Summa Teologica - II-II

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Articolo 2 - Se la vita attiva sia più meritoria della contemplativa

In 3 Sent., d. 30, q. 1, a. 4, ad 2; d. 35, q. 1, a. 3, sol. 2; Quodl., 1, q. 7, a. 2; 3, q. 6, a. 3, ad 6

Pare che la vita attiva sia più meritoria della contemplativa.

Infatti:

1. Il merito dice rapporto alla mercede.

Ora, la mercede è dovuta al lavoro, secondo le parole di S. Paolo [ 1 Cor 3,8 ]: « Ciascuno riceverà la sua mercede secondo il proprio lavoro ».

Ma il lavoro è attribuito alla vita attiva, mentre alla contemplativa è attribuito il riposo: poiché, come scrive S. Gregorio [ In Ez hom. 14 ], « chi si volge a Dio prima deve sudare nel lavoro, cioè deve sposare Lia, per poter poi riposare tra le braccia di Rachele nella contemplazione di Dio ».

Quindi la vita attiva è più meritoria della contemplativa.

2. La vita contemplativa è come un preludio della felicità futura.

Infatti S. Agostino [ In Ioh. ev. tract. 124 ], a proposito di quel passo evangelico [ Gv 21,22 ]: « Se voglio che egli rimanga finché io venga », commenta: « In termini espliciti poteva dire così: Segua me l'opera perfetta formata sull'esempio della mia passione; rimanga invece fino a che io venga la contemplazione iniziale, per essere allora portata a compimento ».

E S. Gregorio [ l. cit. ] scrive che « la vita contemplativa inizia qui in terra per fiorire nella patria celeste ».

Ma nella vita futura non ci sarà da meritare, bensì da ricevere la ricompensa.

Perciò la vita contemplativa ha meno dell'attiva valore di merito, mentre ha più di essa valore di premio.

3. S. Gregorio [ In Ez 1, hom. 12 ] afferma che « nessun sacrificio è più accetto a Dio che lo zelo delle anime ».

Ma dallo zelo delle anime si è spinti alle occupazioni della vita attiva.

Quindi la vita contemplativa non è più meritoria di quella attiva.

In contrario:

S. Gregorio [ Mor. 6,37 ] ha scritto: « Grandi sono i meriti della vita attiva, ma quelli della vita contemplativa sono ancora più grandi ».

Dimostrazione:

Come si è visto sopra [ q. 83, a. 15; I-II, q. 114, a. 4 ], la radice del merito è la carità, che consiste nell'amore di Dio e del prossimo [ q. 25, a. 1 ].

Ora, amare Dio in se stesso è più meritorio che amare il prossimo.

Perciò quanto riguarda più direttamente l'amore di Dio è per sua natura più meritorio di ciò che riguarda direttamente l'amore del prossimo in ordine a Dio [ q. 27, a. 8 ].

Ma la vita contemplativa riguarda in modo diretto e immediato l'amore di Dio: S. Agostino [ De civ. Dei 19,19 ] infatti afferma che « la carità della verità » divina « cerca un santo riposo », a cui attende la vita contemplativa, come si è visto [ q. 180, a. 4; q. 181, a. 4, ad 2 ].

Invece la vita attiva è ordinata direttamente all'amore del prossimo: poiché « è tutta presa dai molti servizi », come dice il Vangelo [ Lc 10,40 ].

Quindi per la sua natura la vita contemplativa è più meritoria della vita attiva.

Ed è quanto dice S. Gregorio [ In Ez hom. 3 ]: « La vita contemplativa è più meritoria dell'attiva: poiché questa attende alle opere della vita presente », con le quali bisogna soccorrere il prossimo, « mentre quella pregusta interiormente il riposo futuro » nella contemplazione di Dio.

Può tuttavia capitare che si meriti maggiormente nelle opere della vita attiva che in quelle della vita contemplativa: p. es. nel caso in cui per la sovrabbondanza dell'amore di Dio, affinché si compia la sua volontà per la sua gloria, uno accetta di abbandonare momentaneamente la dolcezza della divina contemplazione.

Come l'Apostolo [ Rm 9,3 ] diceva: « Vorrei essere io stesso anàtema e separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli »; parole che il Crisostomo [ Ad Demetr. 1,7 ] così commenta: « L'amore di Cristo aveva così sommersa la sua anima che egli avrebbe abbandonato, per piacere a Cristo, quanto amava sopra ogni altra cosa, cioè di essere con Cristo ».

Analisi delle obiezioni:

1. Le opere esterne servono ad aumentare il premio accidentale, ma l'aumento del merito rispetto al premio essenziale consiste principalmente nella carità.

E un certo segno di quest'ultima è il lavoro esterno accettato per Cristo: tuttavia ne è un segno molto più esplicito il fatto che uno, abbandonato tutto ciò che appartiene alla vita presente, si diletti unicamente della contemplazione di Dio.

2. Nello stato della felicità futura l'uomo raggiunge la perfezione: per cui non c'è più modo di progredire nel merito.

Se però un modo ci fosse, il merito sarebbe ancora più efficace, data la maggiore carità.

Ma la contemplazione della vita presente è imperfetta, e quindi ha modo di meritare.

Per cui essa non toglie la possibilità del merito, ma anzi la aumenta, dato il maggiore esercizio della carità verso Dio.

3. Si offre un sacrificio spirituale quando si dona a Dio qualcosa.

Ora, fra tutti i beni dell'uomo Dio preferisce che gli si offra in sacrificio il bene dell'anima umana.

Ognuno però deve prima di tutto offrire la propria anima, secondo quelle parole [ Sir 30,24 Vg ]: « Abbi pietà della tua anima, rendendoti accetto a Dio »; in secondo luogo poi si devono offrire le anime degli altri, stando all'esortazione dell'Apocalisse [ Ap 22,17 ]: « Chi ascolta dica: Vieni ».

Ora, quanto più strettamente l'uomo unisce a Dio la propria anima, o quella altrui, tanto più accetto è il suo sacrificio.

Quindi è più accetto a Dio applicare la propria anima, o quella degli altri, alla contemplazione piuttosto che all'azione.

Perciò quando si dice che « nessun sacrificio è più accetto a Dio che lo zelo delle anime » non si vuole preferire il merito della vita attiva a quello della vita contemplativa, ma solo affermare che è più meritorio offrire a Dio la propria anima e quella altrui piuttosto che qualsiasi bene esterno.

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