Summa Teologica - II-II

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Le virtù teologali e infuse

Si conosce indubbiamente, almeno di nome, il Compendium theologiae, che si dovrebbe tradurre con Riassunto della fede cristiana, ma che è più esatto tradurre con Elementi di teologia, poiché nonostante tutto si tratta di un riassunto un po' scolare.

Infatti, per rispondere a un desiderio del suo segretario e amico Reginaldo, fra Tommaso ha compiuto lo sforzo di raccogliere in questo libro l'essenziale del contenuto della fede e di esprimerlo brevemente in maniera relativamente semplice.

Ispirata all' Enchiridion di sant'Agostino quanto al suo piano, l'opera si sviluppa secondo l'ordine delle tre virtù teologali: la fede è trattata seguendo l'ordine degli articoli del Credo, la speranza in relazione.

Lasciamo da parte qui la questione dell'eventuale perplessità della coscienza che è spesso presentata come un conflitto di doveri, mentre è sufficiente abbandonare il peccato perché la perplessità sia superata, in relazione alle domande del Pater, mentre la carità avrebbe probabilmente assunto come quadro l'enunciato del Decalogo.

La morte ha impedito all'autore di proseguire la sua opera fino alla fine, ma la prima parte è completa e la seconda ben avviata.476 Il piano dell'opera non è tanto importante in se stesso, quanto piuttosto la conclusione che possiamo derivare da esso, e cioè la certezza che l'essenziale della vita cristiana può essere organizzato ed espresso attorno alle virtù teologali.

Assolutamente coerente con la sua definizione della persona come il solo essere dell'universo in relazione immediata con Dio, Tommaso situa al centro dell'esperienza cristiana le virtù teologali, dette così in quanto hanno Dio per oggetto, per causa e per fine,477

La vita divina partecipata per grazia, di cui esse sono l'attualizzazione, forma la realizzazione anticipata nel tempo della comunione con Dio-Trinità che troverà il suo pieno compimento nella patria.

Se esiste un gioco di priorità reciproca delle virtù tra di loro, l'ordine abituale secondo cui vengono citate ha anch'esso un suo significato; non è soltanto la tradizione che lo raccomanda, ma la retta ragione: « L'amore infatti non potrebbe essere retto se prima non si stabilisse il giusto fine della speranza, e questo non è possibile se manca la conoscenza della verità.

Tu devi avere innanzitutto la fede per conoscere la verità, poi la speranza per orientare il tuo desiderio verso il vero fine, infine la carità mediante la quale il tuo amore sarò completamente modificato ».478

[ Un modo più lapidario, ma altrettanto suggestivo, Tommaso precisa altrove: ] « La fede mostra il fine, la speranza fa tendere verso di esso, la carità realizza l'unione con esso ».479

Senza riprendere qui l'intero discorso teologico sulla fede,480 il modo in cui Tommaso la presenta all'inizio di questo Compendio di teologia è prezioso per noi giacché ci situa subito nell'esatta prospettiva di tutto ciò che vogliamo dire in questo capitolo: « La fede è un certo assaggio ( praelibatio quaedam ) di quella conoscenza che costituirà la nostra felicità nella vita eterna.

Perciò l'Apostolo ( Eb 11,1 ) afferma che essa è "la sostanza delle realtà che speriamo", come se facesse sussistere in noi in modo abbozzato le realtà che speriamo, ossia la beatitudine futura.

Il Signore ha insegnato che questa conoscenza beatificante consiste in due cose: la divinità della Trinità e l'umanità di Cristo, allorquando si rivolgeva al Padre dicendo ( Gv 17,3 ).

"Questa è la vita eterna, che conoscano te, l'unico vero Dio ( e colui che hai mandato, Gesù Cristo )".

Quindi è intorno a queste due realtà, la divinità della Trinità e l'umanità di Cristo, che porta tutta la conoscenza della fede.

Ciò non ha niente di sorprendente in quanto l'umanità di Cristo è la via mediante la quale si giunge alla divinità.

Occorre perciò mentre si è in cammino conoscere la strada per giungere alla meta, e quando si è in patria l'azione di grazie a Dio non sarebbe sufficiente se gli uomini non conoscessero le vie tramite le quali sono salvati ».481

In questa breve formulazione del contenuto della fede, si saranno indubbiamente riconosciute molte cose già incontrate, e soprattutto i primi due credibilia intorno ai quali si organizza l'intero contenuto della teologia.482

Tuttavia, qui non è tanto al contenuto della fede quanto alla sua definizione che bisogna prestare attenzione, poiché essa ancora una volta evidenzia con incomparabile forza il movimento da cui è animata, il suo dinamismo o il suo slancio.

Si sarà anche notato in questo testo il versetto della lettera agli Ebrei; Tommaso ama farvi riferimento altrove ne elenca i vantaggi: « Se si vuole esprimere ciò con una definizione, si può dire che "la fede è un abito della mente ( habitus mentis ) che inizia in noi la vita eterna, facendo aderire il nostro intelletto alle realtà invisibili" ».483

Già acquisita nel De veritate, la stessa definizione era stata allora ampiamente spiegata: se la fede realizza nel soggetto credente questa anticipazione della vita eterna, ciò avviene a causa di una certa somiglianza del fine desiderato.

Niente potrebbe essere desiderato, infatti, se non vi fosse nella persona una certa proporzione nei confronti di questo fine, poiché è a partire da essa che sorge il desiderio stesso del fine.

Affinché possiamo tendere alla vita eterna, occorre quindi che vi sia in noi un qualche abbozzo di questo fine, almeno mediante la conoscenza che ne acquisiamo, ed è questo che realizza la fede: « Nella misura in cui forma in noi un certo inizio della vita eterna, nella quale speriamo in base alla promessa divina, la fede è detta la "sostanza dei beni che attendiamo" ».484

Ma realizzando l'anticipazione del fine ultimo, essa ravviva con ciò stesso il suo desiderio, giacché « ogni inizio aspira al suo compimento ».

Se questo è vero già sul piano naturale, a maggior ragione lo è su quello delle realtà divine, in cui l'inizio non può che aspirare al compimento del fine ultimo.485

Tommaso lo riafferma commentando l'incontro di Gesù con la Samaritana ( Gv 4,14 ), il dinamismo di una vita vissuta nella fede è quello di ogni desiderio: il possesso iniziale accende il desiderio del possesso totale: «( Come può dire Gesù: "Colui che berrà di quest'acqua non avrà più sete" mentre la Sapienza afferma ( Sir 24,21 ): "Quelli che mi bevono avranno ancora sete" ? )

Le due affermazioni sono entrambe vere, perché chi beve dell'acqua data da Cristo ha ancora sete, e non ha più sete ».

( In un primo senso ciò si può spiegare paragonando acqua naturale e acqua spirituale.

Colui che beve acqua naturale, avrà ancora sete, perché quest'acqua non è eterna e quindi anche il suo effetto ha un termine: ) « L'acqua spirituale però ha una fonte eterna, cioè lo Spirito Santo che è la fonte di vita sempre zampillante; perciò chi beve di essa non avrà mai sete, come non avrebbe mai sete chi avesse nelle sue viscere una fonte di acqua viva.

Ma c'è un altro motivo che si ricava dalla differenza tra realtà temporale e realtà spirituale.

L'una e l'altra provocano la sete, ma in maniera ben diversa.

Una, cosa temporale ottenuta dopo che la si è desiderata non attenua tuttavia il desiderio; c'è sempre il desiderio di un'altra cosa.

Al contrario, la realtà spirituale spegne il desiderio di un'altra cosa e approfondisce il desiderio di questa stessa.

Il motivo è semplice: fino a che non si possiede una cosa di questo mondo, la si stima esauriente e di gran valore.

Una volta posseduta, però, non appare più così preziosa e si rivela insufficiente ad appagare il desiderio, il quale viene riacceso da un'altra cosa ancora.

Invece la realtà spirituale non la si conosce se non quando la si possiede, Ap 2,17: "Nessuno la conosce, se non chi la riceve".

Perciò non averla significa non desiderarla, ma averla e conoscerla rallegra il cuore e provoca il desiderio, non certo il desiderio di un'altra cosa, ma il desiderio che stimola il suo possesso imperfetto - dato che imperfetto è colui che lo riceve - in vista di un possesso perfetto.

E di questa sete che parla il salmo ( Sal 42,2 ): "L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente".

Però questa sete non può essere del tutto appagata in questo mondo, perché in questa vita non possiamo mai percepire perfettamente i beni spirituali.

Perciò chi berrà di quest'acqua avrà ancora sete di possederla nella sua perfezione, però non ne avrà sete in eterno, come se l'acqua stessa potesse esaurirsi poiché come dice il Salmista ( Sal 36,9 ): "Essi s'inebriano dell'abbondanza della tua casa".

Nella vita della gloria, in cui i beati bevono perfettamente l'acqua della divina grazia, essi non avranno mai più sete, Mt 5,6: "Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia", s'intende in questo mondo, "perché saranno saziati", nella vita eterna ».486

Se si conoscesse un po' meglio la biografia e la personalità di fra Tommaso, questo testo offrirebbe forse l'occasione di constatare una certa corrispondenza con la vita spirituale personale del suo autore.

Ma senza cadere nell'errore di una ricostruzione psicologica di cui non possediamo affatto i mezzi per il controllo, questo passaggio è molto chiaro per il nostro scopo: lungi dall'essere interpretato come un invito a un godimento tranquillo, il possesso anticipato dei beni della patria provoca in colui che ne è il beneficiano un vuoto che potrà colmare soltanto il possesso pieno e definitivo: « La conoscenza della fede non ne placa il desiderio; piuttosto lo riaccende »487

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476 Vedi alcuni dati complementari nel nostro Tommaso d'Aquino.
L'uomo e il teologo, pp. 189-192; il testo critico si trova nell'edizione Leonina, t. 42.
477 Si noterà l'affinità di struttura tra queste due frasi dell'inizio del trattato della fede, II-II, q. 2, a. 3: « Soltanto la natura razionale creata gode di un orientamento immediato a Dio ( sola autem natura rationalis creata habet immediatum ordinem ad Deum) », e II-II, q. 4, a. 7: « le virtù teologali il cui oggetto è il fine ultimo devono essere superiori alle altre virtù ( necesse est uirtutes theologicas, quarum obiectum est ultimusfinis, esse priores ceteris uirtutibus ) ».
478 Compendium I, 1, Leon. t. 42, p. 83.
479 Super 1 Tim 1,5, n. 13 ( questo testo è stato citato in maniera più ampia qui sopra a proposito del legame della coscienza alle virtù teologali ); la priorità della fede nell'ordine della conoscenza è trattata più diffusamente in II-II, q. 4, a. 7: « Occorre che il fine ultimo sia nell'intelletto prima di essere nella volontà, poiché la volontà non potrebbe spingersi verso una realtà che non fosse prima compresa dall'intelletto »; cf. I-II, q. 62, a. 4.
480 Si troverà lo studio principale di Tommaso su questo tema in II-II, qq. 1- 16, in cui secondo l'uso non tratta soltanto della virtù di fede in se stessa, ma anche dei doni dello Spirito Santo che gli sono collegati e dei peccati che gli sono opposti; si potranno vedere le note e i commenti di R. BERNARD, 5. Thomas d'Aquin, Somme théologique. La Poi ( Revue de Jeunes ), 2 tt., Paris 1940-1942; M.-M. Labourdette, La vie théologale selon saint Thomas: L'objet de la foi, RT 58 (1958) 597-622; La vie théologale selon saunt Thomas: L'affection dans la foi, RT 60 (1960) 364-380;
H. DONNEAUD, La surnaturalité dii motif de la foi théologale chez le Père Labourdette, RT 92 (1992) 197-238.
481 Compenduum I, 2.
482 Cf. II-II, q. 1, aa. 6-7; q. 2, a. 5; vedi qui sopra il nostro cap. I, il paragrafo « Una certa impronta della scienza divina ».
483 I-II, q. 4, a. 1
484 De veritate, q. 14, a. 2; si noterà in questo articolo l'insistente ripetizione della parola inchoatio: la fede non è che un « inizio », ma lo è veramente; si potrà continuare con D. B0URGEOIS, « Inchoatio vitae eternae ».
La dimension eschatologique de la vertu théologale de foi chez saint Thomas d'Aquin, «Sapienza» 27 ( 1974 ).
485 Cfr I-II,q. 1, a. 6
486 Super Ioannem 4, 13-14, lect. 2, n. 586.
487 SCG III 40, n. 2178.