Summa Teologica - I-II

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Articolo 1 - Se le virtù morali siano connesse tra loro

In 3 Sent., d. 36, a. 1; In 4 Sent., d. 33, q. 3, a. 2, ad 6; De Virt., q. 5, a. 2; Quodl., 12, q. 15, a. 1; In 6 Ethic., lect. 11

Pare che le virtù morali non siano necessariamente connesse.

Infatti:

1. Talora le virtù morali vengono causate dalla ripetizione degli atti, come dimostra Aristotele [ Ethic. 2,1 ].

Ma un uomo può esercitarsi negli atti di una data virtù senza esercitarsi negli atti di un'altra.

Quindi si può possedere una virtù morale senza le altre.

2. La magnificenza e la magnanimità sono virtù morali.

Ma uno può avere le altre virtù morali senza avere la magnificenza e la magnanimità: infatti il Filosofo [ Ethic. 2,2 ] scrive che « il povero non può essere magnifico », pur avendo altre virtù; e aggiunge [ ib., c. 3 ] che « chi è degno di piccole cose, e di esse si reputa degno, è temperato, ma non è magnanimo ».

Quindi le virtù morali non sono connesse.

3. Come le virtù morali perfezionano la parte appetitiva dell'anima, così le virtù intellettuali perfezionano quella intellettiva.

Ma le virtù intellettuali non sono connesse: infatti uno può possedere una scienza senza le altre.

Perciò anche le virtù morali non sono connesse.

4. Se le virtù morali fossero connesse, la loro connessione potrebbe avvenire solo nella prudenza.

Ma ciò non basta per la connessione delle virtù morali.

Infatti uno può essere prudente per le azioni appartenenti a una data virtù senza esserlo per quelle appartenenti a un'altra: come anche uno può avere l'arte rispetto a determinati manufatti senza averla rispetto ad altri.

Ma la prudenza è la retta ragione delle azioni da compiere.

Quindi non è necessario che le virtù morali siano connesse.

In contrario:

S. Ambrogio [ In Lc 5, su 6,20 ] afferma: « Le virtù sono tra loro connesse e concatenate, e chi ne possiede una mostra di possederne molte ».

E anche S. Agostino [ De Trin. 6,4.6 ] scrive che « le virtù esistenti nell'animo umano in nessun modo si separano tra loro ».

E S. Gregorio [ Mor. 22,1 ] insegna che « una virtù senza le altre o non esiste o è imperfetta ».

Finalmente Cicerone [ Tusc. Disp. 2,14 ] scrive: « Se tu confessi di non avere una data virtù, è necessario che tu non ne abbia alcuna ».

Dimostrazione:

Una virtù morale può essere perfetta o imperfetta.

Una virtù morale imperfetta, p. es. la temperanza o la fortezza, non è che una nostra inclinazione a compiere qualche atto buono: inclinazione che può essere o innata o dovuta all'esercizio.

Prese dunque in questo senso le virtù morali non sono connesse: infatti vediamo che qualcuno per naturale complessione o per consuetudine è pronto agli atti della liberalità senza invece esserlo, ad es., agli atti della castità.

Invece la virtù morale perfetta è un abito che porta a compiere bene l'azione buona.

Ora, se prendiamo le virtù morali in questo senso bisogna dire che sono connesse, come quasi tutti ritengono.

E a sostegno di ciò vengono portate due ragioni, in base al diverso modo di definire le virtù cardinali.

Alcuni infatti, come si è detto [ q. 61, aa. 3,4 ], le definiscono come condizioni generali delle virtù: per cui la discrezione dovrebbe corrispondere alla prudenza, la rettitudine alla giustizia, la moderazione alla temperanza e la fermezza d'animo alla fortezza, in qualsiasi materia le si voglia considerare.

E da questo punto di vista appare evidente il motivo della connessione: infatti la fermezza priva di moderazione, o di rettitudine, o di discrezione non potrebbe dirsi virtù; e così per le altre condizioni.

E questo è il motivo della connessione proposto da S. Gregorio [ l. cit. ], quando scrive che « le virtù, se sono disgiunte, non possono essere perfette » come virtù: « poiché non è vera prudenza quella che non è giusta, temperante e forte »; e lo stesso si dica delle altre virtù.

E anche S. Agostino [ De Trin. 6,4.6 ] assegna questa medesima ragione.

Altri invece definiscono le virtù cardinali secondo la materia.

E in base a ciò Aristotele [ Ethic. 6,13 ] stabilisce il motivo della loro connessione.

Poiché, come si è già spiegato [ q. 58, a. 4 ], non ci può essere una virtù morale senza la prudenza: e questo perché è proprio delle virtù morali dare la rettitudine alla scelta, essendo esse degli abiti elettivi; ora, per la buona scelta non interviene soltanto l'inclinazione al debito fine, dovuta direttamente all'abito della virtù morale, ma anche l'immediata scelta dei mezzi, che viene fatta dalla prudenza, la quale consiglia, giudica e comanda i mezzi ordinati al fine.

D'altra parte non ci può essere la prudenza senza il possesso delle virtù morali: poiché la prudenza, che è la retta ragione delle azioni da compiere, parte, come dal suo principio, dal fine delle azioni medesime, in rapporto al quale uno acquista la retta disposizione in forza delle virtù morali.

Come quindi non ci può essere una scienza speculativa senza l'intelligenza dei primi princìpi, così non ci può essere la prudenza senza le virtù morali.

Dal che segue chiaramente che le virtù morali sono connesse.

Analisi delle obiezioni:

1. Certe virtù morali perfezionano l'uomo per uno stato ordinario, o generale, cioè rispetto alle azioni che capita a tutti di dover compiere.

Perciò è necessario che l'uomo si eserciti simultaneamente sulla materia di tutte le virtù morali.

E se si esercita in tutte col ben operare, acquisterà gli abiti di tutte le virtù morali.

Se invece si esercita operando bene rispetto a una data materia, p. es. rispetto all'ira, e non rispetto a un'altra, p. es. rispetto alla concupiscenza, acquisterà sì un abito per tenere a freno l'ira, ma sarà un abito che non può avere valore di virtù, mancando della prudenza, che viene distrutta nel campo della concupiscenza.

E allo stesso modo, se manca la prudenza, non possono avere perfetta natura di virtù le inclinazioni naturali.

Ci sono però altre virtù morali che perfezionano l'uomo secondo un certo stato di particolare eminenza: come la magnificenza e la magnanimità.

E poiché l'esercizio relativo alla materia di queste virtù non è comune a tutti, uno può possedere le altre virtù morali acquisite senza avere in atto l'abito di queste virtù.

Tuttavia, una volta acquisite le altre, uno si troverà ad avere in potenza prossima [ anche ] queste virtù.

Se uno infatti ha acquisito la liberalità nel fare spese e donativi modesti, se gli capitasse abbondanza di danaro con poco esercizio acquisirebbe l'abito della magnificenza: come il geometra con poco studio acquisisce la scienza di una conclusione a cui prima non aveva mai pensato.

Ora, ciò che è facilmente disponibile si può dire che è posseduto, secondo l'asserzione del Filosofo [ Phys. 2,5 ]: « Quando manca poco, sembra che non manchi nulla ».

2. Abbiamo così risposto anche alla seconda obiezioni.

3. Le virtù intellettuali riguardano materie diverse non ordinate fra di loro: come è evidente per le scienze e per le arti.

Perciò fra di esse non c'è la connessione riscontrata fra le virtù morali, che riguardano passioni e operazioni chiaramente subordinate.

Infatti tutte le passioni, derivando dalle prime, cioè dall'amore o dall'odio, sfociano nel piacere o nella tristezza.

E parimenti tutte le operazioni che sono materia delle virtù morali hanno un ordine tra loro, e anche rispetto alle passioni.

Perciò tutta la materia delle virtù morali ricade sotto un'unica ragione, che è quella della prudenza.

È vero tuttavia che tutte le realtà intelligibili hanno anch'esse un ordine ai primi princìpi.

E da questo lato tutte le virtù intellettuali dipendono dall'intelligenza dei princìpi, come la prudenza dipende dalle virtù morali, secondo le spiegazioni date [ nel corpo ].

Però i princìpi universali, oggetto dell'intelligenza dei princìpi, non dipendono dalle conclusioni che sono oggetto delle altre virtù intellettuali come invece le virtù morali dipendono dalla prudenza, dato che in qualche modo l'appetito muove la ragione e la ragione l'appetito, come si è detto sopra [ q. 9, a. 1; q. 58, a. 5, ad 1 ].

4. Le cose a cui le virtù morali inclinano si rapportano alla prudenza come princìpi; invece le cose fattibili non si rapportano all'arte come princìpi, ma solo come materia.

Ora, la ragione potrà anche essere retta per una materia e non retta per un'altra, ma è evidente che non potrà dirsi retta in alcun modo se è in difetto in qualcuno dei suoi princìpi.

Se uno infatti sbagliasse in questo principio: « Il tutto è sempre maggiore della sua parte », non potrebbe avere la scienza della geometria: poiché sarebbe portato necessariamente ad allontanarsi molto dalla verità nelle conclusioni.

- Inoltre le azioni da compiere sono ordinate fra di loro, a differenza delle cose fattibili, come si è già notato [ ad 3 ].

Per cui la mancanza di prudenza in una parte delle azioni da compiere porterebbe alla mancanza di essa anche nelle altre azioni. Il che non avviene nelle cose fattibili.

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