Simboli

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… Spirituali

Sommario

Introduzione: il linguaggio simbolico.
I. I simboli fondamentali:
1. Gli archetipi simbolici;
2. I simboli personalizzati;
3. Le determinazioni particolari del simbolo.
II. Simboli biblici:
1. Premessa;
2. La convergenza dei simboli su Sion-Gerusalemme:
a. Sion-città;
b. Sion-donna;
3. Le grandi costellazioni simboliche:
a. La dominante della verticalità;
b. La dominante del nutrimento;
c. La dominante del Cammino;
d. La dominante ciclica;
4. Gesù Cristo, fonte e centro di tutta la simbolica;
5. Conclusione.
III. La funzione simbolica nella vita spirituale:
1. Simbolismo e dinamica spirituale;
2. L'apertura dell'espressione simbolica;
3. La funzione trasformante.
IV. Simbolismo e vita di fede.

Introduzione: il linguaggio simbolico

Nell'uso attuale, la parola "simbolo" viene adoperata in molte accezioni che si ricollegano al termine più generico di segno convenzionale: parliamo di simboli matematici o chimici, e i linguisti, dal canto loro, definiscono ogni linguaggio come simbolico.

In questo articolo, invece, la parola simbolo si riferisce esclusivamente all'immagine simbolica quale viene usata in modo privilegiato per esprimere le realtà spirituali: Gesù, ad es., si presenta come pane di vita o come luce del mondo, e ben sappiamo come il Cantico dei cantici con i suoi simboli della sposa, delle nozze, del giardino, dei profumi, ecc. abbia ispirato il linguaggio di tanti mistici.

Come immagine, il simbolo nasce e si sviluppa attraverso il contatto dell'uomo con l'ambiente; e poiché tale ambiente è al tempo stesso naturale e culturale, il simbolo può riferirsi al mondo più primitivo della natura oppure al mondo sociale, della famiglia e della tecnica.

I simboli naturali sono percepiti sin dall'infanzia e contengono una forte carica affettiva, gli altri invece sono più elaborati e compaiono in contesti talvolta sofisticati: non mancano descrizioni belliche applicate simbolicamente alla lotta spirituale.

Bisogna però notare il contesto del tutto particolare che può assumere il simbolismo cristiano nella misura in cui si rifà non solo ai vari simbolismi appena descritti, ma anche alla storia del popolo eletto: infatti, attraverso gli avvenimenti della storia della salvezza, si fa strada un nuovo simbolismo di tipo storico: così la partenza di Abramo e l'esodo diventano simboli di ogni chiamata divina e di ogni liberazione.

Il cosiddetto senso spirituale della sacra scrittura non è altro che un senso simbolico, la cui espressione più tipica è basata su di un simbolismo storico.

È proprio del linguaggio simbolico muovere dall'immagine per passare ad un altro livello significativo: la montagna, per es., diventa simbolo dello sforzo morale o di quello spirituale.

L'allegoria invece muove dal concetto astratto, quello della giustizia, ad es., e ne cerca una traduzione plastica: la dea con la bilancia e la spada.

La parabola partecipa di entrambi i tipi di espressione: la parabola del seminatore contiene il simbolo della semente e si snoda in un'allegoria atta a descrivere le varie situazioni spirituali di coloro che accolgono la parola di Dio.

I - I simboli fondamentali

La simbologia si sforza di determinare le grandi strutture simboliche che sorreggono la molteplicità delle immagini poetiche, pittoriche, architettoniche, mistiche.

Molti modelli ne sono stati proposti, e tutti sono utili per mettere in luce aspetti diversi del mondo delle immagini.

Così Bachelard ha studiato il valore simbolico dei quattro elementi primitivi: terra, acqua, aria, fuoco; e in architettura le figure geometriche semplici rivestono una grande importanza simbolica: il cerchio, il quadrato, il centro, la croce.

Senza negare il valore di queste classificazioni, è meglio rifarsi, come fa Gilbert Durand, al senso profondo della vita immaginativa.

Muovendo infatti dalla considerazione che la funzione immaginativa e fantastica sta al punto d'incontro fra la coscienza e il corpo, il Durand basa la sua tipologia simbolica sui riflessi fondamentali grazie ai quali il bambino, e quindi l'uomo, prende possesso del suo spazio vitale.

La funzione immaginativa promana dunque « dall'incessante scambio tra le pulsioni soggettive ed assimilatrici e le eccitazioni oggettive provenienti dall'ambiente cosmico e sociale ».

Bisogna sempre partire dalla presenza dell'uomo nel mondo per determinare le strutture simboliche.

Tale origine dell'attività simbolica ne spiega alcune caratteristiche.

Innanzitutto il gesto appare come l'attività simbolica più significativa.

Esso comporta un dinamismo intrinseco ed immediato che si ritrova in ogni altra raffigurazione simbolica: ogni ascensione infatti "eleva" l'anima ed ogni elevazione invita all'ascensione concreta: quando s. Giovanni della Croce raffigura il monte Carmelo, egli lo fa per indurre il lettore allo sforzo spirituale; bisogna notare però che il simbolo non è mai unico: la scala, la torre, il campanile sono simboli ascensionali al pari della montagna.

Poiché l'attività simbolica deriva dalla presenza al mondo, essa esprime un valore affettivo.

L'affettività infatti non è altro che la risonanza nella coscienza della situazione di colui che vive nel mondo.

I simboli del pane o dell'acqua limpida suscitano una reazione positiva; il mostro minaccipso ne suscita una negativa.

1. Gli archetipi simbolici

Seguendo il criterio organizzativo del Durand, definiamo i grandi archetipi simbolici basati sugli schemi spaziali.

Tuttavia, anziché ridurre questi archetipi a tre, ne aggiungeremo un quarto basato sul riflesso del camminare,

a. Al riflesso dell'erigersi si rifanno i simboli dell'ascesa, del capo, del cielo, della luce e quindi quelli della separazione e dello sforzo purificatore,

b. Al riflesso del nutrimento corrispondono i simboli della discesa, dell'intimità e quindi del grembo, della madre, del calore, della casa e del rifugio.

c. All'attività del camminare corrispondono i simboli della via, dell'uscita, del progresso, del fiume, dei mezzi di trasporto,

d. Infine troviamo lo schema ciclico che corrisponde alla sessualità, con i simboli della ruota, del ciclo lunare, del dramma della morte e della vita nuova. [ sotto, II,3,a-d ].

2. I simboli personalizzati

Con una certa corrispondenza agli archetipi appena descritti troviamo un'altra serie di simboli basati sui rapporti interpersonali.

La loro importanza nella simbologia religiosa richiede una considerazione particolareggiata.

a. Allo schema ascensionale corrisponde la figura del padre, la quale esprime bene la religione del Dio celeste,

b. Allo schema discensionale corrisponde il simbolo della madre.

Quale figura della natura, esso non è soltanto positivo, visto che, in alcuni contesti religiosi, l'aspetto bio-cosmico contiene un elemento di distruzione insieme a quello di fecondità,

c. Il simbolo della sposa non significa primariamente la fecondità vitale, bensì il rapporto interpersonale dell'amicizia e dell'amore.

Nella spiritualità giudeo-cristiana, basata sull'alleanza di Dio con il popolo eletto e con le singole persone, esso acquisterà un valore e una estensione privilegiati,

d. Il simbolo del figlio e dell'eroe si applica innanzitutto al dramma della condizione umana che è lotta vitale contro la morte e per una padronanza del cosmo.

Il significato del simbolo del figlio si rifà allo schema ciclico che troverà il suo apice nel dramma della morte e risurrezione del Cristo.

3. Le determinazioni particolari del simbolo

Gli schemi sopra riportati permettono di avere una comprensione generica del mondo simbolico.

Bisogna però completare il significato generico con la considerazione delle determinazioni particolari che nascono sia dalla situazione individuale della persona che crea o interpreta i simboli, sia dalla sua situazione culturale.

La psicanalisi di tipo freudiano ha messo in rilievo come il simbolismo personale si riferisca alla storia della persona: il significato del simbolo va ricercato nel rapporto che una data immagine ha con il passato della persona.

Di qui nascono due conseguenze.

La prima è l'aspetto negativo dell'attività simbolica in quanto maschera i veri desideri; la seconda è la possibilità che avvenga un mutamento di valore dei simboli religiosi: quello del padre ad esempio può suscitare una reazione negativa in certi soggetti.

In contrasto con questa interpretazione, C. G. Jung insiste sulla funzione prospettica e quindi positiva del simbolo: esso è proteso verso il futuro e verso i valori elevati.

Alla diffidenza freudiana succede una valorizzazione dell'attività simboleggiante.

Dedichiamo una menzione speciale al simbolismo usato nella vita spirituale cristiana e che dipende dall'ambiente culturale circoscritto dall'uso della sacra scrittura e dei sacramenti.

La sacra scrittura è fondamentalmente simbolica nella misura in cui gli autori sacri, e in specie quelli dell'AT, erano integrati in una cultura simbolica, vicina a quella che ritroviamo nella vita religiosa primitiva.

L'interpretazione dei loro scritti deve tener conto di questo tipo di espressione.

L'interpretazione simbolica non risolve in senso negativo il problema della storicità dell'azione salvifica di Dio e dei racconti della stessa sacra scrittura.

Anzi, la rivelazione giudeo-cristiana, qualsiasi genere letterario usi, si rifà sempre ad avvenimenti storici, i quali però contengono un significato espresso attraverso simboli di uso comune; le feste liturgiche, ad es., si accostano ad espressioni simboliche di altre religioni.

Rileviamo infine come l'uso dei libri sacri nella tradizione abbia portato a privilegiare alcuni simboli che sono apparsi più atti ad esprimere le realtà del mistero di salvezza.

La lunga storia di Israele ha permesso di dare al senso di Dio una ricchezza immensa espressa attraverso i simboli del padre, del re, del pastore, ecc…

Alcuni libri, come quelli dell'Esodo o il Cantico dei cantici, sono stati la sorgente sempre feconda dell'espressione simbolica della vita spirituale cristiana.

II - Simboli biblici

1. Premessa

Dio è un leone ruggente ( Am 1,2; Am 3,8 ), una pantera in agguato ( Os 13,7 ), uno sposo geloso ( Os 2 ), un padre pieno di premure ( Os 11,1ss ).

L'azione dello Spirito viene paragonata all'acqua, alla pioggia, al vento e al fuoco ( Gv 3,6-8; Gv 4,14; Gv 7,33-39; Is 45,8 ).

Perché queste immagini e questi simboli?

La ragione è evidente. La scrittura parla del Dio invisibile, ma ne parla nel suo rapporto verso l'uomo.

Ecco perché, pur parlando di Dio, rinvia al tempo e allo spazio umano.

La parola di Dio è simbolica in tutta la misura in cui essa si proietta verso una realtà la quale - benché situata al di là del sensibile - ciononostante si riflette in esso.

Di conseguenza nella bibbia l'attesa di Dio viene espressa in termini di aurora, sole, mezzogiorno.

Il luogo dell'incontro è il deserto, il Sinai, la terra promessa, la Gerusalemme celeste.

Al punto di incontro tra simbolismi spaziali e temporali si presentano i temi della vita e del cammino, della montagna e dell'ascensione, del germe e della crescita.

La vita nuova viene posta in rapporto alle reazioni biologiche elementari: la fame, la sete, il sonno, il risveglio.

Il carattere interpersonale del rapporto verso Dio viene enunciato con l'aiuto dei simbolismi del padre, della madre, dello sposo, del figlio, del matrimonio, del fidanzamento.

Prima di esaminare i simboli biblici più importanti, formuliamo due osservazioni preliminari:

a. Occorre mettere in luce lo statuto particolare del simbolo biblico in quanto opposto al mito.

La rivelazione e il mito fanno largo uso dell'immagine e arrivano anche a incontrarsi nell'utilizzazione dei medesimi elementi figurativi.

La bibbia non è la sola a parlare del paradiso terrestre, dell'albero della vita, del diluvio, ecc.

Dove sta la differenza? Noi seguiamo il parere di P. Ricoeur e di altri, i quali distinguono tra simboli primari e simboli secondari.1

Esistono delle realtà che il linguaggio è incapace di esprimere se non adopera termini figurativi.

Per es., il peccato è lordura, peso, deviazione, cattività.

Tale linguaggio, metaforico in superficie, è esistenziale nella sua intenzione profonda.

Esso mira a render conto di un'esperienza spirituale rappresentabile solo attraverso approssimazioni immaginative.

Basta che i simboli siano sviluppati sotto forma di racconti irriducibili al tempo e allo spazio empirici, perché passino nel campo del mito.

Le immagini ivi adoperate vengono allora dette simboli secondari, poiché tutto il racconto nasce dall'immagine in risposta a un interrogativo esistenziale: da dove vengono la morte, il peccato, ecc…?

Il simbolo, in definitiva, è più radicale del mito.

Il linguaggio non può fare a meno del simbolo, mentre la narrativizzazione mitologica interviene solo in modo accessorio e "secondario".

In compenso il mito, anche nei suoi sviluppi fantastici, conserva intatti i simboli che ha assimilato.

Capita così che la scrittura adoperi dei miti "frantumati", vale a dire frammenti mitologici, in ragione dei simboli ivi racchiusi.

Per es., Raab, Leviatan, ecc., mostri marini noti della mitologia antica, servono agli autori biblici per rendere l'idea che Dio tiene perfettamente in mano le potenze del male ( Gb 40,15-41,26; Sal 89,11; Sal 104,26; Is 51,9; Am 9,3 ).

In questa prospettiva l'Egitto può essere identificato con Raab: « Vano e inutile è l'aiuto dell'Egitto: per questo lo chiamo: Raab l'ozioso » ( Is 30,7 ).

L'Egitto, posto in rapporto con il caos informe di Gen 1,2 e con il mostro Raab, appare come una forma storica del Male.

L'uso dei frammenti mitologici serve da mediazione immaginativa per esprimere la trascendenza,

b. Il simbolo non è leggibile isolatamente, ma solo all'interno della rete di segni che lo circondano.

Il fuoco nel campo dell'assoluto può significare l'amore più nobile o la passione più bassa.

La scienza del simbolo suppone l'esame di sistemi organizzati.

Ecco perché la nostra trattazione non sarà una nomenclatura di simboli, ma presenterà delle immagini articolate, ognuna delle quali manifesta il proprio senso solo in relazione alle altre.

Il simbolo è un insieme mobile di relazioni tra vari termini.

Ancora una parola sul piano del nostro lavoro.

Prenderemo le mosse da una simbolica particolarmente inglobante al livello dell'AT, vale a dire da quella di Sion-Gerusalemme ( 2 ).

Infatti questa simbolica coordina gli archetipi del monte, della luce, della purificazione, dell'intimità, del rifugio, del cammino ( Sion è la meta ), del ciclo temporale abolito ( su Gerusalemme non calerà più la notte ), del Padre, della madre, della sposa, ecc.

Quindi ( 3 ) passeremo a considerare le ramificazioni immaginative menzionate sopra [ I,1: classificazione di Durand-Bernard ].

Infine ( 4 ) perverremo a una visione unificata, mostrando come Cristo sia la sorgente e il centro di tutta la simbolica cristiana.

2. La convergenza dei simboli su Sion-Gerusalemme

Di per sé "Sion" indica solo la cittadella davidica.

Ben presto però questo appellativo si estende a indicare il tempio, tutta la città e la collina che la sorregge: « Grande è il Signore e degno di lode nella città del nostro Dio.

Il suo monte santo, Sion, altura stupenda, è la gioia di tutta la terra » ( Sal 48,2s ).

Sion-Gerusalemme è ad un tempo capitale religiosa e politica.

In quanto capitale religiosa merita il nome di madre dei popoli: « Si dirà di Sion: Madre! perché l'uno e l'altro è nato in essa » ( Sal 87,5 ).

Sion, città di pietra posta sulla montagna, personificata come madre degli uomini e sposa di Jahve, si trova al punto di incontro di tutti i simboli dell'AT.

a. Sion-città

A Sion-città si ricollegano i simbolismi della via e della montagna.

Sion si presenta al termine del cammino dell'esodo come immagine della stabilità: « Lo fai entrare e lo pianti sul monte della tua eredità, luogo che per tua sede, Signore, hai preparato, santuario che le tue mani. Signore, hanno fondato » ( Es 15,17 ).

Dio abiterà per sempre con il suo popolo ormai piantato sulla montagna santa ( Sal 68,17 ); tema che viene spiritualizzato dal trito-Isaia: « In luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati » ( Is 57,15 ) e dal Sal 125: « Chi confida nel Signore è come il monte Sion.

Non vacilla, è stabile per sempre » ( v 1 ).

Il popolo ebreo ha sperimentato la presenza di Dio molto prima della fondazione del tempio, segnatamente durante l'esodo.

Inoltre la tradizione dei patriarchi l'ha abituato all'idea di un Dio che supera ogni localizzazione ( 1 Re 8,27 ) e che accompagna i suoi fedeli ( Dt 26,5-10 ).

A questo proposito è interessante notare che in vari salmi la tematica del tempio continua ad andare associata al simbolismo della vita e del cammino ( Sal 5,8-9; Sal 26,8.11; Sal 31,2-4; Sal 61,3-5; Sal 91,1.11, ecc. ).

Dopo la costruzione del tempio Dio si rende presente a coloro che camminano verso di esso: « Manda la tua verità e la tua luce; siano esse a guidarmi, mi portino al tuo monte santo e alle tue dimore » ( Sal 43,3 ).

Nella sua qualità più specifica di montagna Sion partecipa al duplice simbolismo dell'altezza e del centro.

Anzitutto la montagna rappresenta un ideale di purezza morale: « Signore, chi abiterà nella tua tenda?

Chi dimorerà sul tuo monte santo?

Colui che cammina senza colpa, agisce con giustizia… » ( Sal 15,1-2 ).

Anche qui troviamo ancora una volta associata la marcia e l'ascensione, che hanno come meta la comunione con Dio.

Lo stesso movimento di pensiero viene espresso simbolicamente in Is 33,15s: « Chi cammina nella giustizia… costui abiterà in alto, fortezze sulle rocce saranno il suo rifugio ».

In altri testi il simbolismo del centro si unisce a quello dell'altezza: « Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà il più alto dei colli; ad esso affluiranno le genti…

Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore » ( Is 2,2-4; Mic 4,1 ).

Non si tratta della conversione dei popoli? allo jahvismo, ma della loro riconciliazione grazie alla Torà.

Infatti dovrà arrivare un tempo in cui le nazioni si volgeranno verso il santuario di Jahve, perché le leggi più sagge saranno ivi emanate.

L'ispirazione venuta da Sion garantirà all'universo intero equilibrio, armonia e pace.

Alla montagna di Sion va ancora legata l'idea del giudizio e della separazione tra buoni e cattivi.

Jahve riveste l'armatura di giustizia per perdere i suoi nemici ( Is 63,15-19 ), mentre per Sion e per tutti coloro che gioiscono per essa egli viene in veste di redentore ( Is 63,19; Is 66,10-16 ).

Nel NT Sion-Gerusalemme riveste il senso di una tappa ultima, al termine di un'ascensione dolorosa.

Gesù, « mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme » ( Lc 9,51 ).

Secondo il vangelo di Luca tutto il mistero di Gesù raggiunge il suo vertice a Gerusalemme.

Le parole scambiate durante la trasfigurazione sul monte riguardano la partenza, che dovrà essere « portata a compimento a Gerusalemme » ( Lc 9,31 ).

Le pericopi seguenti ricordano periodicamente lo scopo prefissato ( Lc 9,51; Lc 13,22; Lc 17,11; Lc 18,31; Lc 19,28 ), che è l'ascesa in croce.

Però, una volta consumato il sacrificio, Gerusalemme non è più centro d'attrazione, bensì punto di diffusione.

L'evangelizzazione parte da Gerusalemme.

È là che gli apostoli ricevono lo Spirito ( At 2 ).

La loro voce raggiunge dapprima la Giudea e la Samaria ( At 6 ) e poi le estremità della terra ( At 1,8; Lc 24,4ss ), rappresentate da Roma ( At 28 ).

Il raduno escatologico a Gerusalemme ( Is 66,18-24; Zc 14,10ss ) non è una questione di coordinate geografiche.

La nuova Gerusalemme, il volto che la creazione salvata assume ( Ap 21,1; Is 65,17 ), discende dal cielo.

La sua stessa configurazione riflette più la sua identità umana che architettonica.

Le dodici porte disposte tre per lato verso i quattro punti cardinali e denominate ognuna con il nome di un apostolo, i dodicimila stadi di lunghezza, di larghezza e di altezza, i dodici basamenti, ecc. sono trasposizioni nello spazio della realtà delle dodici tribù.

Il Signore stesso occupa il posto del tempio, mentre l'Agnello funge da lampada.

Dal trono di Dio e dell'Agnello sgorga il fiume della vita.

Sulla grande piazza alberi di vita fruttificano dodici volte l'anno.

Sospeso il ritmo dei giorni, è giorno in continuazione e gli eletti regnano per i secoli dei secoli ( Ap 21 ).

In definitiva la Gerusalemme celeste rappresenta la sintesi simbolica di tutte le speranze escatologiche dell'AT ( Is 54; Is 60; Is 62; Ez 40; Zc 14 ).

Essa fornisce alla speranza cristiana la sua figura.

Tutti i dati immaginativi sono desunti dall'esperienza storica, dagli archetipi vitali e dalle espressioni culturali più prestigiose.

L'avvenire escatologico viene percepito intuitivamente a partire dalla realtà vissuta e sperimentata.

Ma il simbolo, come qualsiasi analogia, afferma e nega nel contempo.

Per questo le visioni apocalittiche usano con frequenza la particella grammaticale "come" ( Ap 21,2, nonché Ap 1,10.13.14.16.17; Ap 4,1.3.7; Ez 1,26.28, ecc. ).

I simboli biblici più arditi introducono la correzione analogizzante nelle loro stesse immagini.

Di qui il "come" o la giustapposizione di realtà materiali incompatibili.

Per es. Is 60,19s: la luna risplende, accanto al sole, in un giorno che non conosce tramonto.

b. Sion-donna

A Sion personificata come donna si ricollegano i simbolismi della madre e della sposa.

Sion raduna i suoi abitanti attorno al tempio e al re, li protegge contro i pericoli esteriori e promuove all'interno il rispetto dei loro diritti.

Solo in un secondo tempo l'istanza simbolizzante passa dalla madre alla sposa, per significare l'alleanza con Jahve concepita collettivamente.

Il fatto che Sion sia sposa apporta un correttivo di libertà al determinismo dell'archetipo materno, naturalmente più istintivo.

Un testo che modula in particolare i due simbolismi della madre e della sposa è Is 54.

Sion, caduta in disgrazia e castigata per i suoi peccati, viene invitata a gioire.

La sua sofferenza è finita: « Esulta, o sterile, che non hai partorito … perché più sono i figli dell'abbandonata che i figli della maritata » ( v 1 ).

Jahve, assumendosi il ruolo di goel, vale a dire di parente più prossimo, si impegna a suscitare una posterità alla città deserta di Sion.

A dir il vero Jahve non ha ripudiato Sion ( Is 50,1s ) e questa non è realmente vedova - Dio non è morto! -, però ha conosciuto l'esilio, la solitudine e il disprezzo.

La spiegazione ultima della redenzione che si annuncia è la fedeltà di Dio.

Sion è la sposa della giovinezza e Jahve non la può dimenticare ( vv 5-6 ).

Il simbolismo coniugale esprime una storia comune a Jahve e a Israele, la storia di un'alleanza che ha conosciuto tempi di crisi e di ripresa.

In questa storia comune l'esilio apparirà presto come una parentesi effimera ( vv 7-8 ).

Viene da pensare al Sal 30,6: « La sua collera dura un istante, la sua bontà per tutta la vita ».

Nel seguito della composizione poetica di Is 54 il profeta compie un vero tour de farce immaginativo: Sion è ad un tempo una città fatta di pietre preziose e una donna che si espande nei suoi figli.

Il testo ebraico, valendosi di un gioco di parole apparentemente gratuito, ma in realtà assai significativo, passa dalle pietre ( abanìm, v 12 ) ai figli ( banìm, v 13 ).

Tale collegamento pietre-figli non è nuovo nella bibbia e testimonia una profonda psicologia.

In Gen 30,3 Rachele, rimasta fino ad allora sterile, dice a Giacobbe: « Ecco la mia serva Bila; unisciti a lei e così partorisca sulle mie ginocchia: per mezzo suo io sarò "costruita" » ( vale a dire, avrò dei figli ).

La donna s'espande nella maternità, essa è in qualche modo "costruita" per mezzo dei suoi figli.

Allo stesso modo anche Sion si adorna dei suoi figli ( Is 49,18 ).

La sua trasfigurazione in una città scintillante di pietre preziose è in realtà la rappresentazione simbolica del mistero della sua maternità.

Nell'universo della donna gioielli e figli sono il pegno e il segno di un amore ricevuto e reso.

Per questo Sion è vista immaginativamente come una donna ornata di brillanti e di figli.

Il modo migliore di leggere Is 54,11s è perciò quello di lasciarsi incantare dalle immagini e di percepirvi non l'espressione dell'utopia, bensì l'epifania del simbolo.

Altri passi del libro di Isaia conoscono i temi di Sion madre e sposa.

Anzitutto Is 1,21-26.

Ivi l'esercizio concreto della maternità appare come giustizia e diritto reso ai deboli, alla vedova e all'orfano, pensiero che viene confermato da Is 60,17: « Costituirò tuo sovrano la pace, tuo governatore la giustizia ».

Is 62 insiste di più sull'aspetto sponsale: « Come una giovane sposa, una vergine, così ti sposerà il tuo architetto; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per tè » ( v 5 ).

In quest'ultima composizione poetica vediamo in modo particolare come il linguaggio religioso attinga all'esperienza umana.

In modo delicato ma chiaro il testo lascia intendere che la gioia di Jahve ricorda quella degli sposi che si uniscono carnalmente per la prima volta.

La simbolica di Sion arricchisce per correlazione la figura di Dio stesso.

Nuove linee di sviluppo si presentano alla riflessione teologica.

« Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?

Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai » ( Is 49,15 ).

Mentre tutti gli affetti elettivi nascono dagli incontri casuali dell'esistenza, sono esposti all'usura del tempo e dipendono dalle qualità dell'essere amato, l'amore delle madri si colloca al principio stesso dell'esistenza, è perseverante, non viene meno e non è che dono.

Non esiste in tutta la scrittura un testo che faccia più vivamente percepire la profondità e la gratuità dell'amore di Dio.

A Sion, la quale si lamenta d'essere stata abbandonata, Jahve risponde che essa rimane madre, qualunque cosa succeda, e che è capace di amare in modo materno con quell'amore che sopravvive a tutte le prove dell'esistenza.

Meglio ancora: la disperazione in cui Sion è precipitata costituisce per lei la prova migliore che l'amore vero è indefettibile.

Sion ha perduto i suoi figli e non riesce a consolarsi.

La fede l'assicuri ora che una medesima tenerezza materna esiste in Dio ed ella riprenderà a sperare.

In concreto Dio si mostra come lo sposo di Sion precisamente per il fatto che sposa la causa dei figli: « Io avverserò i tuoi avversari; io salverò i tuoi figli » ( Is 49,25 ).

Nel NT i simbolismi di Sion madre e sposa vengono trasposti alla chiesa e, in maniera più velata, alla Vergine Maria.

Gesù Cristo sta in una relazione di tipo sponsale con la chiesa ( Ef 5,25; Ap 21,2.9s; Ap 22,17 ).

Da parte sua Maria si adorna dei tratti della figlia di Sion, in quanto personifica Israele che attende il Salvatore ( Lc 1,26-38 con Sof 3,14.16-17 ).

3. Le grandi costellazioni simboliche

La convergenza delle immagini su Sion-Gerusalemme ha mostrato come i simboli si sviluppino attraverso corrispondenze incessantemente superate verso figure nuove.

I simboli si costellano per il fatto che la realtà intesa non viene mai raggiunta.

L'oggetto « si offre e sfugge; nella misura in cui si chiarisce, si dissimula.

Stando alla celebre definizione di G. Gurvitch, "i simboli rivelano velando e velano rivelando" ».2

Il modo più utile per delineare il tema del nostro lavoro ci sembra perciò che consista nel presentare le costellazioni e i "pacchetti" di immagini simboliche, che si costituiscono attorno agli assi di significato catalogati sopra da Durand e Bernard [ I,1 ].

a. La dominante della verticalità

Si cristallizzano attorno a questo primo asse di simbolizzazione le immagini dell'ascensione, del capo ( e del padre ), della luce, della separazione tra bene e male.

Un esempio particolarmente illuminante ci viene offerto dal Sal 36,6s ( ma pure Sal 57,11; Sal 71,11 ): « Signore, la tua grazia è nel cielo, la tua fedeltà fino alle nubi; la tua giustizia è come i monti più alti, il tuo giudizio come il grande abisso ».

Il testo cosmizza quattro attributi di Dio.

I primi tre - grazia, fedeltà e giustizia - si ricollegano al simbolismo dell' "alto": cielo - nubi - monti.

Il quarto - il giudizio -, che è il trionfo sul male, viene unito all'immagine del caos, vale a dire all'immagine dell'abisso, il tehóm di Gen 1,2.

Jahve-re risiede nelle altezze, eleva fino a sé il giusto e respinge l'empio verso le profondità: « Ma il Signore nel tempio santo, il Signore ha il trono nei cieli.

I suoi occhi sono aperti sul mondo, le sue pupille scrutano ogni uomo.

Il Signore scruta giusti e empi… Farà piovere sugli empi brace, fuoco e zolfo…

Giusto è il Signore, ama le cose giuste, gli uomini retti vedranno il suo volto » ( Sal 11,4-7 ).

« Tornino gli empi negli inferi, tutti i popoli che dimenticano Dio » ( Sal 9,18 ).

Non è senza motivi profondi che il Sal 19 associa inni distinti, il primo dei quali dedicato al cielo e al sole ( vv 1-7 ) e il secondo alla legge ( vv 8-14 ).

In effetti la legge è luce ( Sal 119,105; Pr 6,23 ), essa sviluppa i suoi comandamenti con la perfezione del sole che percorre le vie dei cieli, essa traspone l'ordine celeste sulla terra.

È superfluo riportare altri passi.

Limitiamoci a indicarne qualcuno ( 1 Re 8,27; Is 6; Is 59,1-2; Is 63,15.19; Is 64,1.4-5; Dn 2,37 ).

b. La dominante del nutrimento

Le immagini sono quelle dell'intimità e, quindi, della madre, del rifugio, della casa.

Abbiamo già Visto fino a che punto questa linea di simbolizzazione si attualizzi in Sion-Gerusalemme.

In realtà Dio non è ne maschio ne femmina, ma si rivela attraverso le figure dell'uomo e della donna, che egli fonda nella loro esistenza.

Ciò spiega come nella bibbia l'immagine di Dio possa presentare tratti che appartengono al mondo della donna.

Per es.: « Quando Israele, era giovinetto, lo l'ho amato…

Ad Efraim io insegnavo a camminare… ero per loro come chi solleva un bambino alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare » ( Os 11,1-4; Ger 31,20 ).

L'immagine del rifugio viene desunta sovente dal vocabolario militare ( Sal 7; Sal 18,3.31; Sal 27,1; Sal 34,8; Sal 46 ), ma più di una volta viene arricchita con i simbolismi del nutrimento ( Sal 23; Sal 36,6-9 ), il che conferisce alla figura di Dio una nota di dolcezza e di delicatezza.

Nella corrente sapienziale la tendenza a caricare il linguaggio religioso di simbolismi femminili si accentua ancora.

La Sapienza ha costruito la sua casa e offre un banchetto: « Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato.

Abbandonate la stoltezza e vivrete, andate diritti per la via dell'intelligenza » ( Pr 9,5s ).

Il comandamento di Dio si fa in qualche modo educazione materna, persuasione avvolgente, che si prodiga in un'atmosfera di tenerezza: « Avvicinatevi a me, voi che mi desiderate, e saziatevi dei miei prodotti.

Poiché il ricordo di me è più dolce del miele, il possedermi è più dolce del favo di miele.

Quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me, avranno ancora sete.

Chi mi obbedisce non si vergognerà, chi compie le mie opere non peccherà.

Tutto questo è il libro dell'alleanza del Dio altissimo, la legge che ci ha imposto Mosè » ( Sir 24,18-23 ).

c. La dominante del cammino

I simbolismi della via e della marcia sono adatti a esprimere decisione, modo di comportamento e progressività.

Anzitutto la decisione: « I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie…

Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre, i miei pensieri sovrastano i vostri » ( Is 55,8-9 ).

In questo oracolo "cielo" indica la trascendenza, mentre le "vie" concernono l'attualizzazione delle decisioni divine nella continuità di una storia coerente.

Applicato all'uomo, il cammino significa comportamento.

Anche l'uomo possiede il suo cammino.

I suoi atti, ch'egli lo voglia o no, lo portano alla felicità o alla perdizione: « Il Signore veglia sul cammino dei giusti, ma la via degli empi andrà in rovina » ( Sal 1,6 ).

La stessa storia della salvezza è stata e rimane in larga misura una migrazione.

Abramo è stato chiamato a lasciare il suo paese per lanciarsi nell'avventura della fede ( Gen 12 ).

Giacobbe si vede costretto all'esilio ( Gen 28 ).

Del resto la sua concezione di Dio è la concezione tipica del nomade: « Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio » ( Gen 28,20s ).

La forza delle circostanze sospinge Giuseppe e i suoi fratelli verso l'Egitto ( Gen 37; Gen 42 ).

In realtà è Dio stesso che ha disposto quel viaggio per la salvaguardia del popolo futuro ( Gen 46,5.8 ).

Per parte sua Mosè ha conosciuto la disavventura del bando ( Es 2 ) per diventare il più grande dei condottieri di popoli ( Es 3ss ).

Israele, divenuto sedentario, rimane sostanzialmente nomade.

Tutta la sua fede - e la nostra, che da quella deriva - consiste nel camminare con Dio nella giustizia, nell'amore e nella tenerezza ( Mic 6,8 ).

d. La dominante ciclica

Classifichiamo sotto la dominante ciclica i simbolismi vegetali, biologici e astrali.

Essi comportano tutti quanti un aspetto di ricorrenza: cicli stagionali, cicli fatti di nascite e di decessi, evoluzione degli astri.

In realtà, come vedremo, la concezione biblica corregge il più delle volte l'immagine ciclica con quella lineare.

Attraverso ricorrenze e ripetizioni la salvezza avanza irreversibilmente.

L'esempio più eloquente a questo riguardo ci è fornito da Is 55,10s: « Come la pioggia e la neve discendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata ».

Il ciclo delle stagioni è diventato nella sua totalità annuale il simbolo della storia della salvezza.

Questa conosce inizi appena percettibili, come la vegetazione.

Il grano si perde in terra, germina timidamente per poi espandersi in una fioritura lussurreggiante.

Di qui le immagini della germinazione, che punteggiano i capitoli 40-55 del libro di Isaia ( Is 42,9; Is 43,19; Is 45,8 ).

L'opera di Dio nel tempo attuale presenta un aspetto esterno modesto.

Ma, per chi sa vedere, essa porta - in germe - tutta la magnificenza della consumazione escatologica.

Una concezione simile a quella che abbiamo osservato nel caso del ciclo delle stagioni, divenuto il simbolo di una storia irreversibilmente finalizzata, è riscontrabile anche a proposito delle immagini cosmiche.

In Os 6,3 Israele attende la venuta di Dio, come se essa fosse un fenomeno inscritto nell'automatismo della natura: « Verrà a noi come la pioggia di autunno, come la pioggia di primavera, che feconda la terra ».

Jahve sarebbe diventato di colpo prevedibile come il ciclo delle stagioni, al che egli reagisce dicendo: « Il mio giudizio sorge come la luce ».

I simbolismi cosmici continuano a significare una venuta: la venuta del giudizio che sanziona e conclude la storia; anche qui l'elemento ciclico ha ceduto il posto a quello lineare.

4. Gesù Cristo, fonte e centro di tutta la simbolica3

Nell'AT i simbolismi convergono su Sion.

Dio si rivela attraverso la sua relazione verso le istituzioni: il tempio, la dinastia, la capitale.

Nel NT la fonte e il centro di tutta la simbolica è Gesù Cristo: « Egli è l'immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura, poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cicli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili » ( Col 1,15s ).

In Gv 14,9 Gesù risponde a Filippo che desidera contemplare il Padre: « Chi ha visto me ha visto il Padre… io sono nel Padre e il Padre è in me ».

Attraverso l'incarnazione Gesù realizza nella sua persona la definizione stessa del simbolo: immagine, segno, gesto, evento, il cui valore significativo supera quello che deriva dalla sua esistenza puramente fenomenica.

Nella sua umanità, attraverso il suo essere e la sua azione, Gesù è epifania di Dio ( Tt 2,11-14 ), narratore che racconta il Padre che è stato l'unico ad aver contemplato ( Gv 1,18 ) e realizzatore delle sue opere ( Gv 5,17; Gv 9,4; Gv 10,37 ).

In Cristo, primogenito di tutto il creato, tutte le altre creature acquisiscono la loro finalità ultima e il loro potere significativo nell'ordine della fede.

Da un lato gli elementi della creazione contribuiscono con la loro espressività a comprendere chi è Gesù Cristo: luce, pane, vite, ecc.; dall'altro lato essi, assunti da Cristo, trasmettono e rappresentano figurativamente la sua azione santificatrice: i sacramenti.

Così l'acqua del battesimo, il pane dell'eucaristia, l'olio dell'unzione, ecc.

Cristo, fonte e centro di tutta la simbolica, porta alla loro pienezza le dominanti archetipiche che abbiamo esaminato al livello dell'AT.

Tutta la sua vita è un esodo verso il Padre ( Gv 13,1 ).

Vincitore della morte, egli viene intronizzato alla destra di Dio ( At 2,36; Rm 14,9; Fil 2,9-11 ) per essere ivi principe della vita ( At 3,15; At 5,20 ), donatore dello Spirito ( Rm 8,11; 2 Cor 1,21s; Ef 1,13s ) e capo della chiesa ( Ef 1,22; Ef 4,15; Col 1,18 ).

Tale è il senso dell'ascensione: « Ascese al di sopra dei cieli, per riempire tutte le cose » ( Ef 4,10 ).

La vita cristiana è correlativamente una marcia verso la casa del Padre ( Gv 14,6 ).

Tutto il modo di vivere cristiano è del resto una "via" ( At 9,2; At 18,25; At 19,9.23, ecc. ).

Alla chiesa di Cristo vengono applicati tutti i simbolismi materni e sponsali ( Gal 4,26; Ef 5,21-33; Ap 12 ).

Infine in Cristo il ciclo vita-morte, che fa di ogni creatura un essere-per-la-morte, si rompe a beneficio della vita.

« Chi crede in me, anche se muore, vivrà » ( Gv 11,25 ).

In Gesù Cristo la filiazione non si riduce più a garantire la successione delle generazioni.

Il Padre adempie per mezzo di Cristo il suo disegno, che sottrae gli uomini alla mortalità: « Dov'è, o morte, la tua vittoria…

Siano rese grazie a Dio, che ci da la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo » ( 1 Cor 15,55ss ): La vita umana riceve da Cristo, alpha e omega ( Ap 1,8; Ap 21,8; Ap 22,13 ), orientamento e incorruttibilità ( Rm 6,8-11; Gal 2,20; 2 Cor 5,14s ).

5. Conclusione

Prendere coscienza del carattere simbolico delle Scritture significa:

a. per l'interprete: non tradurre il simbolo in nozioni e concetti, ma arricchirlo attingendo all'esperienza umana.

Un simile modo di interpretazione, che sa far tesoro dell'esperienza della vita, dell'arte e della letteratura, esige finezza, sensibilità e cultura.

Si tratta infatti di padroneggiare le immagini del proprio tempo, per interporle tra il Libro e i suoi lettori.

b. Per ogni credente: lasciarsi condurre dai simboli alle realtà che essi significano.

Ogni simbolo vero è per sua natura escatologico.

Esso risveglia il desiderio, ma non lo può soddisfare.

Per questo il vangelo si appella alla nostra fame di ricchezze, per indurci a vendere le nostre perle in cambio dell'unica perla del regno.

III - La funzione simbolica nella vita spirituale

1. Simbolismo e dinamica spirituale

La situazione concreta dell'uomo spirituale suppone un aspetto dinamico fondamentale, il quale si esprime a vari livelli di vita: a livello biologico, in immediata dipendenza dalle pulsioni corporali; in continuità con questo, a livello cosmico, che suscita i simboli elementari quali l'acqua, il fuoco, il cielo, il mare, ecc…; a livello delle relazioni interpersonali e infine a livello dei valori religiosi, che nella vita cristiana si riassumono nella realtà del regno di Dio in Cristo.

La situazione singolare della vita cristiana non risiede nel fatto che essa richiederebbe strutture simboliche proprie, bensì nel fatto che il mondo spirituale va concepito come un mondo reale, e cioè che Dio è veramente Padre, Figlio, Spirito e che incarnandosi il Figlio ha usato la realtà cosmica per conferirle una nuova dignità nell'ordine dell'espressione e in quello della comunicazione di vita.

La presenza in noi della grazia santificante e la continua azione di Dio, che attira a sé l'anima, suscitano un dinamismo spirituale analogo al dinamismo vitale naturale e quindi un'espressione simbolica del desiderio e del cibo spirituale: così diciamo che abbiamo fame e sete di Dio e che ci avviciniamo alla duplice mensa della parola e dell'eucaristia.

In particolare notiamo come il rapporto di alleanza vissuto nella vita mistica faccia appello al simbolo del matrimonio e dell'amore umano.

Non si tratta soltanto di simboli generici, bensì della descrizione particolareggiata di tutti gli aspetti caratteristici dello sviluppo dell'amore umano.

Seguendo il ritmo del Cantico dei cantici - ricerca dell'amato, mutua compiacenza, unione - molti mistici hanno descritto la loro avventura spirituale usando tutti i simboli presenti nel poema biblico.

Non basta però dire che i mistici hanno approfittato delle modalità espressive offerte dal Cantico: bisogna aggiungere che la loro esperienza prende lo spunto dal testo stesso nella misura in cui hanno vissuto il loro rapporto con Dio sotto il profilo di un'alleanza personale.

La frequenza di questo tema nella vita cristiana ha portato i dottori mistici, quali s. Teresa d'Avila e s. Giovanni della Croce, a fare dell'espressione "matrimonio spirituale" ( e del correlativo "fidanzamento spirituale" ) un'espressione tecnica che definisce un grado preciso dell'unione spirituale.

Ma, pur riconoscendo il valore della loro dottrina, non dobbiamo restringere l'uso di tale simbolo a questa espressione tecnica, bensì conservargli l'elasticità caratteristica di ogni espressione simbolica.

Lo stesso si dica della "notte dei sensi" e della "notte dello spirito": il simbolo della notte ( e i correlativi; tenebre del peccato e tenebra della trascendenza di Dio ) va sempre inteso in senso generico.

2. L'apertura dell'espressione simbolica

Se il simbolo ha come prima funzione quella di esprimere il dinamismo spirituale, esso deve contenere, quale segno espressivo, un aspetto dinamico intrinseco.

Ed è proprio questo il carattere che tutti i linguisti mettono in risalto quando oppongono l'espressione simbolica a quella concettuale concepita come statica.

Se diciamo ad es. che Cristo è il buon pastore, racchiudiamo in questa espressione simbolica tutta la ricchezza dell'uso veterotestamentario di un'immagine primitiva, compendiato nell'affermazione di Gesù: « Io sono il buon pastore » ( Gv 10 ); e se rappresentiamo il buon pastore con una scultura, questa raffigurazione porta non solo ad un atto di fede nella protezione e nell'amore di Cristo, ma anche ad uno slancio affettivo di fiducia e di abbandono; nessun concetto potrebbe contenere una simile carica espressiva ed affettiva.

Allo stesso modo giova insistere sul senso simbolico dei numeri: esso non si riduce all'aspetto quantitativo, ma misteriosamente suggerisce la pienezza ( 3 o 7 ) oppure l'opposizione complementare ( 2 ), o l'incompiutezza ( 6 ), o l'unione ( 5 ).

Nei confronti di quella concettuale, l'espressione simbolica contiene una profondità che significa il passaggio da un livello di significazione ad un altro; mentre nel linguaggio concettuale la parola è definita con precisione univoca dal suo contesto, il simbolo orienta lo spirito verso un significato che supera la rappresentazione concettuale: l'albero non è considerato secondo la sua specie e l'uso pratico che se ne fa, ma come simbolo della vita.

Qual è l'origine di questa apertura del simbolo?

Essa non proviene dall'oggetto, il quale induce l'intelletto ad una considerazione univoca, ma dal soggetto che possiede un dinamismo innato.

Possiamo dire ancora meglio: il simbolo nasce dall'incontro fra il dinamismo del soggetto che cerca di esprimere la propria vita spirituale e la realtà oggettiva che fornisce una corrispondenza al dinamismo vitale.

Quando si tratta della vita spirituale, il dinamismo interiore è analogo a quello della vita naturale, la quale ricerca immagini che corrispondono al suo modo: come il vivente deve nutrirsi, progredire, aver fame e sete, riposare, ecc., così l'uomo spirituale è soggetto di analoghe operazioni e le esprime con i simboli della vita naturale.

La creazione di simboli espressivi della vita spirituale suppone dunque la percezione di una realtà oggettiva che supera la possibilità dell'espressione concettuale e il movimento verso questa realtà: il salmista può dire ad es.: « L'anima mia ha sete del Dio vivente » ( Sal 42,3 ).

Tale espressione contiene vari aspetti: conoscitivo, affettivo e funzionale, vale a dire: rivela una certa esperienza spirituale e porta l'anima a riviverla.

Il movimento contemplativo, parallelamente a quello di creatività, suppone una certa sintonia con l'espressione simbolica.

Chi non ha nessuna esperienza del rapporto con Dio difficilmente può afferrare il significato dell'espressione simbolica "sete di Dio".

Le disposizioni soggettive sono quindi di somma importanza nella comprensione simbolica.

3. La funzione trasformante

Attraverso la funzione rappresentativa appare chiaramente il valore originale del simbolismo.

Ma ciò non basta. Per capirne esattamente l'importanza nella vita spirituale, liturgica e mistica, bisogna considerare un'altra funzione, quella cioè di trasformazione della coscienza spirituale: portata dal dinamismo del simbolo, la coscienza ascende al livello spirituale e si immedesima con l'oggetto spirituale contemplato.

Il fondamento di questa funzione trasformante lo si deve riconoscere nel fatto che l'attività simbolica fa leva sulla continuità dei vari livelli di vita.

Se non vi fosse una certa qual continuità, tramite l'unità della coscienza, non si capirebbe il dinamismo dell'espressione simbolica.

Orbene tale continuità va presupposta come fondamento dell'unificazione della coscienza alla quale mira l'attività spirituale, che si propone di sottomettere tutta la personalità ai valori spirituali.

Se infatti all'inizio della vita spirituale si avverte una certa opposizione fra i diversi livelli di vita ( livello corporale, razionale, della fede e della carità universale ), il progetto spirituale si propone di arrivare ad una congiunzione sempre più stretta dei diversi livelli sotto il primato della carità.

L'attività simbolica appare quindi come un mezzo privilegiato per arrivare alla continuità e all'unità vitale: quando il pane diventa per noi il simbolo della vera vita, la fame corporale viene considerata come il simbolo di una fame più fondamentale e attraverso questa considerazione ai valori spirituali si sottomettono i valori biologici elementari.

D'altronde l'attività simbolica è il segno di un'unità già operante: in effetti - come vediamo nella letteratura mistica - l'uomo spirituale giunto alla maturità diventa capace di considerare il suo rapporto con l'universo della natura e delle persone attraverso il suo rapporto con Dio; la sua sensibilità si orienta verso la vita spirituale: si giunge così alla spiritualizzazione della sensibilità.

A questo punto troviamo la dottrina dei sensi spirituali, già abbozzata in Giovanni e poi sviluppata da Origene e dagli autori successivi.

Con l'espressione "sensi spirituali" non intendiamo nuove entità psicologiche, bensì la sensibilità stessa assurta alla dignità di partecipare alla vita spirituale.

Possiamo prolungare questa prospettiva in due direzioni.

Da una parte vediamo come l'integrazione della coscienza supponga un'integrazione con l'ambiente cosmico naturale.

O meglio, forse, l'uomo non può comprendere pienamente se stesso se non si considera nel suo rapporto alla natura con la quale è così profondamente legato: il simbolo avrà come funzione di significare e di attuare la relazione con il mondo della natura cosmica.

L'esempio insuperabile rimane quello di s. Francesco d'Assisi e del suo Cantico delle creature.

Arrivato alla simpatia universale attraverso una unificazione perfetta della personalità, egli poteva considerare tutti gli elementi naturali nella loro fratellanza universale, risalendo così all'armonia primitiva, e stimava pertanto che il suo Cantico potesse servire a placare i dissidi tra i fratelli nemici delle città in guerra continua.

D'altra parte l'unificazione interiore porta alla pacificazione di tutta la personalità, come è descritto a conclusione del Cantico spirituale di s. Giovanni della Croce.

Anch'egli, attraverso il suo canto, celebrava la riconciliazione con il mondo intero e l'unità interiore riacquistata.

Segno di questa riconciliazione totale è la pace, che scende anche nella sensibilità: « La sposa dice che i sensi discendono alla vista delle acque spirituali, poiché, nello stato di matrimonio spirituale, questa parte sensitiva o inferiore dell'anima'è purificata e spiritualizzata in maniera tale che insieme con le sue potenze e forze naturali e sensitive partecipa e gode a modo suo dei grandi favori spirituali che Dio le comunica nell'intimo dello spirito, secondo quanto vuoi far comprendere David quando dice: "Il mio spirito e la mia carne si rallegrano nel Dio vivente" ( Sal 83,3 ) » ( Cantico spirituale, 40,5 ).

A questo tende la vita spirituale attestata dai mistici.

Questa valorizzazione della sensibilità umana conferisce all'esperienza spirituale una dimensione nuova, apportando a tutta l'umanità una ricchezza inestimabile.

Come osservano psicologi quali Jung e Baudouin, la nostra vita moderna è caratterizzata da un grave squilibrio: mentre gli aspetti razionalizzanti e tecnici portano ad un eccesso di astrazione ( rispecchiato dal linguaggio tecnico e filosofico ), diminuisce sempre più la parte della sensibilità e della poesia, con la conseguenza di suscitare rivincite della sensibilità, per es. nell'erotismo e nella droga.

Quindi mediante le attività che usufruiscono del simbolismo - cioè le attività artistiche - l'uomo moderno dovrebbe ricercare un maggiore equilibrio fra le diverse componenti della sua psiche.

Spetta all'attività simbolica di ristabilire un sano equilibrio a vantaggio della qualità della vita umana.

Non si può dire che la vita cristiana non risenta anch'essa di questa predominanza del razionalismo: lo si vede nella formazione teologica, che è troppo astratta e tesa verso la pura oggettività scientifica.

Per conto suo, la vita spirituale cerca di controbilanciare l'eccesso di razionalismo della vita cristiana.

Nella misura in cui, grazie alle attività simboliche della liturgia, dell'arte sacra, dell'espressione poetica, ecc. il cristiano riuscirà a raggiungere un'espressione più concreta e più vicina alla condizione incarnata della psiche umana, assisteremo al conseguimento di un nuovo equilibrio affettivo e spirituale.

IV - Simbolismo e vita di fede

Si pone ora un ultimo problema: data l'importanza della realtà simbolica nella vita cristiana, non c'è forse pericolo di ridurre la vita cristiana all'attività simbolica e in tal modo dimenticare o negare l'intervento divino, che ci conferisce una vita soprannaturale non riducibile a quella naturale?

La risposta si articola su due proposizioni: da una parte i sacramenti cristiani rivestono una forma simbolica pur possedendo una efficacia propria, e d'altra parte l'incarnazione del Verbo fa della vita di Gesù una manifestazione simbolica della realtà divina.

Nei sacramenti infatti non possiamo separare il rito dalla parola che gli conferisce piena significazione; questi due elementi costituiscono i sacramenti in modo che essi significano quanto operano ed operano perché significano.

I gesti e le materie sacramentali appartengono de jure al loro significato e ne fanno riti simbolici di comunicazione di vita divina espressamente voluta e determinata da Dio stesso in Cristo.

Da questo punto di vista la vita liturgica cristiana crea e mantiene sempre uno spazio all'espressione simbolica.

Il senso profondo dei sacramenti cristiani è abbastanza chiaro: essi simboleggiano i grandi temi della vita spirituale dell'uomo: la nascita e la crescita, la rinascita spirituale, il nutrimento, la comunione con Dio e con gli altri, la purificazione, la guarigione, la santificazione degli stati di vita.

Orbene questi temi principali sono quelli di ogni religione; non è quindi da meravigliarsi se la stessa struttura simbolica determina tutti i riti religiosi.

Ciò non significa una negazione della specificità della vita cristiana, che è basata sull'intervento storico di Dio in Cristo, ma solo il radicarsi della vita religiosa nelle profondità della condizione umana.

Servendosi dell'esempio del battesimo, vediamo come si intreccino gli aspetti simbolici con il loro rapporto alla storia della salvezza dalla quale traggono la loro virtù santificatrice.

Il tuffarsi nell'acqua simboleggia il ritorno alle acque mitiche, portatrici di morte e di vita e che suggeriscono l'uscita dal seno materno.

A questa significazione universale però si ricollega il rapporto storico al mistero pasquale di Cristo.

Il significato del battesimo cristiano quindi non è tanto quello di essere partecipazione al rito universale di morte-risurrezione necessario per ricevere una vita nuova, quanto di essere partecipazione della morte-risurrezione di Cristo mediante l'adesione di fede,

Il significato del battesimo cristiano si arricchisce perciò di tutti i valori contenuti nel mistero dell'incorporazione mistica a Cristo, e cioè di tutti gli aspetti collegati con la liberazione del popolo ebraico, con la lotta contro il nemico spirituale e con l'aggregazione al nuovo popolo di Dio che è la chiesa.

Nella prassi pastorale, il punto più delicato della catechesi sacramentale sta nel far capire il valore simbolico dei segni voluti da Cristo.

Oggi come oggi, questo valore non è più immediatamente percepito da molti nostri contemporanei, che subiscono l'influsso della civiltà tecnica.

Diventa quindi necessario una certa cultura biblica, che faccia capire il significato simbolico dei riti.

Quanto vale per il battesimo, che abbiamo analizzato, si applica anche agli altri sacramenti: in essi bisogna percepire il senso simbolico fondato sia sul significato naturale dei segni, sia sul loro significato nella storia della salvezza.

L'attività sacramentale non esaurisce la funzione simbolica della vita cristiana.

Bisogna infatti tener conto dell'attività contemplativa centrata sulla meditazione della persona e del messaggio di Cristo.

Ora, come lo dimostra la prassi della chiesa, la contemplazione di Cristo suppone la percezione della presenza di Dio nell'umanità di Gesù.

Secondo la parola del vangelo di s. Giovanni: « Chi vede me vede il Padre » ( Gv 14,9 ), Gesù afferma di essere la manifestazione di Dio Padre e in tal modo lo possiamo considerare come il simbolo di Dio.

Non che neghiamo minimamente la realtà storica del Verbo di Dio incarnato, anzi vogliamo insistere sul fatto che nella sua vita concreta Gesù di Nazaret è sempre segno di una realtà diversa da quella che vediamo: egli rivela il Padre, la sua potenza, la sua bontà, la sua misericordia, ecc…

In modo misterioso, quando contempliamo la vita di Gesù nei suoi vari misteri, entriamo per mezzo della fede nella percezione della presenza attiva del Padre, il quale si rivela come sapienza, vita, luce, amore.

Gesù è diventato per noi l'unica via che conduce alla vera vita.

Poiché il Cristo è pienezza della rivelazione del Padre e mezzo della comunicazione di vita divina, in lui ogni aspetto della nostra vita spirituale trova la sua giusta espressione.

Di conseguenza tutti i simboli che esprimevano la realtà spirituale promessa e desiderata sotto l'antica alleanza acquistano in Cristo un adempimento nuovo: la vigna di Jahve, la luce della legge, il pastore, ecc.

D'altra parte i simboli che esprimono il desiderio della vita eterna si ricollegano in Cristo agli antichi simboli: il banchetto, la città santa, il paradiso.

Come si esprime Giovanni, poiché il corpo di Cristo risuscitato è il vero tempio, in lui si manifesta tutta la gloria di Dio che rifulgeva nel tempio di Gerusalemme.

In Cristo, il simbolo è verità: « Io sono la via, la verità e la vita » ( Gv 14,6 ).

Simbolismo biblico Deserto II,5
Cristo nostro esodo Deserto II,6
Simbolismo liturgico Celebrazione I
Immagine I
Patologia III
Simbolismo eucaristico Eucaristia I,2
… di sessualità Sessualità IX
… e utopia Utopia II
… in s. Giovanni della croce Itinerario III,5
Simbolismo mitologico nel buddhismo Buddhismo II

1 P. Ricoeur, La symbolique du mal. Finitude et Culpabilité, Parigi, Aubier 1960, 11-30; 153-165; 323-332
2 Citato da J. Chevalier in Dictionnaire des symboles (a cura di J. Chevalier), Parigi, Laffont 1969, XVIII
3 L. Alonso Schokel in Concilio Vaticano II. Comentarios a la constitución Dei Verbum (a cura di L. Alonso Schokel), Madrid, La Editorial Catolica 1969, 562-564