Osservazioni sulla morale Cattolica

VI. Degli odi nazionali

I tratti con i quali è dipinto il carattere morale degli Italiani moderni nel Cap. CXXVI della Storia delle Rep. It., sono tali che è difficile ad un Italiano l'esaminarli spassionatamente, e considerare con tranquillità se quello sarebbe mai il vero ritratto della nazione di cui egli è parte.

Imponendo però silenzio, a quello che mi sembra, ad ogni parzialità nazionale, mi è sembrato che questa pittura fosse ingiusta.

Ma io non ho creduto di ribattere le accuse fatte a questa infelice Italia che nella parte dove la causa di essa era necessariamente collegata con quella della Religione.

Questo argomento è già stato mille volte discusso, e quando una questione va troppo in lungo, quando da una parte e dall'altra si ripetono sempre le stesse ragioni senza riguardo alle ragioni opposte, si può esser certi che le passioni se ne sono impadronite, e allora i ragionamenti servono ben poco.

Ma, la persuasione appunto che le passioni abbiano la maggior parte in questi giudizi che si profferiscono sulle nazioni, mi ha condotto a fare alcune riflessioni generali sopra di essi, e a considerarli dal lato della morale religiosa. Benché però queste riflessioni siano fatte all'occasione dell'opera suaccennata, esse sono affatto generali, non vi è ad essa alcuna allusione indiretta; se mi occorrerà di citarla in qualche particolare, io lo farò espressamente con quella stessa lealtà, e con quei riguardi, che spero ogni lettore avrà riconosciuti nelle osservazioni precedenti. Accade a molte massime di essere derise come triviali e troppo note quando si annunziano in astratto, e di essere poi tacciate di stravaganti e di raffinate quando si vogliono applicare ad un caso . particolare. Una tal sorte è da temersi per queste; ma forse qualche ingegno imparziale le degnerà di alcuna attenzione per l'intenzione retta e pacifica, e per lo spirito cosmopolita cioè cristiano, con cui mi sembra che siano dettate.

Togliete da una serie qualunque di idee morali la sanzione religiosa, l'ordine ne è distrutto immediatamente, tutto diviene confusione e incertezza.

Le verità morali della più alta importanza diventano un oggetto di discussione, i sentimenti dei quali il cuore non vorrebbe mai dubitare, che si tengono come il nobile patrimonio dell'uomo, quei sentimenti che ogni uomo pretende che gli altri suppongano in lui, a segno che il mettere in forse se uno li professi, è una ingiuria, diventano una ipotesi: gli uomini li riconoscono allora a vicenda come una finzione convenuta, come una parte di educazione, come una tradizione ricevuta, ma spingete il ragionamento, cercate il fondamento, e non lo trverete.

L'assenza dei principi religiosi, dannosa in tutto, lo è grandemente nei rapporti reciproci fra le nazioni.

La fratellanza universale degli uomini è una bella rivelazione del Cristianesimo.

Sono diciotto secoli che nel bollore degli orgogli e delle avversioni nazionali S. Paolo ( Col 3,11 ) invitava tutti a rivestirsi dell'uomo nuovo, dove non è Gentile ne Giudeo, circonciso e incirconciso, Barbaro e Scita, servo e libero, ma tutto ed in tutti Cristo.

La comune miseria e la comune speranza, un solo Salvatore per tutti, ed una patria immortale per tutti, sono idee che dovrebbero opprimere le rivalità e gli odi, che, risguardando ai loro effetti ed alle loro cagioni, e alla durata della vita che occupano, sarebbero ridicoli, se ogni traviamento di uno spirito creato ad immagine di Dio non fosse sempre un oggetto tristo e serio, se tutto quello che separa l'uomo dall'uomo, non fosse sempre una grave sventura.

L'uomo riferisce tutto a sé stesso, e se ama qualche cosa, l'ama in relazione a quell'amore ch'egli ha per sé, e che vorrebbe che tutti avessero per lui.

Queste sono verità molto volgari, ma che bisogna ripetere sovente, perché questo stesso amore primitivo che regola le nostre azioni, ci porta a dimostrare che esso è il mobile di esse, e noi vorremmo potere assegnare tutt'altra ragione di quelle.

Ma l'uomo sente nello stesso tempo la sua debolezza, e, disperando della stima e della potenza esclusiva, entra in società coi suoi simili; allora l'amor proprio di molti si bilancia e si contempera.

Ma in questa società non si sacrifica, purtroppo, che il meno possibile di questo amore esclusivo di stima e di potenza, e quindi viene che gli uomini lo trasportano ad un corpo, ad una società particolare, non lo estendendo ordinariamente che a quelli con cui si hanno comuni l'interesse, e l'orgoglio.

Un altro segno di miseria e di debolezza che l'uomo ravvisa in sé, é quello che gli sembra che l'eccellenza propria cresca col confronto, dimodoché quanto più gli altri si abbassano, tanto più egli si eleva ai suoi occhi e agli altrui.

L'uomo, dunque, trasportando alla società di cui fa parte questa sua disposizione, consente a riconoscere, anche senza esame, dei pregi in questa società, purché lo splendore di essa riverberi sopra di lui; giacché quando uno parla con orgoglio della sua nazione, che vuol dire quel noi ch'egli fa suonare tant'alto, che significa se non ci s'intende l'io?

E questa disposizione é tanto universalmente riconosciuta che la parzialità per la sua nazione è una ingiustizia che non fa stupore: si sta in guardia contro i ragionamenti di uno che difende o esalta la sua patria, ma appena gli si appone a biasimo il farlo a spese della verità, si chiama un bel difetto.

Ma quell'altro sentimento che, facendoci diffidare del nostro merito assoluto, ci porta a deprimere l'altrui, noi lo trasportiamo pure in queste affezioni patrie, e siamo pronti a credere, a divolgare e a sostenere ciò che torni in biasimo delle altre nazioni.

E in questo è pur facile il trovare nell'amor patrio, l'amor proprio se si osservi, che quando poi uno si paragona coi suoi concittadini, non ravvisa in essi quelle perfezioni che suole vantare come ereditarie nella sua patria, e che questa solidarietà di stima è sempre più ferma quando vi sia il confronto con altre nazioni.

Questa è l'origine della maggior parte dei giudizi sfavorevoli che si fanno delle altre nazioni, e della facilità con cui soao ricevuti.

Mi sia qui permesso di fare alcune riflessioni su questi giudizi che si profferiscono sulle nazioni da individui di altre nazioni, le quali riflessioni se non sono scritte e recondite meritano forse che vi si faccia qualche attenzione per la intenzione retta, pacifica e fraterna, e per lo spirito cosmopolita, cioè cristiano, con cui sono dettate.

Accade a molte massime di essere, quando sono annunziate generalmente, derise come triviali e precetti di senso comune, e di essere poi tacciate di stravaganti e raffinate quando si vogliono applicare ad un caso particolare: temo che queste saranno di questo genere.

Non v'è nazione in Europa della quale non sia fatto un carattere morale il quale è ritenuto per il vero carattere di quelle nazioni presso tutte le altre.

Io non so se sempre sia stato a questo modo, ma so che questi caratteri sono ai nostri tempi in complesso odiosi e bruttissimi: forse in altri tempi nel sentimento reciproco delle nazioni v'era qualche cosa di più benevolo e di più cortese, forse era in uso di considerare e celebrare alcune buone qualità delle altre nazioni, e se questo è vero vi saranno le ragioni per cui lo spirito dei nostri tempi sia più ostile, ragioni che io non voglio qui indagare.

Se un affricano facesse un giro in Europa raccogliendo attentamente dai discorsi le opinioni che le nazioni di essa hanno l'una dell'altra, gli risulterebbe alla fine del suo viaggio che la società Europea è composta di infingardi, di superbi, di superstiziosi, di ignoranti, di leggeri, di buffoni, di uomini nati al servire, incapaci di pensare seriamente, di balordi, di malafede, di miseri, di vendicativi, di traditori, di dissimulati, di arlecchini, di uomini che sacrificano tutto all'avidità del guadagno, di stravaganti, di brutali, di diavoli, di cani, di tigri, di zucche e che so io?

Molti scrittori poi ( e qui protesto che io non intendo di alludere a quello che ho l'onore di confutare ) molti scrittori invece di opporsi a questa disposizione ostile, volgare, e irreflessiva, non fanno che secondarla, prendendo per fondamento questi caratteri e facendovi aggiunte a modo loro, rarissimi essendo quegli che esaminino se quella tradizione sia fondata o no.

E per vedere come siano in questi giudizi per lo più condotti dalla passione, e non dall'amore della verità, e delle riforme, basta osservare che è rarissimo in scritti e nei discorsi sopraddetti, che questi scrittori, e quelli che parlano di ciò trovino di che censurare nella loro nazione propria.

Essi credono di farsi giudici, e non s'avveggono di esser parte, perchè nel biasimo delle altre nazioni essi veggono il confronto colla propria che stimano la migliore, come siamo usi stimare il meglio quello di cui facciamo parte.

Basta osservare fin dove estendono i loro rimproveri, basti osservare come a render responsabile un individuo si rimproveri della storia, della lingua, che dico?

del clima della sua patria; quali questioni interminabili ed oziose si facciano sopra argomenti nei quali è impossibile giungere ad un risultato utile, come l'anteriorità aella civilizzazione, il numero dei grandi scrittori, ecc.

Si osservi anche il modo con cui procedono questi scrittori e si vedrà sempre più se siano condotti a censurare da pregiudizi nazionali e da passioni, o dall'amore delle riforme.

L'uomo che è mosso dal desiderio del perfezionamento, e che desidera il bene, esamina sempre accuratamente le cose per vedere se ve ne trova, e trovato lo mette in evidenza con un sentimento di soddisfazione; quando poi deve rintracciare i mali e gli abusi, lo fa con accuratezza, e con dolore, e con quella delicatezza che deve sempre avere il rimprovero perchè sia ascoltato e diventi utile, e trovatili egli non ha fatto per così dire che la parte preparatoria del suo lavoro, poiché il fine dell'opera è di suggerire i mezzi per toglierli.

Il più di questi scrittori al contrario vanno in caccia dei disordini e quando gli hanno trovati o creduto di averli trovati, quando gli hanno esposti con molta ira e con scherno, allora la loro opera è finita, con una tale aria di trionfo, che dimostra che il solo scopo loro era di far dire ai loro nazionali: il tale ci ha dato prove di più che noi siamo migliori degli altri.

E per vedere fin dove questo spirito possa portare, basterà citare una proposizione di uno scrittore che son ben lontano dal confondere con questi che per sistema denigrano una nazione, il sig. Sismondi; nel Cap. stesso su cui ho fatte queste osservazioni, si trova sull'Italia questa frase, sulla quale mi astengo da ogni commento: « L'assassinio non e più, è vero, un dovere, ma non è neppure un disonore ».

Quanto ai censurati lo scopo sembra di umiliarli ed irritarli, non di correggerli: e difatti la conseguenza ordinaria di questi processi è che i giudici pronunziano con piacere una sentenza di condanna, e gli accusati negano e vanno sulle furie.

Il nome di una nazione è un epiteto onorevole presso quella nazione stessa, e di scherno presso le altre, perchè ogni nazione reclama, come è naturale, contro i giudizi delle altre, e sostiene che sono frutti di poca osservazione, di credulità, di leggerezza, d'ignoranza, e tutto al più conseguenze generali di pochi fatti, regole fondate sopra eccezioni.

E difatto è impossibile che tutte queste opinioni sieno vere, perchè sono contradditorie, e non è raro che due nazioni si rimproverino a vicenda gli stessi difetti, affermando ognuna di esserne esente, nel qual caso e impossibile che tutte e due abbiano ragione.

Per citarne un piccolo esempio in un soggetto dei più frivoli, ma che nulladimeno produce le gafe più accanite, i Francesi e gli Italiani si rimproverano reciprocamente in letteratura, che nei loro libri e nel loro tratto di conversazione domina l'esagerazione e l'affettazione, dimodoché un pensiero che si allontani dal naturale per far pompa di acutezza, l'essere incapaci di riflettere, e più il non pensare, è generalmente presso molti scrittori in Italia tacciato di gusto francese, e in Francia di gusto italiano.

L'effetto poi di questi giudizi è di mantenere e accrescere nelle nazioni l'alto concetto che ognuna ha di se stessa, per cui conserva i difetti come pregi, e lo spregio per le altre, per cui non imita il buono che potrebbe; fra gli individui delle nazioni un certo sospetto e una certa avversione, che è tutta a spese della carità, della concordia, e del buon senso senza il menomo utile, e se ve ne fosse sarebbe da rigettarsi comperato a questo costo.

Un uomo che entra in paese straniero è preceduto dai pregiudizi che pesano sulla sua nazione; il nome del suo paese diventa come una definizione del suo carattere nella opinione di quelli in cui si incontra.

E molte volte questa opinione resiste a tutte le osservazioni che dovrebbero far concepire di lui un giudizio contrario.

Che se egli è pure conosciuto imparzialmente, spesso la giustizia che gli si rende consiste in dire: quell'uomo non sembra della sua nazione.

E ordinariamente egli stesso porta seco tutti i pregiudizi contro la nazione fra la quale si trova, ed ha in mente un tipo al qual vuol pure adattare tutti i fatti che gli cadono sott'occhio.

Che se i fatti sono contrari, se egli vede per esempio la cordialità, la scioltezza, la sincerità, l'ospitalità, la bonarietà in un paese dove si aspettava di trovare uomini cupi, dissimulati, feroci, forse egli se ne andrà riportando i suoi pregiudizi, e persuaso di aver per caso conosciuta la miglior gente di quel paese, la gente che non partecipa del carattere nazionale.

È un bell'effetto della Religione Cristiana, che il sentimento di avversione che nasce da queste prevenzioni e dalle ingiurie che ne derivano, presenti di rado una avversione politica, e non sia che una avversione per così dire puramente civile.

Lo spirito di fratellanza universale diffuso dal cristianesimo fa che questi odi nazionali non diventino così universali radicati, e perpetui, come fra i gentili.

Ben è vero che vi sono antipatie tra nazione e nazione, fondate anche sopra motivi politici, ma queste antipatie una generazione le vede crescere, diminuire e talvolta anche cessare del tutto, caso ben diverso da quello degli antichi dove gli odi non cessavano, spesso, che colla distruzione di una delle due nazioni.

I Cartaginesi non andavano a decine di migliaia a viaggiare in Roma.

Gli sforzi fatti poi in vari tempi per mantenere o risuscitare certi usi caratteristici delle nazioni con i quali un popolo si distingueva altre volte più marcatamente dagli altri, sono pure stati inutili perchè contrari allo spirito del cristianesimo e del tempo.

Questi tentativi sono sempre stati sistemi di pochi, e il pubblico non gli ha secondati mai, e ha sentito quello che v'era di puerile e di falso.

Esaminando uno ad uno questi tratti esclusivi di nazionalità ho veduto che ognuno d'essi era particolare a lui perchè fondato sopra pregiudizi particolari nati da qualche circostanza eventuale, e cercando le cagioni per cui si era diminuito o era del tutto scomparso, ho veduto che non venivano già da leggerezza o da incostanza, ma da aumento di ragione e di coltura.

Altre volte gli uomini credevano maggiore il legame di concittadino che quello di uomo, e i motivi e i pregiudizi su cui era fondato questo sentimento sono cessati o diminuiti.

Si credeva che certe leggi convenissero perfettamente e perpetuamente ad un popolo, e sconvenissero a tutti gli altri, e certo le istituzioni che ordinavano una nazione alla conquista ed al mantenimento della conquista, come le romane, non potevano essere adattate a tutti gli altri popoli, perchè è impossibile che tutti siano conquistatori.

Ai nostri tempi invece si è veduto che il fine di quelle istituzioni antiche era ingiusto e pazzo, e per questo appunto erano così proprie ad un popolo, e non agli altri perchè la ingiustizia e la pazzia non possono essere i fini universali delle società.

Ai nostri tempi l'opinione comune è che certi principi sieno appropriati a tutte le società, e che quelle stesse che ora hanno in sé ostacoli all'applicazione di essi, potranno metterli in pratica perchè è della natura delle cose che questi ostacoli cessino.

Ho detto l'opinione comune, cioè quella dei più, perchè vi posono bensì essere alcuni che amino questo spirito di avversione politica, ma nella massa delle nazioni esso non esiste stabilmente.

Che alcuni reggitori o alcuni scrittori desiderino ardentemente che esso si crei o si conservi questo non influirà ai giorni nostri sull'animo dei milioni d'uomini: potrà anzi produrre l'effetto contrario.

Presso gli antichi le idee, le volontà, i timori, i pregiudizi, lo spirito insomma dei governi e dei popoli era sovente lo stesso.

Ora si troverebbe nei popoli cooperazione alla resistenza non ad un sistema di conquista come il romano.

Il Popolo e il Senato Romano avevano la stessa passione di conquista, e gli altri popoli e i loro re avevano la stessa rabbia e lo stesso spirito di resistenza contro un popolo che si proponeva uno scopo così empio e così soverchiante.

Ma ai giorni nostri una parte di questi effetti non si può ottenere che col mezzo della organizzazione politica, cioè coll'associare la parte più attiva e colta e disoccupata di una nazione alle passioni e agli interessi di un governo, il che non opera mai ne così compiutamente ne perpetuamente come fra gli antichi: e il maggior numero della nazione stessa rimane estraneo, indifferente o contrario a questo spirito.

Il quale sembra il preponderante a chi non considera di un'epoca e di un popolo che quello che si fa sentire, e che si conserva per gli scritti; ma chi interroga il modo di pensare dei più che tacciono, vedrà quasi sempre che essi non vi partecipano.

E il fatto stesso lo dimostra ogni qualvolta fa duopo ricorrere ai più, perchè essi potendo in quel caso operare secondo le opinioni loro, abbandonano quelli che sono condotti da opinioni contrarie.

Qui si deve rendere omaggio ai nostri tempi moderni, alla ragione presente, alla religione attuale, alla nostra filosofia, ai nostri costumi ».

Così diceva in un argomento assai congenere, cioè sul diverso modo tenuto dai romani e dai moderni coi popoli conquistati, il Presidente di Montesquieu, scrittore forse il più lodato del secolo scorso, e che si può credere il meno letto se si guarda a quanto si è detto, scritto e fatto in Europa dopo la pubblicazione del suo libro.

Eppure ai tempi nostri la barbarie degli antichi è stato soggetto d'invidia, e questo sentimento non è, ch'io sappia, stato tanto fortemente né chiaramente espresso quanto in una proposizione perversa e assurda, che si vuol confutare con tanto maggior forza quando maggiore è la riputazione del suo autore.

La proposizione è questa: « Gli odi di una nazione contro l'altra essendo stati pur sempre ne altro potendo essere, che il necessario frutto dei danni vicendevolmente ricevuti o temuti, non possono perciò esser mai ne ingiusti né vili.

Parte anzi preziosissima del paterno retaggio, questi odi soltanto hanno operato quei veri prodigi politici che nelle Istorie poi tanto si ammirano.

Né mi estenderò qui in prove tediose ed inutili.

Parlano l'esperienza ed i fatti ».

No: noi non dobbiamo venerare né conservare come virtù le passioni dei nostri avi, alle quali essi stessi avrebbero dovuto resistere: non dobbiamo ammirare nelle storie quello che merita l'esecrazione, le lotte perpetue dell'uomo contro l'uomo.

Che importa al mondo dei prodigi politici? certo il dispregio della morte, la persistenza in un sentimento quando per esso si sacrifichi quello che la vita offre di più lusinghiero, la concordia costante di una società d'uomini nel volare ad uno scopo, quando gli interessi parziali tendano a separarli, il sacrificio delle cose più care ad un'idea, al patto di una associazione, anche dalla parte dell'individuo che non può più dividere gli utili, dell'individuo che non ha altra ricompensa che il sentimento di aver mantenuto questo patto, hanno sempre del prodigioso perchè sono cose diffìcili e rare; ma la difficoltà è forse il fine delle società politiche?

E l'ammirazione non deve forse esser riservata a coloro che vincono le difficoltà per un nobile fine?

E la falsa e sterile ammirazione di una posterità oziosa sarà ben comperata coi dolori sofferti da milioni d'uomini per un capriccio, per una opinione storta?

I prodigi che meritano l'ammirazione sono quelli fatti per una giusta difesa, ma questi pure sono crudeli, sono trionfi dell'uomo sopra l'uomo, gioie nate dai dolori altrui, eppure la posterità gli esalta, le stragi si leggono spargendo lagrime di ammirazione e di tenerezza: quanto devono essere empie le aggressioni ambiziose, se il sangue sparso per una giusta resistenza diventa un oggetto di compiacenza e di dolce memoria.

Gli interessi opposti, le ingiurie fatte e ricevute, l'amore di primeggiare creano gli odi fra le nazioni, e quando anche queste cause cessano di agire o agiscono meno, si sostituirà ad essa una opinione stabile che li mantenga?

Quando gli uomini stanchi delle percosse, nauseati del senso amaro della discordia, ricondotti verso la ragione e la carità, cominciano a riposarsi in un sentimento di concordia e di pace, si dovrebbe ricondurli col raziocinio delle passioni ai furori dell'avversione?

I danni vicendevolmente ricevuti o temuti producono nelle nazioni l'avvilimento o la resistenza, due tristi frutti dell'ingiustizia.

Ma la resistenza giusta eleva gli uomini, produce il più nobile testimonio che l'uomo possa dare alla verità e alla giustizia, quello del proprio sangue; è cagione di molti beni come lo sono tutti i mali inevitabili, non quelli che l'uomo si cerca per una scelta irragionevole; la resistenza è talvolta un male inevitabile perchè senza di essa non si può ottenere la giustizia, ma chi negherà che sia un male, chi negherà che la giustizia non sia più desiderabile quando non è la conquista della forza, ma il volontario consenso di due parti?

Ma gli odi politici perpetuati fra le nazioni, non producono soltanto la giusta resistenza, che può esistere senza di essi, ma producono le aggressioni ingiuste, ma inaspriscono a segno le passioni che talvolta hanno mosso due popoli contro l'altro senza che si possa quasi dire da che parte era la difesa, nessuno era innocente, nessuno poteva dire di morire per una giusta causa.

Allorché due famiglie sono in dissensione, che l'ira d'un individuo si infiamma per quella dell'altro, che il padre tramanda al figlio le passioni ostili rivestite dell'autorità d'un consiglio che non dovrebbe portare che alla giustizia ed alla saviezza, che ufficio farebbe colui che confortasse queste famiglie a persistere in tali sentimenti?

e istigare l'uomo contro l'uomo diventerà bello solo perche le parti avversarie sono in maggior numero?

perchè parlano una diversa lingua?

perchè sono separate da qualche fiume o da qualche monte?

perchè i loro antenati si sono offesi a vicenda?

Ah questo è piuttosto un motivo per terminare una volta queste risse odiose: altrimenti la vendetta diventerà essa stessa un'offesa, e gli uomini saranno perpetuamente furiosi e crudeli perchè lo sono stati una volta.

D'altronde questa proposizione include un supposto, che per ovviare ai danni che si possono ricevere dalle altre nazioni e per rimediare ai ricevuti non vi sia altro mezzo che gli odi d'una nazione contro l'altra, e che le nazioni non possono essere prospere che a spese l'una dell'altra.

È una dottrina che sarebbe da rigettarsi se fosse fondata su una dimostrazione, e si fonda su un supposto!

Poiché non è provato, non é meno discusso il punto se una nazione la quale operasse secondo la più stretta giustizia, che non offendesse, e che resistesse con tutta la forza, e che cessato il momento della difesa ritornasse a sentimenti pacifici non sarebbe più delle altre a coperto dei danni; non è provato l'altro punto importantissimo, se indebolendosi gli odi non diminuiscano le aggressioni cagioni di odi, e se le nazioni non possano godere maggior prosperità quanto meno avranno dissensioni fra di loro, e se questa opinione non possa, a poco a poco, colla esperienza e col ragionamento acquistar fede presso alle nazioni in modo di togliere una gran parte delle dissensioni.

L'Autore citato modifica o spiega per dir meglio la sua opinione con una nota che qui trascrivo: « Nel dir Nazione intendo una moltitudine di uomini per ragione di clima, di luogo, di costumi, e di lingua fra loro diversi; ma non mai due borghetti o cittaduzze di una stessa provincia, che per essere gli uni pertinenza ex gr. di Genova, gli altri di Piemonte, stoltamente adastiandosi, fanno coi loro piccoli, inutili, ed impolitici sforzi ridere e trionfare gli elefanteschi lor comuni oppressori ».

Tolga il Cielo ch'io cerchi d'indebolire la disapprovazione contro questi miserabili odi municipali, ma bisogna estendere il principio, bisogna sentire e ripetere che la somiglianza che ci dà l'essere d'uomo, è ben più forte che la diversità di nazione, che il Vangelo ci ha fatto conoscere che abbiamo un cuore grande abbastanza per amar tutti gli uomini, che gli sforzi di una nazione contro l'altra quando non siano necessari sono sempre piccoli, perchè fondati sulle passioni, e non sulla ragione e sulla verità; sono inutili, perchè non ottengono stabilmente nemmeno il fine che si propongono quelli che li fanno; sono impolitici, perchè producono spesso all'istante, e sempre, nell'avvenire l'indebolimento e il pervertimento dei popoli.

« Onde per quanto, dice lo stesso autore in un'altra nota alla stessa Prosa, per quanto si vadano abborrendo fra loro i Genovesi e i Piemontesi, il dire tutti due Sì, li manifesta entrambi Italiani, e condanna il loro a odio ».

L'odio sarà ingiusto per la sola cagione del parlare la stessa lingua!

e le ragioni dedotte dal Vangelo, e dalla ragione contro questa orribile passione cadono dinanzi alla diversità di una parola del vocabolario!

« E qui, - così termina la nota, - noterò alla sfuggita che l'Oui ed il Sì non si sono mai maritati ».

Ah quando gli uomini generosi di Francia e d'Italia all'udire una grande verità, al proporre di un sentimento nobile rispondono affermativamente, l'Oui ed il Sì si maritano nella bella concordia degli intelletti e dei cuori, e dinanzi a questa concordia, che diventa la differenza d'un suono, qualche grado di latitudine più o meno, un monte o un fiume che si trova fra uomini ed uomini?

L'autore citato propone il frutto che vorrebbe si ricavasse dalla sua dottrina in questi termini: « Perciò da oggi in poi la parola Misogallo consacrata in a tua lingua ( parla all'Italia ) significhi, equivaglia, e racchiuda i titoli pregevoli tutti di risentito, ma retto, e vero, e magnanimo Italiano ».

Se il Conte Alfieri tornasse in terra, vedrebbe quanto fossero vane le sue speranze, quanto sia lontano dall'avere ottenuto quello che egli sperava.

- Alcuni sentimenti non diventano mai universali a cagione della somma loro ragionevolezza, alcuni per la cagione contraria; e questo è del secondo genere.

L'odio sistematico contro ventotto milioni di uomini è un tal delirio che non può divenir generale ne durare in un paese dove è stato annunziato il Vangelo.

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