Consacrazione secolare valori comuni e valori specifici

Indice

I consigli evangelici vissuti nel mondo presentano valori specifici?

In occasione del Congresso del 21 febbraio 1985,30 il cardinale Paul Poupard ha espresso questi concetti che mi paiono riferibili ai secolari consacrati, ancora più che ai cristiani in genere.

L'incarnazione del cristiano nel mondo - così il cardinale afferma - reclama una testimonianza: e la testimonianza più efficace è quella delle beatitudini, dei consigli evangelici, della non-violenza, pur nell'opposizione a un mondo violento ed egoista in cui il materialismo è oppressore, in cui domina l'ateismo.

Ma proprio dove la verità è ignorata o posta in discussione, dove non si sa a cosa essa serva, dove però la massa degli uomini, quasi inconsciamente, tende a una fede ed è affamata di Dio, ecco che il secolare consacrato vuole essere risposta con la sua vita.

Mi chiedo ancora una volta se una vita così incarnata, una vita divenuta risposta a un battesimo ma anche all'appello particolarissimo a una consacrazione, non possa essere considerata un valore specifico, quale « sì » consapevole e per sempre a una specifica vocazione.

Specifico è certo il modo con cui ogni singolo consiglio va vissuto dal secolare consacrato: specifici sono i valori spirituali che si allacciano a ciascuno dei tre consigli che la Chiesa definisce « evangelici » in qualunque forma di consacrazione.

La professione di questi consigli, per i membri degli Istituti secolari, non è qualcosa di attenuato, ma è professione di una consacrazione vera e completa nel secolo: anche l'attività del laico consacrato nel mondo attinge dalla sua vita consacrata un orientamento particolare verso Dio: il dono di sé a lui coinvolge e trascina anche l'attività apostolica.

Il mondo è, così, sempre presente nella sua vita consacrata.

I consigli evangelici, da lui vissuti in forza della propria consacrazione a Dio e alla Chiesa, diventano testimonianza e modello.

Non possiamo non cogliere il valore specifico della presenza nel mondo in due stupendi capoversi che, a distanza di pochi mesi nel 1972, Paolo VI ha inserito in due discorsi agli Istituti secolari.

Li riporto entrambi perché sia più agevole cogliere appunto la presenza del mondo e nel mondo.

Nel primo discorso leggiamo queste espressioni: « ( … ) i consigli evangelici acquistano ( per i consacrati nel mondo ) un significato nuovo, di speciale attualità nel tempo presente:

- la castità si converte in esercizio ed in esempio vivo di dominio di sé e di vita nello spirito, tesa alle realtà celesti in un mondo che si ripiega su se stesso e libera incontrollatamente i propri istinti;

- la povertà diventa modello della relazione che si deve avere con i beni creati e con il loro retto uso, con un atteggiamento che è valido sia nei Paesi sviluppati, ove l'ansia di possedere minaccia seriamente i valori evangelici, sia nei Paesi meno dotati, ove la povertà ( dei consacrati secolari ) è segno di solidarietà e di sofferenza con i fratelli provati;

- l'obbedienza diventa testimonianza dell'umile accettazione della mediazione della Chiesa e, più in generale, della sapienza di Dio che governa il mondo attraverso le cause seconde, e, in questo momento di crisi d'autorità, la obbedienza ( dei laici consacrati ) si converte in testimonianza di ciò che è l'ordine cristiano dell'universo ».31

E, nel discorso successivo: « ( … ) ( nella vita del laico consacrato )

- la castità dice al mondo che si può amare con il disinteresse e l'inesauribilità che attinge al cuore di Dio e ci si può dedicare gioiosamente a tutti senza legarsi a nessuno, avendo cura soprattutto dei più abbandonati;

- la povertà dice al mondo che si può vivere tra i beni materiali e si può usare dei mezzi della civiltà e del progresso, senza farsi schiavi di nessuno di essi;

- l'obbedienza dice al mondo che si può essere felici pur senza fermarsi in una comoda scelta personale ma restando pienamente disponibili alla volontà di Dio come appare dalla vita quotidiana, dai segni dei tempi e dalle esigenze di salvezza del mondo di oggi ».32

Non può sfuggirci, ripeto, nei due brani citati la presenza nel mondo e del mondo a proposito dei consigli evangelici vissuti in piena secolarità, con lo scopo non solo della propria consacrazione personale, ma anche dell'esempio da offrire agli uomini: quasi per coinvolgere il mondo, ogni credente, in questa forma specifica di realizzare alcuni valori a cui il battesimo ha impegnato ognuno.

E ciò mediante l'esempio vivo, semplice, gioioso, di questi secolari consacrati che in nulla vogliono distinguersi dagli uomini fratelli: nel comune ambiente e professione e nelle comuni difficoltà.

Tutto questo reclama molti altri valori: e potrà essere più chiaro se esamineremo ognuno di questi consigli.

Castità nel celibato

Soltanto un 10% di chi vive nel celibato lo vive per motivi spirituali.

E, se non c'è un abito religioso o una forma di vita comune che esprima una scelta specifica di vita, il celibato vissuto nel mondo in castità è il più delle volte incompreso.

È ritenuto una stranezza o, più sovente, la conseguenza di altri motivi reconditi che ostacolano il matrimonio.

Pare un assurdo, ma molto spesso il secolare consacrato deve farsi « perdonare » se è restato celibe ( per celibe intendo anche nubile ); e più ancora se appare chiaro che il suo celibato è una scelta ingiustificata e a cui è difficile dare ( ma occorre darla? ) una giustificazione.

Come si fa a comprendere che un uomo ( o una donna ) inserito nel mondo ha « scelto » la verginità?

Essa, ha detto Pio XII, è da se stessa espressione di fede nel regno dei cieli e prova di amore del divin Redentore »:33 cosa non facile da scoprire in un uomo o in una donna che in nulla vogliono apparire diversi dagli altri: uomini e donne « qualunque » ricchi di sentimento e alieni da ogni sentimentalismo.

Il secolare consacrato deve far comprendere che la sua non è solamente un'espressione di fede nel regno dei cieli ma anche un'espressione di spontanea disponibilità agli uomini nelle realtà terrene e un'apertura alle esigenze del creato.

Non è e non deve apparire una fuga dal matrimonio.

Anzi, ci deve essere nel secolare consacrato un rispetto profondo e una schietta stima del matrimonio, soprattutto del matrimonio sacramento, tanto più che oggi « matrimonio e verginità sono meno visti come vocazioni opposte ma complementari, e, al contatto con l'esperienza della famiglia, la rinuncia nel celibato ha occasione di rinnovarsi con ulteriore consapevolezza ».34

Questo valore specifico - la stima per il matrimonio in chi ha rinunciato ad esso senza rimpianto - deve apparire dall'atteggiamento del laico consacrato nelle varie circostanze: sia che rimanga inserito nella propria famiglia, sia che la vita lo conduca altrove.

Dalla sua consacrazione scaturisce anche un profondo rispetto per la donna e per l'uomo, per l'altro sesso: perché Cristo, l'Uomo per eccellenza, l'Uomo unico vero, percorre con lui il cammino fra gli uomini nel mondo.

Anche Maria gli appare la donna per eccellenza, non donna speciale, ma che ha realizzato - come secolare consacrata - il dono pieno e silenzioso nel mondo: una donna qualunque tra le donne qualunque del suo tempo e del suo paese, ma consacrata a Dio e ai fratelli: ora con lo Sposo e il Figlio, poi sola con il Figlio, poi sola del tutto mentre gli anni passano, eppure sempre in comunione con il Figlio, sempre in Sintonia con lui, sempre attenta a lui nella sua vita di Maestro itinerante.

Anche se non possiamo chiamarla « valore specifico della secolarità consacrata », è certamente un valore che va coltivato l'amicizia offerta generosamente a tutti: un dono che non sempre trova reciprocità, talvolta è unilaterale, ma sempre vuole creare un rapporto costruttivo, fraterno, profondamente umano, una comunione sincera.

Un rapporto di cui, di solito, gli altri captano il valore e di cui sono grati: anche perché è un dono raro, nel mondo!

Quest'amicizia può tradursi in testimonianza non artificiosa di valori spirituali, di un'umanità ricca di sensibilità in ascolto delle pene e delle gioie altrui, degli altrui problemi e necessità.

C'è, nell'amicizia offerta dal secolare consacrato, tutto un valore umano e spirituale che crea un rapporto diretto, aiuta a capire, a com-patire, a fare scaturire un'empatia dal profondo, una capacità di condivisione, un'attenzione all'altro in ogni ora e in ogni situazione: quello che io chiamo « coinvolgimento ».

Non si tratta di un valore assoluto: l'unico Assoluto è Dio!

Ma è un valore senz'altro grande nel secolare consacrato ancor più che in ogni altro laico: reclama sincerità, lealtà, fiducia nell'uomo, capacità di cogliere tutto ciò che in lui - chiunque egli sia, comunque si chiami, qualunque sia la sua storia - è buono, è vero, è onesto, è proteso verso l'alto - anche se lui non se ne avvede e anche se fa sfoggio di superiorità e noncuranza.

Il celibato consacrato nel mondo dimostrerà allora che si può amare con il disinteresse e l'inesauribilità che attingono al cuore di Dio, e che ci si può dedicare gioiosamente a tutti, senza legarsi a nessuno, avendo cura soprattutto dei più abbandonati.

Così, l'abbiamo visto, si è pronunciato Paolo VI.35

Cogliamo alcuni dei termini usati dal Pontefice:

- amare con disinteresse, con inesauribilità,

- interesse e inesauribilità che attingono al cuore di Dio!

- dedicarsi gioiosamente a tutti,

- nella libertà da ogni forma di schiavitù,

- attenti soprattutto ai più abbandonati.

Non è anche questo un modo di « respirare esclusivamente e ininterrottamente Dio »?!

Di avere sempre dinanzi agli occhi la missione verso i fratelli nel mondo?

E non è forse l'apertura del cuore a chi è solo, a chi non ha voce, a chi è considerato nessuno, a chi è abbandonato?

Il cuore del secolare consacrato è insieme tutto in Dio e tutto dei fratelli.

Il mondo è il « suo » mondo. E non crederà, lui, di essere un benefattore: sarà anzi convinto che l'amicizia che offre è un dono che riceve, un fattore integrante del proprio equilibrio, della propria maturità, della propria affettività.

Un valore da coltivare, ma anche un valore specifico, mi pare, perché scaturisce appunto dalla libertà interiore propria della castità consacrata nel celibato: non è amore esclusivo offerto a un singolo, è amore più vasto donato a tutti, senza dispersione di sentimenti, senza interessi egoistici: amicizia schietta, libera, forte, gioiosa: inesauribile!

Indubbiamente anche il secolare consacrato può trovare un arricchimento personale in quest'amicizia che sgorga da Dio, Amore primo.

E a Dio ne rende grazie, e l'accoglie come un dono.

Anche di un altro dono egli, nella sua consacrazione in un Istituto secolare, rende grazie a Dio: dono che cerca di coltivare con animo aperto, dono ch'egli vuole arricchire di tutti i valori di cui è capace: cioè l'amicizia in seno al suo Istituto.

È una comunità. Anzi, una comunione.

Una comunione, anche se spesso la comunità è « in diaspora ».

Non è la vita insieme che, automaticamente, crea amicizia - anche se può essere un aiuto nella vita allo sbaraglio nel mondo; ed è forse per questo che molti Istituti secolari tendono ad avere gruppi in vita comune, oppure offrono la vita comune a tutti … dimenticando - e qui chiedo scusa a chi si sentisse offeso di questa affermazione - che la vita di tutti i laici non consacrati è allo sbaraglio, e che la consacrazione in un Istituto secolare non rende un secolare consacrato « meno-laico » degli altri laici, quindi, non gli offre di essere « meno allo sbaraglio » degli altri laici!

L'amicizia in una comunità « in diaspora » è un valore molto grande: e reclama l'oblio di se stesso, l'apertura all'altro, l'attenzione per andare verso ognuno, anche e soprattutto quando la partecipazione a un incontro, la condivisione e lo scambio in un raduno, fossero ostacolati da impegni familiari, sociali, professionali o dalle distanze: realtà d'ogni giorno che non dovrebbero mai intaccare la carità fraterna che, anzi, ciascuno si sforza di creare: carità ch'è amicizia sincera, comprensione, compatimento dei limiti altrui, accettazione di ognuno, sforzo di comune crescita nel carisma dell'Istituto.

Un dono che si offre e che si riceve.

Ma, come dicevo, spesso è un dono che, nel mondo, si offre senza nulla ricevere in ricambio.

Cosa importa? Non fa parte anche questo della libertà di chi, per amore dei fratelli nel mondo, si è consacrato a Dio solo?

Ma quale austerità reclama questa libertà, in un mondo in cui la libertà diventa permissività in tutti i campi!

Mi richiama a quell'atteggiamento di preghiera che è « respiro ininterrotto di Dio », è unione intima con lui, divenuto sempre più il centro di tutta la vita, Colui da cui tutto deriva, la fonte a cui attingere per poi riversarne sugli altri la freschezza.

Libertà nel condividere la vita altrui, rapporti di fraternità, stato permanente di comunione con Dio, austerità nel cercare lui solo, attenzione a offrire agli altri il dono di Dio: ecco dei valori specifici o almeno valori da coltivare con ogni cura nella vita consacrata nel mondo; e la centralità di Cristo in tutta la vita, l'audacia nell'affrontare ogni rischio, la prudenza e il riserbo compatibili con questa audacia, tutto questo reclama dal secolare consacrato un'ascetica costante, la temperanza e la padronanza di sé e dei propri istinti - domati ma non annientati - … tutti valori inscindibili dalla castità consacrata in vista del Regno.

E valori che non si conquistano se non nella costanza dello sforzo, nella perseveranza, nella coerenza indispensabile nell'ambiguità del nostro tempo, nella serena valorizzazione del proprio essere uomo o donna nella linea del Creatore.

E tutto ciò reclama un proprio stile di vita senza compromessi, senza complicazioni: quell'ottimismo, nell'apertura gioiosa, nella semplicità … valori che, se non sono del tutto specifici, restano tuttavia inseparabili da questa forma di vita consacrata nel mondo.

Mentre penso a tutta la luce che emana da questa consacrazione secolare, da questa secolarità consacrata nel celibato il cui centro è Cristo, la cui mèta sono i fratelli, penso anche a ciò che questa forma di vita può chiedere di sacrificio in date località del nostro mondo, per esempio nel continente africano o asiatico.

Penso alla donna già promessa sposa dai genitori quando ancora era bambina.

O alla battezzata in età adulta, membro di una famiglia ancora pagana.

Alla giovane che deve andare sposa, perché è sul marito che la famiglia di lei conta per il domani; e che, se si rifiuta, è a sua volta rifiutata o a carico dei fratelli fino alla morte.

Alla donna che, se non si sposa, ha dinanzi a sé la sola via religiosa, che la libererà dalla schiavitù della famiglia, e costituirà un onore, anche, talvolta, per una famiglia pagana.

Una tale vocazione potrebbe apparire una garanzia economica, una bocca di meno da sfamare; da invidiare da parte di altre meno fortunate, costrette a sgobbare tutto il giorno senza sganciarsi dalla schiavitù da parte dei familiari …

Mentre la religiosa ha una casa, una comunità, il cibo e il vestito, l'avvenire assicurato …

Come riuscire ad imporsi, per rimanere laica tra i laici per una libera scelta incompresa, incomprensibile, ingiustificata?

Occorre allora una particolare virtù di fortezza: il coraggio di affrontare qualunque rischio pur di non rifiutarsi alla chiamata di Dio.

E discernimento e creatività per inventare modi nuovi, mai pensati, che non possono essere importati dall'Europa; forme nuove di vita secolare che non faccia ricorso, come spesso accade, alla vita comune.

E allora come potremmo dire che la creatività non è un valore specifico che scaturisce dalla secolarità consacrata?!

Povertà evangelica secolare

Buone sono le cose, le realtà temporali uscite dalla mano creatrice di Dio.

« E Dio vide che era cosa buona ». ( Gen 1,10,12.18.21.25 )

Tutto è buono, se usato nella linea di Dio: beni, talenti, capacità umane, cose - uscite dalla mano non-creatrice dell'uomo -, denaro: valori da orientare al Padre per mezzo di Gesù Cristo e da usare a vantaggio di tutti.

Tutto è nostro ma noi siamo di Cristo e Cristo è di Dio, ci ricorda Paolo VI. ( 1 Cor 3,22-23 )

E il Concilio Vaticano II dice: « I fedeli ( … ) devono riconoscere la natura intima di tutta la creazione, il suo valore e la sua ordinazione alla lode di Dio … ( I laici ) portino efficacemente l'opera loro perché i beni, creati secondo l'ordine del Creatore e la luce del suo Verbo, siano fatti progredire dal lavoro umano, dalla tecnica e dalla civile cultura per l'utilità di tutti assolutamente gli uomini, e siano tra loro più convenientemente distribuiti, e nella loro misura portino il progetto universale alla libertà umana e cristiana ».36

Compito specifico dei laici. Anche dei consacrati, dunque.

Una povertà, la loro, che deve diventare modello della relazione che si deve avere con i beni creati e col loro retto uso:37 così si è espresso Paolo VI.

Vivere nel mondo e testimoniare e dire al mondo.

Non è forse questa la « missione » dei laici consacrati?!

Esiste dunque una « relazione coi beni creati »: una relazione che reclama un « retto uso »; una relazione che deve diventare « modello » per gli altri laici.

Ma potremmo, per questo, dire che la povertà evangelica secolare è valore specifico dei secolari consacrati?

O piuttosto è da mettere in programma da parte di qualunque laico?

E anche da parte dei religiosi? Lo stesso Codice di Diritto Canonico ( 1983 ) ne parla - come, del resto, parla degli altri consigli evangelici - nelle Norme Comuni a tutti 'gli Istituti di vita consacrata.38

Ma possiamo affermare che questo vincolo, come quello dell'obbedienza, deve assumere nel mondo forme specifiche di realizzazione dovute appunto alla vita del secolare consacrato in pieno mondo e per il mondo,39 per la sua crescita e il suo progresso.

In realtà, tutto ciò che Dio ha visto essere « cosa buona » - sia la natura con tutte le sue forze misteriose, sia l'uomo con le sue molteplici doti di creatività e di intelligenza -, ciò che, scaturito dalle mani di Dio, è andato evolvendosi con i millenni, tutto è diventato ricchezza.

E i laici, che siano o no consacrati, ci vivono in mezzo e sono chiamati a un'ulteriore evoluzione di tali beni anche e in particolare in vista della condivisione: perché i beni, destinati da Dio a tutti, siano realmente di tutti.

E ciò, sia che questi beni siano del secolare, sia che appartengano alla sua famiglia, al suo ambiente, alla sua gente, là dove ognuno esercita la propria professione, dove lavora e fatica e così collabora alla crescita di ogni bene.

La povertà, dunque, del laico consacrato nel mondo e per il mondo, solo raramente, eccezionalmente, può consentirgli una fuga dai beni temporali - purché una povertà di fatto non dimentichi mai le esigenze fondamentali della secolarità, e quella che ho chiamata fuga sia invece una separazione, una privazione proporzionatamente motivata.

Il secolare consacrato deve far crescere il mondo « dal di dentro »; ed è « dal di dentro » che deve quindi vivere anche la sua povertà.

D'altra parte non ci sarebbe stata una ragione plausibile per dar vita nel 1947 agli Istituti secolari, se il loro compito fosse stato identico a quello dei religiosi o molto simile.

Se il compito della secolarità consacrata è far crescere il mondo « dal di dentro », è « dal di dentro » di esso che dev'essere realizzata anche la povertà secolare.

L'esercizio quotidiano di questo consiglio deve portare i laici consacrati a conformarsi alla dimensione ascetica di Cristo il quale ha scelto per sé di farsi partecipe della povertà umana per rendere partecipi gli uomini dei valori e delle ricchezze del suo Vangelo.

Certo, la povertà di Cristo nella sua Incarnazione ci resta mistero indecifrabile: nel mondo, dipendente dal Padre, distaccato e libero nei confronti dei beni della terra.

Un uomo unico, eppure un uomo qualsiasi, come gli altri: a tavola con tutti, in rapporto di cordialità e di amicizia con tutti: molto meno povero, se ci riferiamo ai beni della terra, del suo stesso precursore Giovanni ( Mt 3,4 ) che si nutriva di locuste e miele selvatico e andava vestito di peli di cammello con una cintura ai fianchi; ma libero, attento esclusivamente alla missione che il Padre gli ha affidata in mezzo agli uomini.

Per il secolare consacrato l'inserimento nei beni della terra - un inserimento sobrio, retto, giusto, leale, responsabile, attento agli altri - dev'essere l'atteggiamento e valore specifico della sua povertà.

Quale sforzo di rettitudine reclama, quale ascesi comporta, quale attenzione e ascolto della voce di Dio riguardo agli uomini e alle cose; quale distacco, quale libertà interiore ed esteriore nell'usare appunto liberamente delle cose, anche di quelle di cui vorrebbe, se potesse, fare a meno, ma di cui magari non può fare a meno proprio in vista della « missione » nel mondo e per il mondo.

Vuoi mostrare come l'uso dei beni non reclama necessariamente la privazione, ma piuttosto la condivisione, la vittoria sulla ingiustizia, sulla sperequazione, sulla prepotenza altrui, sulla divisione e lotta di classe.

Ogni Istituto secolare, anche nelle norme per vivere la povertà da consacrato, ha e propone a ognuno un suo stile in base alla vocazione personale nel carisma comune dell'Istituto.

I termini « limitazione e dipendenza » che troviamo nel canone 600, presentano modalità duttili, che possono trasformarsi, per uno stesso consacrato, man mano che si modifica la sua forma di vita, le circostanze del suo ambiente e della sua professione, il lavoro, l'età, l'ambiente familiare.

Prudenza, lealtà, libertà, si rendono allora indispensabili.

E, via via, ognuno cercherà lealmente la propria « misura », valendosi anche - secondo gli Istituti - del dialogo con un responsabile o con la stessa comunità: letti da entrambe le parti i segni dei tempi e in un'incessante creatività di mezzi per vivere un'ascetica vera della povertà secolare, adeguata alle esigenze della consacrazione nel mondo.

Non è sempre facile individuare questa « misura », questo equilibrio tra le richieste di Cristo povero - insieme alle esigenze del proprio vincolo di povertà - e il rapporto con la società di oggi, società del benessere; e con le situazioni note del sottosviluppo, della miseria, della fame nel mondo.

Vivere nel mondo come tutti gli altri laici nel proprio ambiente e professione?

E insieme, come contestare contro il consumismo e contro il materialismo, quando proprio nel consumismo e materialismo della sua società si realizza la sua vita?

Che cosa è il « superfluo »? Come verificarsi?

Come trovare la via giusta d'una povertà consacrata ma secolare ed essere come gli altri e insieme diverso dagli altri?

Come dare testimonianza di povertà senza rischiare di essere controproducente?

Come tutelare la causa dei poveri senza abbandonare le non meno gravi necessità spirituali dei non-poveri?

Come insegnare che cosa significa compartecipazione e condivisione, se ci si riduce a non aver niente da condividere e compartecipare, se si rischia di diventare estranei a quelli del proprio ambiente e professione?

È una ricerca comunitaria, in seno all'Istituto; ma è anche una ricerca personale che richiede un'attenzione continua ad altri valori: lettura dei segni dei tempi - come ho detto sopra -, valutazione dei molteplici fattori individuali e ambientali, attenzione continua, serena, prudente per discernere il significato così mutevole del necessario, dell'utile, del comodo, del superfluo, in un confronto continuo, leale, aperto, pure esso sereno e oggettivo con la condizione degli altri uomini.

Imparare la prudenza che viene da Dio.

Non voler pesare ingiustamente - neanche in nome della povertà e della carità - sugli altri né per il presente né per l'avvenire; sapersi non tanto proprietario quanto umile amministratore di beni non suoi ma di cui è solo depositario e che dovrà imparare a condividere con chi è veramente nel bisogno, così da essere segno di giustizia e di amore fraterno.

E andare al di là delle sole cose materiali, ma rendersi disponibili alla compartecipazione di ogni altro bene: bene spirituale, energie, tempo, capacità.

Non è una ricerca da poco. Non si esaurisce in una ricerca iniziale.

Reclama una tensione continua, progressiva di tutta la vita.

Accade - ed è di norma - che gli altri ignorino che questo dato secolare è consacrato nel mondo.

Ma, il più delle volte, anche quando di un secolare è ignorata da tutti la consacrazione ( mistero di Dio! ), non si ignora che egli è un battezzato: ed anche il battesimo reclama da ogni laico l'attenzione ai fratelli e una povertà capace di larga condivisione.

E questa condivisione è spesso la pietra di paragone, da parte dei laici, circa la verità profonda del cristianesimo d'un battezzato - anche di un secolare consacrato -.

L'attenzione agli ultimi, l'apertura ai poveri, la libertà dai beni non sono forse valori specifici della povertà secolare consacrata, ma sono certamente un grosso valore da coltivare: un valore progressivo.

E lo sguardo dev'essere su Cristo.

Anche per la povertà non possiamo dimenticare certe situazioni particolari in cui possono vivere e vivono molti secolari consacrati dei primi Istituti secolari in Paesi particolarmente poveri.

Non potrà, molto spesso, essere possibile la condivisione di beni materiali, se non delle briciole che uno ha, ma egli potrà sempre condividere i beni dello spirito: basta che sia attento alla voce di Dio e ai bisogni dei fratelli.

Di « più poveri » se ne incontrano sempre, se si è all'ascolto!

Credo importante, poi, non dimenticare che esiste una povertà a cui tutti i secolari consacrati possono e devono mirare: prendere via via coscienza dei propri limiti, delle proprie incapacità nel dialogare con Dio e col prossimo; prendere coscienza della propria piccolezza e povertà spirituale, così da porsi ognuno a « servizio » dei fratelli come è sua « missione », con profonda umiltà e dedizione, fedele alla legge d'amore appresa dal Cristo.

Obbedienza filiale

Gesù si è incarnato per compiere, uomo tra gli uomini, il disegno di amore del Padre, cercato in ogni circostanza ed anche sua Madre ci appare inserita nel mistero di salvezza del Figlio nella fede e nell'obbedienza. ( Gv 6,38-40 )40

All'obbedienza di Gesù e di Maria deve ispirarsi l'obbedienza del secolare consacrato, inserito anche lui, come Cristo e come Maria, nella vita quotidiana della sua gente: perché non solo è uomo per la sua incarnazione in obbedienza al disegno di Dio, ma perché la sua è incarnazione d'amore verso gli altri uomini, verso tutti, verso il creato e le sue realtà.

Anche il laico consacrato non rinuncia ad avere una sua personalità che anzi deve crescere con lui fino a raggiungere una vera pienezza d'identità.

E questa identità abbraccia appunto la propria vocazione specifica di laico consacrato: spirito di iniziativa, senso di responsabilità si accompagnano in lui alla fiducia nell'uomo, allo sforzo per conciliare nelle più diverse situazioni la piena responsabilità personale, la capacità di assumere le proprie iniziative, l'intuizione delle diverse situazioni, e insieme le molteplici forme quotidiane di dipendenza, molto spesso impalpabili, mutevoli, instabili, imprecise: ma che sono dipendenza - che non deve comunque intaccare la sua personale responsabilità di fronte alle realtà -.

È vero che anche nella vita religiosa il consacrato deve continuare ad essere se stesso, senza abdicare alla propria personalità; ma il contatto quotidiano con i legittimi superiori gli consente il più delle volte di configurare la propria dipendenza in modo preciso e stabile.

Cosa che non è per il laico consacrato.

Egli deve guardare innanzitutto all'obbedienza di Cristo, nel mondo e per il mondo come lui e prima di lui, in situazioni comunque non più facili, in ambienti non più agevoli.

E sa, il consacrato secolare, che anche lui è tenuto a un'obbedienza al Padre quale via via gli è manifestata la sua volontà; a un'obbedienza da figlio, da uomo libero e consapevole, che mira all'identità tra l'obbedienza e la propria libertà: poiché è il Padre che, volendolo uomo, lo vuole libero.

Ma questa obbedienza non è mai senza sofferenza.

Culmina sempre sulla croce.

E la croce, che fa paura e orrore a ogni uomo, il consacrato nel mondo sa che è la sua porzione, presto o tardi, o anche momento per momento.

Forse c'è un termine che, sopra gli altri, va sottolineato: il termine « libertà ».

Che non significa « io posso fare tutto ciò che mi pare e piace », ma che è, come per Cristo « io faccio sempre ciò che è gradito al Padre ». ( Gv 8,29 )

Adesione d'amore al Padre. Obbedienza indotta dallo Spirito.

Attenzione al come la volontà del Padre si esprime.

E, insieme a Cristo, muovere verso il Calvario: croce e vita consacrata nel mondo sono inseparabili.

Nel mondo è facile la tentazione - che potrei chiamare « rischio » per valermi di un termine ripetutamente usato dai Pontefici nel rivolgersi agli Istituti secolari - il rischio di trasformare in indipendenza la libertà, un'equilibrata autonomia ( libero chi è capace di libera adesione al pensiero di un responsabile, in dialogo ).

Indipendenza, autonomia assoluta, autarchia: come siamo lontani dalla libertà!

Così si esprime il Bogliolo:41« Nessuna società può reggersi quando l'autonomia dei membri che la compongono si tramuta in isolamento autarchico e anarchico che è divisione, frammentarietà, disgregazione e morte del corpo sociale ».

Entrano in gioco, allora, nell'obbedienza del secolare consacrato, valori della massima importanza, quali l'umiltà, la lealtà nella ricerca del piano di Dio, la fiducia nel responsabile, la sincerità con se stesso, la fede, la prudenza nell'esaminare quanto più è possibile da vicino le circostanze, le modalità della propria obbedienza: appunto per evitare ogni frammentarietà, ogni divisione, ogni disgregazione.

Possiamo chiamare specifici, in modo assoluto, i valori di questa obbedienza del consacrato nel mondo? No.

Ogni laico, potrei dire, deve sapere trovare in se stesso le capacità di una forma di accoglienza del pensiero altrui, che non consenta da parte sua autarchia, disgregazione, divisione.

Ma, per quanto riguarda appunto i laici consacrati, è certo una forma di accoglienza degli altri, specie di chi ha autorità legittima, che va approfondita e curata.

Si aggiunga la fedeltà allo statuto o costituzioni dell'Istituto a cui uno appartiene.

E questa fedeltà, insieme alla fedeltà alla Parola e alla Chiesa, non è facile.

Spesso è adesione alle grandi, e più spesso piccole, realtà del vivere quotidiano, che richiedono un eroismo senza luccichio, senza gloria né applauso.

Più spesso il laico consacrato resta solo a « obbedire » a un cenno di Dio: è obbedienza anche questa, obbedienza a un segno, a una circostanza: solo, nello sforzo di cogliere ciò che Dio vuole per lo stesso consacrato e per gli uomini nella storia.

E l'Istituto? sostiene, l'Istituto, il suo membro? come lo raggiunge se spesso in diaspora?

L'Istituto è - o, in ogni caso, deve essere - presente; esso è la comunità ecclesiale in cui Dio ha inserito quel dato consacrato.

C'è un legame reciproco, stabile, pieno, un carisma comune in cui vivere la vocazione propria.

E l'obbedienza, allora, diventa anche ricerca comunitaria del disegno di Dio; e i responsabili diventano mediatori della Chiesa e della comunità.

Il dialogo, lo scambio di pensiero, la ricerca insieme di criteri di discernimento soprannaturale: ecco dei valori grandi e non facili.

Valori specifici, penso, o almeno valori estremamente importanti che meritano di essere coraggiosamente e fedelmente perseguiti.

« Per scoprire, interpretare ed attuare il disegno di Dio in Cristo deve costituirsi un dialogo integrativo.

Simile dialogo non è suggerito primariamente in rispetto della personalità ( di ognuno ) quanto per realizzare più pienamente la missione affidata alla comunità cristiana.

Il superiore ha bisogno della collaborazione ( … ) per interpretare i segni dei tempi ( … ), per vedere al di là del suo orizzonte ».42

Sono considerazioni che, fatte per qualunque comunità a proposito dell'obbedienza, possono applicarsi senz'altro agli Istituti secolari: valori da vivere con particolare intensità.

Appunto in tali Istituti urge la chiamata a cercare Dio e la sua volontà nella vita propria e altrui, in una continua attenzione a quanto accade nel proprio spirito, nella propria famiglia e ambiente, nel mondo.

Ascolto attento e libero. Reazione dinamica.

E questi sono indubbi valori, e valori rari.

Ma se penso ai secolari consacrati come a laici ( e laici sono! ) come non essere tentata di definire specifici questi valori?

Indice

30 V. nota 27
31 Paolo VI, nel discorso in occasione del XXV anniversario della Provida Mater Ecclesia, 2 febbraio 1972
32 Paolo VI. Ai responsabili generali degli Istituti secolari, 20 settembre 1972
33 Pio XII. Sacra virginitas, in Acta Apostolicae Sedis, 1954
34 SCRIS, Riflessioni sugli Istituti secolari, 22 aprile 1976
35 V. nota 31
36 Lumen gentium, 36
37 Paolo VI. In occasione del XXV anniversario della Provida Mater Ecclesia, 2 febbraio 1972
38 CIC, canoni 599-601
39 CIC, canone 712
40 Lumen gentium, 56
41 L. Bogliolo, in Dizionario di spiritualità dei laici. Edizioni O.R., Milano 1981, voi. il, p. 90
42 T. Goffi, in Dizionario enciclopedico di spiritualità. Ed. Studium, Roma 1975, voi. il, p. 1032