La santità è un'utopia?

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Per capire bisogna amare
e per donare bisogna soffrire

Il 12 ottobre 1887 Giovanni Garberoglio, dopo un giorno di riposo al Collegio San Giuseppe di Torino, giunge a La Villette, nel Comune di La Ravoire, presso Chambèry, per iniziare il noviziato.

Si trova in terra straniera, in Francia, dove il sapore e la temperatura della vita sono giuste a quel punto in cui la vita si sente felice di viversi.

Ugo Ronfani, un giornalista letterato che ha soggiornato a Parigi per anni, mi spiega che la parola bonheur corre facile nel discorso quotidiano e che si dice heureux, felice di avervi conosciuto, ad uno che non avrà nemmeno capito il vostro nome, ne voi il suo.

Ma la cortesia verbale spesseggia ed è segno di attaccamento al comportamento sociale.

Giovanni Garberoglio trova a La Villette una domesticità borghigiana, il mon village di cui parlano con soddisfazione i francesi, ma il suo animo è vicino a quello del fondatore della Congregazione, di cui si accinge a far parte.

Brucia le tappe in maniera meravigliosa.

Il I novembre veste l'abito religioso ricevendo il nome di Fratel Teodoreto.

Sono giorni di festa. L'anima canta nella luce e il cuore è colmo di gioia.

Ha scelto l'unica strada congeniale, quella che regalerà anche dolori, impegno, sacrifici, ma a 16 anni il cuore è vigoroso e quando uno si dedica a una missione lo fa con entusiasmo che rasenta la follia.

È arrivato il momento di svegliare l'eterno che dorme in lui, l'ora più eroica della sua giornata terrena, la conquista che dona valore immortale alla esistenza.

A La Villette si costruisce una nuova casa di noviziato e i postulanti si impegnano a portare mattoni, calce, pietre con la stessa risolutezza che mettono nello studio delle varie materie, tra cui il francese.

Per gli italiani apprendere la lingua d'oltralpe non è uno scherzo.

Bisogna condensarne la conoscenza in un anno e diventare esperti nello scrivere e nel parlare.

Nello scritto, ad esempio, il francese presenta numerosi trabocchetti.

Per Fratel Teodoreto si tratta di uno studio difficile.

Mi diceva Pierre L'Ermite ( il celebre monsignor Loutil, già parroco a Montmartre ) che per 60 anni ha firmato l'articolo di fondo su la Croix e che mi ha dedicato proprio nell'anno della morte di Fratel Teodoreto il suo bellissimo Ma mairi dans ta main, storia e avventura del suo ministero, che la lingua francese, la lingua di Flaubert, di Zola, di Dumas, di Chateaubriand, di Pascal, di Proust, è un caleidoscopio di espressioni.

Mi parlava dei Fratelli delle Scuole Cristiane e delle Suore di San Vincenzo, anzi di Saint-Vincent-de-Paul per essere esatti, in quanto durante la guerra era stato cappellano militare dell'ambulatorio 92 in rue Gaulaincourt. Fratelli e Suore recavano il loro aiuto materiale e morale ai feriti.

Fratel Teodoreto deve avere sudato le sette proverbiali camicie nell'apprendere una lingua in apparenza facile, in realtà difficile.

Fratel Andrea Bozzalla ricorda: «Fratel Teodoreto a La Villette spiccava su tutti per il buon carattere e per l'ottima condotta.

Subito i compagni lo tennero in concetto di santarello.

Non che facesse qualcosa di speciale; solo si applicava ad eseguire bene ogni esercizio portato dal Regolamento.

Era silenzioso, obbediente, studioso, pio, irreprensibile sotto ogni aspetto.

Non fa meraviglia che non si ricordino a tanta distanza di tempo, cose e fatti che lo mettessero in speciale rilievo; tanto più che era così umile, cosi tranquillo.

Sempre sorridente, cercava di non emergere, ma di nascondersi e fare il possibile senza attirare l'attenzione degli altri.

Si aveva, fin da quei tempi, il concetto comune che Fratel Teodoreto era già un santo e che era venuto dalla famiglia così».

Fratel Elisio conferma: «Dal I novembre 1887 al I novembre 1888, Fratel Teodoreto fu mio compagno di noviziato.

In tutto il tempo lo vidi costantemente composto, esatto, servizievole in sommo grado.

Splendeva sempre un bei sorriso sul suo volto, ne mai ho inteso dalle sue labbra il minimo biasimo sul conto di chicchessia.

Anche quando si lavorava per la costruzione della nuova casa di Noviziato, egli mi incoraggiava nella fatica, lavorando con allegrezza e per amore di Dio».

Egli, infatti, è sempre fraternamente vicino a chi patisce, a chi, talvolta, ha l'anima in crisi.

Egli sa che ogni crisi ha il suo preludio, il suo dramma, il suo finale.

Dalle dichiarazioni dei confratelli, a prima lettura, sembra che tutto per Fratel Teodoreto sia stato facile.

Nell'ottica della coscienza è chiaro invece che la sua è lotta quotidiana per correggere il passato e costruire l'avvenire.

Ha poco da riparare, ma diventare santi non è comodo.

Egli vigila sulle piccole cose. Il nemico individualizzato da San Paolo è dentro e fuori di noi.

Spicca l'umiltà in grado estremo ( quel non voler apparire, quel sapersi nascondere - direbbe il Manzoni - sono segni indiscussi di un'anima illuminata ); la pazienza che non pone limiti, l'obbedienza che non discute, l'accettare qualsiasi ordine, qualsiasi lavoro, meglio se pesante, meglio se scartato da altri.

Questo comportamento indica fortezza interiore.

Prima di arrivare sulla cima della montagna, Fratel Teodoreto dovrà penare duramente per sentieri laceranti.

L'anno di La Villette è per Fratel Teodoreto la primavera della vita religiosa, l'anno in cui anche l'inverno ha un clima dolce.

Se un giorno soffrirà di malinconia, di nostalgia, lo sguardo riandrà a La Villette, a quell'anticamera dove ha preso forma e corpo la sua preparazione spirituale.

Tale nostalgia la trasmetterà al nipote Bartolomeo ( Fratel Bonaventura ) nella seguente lettera: «Caro Bartolomeo, quando io
penso alla tua sorte, o Bartolomeo caro, quella cioè di cominciare il Noviziato, sento in me un desiderio grande di cominciarlo anch'io, se fosse possibile; ma ordinariamente il Noviziato si fa una volta sola e fortunato chi lo fa bene.

Oggi è il giorno della SS. Trinità ed i Fratelli rinnovano i voti.

Quanto è bello vedere tante persone consacrare a Dio tutto, tutto!

Io, grazie a Dio e alla bontà dei superiori, ho potuto rinnovarli, e tu fallo col desiderio e attendi con ansia il giorno in cui ti sarà concesso di fare i voti...

Sia la santità l'unico scopo; chiediamo a Dio le grazie e le virtù di cui abbiamo bisogno, siamo fervorosi e allora conosceremo quanto sia dolce e soave servire a Dio nella santa religione».

Lettere successive rivelano quale incendio arda nel suo cuore.

Ogni parola è un grido di fede. Trova Dio ovunque.

L'essere è permeato di questa carica preziosa, di questa aspirazione divina.

Alla fine di ogni lettera rinnova la sua professione scrivendo «Viva Gesù nei nostri cuori. Sempre».

È l'invocazione per incoraggiare i pusillanimi, i dubbiosi, i paurosi, i timidi, gli anemici.

Oggi, tempo di disavventure e di paradossi, in cui i cristiani frequentano la chiesa la domenica, ma si comportano da pagani nel corso della settimana: oggi che la coscienza è messa a dura prova dai comportamenti politici, sociali, finanziari, economici; oggi che la verità è sinonimo di corbelleria; oggi che il mondo oscilla tra la distruzione e l'inquinamento, l'avvelenamento e il suicidio, si sente la mancanza di un Fratel Teodoreto, animatore di fiducia.

Tra le cose belle e non belle, tra grazie e disgrazie, in questa specie di armonia perfettamente inscenata dai mass-media, tra l'ostentata indifferenza alle delusioni, tra la fame dei beni appetibili e tangibili, tra lo scetticismo intellettuale che sorride e tra quello brutale che addirittura ignora, tra le masse che sono sempre laboriose e quelle che non lo sono perché non trovano lavoro, occorre ristabilire l'equilibrio con un approfondito esame di coscienza.

Lo faceva ogni giorno Fratel Teodoreto ed i risultati sono tuttora evidenti.

Ma noi viviamo alla giornata e non ci resta nell'intrico battagliante tra perpetua morte e perpetua rinascita che sperare nel Dio misericordioso.

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