Summa Teologica - II-II

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Articolo 2 - Se l'affabilità sia una parte [ potenziale ] della giustizia

Pare che l'affabilità non sia una parte [ potenziale ] della giustizia.

Infatti:

1. La giustizia ha il compito di rendere agli altri quanto è loro dovuto.

Invece l'amabilità non ha un tale compito, ma solo quello di convivere piacevolmente con gli altri.

Quindi l'amabilità non è una parte [ potenziale ] della giustizia.

2. Secondo il Filosofo [ Ethic. 4,6 ], questa virtù consiste « nel regolare le gioie e le amarezze della convivenza ».

Ma regolare i piaceri più grandi è compito della temperanza, come sopra [ I-II, q. 60, a. 5; q. 61, a. 3 ] si è visto.

Quindi l'amabilità è piuttosto parte della temperanza che della giustizia.

3. Trattare ugualmente esseri disuguali è contro la giustizia, stando alle cose già dette [ q. 61, a. 2; I, q. 65, a. 2, ad 3 ].

Ora questa virtù, come dice il Filosofo [ l. cit. ], « tratta allo stesso modo le persone sconosciute e quelle conosciute, i familiari e gli estranei ».

Perciò questa virtù non è una parte [ potenziale ] della giustizia, ma piuttosto un abito contrario.

In contrario:

Macrobio [ In somn. Scip. 1,8 ] mette l'amicizia tra le parti [ potenziali ] della giustizia.

Dimostrazione:

Questa virtù è una parte [ potenziale ] della giustizia in quanto si affianca ad essa come alla rispettiva virtù cardinale.

Essa infatti ha in comune con la giustizia il fatto di essere relativa ad altri.

Non adegua però la nozione di giustizia poiché il debito a cui si riferisce non è perfetto come il debito legale che obbliga verso gli altri secondo la costrizione della legge, e neppure come il debito che nasce dall'aver ricevuto un beneficio, ma si limita a soddisfare un debito di onestà, dovuto più alla persona virtuosa obbligata a renderlo che non a quanti ne sono l'oggetto, facendo sì che tale persona faccia agli altri ciò che conviene che essa faccia.

Analisi delle obiezioni:

1. Sopra [ q. 109, a. 3, ad 1 ] abbiamo detto che l'uomo, essendo un animale socievole, è moralmente tenuto a manifestare la verità agli altri, senza di che la società umana non potrebbe sussistere.

Ora, come l'uomo non può vivere in società senza veracità, così non può vivere senza soddisfazioni: poiché, come dice il Filosofo [ Ethic. 8,5 ], « nessuno può durare a lungo nella tristezza, e senza soddisfazioni ».

Quindi per un debito naturale di onestà l'uomo è tenuto a convivere in modo piacevole con gli altri: a meno che in certi casi per un motivo di vera utilità non sia necessario contristarli.

2. La temperanza ha il compito di tenere a freno i piaceri sensibili.

Invece questa virtù si interessa della gioia del convivere umano, la quale proviene dalla ragione, per il fatto che uno tratta l'altro in modo conveniente.

E questa gioia non è necessaria tenerla a freno, come se fosse dannosa.

3. Quelle parole del Filosofo non vanno intese nel senso che si sia tenuti a parlare e a trattare alla stessa maniera con le persone conosciute e con quelle sconosciute, poiché, come egli aggiunge [ Ethic. 4,6 ] « non è giusto curare o contristare allo stesso modo i familiari e gli estranei ».

Egli vuol solo dire che, proporzionalmente, si deve trattare ciascuno nella maniera che a lui conviene.

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