Osservazioni sulla morale Cattolica

Capitolo IX

Sul ritardo della conversione

La virtù, invece d'essere lo sforzo costante di tutta la vita non fu più che un conto da liquidarsi in punto di morte.

Non vi fu peccatore cosi accecato dalle passioni, che non proponesse di consacrare, prima di morire, qualche giorno alla cura della propria salvezza; ed in questa fiducia sciolieva il freno alle sue sregolate tendenze.

I casisti avevano oltrepassato il loro scopo, alimentando una tale fiducia; invano predicarono allora contro il ritardo della conversione, essi stessi erano gli autori di questa disordine spirituale, sconosciuto agli antichi moralisti; l'abitudine di considerar la morte soltanto, e non la vita del peccatore, era ornai presa e diventò universale.

Quest'ultima obiezione contro la dottrina cattolica della penitenza viene a dire, che essa ha proposto un mezzo di remissione tanto facile, tanto a disposizione del peccatore in ogni momento, che questo, sicuro per così dire del perdono, è stato indotto a continuar nel vizio, riservando la penitenza all'ultimo; e che, in questa maniera, non solo tutta la vita è stata resa independente dalla sanzione religiosa, ma questa stessa è divenuta un incoraggiamento al mal fare, e la morale è stata, per conseguenza, rovinata.

Un tale tristissimo effetto vien qui, per quanto mi pare, attribuito promiscuamente alla dottrina, all'opinioni del popolo, e all'insegnamento del clero: e queste sono infatti le cose da considerarsi nella questione presente.

Noi le esamineremo partitamente, per presentarle secondo quello che ci pare il loro vero aspetto.

Ma prima sarà ben fatto d'accennare le proposizioni che noi crediamo dovere essere il resultato di questo esame.

1. La dottrina - è la sola conforme alle Sacre Scritture - è la sola che possa conciliarsi con la ragione e con la morale.

2. L'opinioni venute dall'abuso della dottrina - sono pratiche e non speculative -— sono individuali e non generali - non possono esser distrutte utilmente, che dalla cognizione e dall'amore della dottrina.

3. Il clero ( preso non nella totalità fisica, ma nella unanimità morale ) - non insegna la dottrina falsa - non dissimula la vera.

1. Della Dottrina

Dobbiamo qui rammentar di novo; che, in ogni questione intorno al merito d'una dottrina morale, è necessario, prima di tutto, esaminar questa dottrina direttamente e in sé.

Una dottrina morale qualunque, è necessariamente o vera o falsa; o consentanea o opposta alla rivelazione e alla ragione.

Prescindere da una tale ricerca, e volerla giudicare puramente dagli effetti, o per parlar più esattamente, da alcuni fatti che possano aver luogo insieme con essa, sarebbe lasciar da una parte il vero e unico mezzo di giudicarla con cognizione di causa, e prenderne uno, non solo inadequato, ma essenzialmente fallace.

Perchè, oltre l'impossibilità di conoscere tutti quei fatti, e la difficoltà di stimare imparzialmente quei tanti che si possono conoscere, il riguardarli addirittura come effetti della dottrina, sarebbe un attribuire ad essa ciò che sicuramente non è tutto suo, e che può non esser suo per nulla.

Una dottrina morale può bensì essere, ed è ordinariamente, una cagione di fatti; ma non n'è mai la sola; anzi è, in quanto cagione, condizionata e subordinata a un'altra, cioè alla volontà dell'uomo.

E chi non sa, che in virtù di questa libera volontà, l'uomo può rivolgersi al male, anche dopo aver ricevuta in massima la dottrina più propria a dirigere al bene?

Una dottrina che promettesse di rendere infallibilmente buoni tutti gli uomini, col solo esser promulgata, potrebbe giustamente esser rigettata sulla semplice prova degli inconvenienti che sussistono con essa.

Ma siccome la dottrina cattolica non fa una tale promessa, questa prova non basterebbe per farne un giudizio fondato.

Bisogna esaminarla: se gli effetti cattivi hanno origine da lei, il vizio si troverà in lei stessa.

Ma se, all'opposto, non ci troviamo altro che rettitudine e sapienza, potremo dire anche qui, che a lei non si devono attribuire altri effetti che i buoni.

A lei, dico, non come a cagione immediata, ne efficiente per se, ma come a un motivo potente, e a una guida, in parte, necessaria; cioè in quella parte della moralità, che eccede la cognizione naturale, e che non ci poteva esser nota, se non per la rivelazione.

Richiamando la questione alla dottrina, non intendiamo di decimare quella del fatto; ma bensì d'adempire una condizone necessaria per trattarla con cognizione di causa e utilmente.

Il che noi cercheremo di fare con tutta quella precisione che può comportare un fatto così molteplice e così vario e composto, ma, certo, con ogni sincerità: poiché, se il nostro scopo fosse d'illudere o noi medesimi o gli altri, il solo guadagno che potremmo ricavare sarebbe quello d'essere o ciechi volontari, o impostori: due poveri guadagni.

Il punto della questione, per ciò che riguarda la dottrina, è questo: Può l'uomo, fin che vive, di peccatore diventar giusto, detestando i suoi peccati, chiedendone perdono a Dio, risolvendo di non più commetterne, di ripararne il danno, per quanto potrà, e di farne penitenza, e confidando per la remissione di essi nella misericordia di Dio, e nei meriti di Gesù Cristo?

Quando il peccatore sia così giustificato, è egli in istato di salvezza?

La Chiesa dice di sì: consultiamo la Scrittura, consultiamo la ragione, cerchiamo i princìpi e le conseguenze legittime di questa dottrina, e della dottrina contraria.

Lasciando per brevità da una parte la connessione essenziale di questa dottrina con tutta la Scrittura, e i passi nei quali è sottintesa, ne riportiamo uno solo, ma formale.

« La giustizia del giusto non lo libererà in qualunque giorno pecchi; e l'empietà dell'empio non gli nocerà più in qualunque giorno si converta …

Se avrò detto all'empio: tu morrai; ed egli farà penitenza del suo peccato, e farà opere rette e giuste; se restituirà il pegno, e renderà quello che ha rapito, e camminerà nei comandamenti di vita, e nulla farà d'ingiusto; vivrà e non morrà.

Tutti i peccati che ha commessi, non gli saranno imputati: ha fatto opere rette e giuste, vivrà ( Ez 33,12-16 ) »

Tutti i princìpi e tutte le conseguenze di questa dottrina ricadono dunque sulla Scrittura; ad essa bisogna chiederne conto, o, per dir meglio, ad essa dobbiamo la cognizione certa e distinta d'una verità così salutare e, del resto, così legata con l'altre ugualmente rivelate, per le quali la nostra mente è stata sollevata al concetto soprannaturale, che è quanto dire, al concetto intero della moralità.

Infatti ( siamo costretti dall'argomento a toccar di nuovo alcune cose già dette nel capitolo antecedente ) infatti, se la giustizia consiste nella conformità dell'inteletto e della volontà e, per una conseguenza necessaria, dell'azione con la legge di Dio, il peccatore che, per la misericordia e con la grazia di Lui, diventa conforme a quella, fino a condannar se medesimo, diventi giusto.

Se la giustizia è uno stato reale dell'anima umana; se la conversione, se il perdono ottenuto per i meriti del Mediatore non sono parole vane; l'uomo che, in qualunque giorno, è entrato in questo stato, è attualmente amico di Dio, e quindi chiamato alla sorte che Dio ha preparata ai suoi amici.

Se il tempo della prova è in questa vita; se il premio e la pena dipendono da questo tempo ( e tutti i precetti della morale cristiana hanno la loro sanzione in questo domma; e quanti filosofi, anche nemicissimi della religione, non l'hanno riguardato come un suo gran benefizio, come un supplimento ai mezzi umani per accrescer il bene morale, e diminuire il male! ); se il tempo della prova è in questa vita, l'uomo che, al finir della prova, è in stato di giustizia, è necessariamente in stato di salvezza.

E quali sono le conseguenze legittime di questi princìpi, riguardo alla condotta di tutta la vita?

È evidente che, per fare con cognizione di causa una tale ricerca, bisogna osservare il complesso della dottrina di cui essi non sono che una parte.

A chi, nel pericolo prossimo d'un'inondazione, domandasse, se trascurando di mettersi in salvo in quel momento, sarebbe certo di perire, cosa si dovrebbe rispondere?

No: non è assolutamente certo che perirete trattenendovi in un tale pericolo.

Una cagione impreveduta può svoltare il corso dell'acqua; l'acqua stessa può mandarvi vicina una tavola che vi porti a salvamento.

Ma voi ponete male la questione, considerando unicamente, in una deliberazione di tanta importanza, una possibilità debole e lontana, e lasciando da una parte la difficoltà; che ogni momento di ritardo rende più grave.

Lo stesso è nell'affare della salvezza dell'anima.

È sempre possibile il convertirsi, dice la Chiesa, e non può dire altrimenti; ma è difficile, ma questa difficoltà cresce a misura che il tempo passa, che i peccati s'accumulano, che l'abitudini viziose si rinforzano, che s'è stancata la pazienza di Dio, restando sordi alle sue chiamate; quindi la difficoltà è massima appunto al momento d'abbandonare la vita.

E la Chiesa, non solo non lusinga i peccatori che potranno superare queste difficoltà, ma non cessa di rammentar loro, che non sanno nemmeno se potranno affrontarla; giacché il momento e il modo della morte sono ugualmente incerti.

Dunque bisogna vivere in ogni momento in maniera di poter con fiducia presentarsi a Dio; dunque la conversione è necessaria in ogni momento ai peccatori, la perseveranza in ogni momento ai giusti: tali e simili sono le conseguenze che un uomo ragionevole ( e la religione, come tutte le dottrine vere, intende parlare alla ragione ) possa dedurre da quella dottrina.

Conseguenze, delle quali nulla si può pensare di più morale, e di più applicabile a ogni azione, a ogni pensiero; e che tutte si riducono a quell'avvertimento lasciatoci dal Maestro medesimo: State preparati, perche, nell'ora che meno pensate, verrà il Figliolo dell'uomo ( Lc 12,40 ).

Quindi quella dottrina, lungi dal portar gli uomini a non considerare che la morte, è sommamente propria a dirigere tutta la vita.

« Ma cos'importa, si dirà, che le conseguenze immorali siano legittime o no, quando sono state dedotte, quando gli uomini hanno regolata la loro vita su queste conseguenze?

Voi dite che i cattolici viziosi hanno ragionato stortamente: sia pure; ma questa dottrina è sempre stata per loro un'occasione di ragionar così; e hanno vissuto nel male, con la fiducia e per la fiducia di morir bene ».

Suppongo il fatto, e domando: come rimediarci?

O bisogna provare che gioverebbe alla morale il lasciar gli uomini senza una dottrina sul ritorno a Dio, sui suoi giudizi, sulle pene e sui premi della vita futura; o trovarne una diversa dalla rivelata, e che non abbia né questi inconvenienti, ne dei peggiori.

Venga un uomo che s'arroghi di farlo, non avrà la Chiesa la ragione di fermarlo e di dirgli: Perchè gli uomini hanno cavate delle conseguenze viziose da una dottrina santa e vera, voi volete darne loro una arbitraria?

Come! le loro inclinazioni non si sono raddrizzate con la regola infallibile; a quale pervertimento non arriveranno con una regola falsa?

Ma supponiamo che quest'uomo non dia retta alla Chiesa, e che, passando sopra una tale difficoltà, argomenti in questa maniera.

« È stato insegnato ai cattolici, che il peccatore può, fin che vive, convertirsi ed esser giustificato.

È vero che s'è anche sempre detto loro, che il rimetter la conversione alla morte è una doppia temerità, un'enorme insensatezza.

Ma malgrado ciò, non ci fu peccatore cosi accecato dalle passioni, che non proponesse di consacrare, prima di morire, qualche giorno alla cura a della sua salvezza; e con questa fiducia scioglieva il freno alle sue inclinazioni sregolate.

Ci vuol dunque un rimedio e non un palliativo; bisogna estirpare la radice del male, cioè una dottrina necessariamente male interpretata, una dottrina che, data la natura dell'uomo, opera certamente un effetto così malefico.

In queste cose non si può stare senza una dottrina qualunque; una dottrina media non ci sarebbe su che fondarla.

Dunque è necessario stabilire e promulgare la dottrina opposta, cioè: non è vero che l'uomo possa convertirsi a Dio; giacché, se s'ammette la possibilità, essa si applica da sé e necessariamente tutti i momenti della vita, e, per conseguenza, anche agli ultimi ».

È stato ugualmente insegnato ai cattolici, che l'uomo è giudicato nello stato in cui si trova all'uscire di questa vita.

È vero che s'è anche detto che la morte è ordinariamente la conseguenza della vita; che una bona morte è un tal dono, che la vita tutta intera deve essere impiegata a implorarla e a meritarla; che non solo non è promessa agli empi, ma sono minacciati di morire in peccato; che il mezzo d'avere una giusta speranza di ben morire, è di ben vivere, e altri simili correttivi: ma con tutto ciò, s'è presa l'abitudine di considerar solamente la morte del pfeccatore, e non la vita; e quest'abitudine divenne universale.

S'insegni dunque che l'uomo non sarà giudicato nello stato in cui si troverà all'uscire di questa vita ».

Ci si insegni questa dottrina, e si dica quali ne saranno le conseguenze applicabili alla condotta morale.

L'uomo non può convertirsi a Dio; dunque al peccatore non rimane che la disperazione: stato incompatibile con ogni sentimento pio, umano, dignitoso; stato orribile, in cui l'uomo, se potesse durarci e esser tranquillo, non potrebbe farsi altra regola, che di procurarsi il più di piaceri finche può, a qualunque costo.

L'uomo non può convertirsi a Dio; dunque non più pentimento, non più mutazione di vita, non più preghiera, né speranza, né redenzione, né Vangelo; dunque il dire a un peccatore di diventar virtuoso per motivi soprannaturali, sarebbe fargli una proposta assurda.

L'uomo non è giudicato nello stato in cui si trova all'uscire di questa vita; dunque non c'è stato di giustizia né d'ingiustizia; poiché, cosa sarebbe una giustizia che non rimettesse l'uomo nell'amicizia di Dio?

e cosa sarebbe un'amicizia di Dio che lasciasse l'uomo nella pena eterna?

Dunque non sarà vero che ci siano premi e pene per l'azioni di questa vita, non essendoci in questa vita uno stato in cui l'uomo possa esser degno né degli uni né dell'altre; dunque non ci sarà una ragione certa e preponderante d'operar bene in tutti i momenti della vita.

Ma, tra l'opinioni, tante purtroppo, e diverse e strane, che il senso privato ha potuto produrre, e ha tentato di sostituire alla dottrina della Chiesa, non credo che una simile sia mai stata messa in campo.

Non se n'è qui fatto cenno, se non per mostrare che a quella dottrina non se ne può opporre che o una assurda, o nessuna.

2. Dell'opinioni abusive.

Se dunque il viver male per la presunzione di morir bene, non può, in nessuna maniera, esser riguardato come un effetto della dottrina cattolica, quale ne sarà la vera cagione?

Quella da cui provengono e tutte le dottrine false, e tutti gli abusi delle vere: le passioni.

L'uomo che vuol vivere a seconda di queste, e insieme non osa negare a sé stesso l'autorità della dottrina che condanna, si sforza di conciliare in apparenza queste due disposizioni inconciliabili, per darla vinta a quella che vuol far prevalere in effetto.

E questa infelicissima frode se la fa col mezzo della sofistica ordinaria delle passioni; cioè spezzando, per dir così, la dottrina, prendendone quel tanto che gli conviene, e non curandosi del rimanente: che è quanto dire, riconoscendola e negandola nello stesso tempo.

La religione gli dice che Dio fa misericordia al peccatore, in qualunque giorno questo ritorni a Lui; egli aggiunge di suo, e contro l'avvertimento espresso della religione, che questo giorno sarà sempre in poter suo.

Quest'illusione, abbiamo detto, costituisce un errore pratico e non speculativo; e, tra questi due caratteri, corre una gran differenza.

Intendo per errori pratici quelli che l'uomo crea a se stesso per la circostanza, per giustificare in qualche modo alla sua ragione il male a cui è già determinato; e per errori speculativi, quelli a cui uno aderisce abitualmente, anche quando non ci sia spinto da un interesse estraneo e accidentale.

Questi, quando riguardino la morale, alterano la coscienza nell'intimo, scambiando il male in bene, e il bene in male; e sono, per sé, cagioni iniziali e permanenti d'azioni viziose, e spesso anche d'azioni perverse, le quali, senza la loro funesta autorità, non sarebbero state pensate, non che seguite.

Invece, l'errore di cui si tratta non trova adito che nelle menti già sedotte da altre passioni, non dura che nella perturbazione cagionata da esse, non è un principio di ragionamenti qualunque, ma piuttosto una formula per troncare ogni ragionamento.

Difatti, se l'uomo si ferma a ragionare sulla conversione, è condotto dalla logica alla necessità di convertirsi immediatamente.

Per non arrivare a una conclusione odiosa al senso, dice a se stesso: mi convertirò in un altro tempo: non segue la serie di queste idee, e cerca una distrazione.

Di qui nasce un'altra differenza importante.

Gli errori di questo genere sono individuali, e non generali: voglio dire che non si trasmettono per via di discussione, non diventano precetti e parte di scienza comune.

All'uomo affezionato al disordine basta d'avere un argomento qualunque, per dir così, a suo uso, non si cura di farne parte agli altri; e sopratutto non vuole entrare in ragionamenti, e perchè non è inclinato a queste considerazioni, e perchè sente che il suo argomento non potrebbe reggere alla prima obiezione. Quindi questo errore non si propaga per proselitismo: ci sono degli erranti in questa materia, ma non dei falsi maestri, né dei discepoli illusi.

Finalmente non può esser distrutto utilmente che dalla cognizione e dall'amore della dottrina.

Per distruggere utilmente gli abusi, bisogna metter le cose in migliore stato di quello che fossero con essi.

Spero d'aver dimostrato che sostituire alla dottrina cattolica della conversione qualunque altra, sarebbe creare una sorgente d'errori peggiori e certi e universali.

Il solo mezzo, per conseguenza, di diminuire quelli che ci possono essere, è di diffondere, di studiare e d'amare quella religione che comanda la virtìi e l'insegna, e che indica e apre tutte le strade che conducono ad essa.

Ricorrendo un momento col pensiero al complesso delle massime di questa religione, si vede in che profondo d'ignoranza, d'obblìo o d'accecamento deva esser caduto un uomo, per viver male, con la presunzione di pentirsi quando gli piaccia.

Non basta far violenza alla Scrittura e alla Tradizione, per tirarle a favorire una tal presunzione.

Bisogna assolutamente prescindere dall'una e dall'altra, dimenticarle: l'una e l'altra la combattono sempre, la maledicono sempre.

Appena un uomo s'avvicina ad esse, con l'intelletto e col core, sente immediatamente che non c'è fiducia se non nell'impiegare secondo la legge di Dio ognuno di quei momenti, dei quali tutti si darà conto a Dio; che non ce n'è in tutta la vita uno solo per il peccato; che è sempre di somma necessità il camminar cautamente, non da stolti, ma da prudenti ricomperando il tempo ( Ef 5,15-16 ); che l'unica condotta ragionevole e di studiarsi di render certa la propria vocazione ed elezione con l'Vopere bone ( 2 Pt 1,10 ).

3. Dell'insegnamento.

Il clero non insegna la dottrina falsa - non dissimula la vera.

Ognuno vede che i documenti sono troppo voluminosi per essere portati in giudizio; ma si possono francamente chiamare in testimonio tutte le istruzioni del clero, tutte le prediche, tutti i libri ascetici, meno alcune rarissime eccezioni che accenneremo più tardi.

Trascriviamo qui alcuni passi di tre uomini celebri, per saggio dell'insegnamento in questa materia.

Ma saremo noi molto contenti di una penitenza incominciata all'agonia, che non sarà mai stata preparata, di cui non si sarà mai veduto alcun frutto; d'una penitenza imperfetta, d'una penitenza nulla, dubbia, se pur volete; senza forze, senza riflessioni, senza comodità di ripararne i difetti?

Questi peccatori inveterati muoiono come sono vissuti.

Sono vissuti nel peccato e muoiono nel peccato.

Son vissuti nell'odio di Dio, e muoiono nell'odio di Dio.

Son vissuti da pagani, e muoiono da riprovati: ecco quello che c'insegna l'esperienza.

Il pretendere che abiti contratti per tutta la vita si distruggano all'avvicinarsi della morte, e che in un momento possa allora formarsi un altro spirito, un altro cuore, un'altra volontà, egli è, o cristiani, il più grossolano di tutti gli errori.

Di tutti i tempi quello, in cui la penitenza vera e più difficile, e il tempo della morte il tempo di cercarlo questo Dio di misericordia e la vita; il tempo di trovarlo è la morte.

Voi siete vissuti impudichi, e tali morrete; siete vissuti ambiziosi, e morrete senza che muoia in cuor vostro l'amor del mondo e dei suoi vani onori; voi siete vissuti nelle mollezze senza vizi e senza virtù, e vilmente e senza compunzione morrete.

Io so bene che tutto il tempo della presente vita è tempo di salute e di propiziazione; che sempre noi possiamo far ritorno a Dio; che in qualsiasi ora che il peccatore si converta al Signore, il Signore si converte a lui; e che niuna piaga è incurabile sino a tanto che il serpente di bronzo sta levato in alto.

Questa è verità di fede; ma so bene ancora che ogni grazia speciale, di cui voi abusate, può esser l'ultima della vostra vita.

Imperocché voi vi ripromettete non solo la grazia della conversione, quella cioè che muta il cuore, ma altresì quella che ci fa morire nella santità e nella giustizia; la grazia che compie la santificazione di un'anima, la grazia della perseveranza finale; ma questa è la grazia dei soli eletti, è il più grande di tutti i doni, è il colmo di tutte le grazie, è l'ultimo tratto della benevolenza divina, è il frutto d'un'intiera vita d'innocenza e di pietà, è la corona serbata a coloro che avranno legittimamente combattuto

E presumete voi che il più segnalato di tutti i benefizi sia per esser la mercede della più ingrata di tutte le vite?

Che potete voi desiderare di meglio in punto di morte, che d'avere il tempo, e di essere instato di cercar Gesù Cristo, e di cercarlo difatti, e d'offrirgli le lagrime del dolore e della penitenza?

Questo è tutto ciò che voi possiate mai ripromettervi di più favorevole in quell'ultimo momento.

Eppure ( oh terribile verità che mi fa tremare! ) eppure che cosa vi permette Gesù Cristo di sperare dalle vostre stesse ricerche e dalle vostre lacrime, se voi le differite sino a quel punto?

« Voi mi cercherete, e voi morrete nel vostro peccato ».

Quaeretis me et in peccato vestro moriemini

Tutto quello ch'io so, è che i sacramenti di salute amministrati allora al peccatore compiono forse la sua riprovazione tutto quello ch'io so, e che tutti i Padri che hanno parlato della penitenza dei moribondi, ne parlarono con accenti che fanno tremare.

Massime predicate così affermativamente, così risolutamente, da tali uomini, costituiscono certamente l'insegnamento esclusivo della Chiesa in questa materia.

Non si opponga che questi sono scrittori francesi, che qui si tratta degli effetti della religione cattolica in Italia.

È affatto a proposito il citare scrittori francesi, perchè si veda che questo disordine di spirito, come benissimo lo chiama l'illustre autore, ha bisogno d'esser combattuto anche fuori d'Italia.

Ma se si vuole un Italiano, sentiamo, tra mille, il Segneri: « Che dunque mi state a dire, non aver voi punto fretta di convertirvi, giacche voi sapete benissimo, che a salvarsi non è necessario di fare una vita santa, ma solo una morte buona?

Oh vostra mente ingannata! oh ciechi consigli! oh pazze risoluzioni!

E come mai voi vi potete promettere una tal morte, se quegli stesso a cui spetta di riarvela, ve la nega, e a note chiare, e con parole apertissime si protesta che voi morrete in peccato?

In peccato vestro moriemini ».

Si dirà forse che l'illustre autore non ignora, e non nega che si predichi così; afferma bensì che questo è un prendersela con gli effetti, dopo aver creato la causa.

Invano, dice, predicarono allora contro il ritardo della conversione: essi stessi erano gli autori di questo disordine di spirito sconosciuto agli antichi moralisti.

Allora? Ma a che tempo ci porteremo, per trovar l'origine di questa predicazione?

Ma, se tra gli antichi moralisti contiamo i Padri, questo disordine non era certamente sconosciuto a quelli di loro, che nei primi secoli della Chiesa, declamarono tanto contro i clinici.

Ma in un libro molto più antico dei casisti, dei clinici e dei Padri, sta scritto: « Non tardare a convertirti al Signore, e non differire da un giorno all'altro ».

Infatti, al momento che è stata data agli uomini l'idea della conversione, essi hanno potuto aggiungerci quella della dilazione.

Invano predicarono contro il ritardo della conversione.

Invano? perchè? Non predicarono forse cose conformi alla ragione?

Hanno o non hanno provato che il tardare a convertirsi è un delirio?

Si può fare a loro discorsi un'obiezione sensata?

Sarà sempre invano che si dirà agli uomini la verità più importante per loro?

Ma si può credere che non sia sempre stato invano.

Certo, la semenza della parola può cadere nella strada e sulle pietre e tra le spine, ma trova anche qualche volta la bona terra; e credere che delle verità tanto incontrastabili e tanto gravi siano state sempre predicate invano, sarebbe un disperare della grazia di Dio, e della ragione dell'uomo.

Erano essi medesimi gli autori di questo disordine di spirito: Ah! se i cristiani che vivono in quello facessero loro un tal rimprovero, non avrebbero essi ragione di rispondere: « Noi? È dunque col predicarvi la conversione, che v'abbiamo portati a vivere nel peccato, e a differirla?

È dunque col parlarvi delle ricchezze della misericordia, che v'abbiamo animati a disprezzarle?

Noi v'abbiamo detto: Venite, adoriamo, prosterniamoci e preghiamo; v'abbiamo detto: Oggi che udite la sua voce, non vogliate indurire i vostri cori ( Sal 95,6-8 ); e voi pensate un domani che noi non v'abbiamo mai promesso, un domani del quale cerchiamo di farvi diffidare; e siamo noi gli autori del vostro indurimento?

Certo, noi siamo mondi del vostro sangue » ( At 20,26 ).

Così potrebbero rispondere, se ci fosse un linguaggio per giustificare la predicazione del Vangelo in faccia al mondo.

O potrebbero anche opporre a quest'accusa l'accuse che si fanno loro, di spaventare gli uomini con l'idee truci e lugubri di morte e di giudizio, per eccitarli alla conversione.

Ma, se la Chiesa ha così poca fiducia nelle conversioni in punto di morte, perchè si fa vedere così sollecita nell'assistere il peccatore moribondo?

Appunto perchè la sua fiducia è poca, essa riunisce tutti i suo sforzi; appunto perchè l'impresa è difficile, impiega tutta la carità del suo core e delle sue parole.

Un filo di speranza di salvare un suo figlio basta alla Chiesa per non abbandonarlo; ma con questo insegna forse ai suoi figli, a ridursi a un filo di speranza?

Quegli uomini benemeriti che amministrano i soccorsi a chi è cavato da un fiume, con poca o nessuna apparenza di vita, possono forse esser tacciati d'incoraggiar gli uomini a affogarsi.

Si osservi a questo proposito, che la Chiesa pare quasi che abbia due linguaggi su questa materia; poiché cerca d'ispirar terrore ai peccatori che, nel vigore della salute, si promettono confusamente nell'avvenire il tempo di peccare e di convertirsi; e cerca d'ispirar fiducia ai peccatori moribondi.

Nel che non c'è contradizione, ma prudenza e verità.

I peccatori, tanto nell'uno che nell'altro stato, sono disposti a guardar fissamente una parte sola della questione: la Chiesa fa loro presente la parte che dimenticano.

I primi sono pieni dell'idea della possibilità; ed è utile rappresentar loro la difficoltà; gli altri sono portati a veder questa sola così vivamente, che, per loro, uno dei maggiori ostacoli al convertirsi è appunto il diffidare della misericordia di Dio.

Abbiamo parlato dell'insegnamento generale; e forse non si troverà un solo esempio di chi abbia nella Chiesa insegnato direttamente il contrario; ma la verità vuole che s'accenni il come l'errore è stato qualche volta indirettamente favorito.

Tra i molti inconvenienti dello spirito oratorio ( come è inteso dai più ), inconvenienti, per i quali è spesso in opposizione con la logica e con la morale, uno dei più comuni è quello d'esagerare o il bene o il male d'una cosa, dimenticando il legame che essa ha con dell'altre: si viene così a indebolire un complesso di verità, e a sostituire un errore a quella medesima che si vuole ingrandire.

Un tale spirito, che piace a molti i quali vedono potenza d'ingegno dove non c'è altro che debolezza e impotenza d'abbracciare tutte le relazioni inportanti d'un oggetto, un tale spirito ha traviato alcuni, i quali, per magnificare qualche pratica religiosa, sono arrivati ad attribuirle la facoltà d'assicurare ai peccatori la conversione in punto di morte.

Assunto falso e pernicioso, gioco d'eloquenza male a proposito chiamata popolare, perchè popolari s'hanno a dire quelle cose che tendono a illuminare e a perfezionare il popolo, non a fomentare le sue passioni e i suoi pregiudizi.

È bensì vero che coloro i quali s'abbandonarono qualche volta a questa miserabile intemperanza d'ingegno, non mancarono per lo più di immischiarci dei correttivi; ma questo metodo attesta il male senza levarne le conseguenze; giacché l'egro fanciullo, al quale credono così a torto di presentare una medicina, è troppo inclinato a lambire il miele che copre gli orli del vaso, e a lasciar l'assenzio salutare.

Ma s'osservi che questi pochi, oltre all'essere stati sempre contradetti, o direttamente o implicitamente, dagli altri, venivano a essere in contraddizione anche con sé stessi, essendo tutto il loro insegnamento incompatibile con questa loro particolare dottrina; giacché, se avessero seriamente tenuta questa, e l'avessero applicata a tutti i casi, non avrebbero potuto più predicare il Vangelo: esso diventava inutile.

Si può sperare che, ai nostri giorni, questo disordine sia quasi del tutto cessato.

Per mostrare l'effetto dell'abitudine di non considerare che la morte del peccatore, adduce l'autore una prova di fatto, che riferiamo con le sue parole.

La funesta influenza di questa dottrina si fa sentire in Italia in modo straordinario ogni volta che un gran reo è condannato alla pena capitale.

La solennità del giudizio e la certezza della pena destano sempre nei più induriti il terrore e poi il pentimento.

Non v'è incendiario, assassino, avvelenatore, che salga al patibolo senza aver fatto, con una profonda compunzione, una buona confessione, una buona comunione, poi una buona morte.

Il suo confessore manifesta la ferma fiducia che l'anima del penitente abbia già presa la via verso il cielo, e la plebaglia, ai piedi del patibolo, si disputa le reliquie del nuovo santo, del nuovo martire, i cui delitti l'Vavean forse da anni e anni agghiacciata di terrore.

Di quest'uso stranissimo io non avevo mai sentito parlare prima di legger questo passo; ma, essendo lontano dal dare la mia ignoranza per risposta a un asserto, me ne rimetto a quelli che conoscono meglio di me le circostanze di questa Italia.

Il fatto è dei più facili a chiarirsi.

Osservo però in massima, che, in qualunque parte possa esistere questa superstizione, non ci fu mai la più contraria all'insegnamento della Chiesa.

Essa accoglie, è vero, il reo cacciato violentemente dalla società e dalla vita; il suo ministro si mette tra il giudice e il carnefice; sì, tra il giudice e il carnefice, perche ogni posto dove si possa santificare un'anima e consolarla, dove ci sia una repugnanza da vincere, una serie di sentimenti penosi che non finisca con una ricompensa temporale, è per un ministro della Chiesa il posto d'onore.

Chi può dire quale sia l'angoscia d'un uomo che ha davanti agli occhi il patibolo, e nella coscienza la memoria del delitto di colui che aspetta la morte, non per una nobile causa, ma per dei tristi fatti?

E la Chiesa trascurerebbe di render utile un tanto dolore all'infelice che è costretto a gustarlo!

E ci sarebbe un caso in cui non avesse misericordia da promettere in cui anch'essa abbandonasse un uomo!

Essa gli apre le braccia; non dimentica che il Sangue di Gesù Cristo è stato sparso anche per lui; e fa di tutto perchè non sia stato per lui sparso invano.

Ma la certezza, non la dà né a lui, ne agli altri; e chi la prende, va direttamente contro il suo insegnamento.

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