Summa Teologica - II-II

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L'interprete del desiderio

Non è indifferente constatare che questo genere di annotazioni si ritrova più spesso nei commenti alla Sacra Scrittura che nella Somma.

Nell'idea di Tommaso, la Somma è un manuale destinato a contenere lo stretto necessario; sebbene anch'essi possano essere molto concisi, i suoi corsi sulla Bibbia sono generalmente testimoni di una prospettiva un po' più ampia.

C'è tuttavia un manuale, a metà strada, sembra, tra queste due preoccupazioni, ed è il Compendio di teologia.

In rapporto alla Somma, dove l'elaborazione della speranza è centrata più direttamente sulla struttura della virtù, l'originalità del Compendio consiste nell'innestare sullo studio della virtù un piccolo trattato della preghiera.500

La Somma non ignora naturalmente questo aspetto; la sua preoccupazione di concisione ci offre una formula molto importante: la preghiera è « l'interprete della speranza ( spei interpretativa ) »,501 o ancora « l'interprete del desiderio ( desiderii interpres ) »502

Senza contenere la stessa formula, il Compendio va nello stesso senso e sviluppa la sua esposizione in relazione alle varie domande del Pater.

Ciò che potrebbe sembrare non essere altro che semplice procedimento letterario, appare invece profondamente inserito nella visione tomasiana delle cose.

Infatti, molto significativamente, Tommaso considera la preghiera come appartenente al grande disegno provvidenziale che governa il mondo: « Seppure [ Dio ] con la sua disposizione provvidenziale veglia sull'intera creazione, egli ha una particolare cura per le creature ragionevoli, rivestite della dignità di essere create a sua immagine, le quali possono giungere fino a lui mediante la conoscenza e l'amore, controllando i loro atti, avendo la libera scelta del bene o del male.

[ La loro fiducia in Dio non si limiterà perciò a sperare da lui la loro conservazione nell'essere, ma si estenderà a sperare il suo aiuto per scegliere il bene ed evitare il male, ciò che viene loro accordato Sotto la forma della grazia. ]

Rigenerati dal battesimo, gli uomini hanno una speranza più alta, quella di ottenere da Dio l'eredità eterna503

Mediante lo Spirito d'adozione che abbiamo ricevuto possiamo dire "Abbà Padre" ( Rm 8,15 ), e per mostrarci che bisognava pregare in questa speranza il Signore ha iniziato la sua preghiera con il termine "Padre".

Questo semplice termine prepara il cuore dell'uomo a pregare con sincerità per ottenere ciò che spera, poiché i figli devono comportarsi come imitatori dei loro genitori.

Chi dunque confessa Dio come suo Padre deve sforzarsi di vivere imitandolo, evitando tutto ciò che rende dissimili da Dio e praticando tutto ciò che ci rende simili a lui ».504

È sorprendente ritrovare in questo testo molti temi già ampiamente incontrati durante il nostro percorso.

Non solo quello della dignità della persona, il cui destino supera infinitamente quello di ogni altra creatura, non realizzabile se non liberamente, dato che essa ha il controllo dei propri atti; ma riemerge anche la sua qualità d'immagine di Dio - elemento non meno importante, perché questo spiega quello -.

Il fatto che Tommaso collochi questa capacità all'origine di ogni agire morale - poiché si tratta di scegliere tra il bene e il male - mostra abbastanza bene l'importanza che egli le accorda.

In questo testo vi è però anche il richiamo all'imitazione di Dio « come figli prediletti », proposta come mezzo per perfezionare in noi la somiglianza.505

Che tutto questo sia qui raggruppato sotto il segno della speranza mostra proprio a che punto Tommaso veda in essa la virtù dell'homo viator, dell'uomo in cammino verso la beatitudine.506

Nel suo prolungamento, la preghiera è vista anch'essa come un'attitudine tipica dell'uomo in questo mondo, essere libero ma limitato e quindi dipendente: « Dato che l'ordine della Provvidenza divina attribuisce ad ogni essere un modo per giungere al proprio fine conforme alla sua natura, l'uomo ha anch'egli ricevuto una modalità propria per ottenere da Dio ciò che spera, conformemente al corso abituale della condizione umana.

Infatti è proprio della condizione umana domandare per ottenere da un altro, e soprattutto da un superiore, ciò che si spera da lui.

È per questo che la preghiera è stata prescritta agli uomini da Dio: per ricevere da lui quanto essi sperano.

[ Non certo per far conoscere a Dio i nostri bisogni ma molto di più per prenderne noi coscienza.

La preghiera cristiana ha tuttavia una particolarità: Quando si tratta della preghiera a un uomo, dobbiamo avere con lui una certa familiarità per essere autorizzati a rivolgerci a lui.

La preghiera rivolta a Dio invece ci fa penetrare nella sua intimità; quando l'adoriamo in spirito e verità, il nostro spirito s'innalza fino a lui ed entra con lui in un colloquio d'amore spirituale.

Pregando in tal modo, questa affettuosa intimità prepara una via per ricominciare a pregare con maggiore fiducia.

E così che afferma il Salmista ( Sal 17,6 ).

"Ti ho invocato", pregando con fiducia, "e tu mi hai esaudito, o Dio"; come se entrato con la prima preghiera nell'intimità divina, egli potesse continuare con maggiore fiducia.

E per questa ragione che l'assiduità della preghiera e la frequenza delle richieste non sono importune, ma gradite a Dio ( Lc 18,1 ): « Bisogna sempre pregare, senza stancarsi ».

Il Signore stesso ci invita a ciò ( Mt 7,7 ): "Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto".

Nella preghiera rivolta agli uomini invece, l'insistenza della richiesta si trasforma in molestia ».507

L'affettuosa familiarità che presiede alla preghiera è precisamente l'effetto tipico della virtù di speranza.

La speranza, infatti, non potrebbe venir meno se non nel caso in cui colui che si prega fosse impotente ad accordarci ciò che chiediamo; ora, nel caso di Dio, questa potenza è indubbia poiché egli ha fatto il cielo e la terra e governa sovranamente tutte le cose.508

In realtà, allora gli si potrebbe chiedere tutto, ma di fatto è la carità che regola l'ordine della nostra speranza e delle nostre richieste.

La prima di queste consisterà perciò nel fatto che Dio sia amato al di sopra di ogni cosa, e ciò è quanto viene espresso nella prima domanda del Pater: « Sia santificato il tuo nome ».509

La seconda, però, corrispondente alla seconda domanda, ci interessa qui maggiormente: dopo la gloria resa a Dio, « ciò che l'uomo desidera e cerca, è di partecipare egli stesso alla gloria divina ( particeps divinae gloriae ) ».510

Tommaso qui reintroduce dunque ciò che oggi chiameremmo la dimensione escatologica della speranza.

Senza che vi sia in lui questa espressione, troviamo tuttavia la realtà.

Noi indubbiamente già possediamo in anticipo la gloria, giacché la grazia non è nient'altro che questo; tuttavia non la possediamo ancora nella sua totalità, la viviamo sotto il regime della speranza.

In una maniera profondamente biblica, è in relazione allo Spirito Santo che troviamo la spiegazione più chiara: « Noi siamo in Cristo in un duplice modo: mediante la grazia e mediante la gloria.

Mediante la grazia, perché siamo unti dalla grazia dello Spirito Santo e uniti a Cristo diventando sue membra …

L'unione mediante la gloria, non la possediamo ancora nella sua realtà ( in re ), ma la possediamo tramite una speranza certa, poiché abbiamo la salda speranza della vita eterna.

In questa speranza, abbiamo una duplice certezza di giungere a tale unione: una, in quanto ne abbiamo un segno, l'altra, perché ne abbiamo un pegno.

Il segno è evidente, dato che si tratta di quello della fede ( il battesimo che ci configura a Cristo ) …

Essere configurato a Cristo è un segno speciale sicuro della vita eterna.

Quanto al pegno, è il maggiore, in quanto si tratta dello Spirito Santo; perciò Paolo afferma: "Ha messo nei nostri cuori la caparra dello Spirito".

Questo, è certo, nessuno può ottenerlo con le sue proprie forze.

Riguardo però ad un pegno ( o caparra ) bisogna considerare due cose: la prima, è che esso rappresenti una speranza di ottenere la realtà di cui è un anticipo; la seconda, che valga almeno quanto la realtà, se non di più della realtà stessa.

Queste due caratteristiche si ritrovano nello Spirito Santo.

Se in effetti consideriamo lo Spirito Santo nella sua realtà ( substantiam Spiritus Sancti ), è evidente che vale quanto la vita eterna, che non è altro che Dio stesso in quanto coincide con le tre Persone.

Se però consideriamo il modo in cui lo possediamo, allora il pegno produce la speranza e non il possesso della vita eterna, perché in questa vita non lo possediamo in maniera perfetta.

E così non saremo perfettamente beati se non quando lo possederemo perfettamente nella patria, Ef 1,13: « Siete stati segnati dal sigillo dello Spirito della Promessa che costituisce la caparra della nostra eredità ».511

Segnata allora dall'attesa del compimento futuro in un possesso iniziale, la speranza - e non soltanto essa, ma la vita cristiana tutt'intera512 è quindi collocata sotto il segno escatologico del già e del non ancora nel suo fulcro stesso, caratterizzato dalla condivisione della beatitudine divina.

Non abbiamo qui che l'imbarazzo della scelta, giacché Tommaso ha molto spesso parlato della beatitudine, che ha al centro la visione di Dio, come fine ultimo della vita cristiana.

Tuttavia, prima di ritornarvi a proposito della carità, poiché ci impegniamo qui a far conoscere il Compendio di teologia, noi troviamo in esso un lungo capitolo in cui Tommaso precisa metodicamente e con moderata passione, in cosa consista la beatitudine finale che sola può placare il desiderio dell'uomo soprannaturalizzato dalla grazia.

Insaziabile per definizione e sempre in cerca di qualche altra cosa, si capisce infine che egli ha raggiunto il suo scopo dal fatto che non cerca più, che è infine appagato.

Soltanto la visione di Dio può dare quella pienezza di gioia perpetua che nascerà dalla condivisione da parte dei santi della gioia che Dio ha in se stesso: « La pienezza della gioia dipende non solo dalla realtà della quale si gode, ma anche dalla disposizione di colui che la prova.

Quando costui ha presente dinanzi a sé la causa della sua gioia, egli si porta verso di essa con tutto il suo amore.

Ora, mediante la visione dell'essenza divina l'anima percepisce la presenza di Dio in questo modo.

Questa stessa visione infiamma totalmente la sua affettività nell'amore divim.

Se infatti, secondo Dionigi un essere è amabile secondo la sua bellezza e la sua bontà è impossibile che Dio - il quale forma l'essenza stessa della bellezza e della bontà - sia visto senza essere amato.

Perciò la visione perfetta è accompagnata da un amore perfetto …

La gioia che si prova alla presenza [ di un essere amato ] è tanto più grande quanto più esso è amato.

Ne consegue allora che tale gioia sarà perfetta non solo a causa della realtà di cui si godrà, ma anche di colui che la proverà, e questa gioia è la gioia perfetta dell'umana beatitudine, ciò che fa affermare a sant'Agostino che la beatitudine è la -gioia [ nata ] dalla verità ( gaudium de veritate ) - ».513

Per descrivere questa comunione con Dio, vero oggetto della nostra speranza, Tommaso, normalmente così sobrio, diventa qui lirico e moltiplica i superlativi: Dio è « il bene di ogni bene » ( bonum omnis boni ); presso di lui si ottiene « il riposo totale e la perfetta sicurezza » ( piena quies et securitas ), « una pace assoluta » ( omnimoda pax ), « la calma di una pace perfetta » ( perfecta pacis tranquiilitas ), ecc.

Da ciò si dedurrà soprattutto che « l'inquietudine del desiderio terminerà a causa della colmante presenza del bene supremo e dell'assenza di ogni male ».

Se si fosse tentati di leggere questa descrizione da un punto di vista troppo intimista, Tommaso ci rinvierebbe a quanto egli ha detto in alcune pagine precedenti, a proposito del primo termine della preghiera del Signore: noi diciamo « Padre nostro » e non « Padre mio » proprio per esprimere il carattere comunitario della nostra vocazione cristiana.514

« L'amore di Dio [ per noi ] non è "privato" ma "comune" e si rivolge a tutti »; così pure, « noi non preghiamo "individualmente" ( singulariter ) ma con uno stesso cuore ( ex unanimi consensu ) ».

E d'altronde, « sebbene la nostra speranza si fondi principalmente sull'aiuto divino, noi siamo aiutati anche dai nostri fratelli nell'ottenere più facilmente ciò che chiediamo ».

A sostegno di questo carattere comunitario della preghiera cristiana Tommaso moltiplica le citazioni di autorità patristiche e scritturistiche per osservare in conclusione: « poiché la nostra speranza si rivolge a Dio mediante Cristo … il Figlio unigenito per mezzo del quale diventiamo figli adottivi », non possiamo rivendicare questa paternità di Dio soltanto per noi; ciò significherebbe usurpare un titolo che non ci appartiene esclusivamente.

D'altro canto, non è soltanto nella preghiera che appare questo senso della comunità; nella stessa beatitudine vi sarà posto per la gioia della comunione amicale.515

Qui però, anche se resta da dire poco, sfioriamo già la terza virtù teologale.

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500 Non potendo sfruttare qui questo suggerimento, rinviamo a S. PINCKAERS, La Prière chrétienne, Fribourg 1989.
501 II- II, q. 17, a. 2 arg. 2: « Petitio est spei interpretativa »; q. 17, a. 4 ad 3: « Petitio est interpretativa spei »; l'espressione non si trova nel Compendium, ma ne riassume perfettamente il senso.
502 II-II, q. 83, a. 1 ad 1 ( lo si sa, la q. 83 è il luogo in cui Tommaso tratta della preghiera di domanda nel quadro della virtù di religione con tutta l'ampiezza desiderata; con 17 artt., è la più lunga questione della Somma ); questa espressione si ritrova altrove: In oratjonem dominjcam, Prol., n. 1022; Super I ad Tim. 2, 1, lect. 1, n. 58; rinviamo anche al bel libro di L. MAIDL, Desiderii Interpres. Genese und Grundstruktur der Gebetst/eologje des Thomas von Aquin ( « Veròffentlichungen des Grabmann-Jnstjtutes 38 » ), Paderborn 1994; vedi pp. 193-204, per il legame tra preghiera e speranza.
503 Osserviamo questa menzione dell‟eredit eterna; se Tommaso ammette che si può chiedere a Dio tutto ciò che è lecito desiderare per una buona vita sulla terra, tuttavia è profondamente convinto che la beatitudine è il primo e principale oggetto di ogni preghiera.
Così quando si chiede, II-II, q. 83, a. 4: « Si deve pregare soltanto Dio? », egli risponde senza esitare: « Tutte le nostre preghiere devono essere finalizzate ad ottenere la grazia e la gloria, che soltanto Dio può darci ».
Questo legame della preghiera con la beatitudine a volte assume espressioni sconcertanti per noi; quando Tommaso si chiede se conviene agli animali pregare, risponde negativamente, « in quanto essi non partecipano alla vita eterna, che costituisce la richiesta principale della preghiera », Sent. IV, d. 15, q. 4, a. 6, qla. 3.
504 Compendiun theol. II, 4.
505 La citazione di Ef 5,1-2 è, d'altro canto, ripresa all'inizio del capitolo seguente: Compendium theol. II, 5, righe 3-4.
506 Cf. CH-A. BERNARD, Théologie de l'espérance, p. 151; la speranza come virtù teologale non si può trovare nei beati, cf. I-II, q. 67, a. 4; II-II, q. 18, a. 2; De spe, a. 4.
507 Compendium theol. II, 2; si sarà notato in questo testo il tema della familiaritas: l'uomo che prega diventa un familiare di Dio; qui siamo molto lontano dal Dio dei metafisici, ma tanto vicino a Colui che ci invita a condividere la sua amicizia mediante la virtù teologale di carità.
508 Tommaso insiste specialmente sulla fiducia generata dalla speranza nei capitoli 4 e 6 del Compendium.
509 Cf. Compendium theol. II, 8: affinché Dio sia amato e santificato è necessario che sia innanzitutto conosciuto, e Tommaso sviluppa qui un intero piccolo trattato della conoscenza di Dio, passando dalla conoscenza naturale alla rivelazione dell'Antico, e poi del Nuovo Testamento, andando così dal principo al termine ( ut id quod inchoatum est ad consummationem perueniat ); ciononostante, tra gli indizi che manifestano la santità di Dio, « quello più evidente è la santità degli uomini santificati per mezzo dell'inabitazione divina ».
510 Compendium theol. II, 9; questo lunghissimo capitolo ( più di 500 righe, 6 grandi pagine dell'edizione leonina ), forma in realtà un autentico piccolo trattato della beatitudine.
511 Super 2 Cor 1,21-22, lect. 5, n. 44-46; la stessa applicazione della dottrina della caparra allo Spirito Santo è ripresa in Super 2 Cor 5,5, lect. 2, n. 161, e nell‟Expositio in Symbolum, a. 8, n. 969.
512 Qui occorrerebbe un lungo capitolo per raccogliere l'insieme degli elementi che permetterebbero di tracciare le grandi linee dell'escatologia tomasiana; prescindendo dai punti polemici inutili, si troveranno alcuni elementi a tal riguardo in P. KÙNZLE, Thomas von Aquin und die moderne Eschatologie, FZPT 8 ( 1961 ) 109-120; a proposito di varie opere, vedi le riflessioni di M.-M.
LABOURDETTE, Espérance et bistoire, RT 72 ( 1972 ) 455-474, soprattutto le pagine finali riguardanti la speranza.
Più ampiamente, verrà ripreso soprattutto da M. SECKLER, Le salut et l'histoire, La pensée de saint Thomas d'Aquin sur la théologie de l'bistoire ( « Cogitatio fidei 21 » ), Paris 1967.
513 Compendium theol. II, 9, righe 385-409; il rinvio al testo delle Confessioni X, 23,33 indica ancora una volta un‟ispirazione agostiniana persistente.
514 Compendium theol. II, 5, da dove provengono le citazioni che seguono.
515 Cf. I-II, q. 4, a. 8.