalla pratica del mondo cristiano di quanto lo siano i consigli ragionevoli di Itlodeo.

La corruzione politica è tale che la riforma dall'interno delle istituzioni vigenti è improponibile.

Non esiste altra via che quella di un radicale mutamento di istituzioni: occorre l'abolizione della proprietà privata.

Traducendo Moro in un linguaggio a lui posteriore, si può dire che a un tempo la ragione e la fede comandano la rivoluzione comunista.

Il primo libro del libellus aureus descrive tale mutamento come moralmente necessario, il secondo lo mostra come concretamente possibile: la proprietà comune esiste, è una realtà concreta nelle nuove terre che vengono scoperte in Occidente.

L'isola di Utopia nasce dunque non sotto il segno dell'irrealtà storica, ma sotto quello della possibilità storica.

Ciò che la coscienza esige come moralmente necessario, è storicamente possibile: sorge la nuova figura della potenzialità storica, cioè l'indicazione di una realtà verso cui la società umana tende come verso il suo telos immanente.

Moro crea così non solo un nuovo genere letterario, ma una nuova forma di pensiero.

Utopia è il futuro verso cui la reale isola d'Inghilterra è orientata, la speranza che il mondo cristiano porta nel suo grembo.

Amauroto, la maggior città di Utopia, ricalca il modello urbano di Londra, così come le istituzioni utopiche sono le risposte ai concreti problemi inglesi ( e della cristianità in generale ) che sono stati sollevati nel libro primo.

Utopia non è dunque una fantasia, è uno scandaglio del potenziale storico della realtà concreta, e si propone come una soluzione a problemi reali, maturata sotto la guida della ragione e le indicazioni dell'esperienza.

Moro non sogna ad occhi aperti: a livello popolare, esisteva già l'isola di Bragman di Thè Traveis of Sir John Mandeville o la dilettevole terra di Cockaygne ( la nostra Cuccagna ), dove tutto è comune a tutti.

La letteratura popolare e giullaresca del medioevo, nella sua polemica verso i ricchi e i potenti, specie ecclesiastici, aveva mantenuto una tensione al mutamento sociale all'interno della cristianità feudale.

Moro vuole proporre la proprietà comune come la soluzione della scienza e della ragione al problema dell'ordinamento politico.

L'uso volgare di "utopia", quello che si manifesta soprattutto nel senso corrente di "utopico" come irreale, è profondamente deviante, è una censura della cultura dominante sulla possibilità conoscitiva che il concetto di utopia invece offre.

L'Utopia moreana si pone come la critica delle istituzioni politiche della cristianità in nome del cristianesimo: ciò non è esplicitamente detto, ma è pur sempre chiaramente manifestato.

Moro vuole evitare quelle istituzioni che stimolano la volontà di dominio e di sopraffazione dell'uomo sull'uomo e rendono quindi storicamente "impossibile" il cristianesimo.

Tali istituzioni hanno, secondo Moro, per fulcro la proprietà privata.

Egli vuole dimostrare che gli argomenti classici contro la proprietà comune ( cioè che essa rende senza significato, e perciò mortifica, l'iniziativa umana, e che rende difficile l'esercizio dell'autorità, conducendo così di per sé alla povertà ed all'anarchia ) non hanno fondamento.

È possibile delineare attorno alla proprietà comune un sistema educativo che renda esplicite le possibilità latenti della natura umana.

Agli argomenti di fattura realistica, che dopo Aristotele sono usati contro la proprietà comune, Moro oppone un'immaginazione creatrice, che non suppone un uomo diverso se non per la diversità delle istituzioni sociali.

Il realismo della fantasia delinea una figura di società alternativa.

Il genio di Moro, il suo sorridente e severo umorismo, si manifesta nei dettagli della vita utopiana, come l'oro usato per i pitali e le gemme per il gioco.

L'ironia rivela ancora il bersaglio reale, una società in cui il fasto misura la qualità dell'uomo.

In Utopia, la proprietà comune si associa al carattere democratico del potere politico: l'elezione popolare è il fondamento di ogni autorità, anche di quelle vitalizie.

Tutte le idee che domineranno la politica europea sino al nostro secolo fanno comparsa in Utopia, perché in essa si esprime un pensiero che prende a misura non l'immediatezza della politica, ma il suo absconditum, la potenzialità che la fonda.

Utopia è, in questo senso, la perfetta antitesi del Principe di Machiavelli.

La ragione può proporre un suo modello, senza doverlo ricevere passivamente dalla tradizione politica o dalle istituzioni vigenti e dai costumi che esse suppongono e conservano.

La potenza dell'intuizione di Moro appare anche maggiormente se si osserva che questa profonda novazione è compiuta sulla base della tradizione teologica.

Moro è inserito nella cultura classico-cristiana, in quanto umanista e uomo di fede.

I riferimenti a Platone sono espliciti, e questo è comprensibile perché Moro vuole dimostrare che il comunismo utopiano è fondato sulla ragione e sulla vera filosofia.

Ma le ragioni prementi, che inducono Moro verso il comunismo dei beni, vengono dal desiderio di una società, di un modo di istituzioni in cui la regola evangelica sia storicamente "possibile".

Proprio per proteggere la motivazione cristiana della sua ricerca egli pone innanzi la ragione e la filosofia.

Agostino non è perciò citato: ma il riferimento al De Civitate Dei è strutturante per la concezione di Utopia.

Ciò che Agostino dice della virtù civile romana, è trasposto in Utopia: il comunismo dei beni è visto come il mezzo per incoraggiare l'esercizio delle virtù morali, che Agostino loda in Roma, togliendo ciò che Agostino condanna, cioè il dominio come ultimo risultato della pratica di quelle virtù.

Utopia verifica il concetto agostiniano di popolo: coetus multitudinis rationaiis rerum quas diligit concordi communione sociatus.

Il giudizio di Itlodeo sui consigli dei re ha come fondamento un celebre giudizio agostiniano: remota itaque justìtia, quid sunt regna nisi magna latrocinio?

Moro legge la cultura tradizionale sulla base di una problematica nuova, ed usa il patrimonio dottrinale comune come critica delle istituzioni della cristianità.

Il cristianesimo elabora qui per la prima volta un pensiero propriamente politico, che non si qualifica come cristiano soltanto perché limita la ragione in nome della rivelazione, ma perché cerca di inventare le istituzioni in funzione del bene spirituale della persona.

Utopia è la critica cristiana di quel mondo istituzionale che avrebbe condotto al capitalismo e alla società borghese, prima che questa sorga: e ciò non in nome del passato o della tradizione istituzionale, ma in nome del potenziale della natura umana che la storia è chiamata a manifestare.

La stessa vita di Moro esprime quella sintesi di pensieri diversi che anima il suo pensiero.

Moro diventerà, venendo meno ai princìpi indicati da Itlodeo, membro del Consiglio di un principe: ma i suoi consigli non saranno seguiti, nonostante siano presentati con estremo rispetto, con grande prudenza e realismo; proprio come aveva previsto Itlodeo.

Egli fa appello alla libertà della sua coscienza legata solo dalla legge divina, e così formula il principio di libertà proprio della tradizione cristiana; muore martire della fede cattolica nel primato del papa.

Egli rimane così una delle figure più universali e significative della storia del cristianesimo.

2. Dopo T. Moro

Utopia apre una nuova dimensione al pensiero politico: l'alternativa utopiana si contrappone al pensiero politico realistico.

Il positivismo della Politeia aristotelica si conclude nel duro neopaganesimo del potere cui finisce con giungere l'umanesimo italiano.

I due filoni, quello del pensiero utopiano e quello del pensiero realistico, si fiancheggiano per lungo tempo.

Tre anni soltanto separano il De Utopia da Il Principe, i due archetipi degli opposti indirizzi.

Alla fine del '500 la realistica Ragion di Stato del Botero si contrappone a La Repubblica Immaginaria di Ludovico Agostini: il contrappunto continua nella quasi contemporaneità del Leviathan di Hobbes con l'Oceano di Harrington, del Treatise on Government di Locke con le "utopie" del Vairasse e del Fénelon.

I due tipi di pensiero si fronteggiano, sino a che la sintesi marxiana potrà ritenere di aver fuso pensiero utopiano e realismo, collocandosi come la conclusione dell'uno e dell'altro.

Le "utopie" che seguono l'opera di Moro mantengono il carattere fondamentale del De Utopia moreano, sia nel genere letterario che nella struttura figurativa.

Si narra di isole esistenti in uno spazio non ancora raggiunto dalle esplorazioni; le si descrive analiticamente nelle loro istituzioni e nel loro modo di vita.

Gli utopisti si oppongono ai realisti perché ritengono che i costumi umani possono essere modificati da saggi ordinamenti: l'egoismo, l'individualismo, la volontà di dominio possono essere scoraggiati da
buone istituzioni in modo tale che il fare il bene divenga all'uomo spontaneo e naturale.

Le cattive istituzioni al contrario corrompono i costumi e falsificano la natura dell'uomo.

L'abolizione della proprietà privata e il comunismo dei beni rimangono pelquesto la caratteristica prevalente delle utopie.

Per l'abolizione della proprietà privata e per il comunismo sono i dialoghi intitolati L'infinito di Ludovico Agostini ( scritti tra il 1585 e il 1590 ) in cui si parla di uno Stato ideale, una "repubblica immaginaria";

la Reipublicae Christianopolis descriptio di lohann Valentin Andreae, teologo luterano ( 1619 );

la Città del Sole di Tommaso Campanella ( pubblicata nel 1623, ma scritta nel 1602 );

l'Histoire des Severambes di Denis Vairasse D'Allais, pubblicata a Parigi nel 1677;

l'Histoire de l'Ile de Calejava ou Vile des hommes raisonnables di Claude Gilbert ( 1700 );

Thè Memoirs of Signor Gaudenzio da Lucca di Simon Berrington ( 1738 ),

la Basiliade du célèbre Pilpai ( 1753 )

e Le Code de la nature ( 1755 ) di Morelly,

La Découverte australe par un homme volani di Nicolas Restif de la Bretonne ( 1789 ),

Thè Constitution of Spensonia di Thomas Spence ( 1801 ),

il Tratte de l'Association Agricole di Charles Fourier ( 1822 ),

il Voyage en Icario di Etienne Cabet ( 1834 ),

News from Nowhere ( 1896 ), che anche nel titolo ritorna al De Utopia moreano.

Il De Utopia di Moro è l'archetipo di tutta questa letteratura che si stende per più di tre secoli.

In un luogo sconosciuto, eppure reale e storico, esiste una società retta da istituzioni comunistiche in cui la natura umana si manifesta in una forma più ricca e migliore del modo in cui appare nel mondo conosciuto delle istituzioni privatistiche.

Non mancarono tentativi concreti di realizzare l'utopia.

Il più storicamente e culturalmente significativo ( riattualizzato da un celebre dramma di Hochwalder ) è quello che il Lugon definisce « la repubblica comunista cristiana dei Guarani », cioè le famose Reducciones realizzate dai gesuiti spagnoli per impedire lo sfruttamento colonialistico e schiavistico degli indigeni da parte dei possidenti spagnoli.

L'esperimento durò più di un secolo, tra il 1612 e il 1768.

Il sistema economico era fondato sul comunismo integrale e sul lavoro obbligatorio per tutti.

Le terre, gli edifici pubblici, le case, gli strumenti di lavoro, i prodotti del lavoro collettivo erano proprietà pubblica.

Non esisteva il danaro ed il commercio: i capi dei quartieri ricevevano dai magazzini il fabbisogno per le famiglie e lo distribuivano secondo le diverse necessità.

Lo scioglimento della Compagnia di Gesù negli Stati spagnoli pose fine alle Reducciones comuniste nel Paraguay.

Mentre esse vengono disperse, un gruppo di quaccheri, l'Unifed Society of Believers, guidata da Ann Lee, abbandona l'Inghilterra e compie nelle colonie inglesi d'America un esperimento comunista attorno al Mount Lebanon che dura fino al 1950.

Cabet cerca, nel 1847, di realizzare Icaria a Nauwoo, nell'Illinois, e John Humphrey Noyes organizza comunisticamente la comunità di Oneida vicino ad Utica nello stato di New York.

Riferendosi agli U.S.A. la sociologa R. M. Kanter ha esaminato un campione di 25 comunità di tipo utopiano degli Stati Uniti non riuscite ( cioè che sono durate poco ) e di 21 che hanno resistito a lungo.

Il kibbutz israeliano risente dell'influsso di Utopia.

Ma anche in anni più vicini a noi l'idea di un nuovo modo umano legato a un tipo diverso di istituzioni, a livello di piccolo gruppo, continua a esercitare il suo fascino: pensiamo a Nomadelfia, di don Zeno Saltini.

Nel 1960 una nuova comunità utopiana, ispirata ad Oneida, Twin Oaks, sorge negli U.S.A.

L'influsso della città della giustizia pensata da Moro giunge persino a toccare l'induismo: Auroville, sorta nel 1968 in India sulla scorta degli insegnamenti di Shri Aurobindo, è ancora una nuova prova della presenza di Utopia.

3. Dopo Marx

Nel Manifesto, Marx ed Engeis, pur riconoscendo al comunismo "utopistico" di aver attaccato tutte le basi della società esistente e di « aver fornito elementi di grandissimo valore per illuminare gli operai », cioè « le affermazioni positive sulla società futura quali l'abolizione del contrasto tra città e campagna, quella della famiglia, del guadagno privato, del lavoro salariato, l'annuncio dell'armonia sociale, la trasformazione dello Stato in una semplice amministrazione della produzione», affermano che le utopie contengono solo « una descrizione fantastica della società futura ».

L'autorità del Manifesto è tale che, grazie ad esso, "utopistico" diventerà sinonimo di fantastico e di irreale.

Ma il concetto di comunismo cui Marx ed Engels fanno riferimento è quello del pensiero utopiano: il concetto "positivo" che il marxismo si fa del comunismo è quello elaborato dalle utopie.

Non ve ne era storicamente altro.

Marx ha conservato, delle utopie, il concetto stesso di modificazione del comportamento umano, ma ha ritenuto che la forza di trasformazione dell'umanità dal privativismo al comunismo sarebbe stato il capitalismo, frutto ultimo e maturo della divisione del lavoro e del sistema della proprietà privata.

La società fondata sull'istituzione proprietaria sarebbe sboccata dialetticamente, e cioè in virtù del suo stesso movimento interno di autonegazione, nel comunismo.

La dialettica marxiana conduce tuttavia, rispetto alle utopie, ad un mutamento nel rapporto tra istituzioni comuniste e comunismo.

Nelle prospettive utopiane sono le istituzioni comuniste che determinano il nuovo comportamento negli uomini; nella prospettiva marxiana è invece la nuova situazione in cui il capitalismo maturo colloca la società a determinare il sorgere delle istituzioni comuniste.

Ma le istituzioni comuniste, cioè l'elemento proprio del pensiero utopiano, sono sempre presenti in Marx, anche negli scritti più tardivi.

Nella Critica al programma di Gotha Marx scrive: « In una fase più elevata della società comunista, dopo che è scomparsa la subordinazione servile alla divisione del lavoro, ed il lavoro è divenuto non solo mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo generale degli individui sono cresciute le forze produttive e tutte le sorgenti delle ricchezze sociali scorrono nella loro pienezza, solo allora l'angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato e la società scrivere sulle sue bandiere: ciascuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo i suoi bisogni ».

La differenza tra il comunismo dell'utopia moreana e quello marxiano è che le istituzioni comuniste sono un atto di rottura e di fondazione per il pensiero utopiano, mentre per quello marxiano la rivoluzione è l'ultimo risultato di un processo economico, non una fondazione istituzionale.

Paradossalmente, il comunismo è entrato nella storia in nome della dialettica marxiana, che lo costituiva come socialismo scientifico in contrapposto al socialismo "utopistico", ma al modo di Moro, cioè mediante la fondazione di nuove istituzioni, in cui l'abolizione della proprietà privata e l'instaurazione del comunismo avviene mediante un atto rivoluzionario.

Lenin poteva sperare ancora, in Stato e rivoluzione, nel deperimento immediato dello Stato alle origini stesse della dittatura del proletariato, ma in realtà ciò non è avvenuto.

Il comunismo si è dunque instaurato come sistema politico, incaricato di ordinare una pedagogia collettiva fondata sulla formazione dell'uomo nuovo, dell'uomo comunista, mediante l'uso di tutto il potere di cui uno Stato dell'età industriale può disporre.

L'elemento comunista utopiano rimane presente in Stalin, che realizza la completa abolizione della proprietà privata in U.R.S.S.

Nel suo ultimo scritto teorico: Problemi dell'economia e del socialismo ( 1952 ), Stalin confuta l'ipotesi tecnocratica, avanzata dall'economista Jaroscenko, dell'esistenza di una scienza economica della pianificazione e ripropone il carattere comunista della società sovietica, sino a sostenere in prospettiva l'abolizione del denaro e dello stesso commercio interstatale; queste sono caratteristiche distintive di Utopia.

Il saggio di Stalin mostra che persisteva negli anni '50 l'elemento utopiano nella concezione del comunismo sovietico.

Tale elemento utopiano sparisce nella prospettiva krusceviana, che presenta la società sovietica sotto il segno dell'abbondanza e della vittoria economica sulla società capitalista.

Non è un caso che la posizione di Kruscev ritrovi, nella polemica contro l'elemento utopiano accusato di astratta violenza, le medesime critiche che all'Utopia moreana rivolgeva il maggior teorico della socialdemocrazia tedesca, Karl Kautsky.

Per Kautsky, il De Utopia di Moro propone una visione socialista e addirittura una visione socialista di tipo marxiano: ma vi sono tesi non socialiste nel De Utopia, quelle cioè che suppongono la rarità non vinta, la limitazione dei bisogni, il carattere ancora coercitivo del lavoro, la non-spontaneità di esso.

Il comunismo del De Utopia propone la sufficienza per tutti a causa delle istituzioni comuniste, invece le letture socialdemocratiche di Marx comportano un socialismo fondato sulla vittoria sulla rarità e, appunto per questo, storicamente possibile.

Ma non è la prospettiva dell'abbondanza come causa della giustizia nella società, la prospettiva borghese nella sua essenza?

Moro combatte il mondo borghese al suo sorgere perché non accetta le motivazioni che esso offre al comportamento umano.

Nella lettura socialdemocratica del marxismo, è sulla conservazione di quel tipo d'uomo, reso pacato dall'abbondanza, che la società socialista viene fondata.

4. Il pensiero anti-utopico e la ripresa dell'utopia

L'abolizione della proprietà privata nell'U.R.S.S. e negli altri Stati socialisti e l'espansione del potere statuale che si è accompagnata ad essa ha aperto un dibattito sulla natura comunista di quegli Stati: una disputa che ha determinato, nello stesso mondo comunista, schieramenti opposti su un piano culturale, politico, statuale.

Ma nel contempo ha determinato un nuovo interesse attorno al problema dell'utopia, sia in senso critico che in senso positivo.

In senso critico sono sorte le anti-utopie, cioè le descrizioni di società negative, fondate sulla manipolazione e sul totale controllo dell'uomo, rese possibili dall'abolizione della proprietà privata e della struttura liberal-democratica dello Stato.

Le anti-utopie sono concepite questa volta come nascoste non in qualche punto dello spazio sconosciuto, ma in qualche punto del tempo futuro.

L'anti-utopia sente il futuro come portatore di una minaccia, esattamente come l'utopia sente lo spazio ancora inesplorato nella forma di una speranza.

Tra le anti-utopie, ricordiamo We di E. Zamjatin ( scritto nel 1922 e pubblicato nel 1952 ), Brave New Worid di A. Huxiey ( 1931 ), « 1984 » di Orwell ( 1948 ).

L'anti-utopia ha ampio spazio nella fantascienza e persino nei film ( basti ad es. L'Arancia meccanica di S. Kubrik ).

I critici dell'utopia la paragonano al mito.

Per Benedetto Croce « l'utopia fa anch'essa parte del mito, traducendo in immagini l'appagamento pieno ed intero della sempre rinascente sete dei nostri desideri e la soluzione di tutte le difficoltà che ci travagliano ».

Poiché il mito è divenuto oggetto della psicanalisi, anche l'utopia lo è divenuta.

Per lean Servier le città radiose delle utopie indicano il seno materno: la civiltà tecnologica termina nella perdita di significato e suscita l'utopia come mito regressivo.

Forse nessuno ha tanto contribuito a dare un significato non più fantastico, ma negativo, e a fondere utopia e violenza come Karl Popper.

Per il Popper, l'atteggiamento utopiano è "olistico", mira cioè a riformare la società come un tutto: perciò le utopie si realizzano espandendo il potere dello Stato senza confini.

L'utopia è il fondamento teorico del totalitarismo.

Essa è razionalmente impensabile, perché è impossibile dominare con il pensiero la totalità in quanto tale: per questo l'utopia non si può realizzare che come astratta violenza.

Popper ha creato una concezione di utopia.

« In Utopia, scrive il Dahrendorf, non regna la libertà, l'eterno, anche se imperfetto, proiettarsi verso un futuro incerto, ma la perfezione del terrore o della noia assoluta ».

Per il Mumford le istituzioni utopiche sono congelate, esprimono ideali statici e autoimitativi che inducono ad affermare che la « vita è meglio dell'utopia ».

Queste tesi, trasposte sul piano della dottrina politica e della teologia, conducono a bloccare utopia e millenarismo ( Vògelin ) o a definire l'utopia « eresia perenne » ( Molnar ).

Il tema di utopia è stato ripreso anche all'interno delle scienze sociali, come tentativo di superamento sia del positivismo che della sociologia avalutativa.

Karl Mannheim in Ideologie una Utopie aveva contrapposto al carattere statico dell'ideologia il carattere dinamico e creativo dell'utopia: tuttavia egli ha successivamente previsto una completa sparizione dell'elemento utopico nel quadro di una superiore forma di industrialismo, capace di procurare alle classi più umili un relativo benessere.

Ma così non è stato. L'utopia ha preso vigore esattamente come critica della società borghese come società tecnologica, cioè al suo stadio più maturo, essa che era sorta alle stesse origini del mondo borghese.

Il ruolo critico di utopia si è staccato dal modello della presa del potere da parte di un partito rivoluzionario e ha assunto la figura di prospettiva di un nuovo tipo d'uomo.

Il nesso tra uomo e istituzioni tende così a essere rovesciato rispetto allo schema moreano originario.

L'utopia si pone come un "mito" rivolto verso il futuro e per questo capace di esprimersi creativamente nel presente.

La scuola di Francoforte ( Horkheimer, Adorno, Marcuse ) ha offerto gli strumenti concettuali per il rilancio della prospettiva utopiana: « La filosofia, se una responsabilità ha ancora innanzi alla disperazione, è il tentativo di considerare tutte le cose dal punto di vista della redenzione » ( Adorno ).

L'utopia si colora così della "luce messianica".

Per Marcuse l'utopia è una possibilità concreta; sono mature le condizioni per la trasformazione della nostra società in una società realmente libera e perciò egli pensa si possa parlare di « fine dell'utopia » ( intesa in senso "utopistico" ).

Un rappresentante della sociologia umanistica come Theodor Geiger ha ipotizzato l'esistenza di una società priva di sanzioni.

L'alleanza tra razionalismo e realismo che si è opposta al pensiero utopiano sino ai nostri giorni non riesce più a sostenersi e apre perciò le vie alla ripresa della prospettiva utopiana.

Come congiunzione del tema utopico con l'escatologia biblica è significativo il contributo di un pensatore marxista, Ernst Bloch.

Bloch cerca di superare il nesso razionalismo-materialismo e quindi la concezione della storia come un processo necessario.

Il comunismo non gli appare come l'esito necessario della storia, ma come una sua potenzialità.

Al posto del nesso materia-necessità, legato al razionalismo ed al positivismo, egli oppone il nesso materia-potenzialità, riprendendo la concezione aristotelica della materia.

L'utopia gli appare così come lo svolgimento delle potenzialità presenti nella materia.

Tre sono, per il Bloch, le categorie centrali del pensiero dialettico, tutte fondate sulla speranza: il fronte, cioè la sezione più avanzata nel tempo, in cui si decide il tempo a venire; il novum, cioè la reale possibilità del non ancora conscio, con l'accento posto sul novum buono ( nel segno della libertà ), se viene attivata la tendenza che ad esso porta; la materia non come ''bruto macigno" ma come "essere non ancora recato a compimento", secondo la concezione aristotelica.

La coerenza teoretica e l'impianto metafisico ed antropologico del pensiero di Bloch appaiono molto difettosi: per questo il suo trapianto teologico, operato dal Moltmann, ha suscitato una discussione critica vivace.

Tuttavia il concetto di potenzialità storica e la sua connessione con il concetto di utopia rappresentano un contributo che va oltre la stessa riforma del materialismo tentata da questo marxista dissidente.

Il pensiero utopiano è sopravvissuto ai suoi limiti e ai suoi critici: esso rimane ancora una prospettiva
e un problema, sia in sede teologica che filosofica e politica.

II - Utopia come simbolo e vita spirituale

1. Utopia e immaginazione simbolica

La prima parte della voce ha documentato quale posto occupi l'utopia nel pensiero moderno.

La rassegna dei dibattiti intorno a questo tema potrebbe suscitare l'impressione che l'utopia abbia maggiore rilevanza in campo filosofico-politico e sociologico che in quello religioso.

Pensiero utopico e antiutopico, utopie positive e negative, ruotano attorno alla questione: in rapporto a quale futuro si costruisce la nostra società?

La preoccupazione dominante in questo ordine di problemi è quella di un regimen condendum universale.

Una riflessione critica attenta rivela facilmente - come è stato fatto anche in questa sede - le implicazioni ideologiche sottese alle appassionate discussioni di filosofia politica che hanno per oggetto l'orizzonte utopico dell'umanità.

Quest'approccio dell'utopia però non ne esaurisce tutta la portata.

Se ripercorriamo infatti la parabola dei vari modelli utopici che si sono succeduti da quando il tema è emerso nella letteratura ( dal modello umanistico di Tommaso Moro a tutti i suoi vari epigoni: illuministi, romantici, positivisti, ecc. ), costatiamo un progressivo restringimento della valenza semantica e della portata contenutistica dell'utopia.

Parallelamente, l'utopia si estrania dalla problematica religiosa.

Se ancora nel XVI sec. i progetti utopici si ispiravano a una religione naturale, di tipo deistico, progressivamente il razionalismo ha prevalso, estraniando l'utopia dall'universo religioso.

È proprio contro questo significato più tecnico, ma più ristretto, che va fatta valere una concezione più ampia dell'utopia.

L'utopia ha una storia più lunga di quella del tema letterario corrispondente.1

In senso specifico l'utopia è solo un aspetto parziale di un atteggiamento costante dello spirito umano, che tende a proiettare in cielo la città terrestre, sullo sfondo di una immutabile Città di Dio.

Tutta la tradizione occidentale, in particolare, è attraversata in profondità dal tema, periodicamente riemergente, del luogo e tempo venturo spiritualmente perfetti.2

Si può dire che, paradossalmente, quando l'utopia ha avuto un nome e ha cominciato ad avere una sua tradizione letteraria, ha perduto alcune delle sue valenze originarie.3

Per ritrovare le implicazioni religiose nell'utopia bisogna risalire alla sua matrice, che è il pensiero simbolico.

L'utopia è figlia dell'immaginazione simbolica, così come i simboli, i miti, la religione, la poesia, il pensiero creativo.

La finctio utopica è dovuta all'immaginazione creatrice che opera mediante i simboli.

La progressiva razionalizzazione dell'utopia è conseguenza dell'estrema svalutazione che ha subito l'immaginazione, la "phantasia", nel pensiero dell'Occidente.

Come ha dimostrato G. Durand,4 la conoscenza simbolica appare agli antipodi della pedagogia del sapere come è andata istituzionalizzandosi da dieci secoli in Occidente.

Ne è risultata una vera e propria "iconoclastia" occidentale nei confronti della conoscenza simbolica [ v. Simboli spirituali ].

Il nostro tempo comincia però a riprendere coscienza dell'importanza delle immagini simboliche nella vita mentale.

Durand fa risalire l'inversione di tendenza all'apporto della patologia psicologica ( rivalutazione del simbolo dovuta alla psicanalisi ) e dell'etnologia ( considerazione positiva dell'inflazione mitologica, poetica, simbolica che regna nelle società dette "primitive" ).

Il recupero del simbolo è andato oltre i primi tentativi della psicanalisi e dell'antropologia culturale, ancora in gran parte riduzionistici rispetto alla portata antropologica del simbolo.

Sempre più ci si rende conto oggi che la scienza non è l'unico mezzo per salvare il mondo: la "poesia" è altrettanto necessaria ed efficace.

« L'utopia o la morte », ha intitolato con efficacia Rene Dumont un suo libro recente.

Dopo le disillusioni scientiste, si guarda con maggiore attesa all'immagine per domandarle quel "supplemento d'anima" che ci difenda contro i rischi di una civiltà faustiana che tende a planetarizzarsi.

Le immagini non escludono i concetti: insieme costituiscono la barriera vitale che l'umanità erige contro le pulsioni distruttive e contro il nulla del tempo.

L'utopia veicola, insieme alla scienza, la speranza della specie umana.

Recuperati il valore e la funzione dell'immaginazione simbolica, esiste ora il presupposto per una considerazione più ampia dell'utopia, che ne colga anche gli aspetti che sono stati trascurati dal dibattito filosofico che l'ha considerata esclusivamente dal punto di vista ideologico [ sopra I ].

Arriviamo in tal modo a mettere a fuoco la parentela tra religione e utopia.

Esse si rapportano l'una all'altra a diversi titoli.

Ambedue, in primo luogo, si riferiscono a un orizzonte ultrastorico.

Lo status perfetto, fatto di armonia, pace, equilibrio, che caratterizza i prodotti dell'immaginazione utopica, trova il suo corrispettivo nei simboli mitici con cui il pensiero religioso rappresenta l'inizio o il limite finale assoluti della storia.

L'affinità risulta più evidente se consideriamo l'atteggiamento di fondo che sottende l'approccio utopico e quello religioso del mondo empirico presente.

In ambedue i casi si può parlare, con la terminologia di R. Ruyer, di un « renversement d'optique »5

Questo rovesciamento è uno sguardo nuovo sulla realtà analogo a quello implicito nella nozione biblica di metanolo.

Tanto l'uomo religioso quanto il figlio dell'utopia rifiutano il mondo presente con la sua falsa evidenza di realtà ultima e immutabile.

Quando religione e utopia sono autentiche, da questo sguardo si sviluppa una forza denegativa del carattere assoluto di "questo mondo".

La clausola dell'autenticità è importante.

Sia l'una che l'altra forma di pensiero simbolico ha dato luogo, infatti, nel corso della storia, a situazioni che le hanno fatte cadere in sospetto.

La religione e l'utopia sono state talvolta utilizzate in modo ideologico da coloro che detenevano il potere; vale a dire: sono servite a rafforzare le forme di oppressione sociale e politica.

Hanno alimentato la speranza, ma senza esiti liberatori; in pratica, dunque, hanno svolto una funzione alienante, in quanto hanno permesso di evadere dal reale senza affrontarlo.

L'eventualità di un esito alienante, purtroppo incontestabile, appartiene però alle forme patologiche della religione e dell'utopia, non alla loro natura essenziale.

È un fatto ugualmente incontrovertibile che, accanto a una storia di strumentalizzazioni ideologiche, esiste una storia alternativa in cui religione e utopia, intrecciate insieme, hanno costituito una riserva costante di forza per la contestazione dell'oppressione presente in nome di un orizzonte di perfezione.

In condizioni, dunque, di autenticità, tanto l'utopia che la fede religiosa, costituiscono un approccio della realtà fondato su un ribaltamento ideale della situazione empirica.

Questo atteggiamento dello spirito consiste nel delineare una figura assoluta, quale possibilità di condizioni di vita e di scale di valori opposte a quelle vigenti.

Prospetta uno stato di perfezione, alternativo alla situazione attuale, segnata dal limite e dal deficit.

Se la capacità di rendere visibile e operante l'invisibile è una caratteristica essenziale della fede religiosa ( « garanzia dei beni che si spera, prova delle realtà che non si vedono », definisce la fede la Lettera agli Ebrei 11,1 ), essa costituisce altresì l'anima dell'utopia.

Di ambedue l'uomo moderno ha bisogno per uscire dal « malpasso »6 in cui si sta dibattendo la civiltà tecnologica.

Alla religione e all'utopia, figlie ambedue dell'immaginazione simbolica, sembra promessa una nuova giovinezza.

2. Temi utopici del messaggio cristiano

Il pensiero utopico, liberato dalle restrizioni operate dall'utopia di stampo politico-razionalistico e ricondotto alla sua matrice originaria, che è quella dell'immaginazione simbolica, è riconoscibile presente nel mondo biblico.

Esso costituisce l'ambiente spirituale in cui sono immerse le formulazioni originarie del messaggio cristiano.

Tutto il grande filone del regno di Dio e della Gerusalemme celeste, che attraversa da un capo all'altro la bibbia, è un esempio eminente di orizzonte utopico.

La città ideale a cui si riferisce il credente non è, come nella tradizione che ha le sue radici nella Grecia classica, il risultato di una creazione umana, opera della saggezza dell'uomo che dispone le migliori condizioni per una felice convivenza sociale.

Il modello biblico di umanità non è quello che l'uomo conosce come prodotto di un proprio sapere e volere, bensì una realtà "altra", critica e trascendente rispetto a tutto ciò che è dato.

Il regno di Dio non si costruisce; come la salvezza, di cui è simbolo, si riceve come un dono che trascende le capacità naturali dell'uomo.

Già fin dal tempo dell'esilio babilonese, quando operava il profeta noto come Deutero-Isaia, Gerusalemme era diventata sinonimo del regno escatologico di Dio ( Is 52,1ss; Is 62,1ss; Is 65,17ss; Is 66,10ss ).

Nella letteratura rabbinica ed apocalittica Gerusalemme aveva sempre più perduto i suoi connotati realistici a favore della valenza simbolica: essa indicava la città ideale, la sposa del Signore.

Dopo la pentecoste, i cristiani trasferirono la ricchezza teologica di Gerusalemme a Gesù Cristo e alla sua chiesa.

Questa realtà perfetta è tenuta nascosta per apparire alla fine del mondo ( Ap 21,1-27 ).

Essa è la città futura ( Eb 13,14 ).

Tuttavia la nuova Gerusalemme viene già ora, dall'alto, da presso Dio ( Ap 3,12 ).

In quanto luogo della presenza onnipotente di Dio e della salvezza, è già compiuta e ancora da compiere ( nel linguaggio di O. Cullmann, si tratta della dialettica tra il "già" e il "non ancora" ).

Il tema utopico della città perfetta, futura e già presente, trascrive il contenuto essenziale del kerygma cristiano: Dio ha creato in Gesù Cristo il passato a cui il popolo credente può riferirsi e l'avvenire che gli è permesso di attendere.

Il luogo utopico della salvezza diventa quindi, nel messaggio cristiano, la persona di Cristo e la sua opera.

La "economia" di Dio - piano divino nascosto fin dall'eternità, rivelato progressivamente nel tempo per mezzo dei profeti e realizzato nel mistero dell'incarnazione - trova il suo compimento epifanico nel Cristo e nella comunità dei suoi discepoli.

Per esprimere la sua dimensione nel mistero di Cristo e della chiesa che supera la storia e svolge il ruolo di utopia concreta, Paolo non ha esitato a far sua la terminologia delle speculazioni dell'ambiente giudaico ellenizzato sul pléroma, cristianizzando il termine e dandogli un senso in armonia col resto del messaggio cristiano.7

Dio ha fatto dunque abitare in Cristo tutta la "pienezza" ( Col 1,19 ); alla "pienezza" del Cristo risorto si trovano associati i credenti ( Col 2,9 ) e indirettamente tutto il cosmo.

Questa "pienezza" è il polo di attrazione della storia intera.

È noto quale audace ampliamento e quale amato mistico questa prospettiva abbia trovato nell'opera di P. Teilhard de Chardin ( esempio insigne di un pensiero scientifico concresciuto a un'alata immaginazione simbolica ).

Il rapporto di fede-amore-speranza che lega i credenti al Cristo si riflette nell'atteggiamento che essi hanno verso la città celeste.

Il popolo di Dio attende la città ideale ed è in cammino verso di essa: « Per noi, la nostra città si trova nei cieli, da cui noi attendiamo ardentemente, come salvatore, il Signore Gesù Cristo » ( Fil 3,20 ).

Come il legame esistenziale con il Cristo, cosi anche l'appartenenza al mondo futuro struttura l'esistenza concreta dei credenti.

La loro vita ha quell'aspetto paradossale che per l'evangelista Giovanni è l'essere nel mondo, ma non "del mondo" ( Gv 17,14-16 ).

Le lettere cattoliche hanno dettagliato le implicazioni del vivere nel mondo come « stranieri e pellegrini » nel « tempo dell'esilio » ( 1 Pt 1,17; 1 Pt 2,11 ).

La chiesa, pur prendendo sul serio il mondo e le sue strutture socio-politiche, rinuncia a installarsi in esso.

L'attrazione della città futura da vita a un'etica personale e comunitaria della provvisorietà, del dinamismo, di un confronto profetico-critico con le istituzioni, di innovazione piuttosto che di tradizione ripetitiva.

Della radicalità della morale evangelica, che rende così ostiche al buon senso quotidiano anche certe pagine del discorso della montagna, sono state offerte molte spiegazioni da parte di esegeti e teologi.8

Essa tuttavia non acquista senso se non quando la consideriamo nell'orizzonte dell'utopia.

Allora il distacco assoluto dei beni terreni [ v. Povero ], il celibato [ v. Celibato e verginità; Consigli evangelici ], l'amore dei nemici [ v. Carità ] diventano simboli concreti della meta finale, emergenza nel tempo della realtà escatologica.

L'utopia non è espressa solo dal linguaggio formale del kerygma e da quello esistenziale dell'etica radicale.

Anche il culto, sorgente inesauribile di simboli, annuncia la realtà perfetta dell'eschaton e la anticipa in figura.

La Lettera agli ebrei, facendo il confronto delle due alleanze, attribuisce alla liturgia cristiana il potere di mettere a contatto con la realtà finale: « Voi vi siete accostati alla montagna di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste, e a miriadi di angeli, all'assemblea festiva, alla chiesa dei primogeniti che sono iscritti nei cieli, a un Dio giudice universale, agli spiriti dei giusti che sono stati resi perfetti, a Gesù mediatore di un'alleanza nuova, e a un sangue purificatore più eloquente di quello di Abele » ( Eb 12,22-24 ).

La comunità di culto, soprattutto quando è riunita per celebrare l'eucaristia, parla il linguaggio dell'utopia: essa annuncia la realtà finale, fino a che essa venga ( 1 Cor 11,26 ).

I fratelli riuniti attorno all'unica mensa sono l'immagine più trasparente del mondo nuovo che accende l'immaginazione degli uomini della speranza.

L'orizzonte utopico è dunque saldamente impiantato in seno alla comunità cristiana.

Nelle immagini bibliche dell'annuncio cristiano, nell'etica radicale e nel culto i credenti abitano già la perfetta città futura.

3. Funzione dell'utopia nella vita spirituale

Abbiamo evidenziato la presenza di elementi utopie; all'interno del cristianesimo, intendendo l'utopia come orientamento verso uno status di perfezione, evocato non dal pensiero raziocinante, ma piuttosto dall'immaginazione simbolica.

Indichiamo ora qualche aspetto della molteplice incidenza di questa dimensione utopica nella vita spirituale.

Essa garantisce, in primo luogo, una prospettiva dinamica alla persona e rende possibile un processo di sviluppo verso la piena maturità.

Il ruolo dell'utopia religiosa non è quello di proporre modelli ideali all'imitazione letterale.

L'utopia, qualunque sia la modalità concreta con cui agisce sull'individuo - mediante immagini, imperativi morali o vissuti cultuali - assicura piuttosto un orizzonte, reso concreto dal simbolo, che amplia le dimensioni del possibile.

La funzione del simbolo diventa più perspicua se consideriamo l'atteggiamento utopico dal punto di vista della psicologia genetica.

Questa ci mostra come l'orizzonte che influisce sul comportamento vada progressivamente allargandosi con lo sviluppo psicologico.

Osserva Kurt Lewin: « Durante lo sviluppo la sfera della dimensione del tempo psicologico dello spazio di vita aumenta da ore a giorni, mesi e anni.

Il bambino vive in un immediato presente; con il crescere dell'età un passato e un futuro sempre più lontani influiscono sul comportamento presente ».9

Possiamo estendere l'osservazione dell'autorevole psicologo, considerando il mondo dell'utopia come il supremo orizzonte temporale - più precisamente, atemporale - che agisce sullo spazio di vita presente.

In contrasto con i pregiudizi del positivismo scientista, che considera il pensiero immaginativo-simbolico come più primitivo e inadeguato, questo ci appare invece come caratteristica della persona pienamente sviluppata.

Accediamo alla maturità spirituale quando il nostro comportamento è influenzato non solo dalla estrapolazione dei dati offerti dalla realtà presente, ma anche dai quadri composti dalle speranze e dai timori della specie umana.

L'utopia è figlia della saggezza della maturità.

Anche a livello comunitario l'utopia agisce come un fermento dinamico.

Ogni religione, se vuoi sopravvivere, deve lasciare spazio alla novità carismatica per assicurarsi un periodico risveglio e controbilanciare la tendenza alla sclerosi.

Di fatto, un filone di utopia comunitaria percorre tutta la storia del cristianesimo.10

Talvolta questi movimenti si sono riferiti ad attese millenaristiche e hanno tentato di instaurare già nel presente la città teocratica e la comunità dei perfetti.

In qualche caso si sono avute degenerazioni; più spesso l'ispirazione utopica ha assunto cadenze mistiche.

La funzione dei movimenti utopistici all'interno della chiesa è stata, in ogni caso, quella di mantenere vivo lo spirito, al di là della fedeltà alla lettera.

Negli organismi religiosi, storicamente condizionati dai limiti della cultura in cui si incarnano e minacciati dall'irrigidimento istituzionale, la prospettiva utopico-carismatica assicura rinnovamento, impatto culturale, creatività.

In termini teologici, il promotore dell'utopia in seno alla comunità cristiana è lo Spirito santo.

Secondo la promessa del Cristo, lo Spirito inviato da lui stesso e dal Padre guida i discepoli verso la pienezza della verità ( Gv 16,13 ).

Nessuno nella chiesa ha questa pienezza come un possesso statico.

Essa si riflette poliedricamente nei carismi, così come il raggio di luce solare si rifrange nel prisma in un arcobaleno di colori.

I vari doni sono talvolta polarmente contrapposti, mai riducibili l'uno all'altro.

La storia della spiritualità cristiana è scandita da dibattiti sul rapporto tra vita contemplativa e vita attiva, amore di Dio e servizio del prossimo, fedeltà e dinamica del provvisorio, celibato e amore coniugale, distacco dal mondo e impegno per il mondo.

Ogni sintesi dottrinale tende a privilegiare una prospettiva a detrimento delle altre.

Ma lo Spirito non si lascia rinchiudere in nessuno schema.

I carismi che egli suscita sono solo riflessi parziali della pienezza dell'Uomo nuovo, chiamato a vivere nella Comunità nuova.

Tener aperto un orizzonte utopico vuoi dire, tra l'altro, non lasciarsi indurre a sintesi precoci.

Come l'eternità si articola col tempo senza annullarlo, così gli ideali utopici si articolano con le soluzioni politiche parziali.

La polarizzazione verso l'utopia non esclude il pluralismo.

I progetti del razionalismo utopistico hanno talvolta caratteri fissisti ( uniformità, dirigismo, istituzionalismo ).

L'utopia che nasce sul terreno dell'ispirazione religiosa non può, invece, far a meno della libertà.

Ai discepoli del Cristo è promesso un avvenire così ricco che nessuna immagine concreta del presente lo può esaurire.

Perciò possono rifiutare l'integralismo.

In questo lo spirito di chiesa si distingue dallo spirito di setta.

Forse il senso e la funzione dell'utopia nella vita spirituale del cristiano possono essere compendiati nelle parole che Gesù, con un enigmatico sorriso saturo di cose future, rivolse a Natanaele: « Per averti detto che ti ho visto sotto il fico, tu credi?

Vedrai cose più grandi di queste… In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto » ( Gv 1,50ss ).

Lo sguardo fisso sulle cose più grandi e migliori, sui simboli del definitivo, è il segreto dell'utopia.

Questo segreto è promesso ai discepoli di Cristo.

Disegno
Escatologia
Sabato
… del regno millenario Chiesa I,3
Realizzata in Maria Martire I,3
Fondamento di speranza Speranza I,1
Utopismo Uomo ev. II,4

1 M. Adriani, Utopia, in Enciclopedia delle Religioni, VI, Firenze 1970, 42-46
2 Tra le migliori opere di sintesi, cf W. Nigg, Das ewige Reich, Monaco 1930, tr. it. Milano 1947; N. Cohn, Thè Pursuit of Millennium, Londra 1957, tr. it. Milano 1965; R. Mucchiello, Le mythe de la citò ideale, Parigi 1960
3 E. Gilson, Les métamorphoses de la Cite de Dieu, Parigi-Lovanio 1952, trad. ital. Milano 1963
4 G. Durand, L'immaginazione simbolica, Roma 1977
5 R. Ruyer, La valeur religieuse des grandes anticipations in L'Utopie et Ics Utopies, Parigi 1950, 285-289
6 L'espressione è di A. Peccei, La qualità umana, Milano 1976
7 L. Cerfaux, La Théologie de l'Eglise suivant st. Paul, nuova ed., Parigi 1965, 275, 310ss
8 R. Schnackenburg, Messaggio morale del Nuovo Testamento, Alba, Edizioni Paoline 1971
9 K. Lewin, Field theory in social science, Nuova York 1951, 103
10 La migliore presentazione d'insieme di questi movimenti è quella offerta da R. A. Knox, Illuminali e carismatici, Bologna 1970