Summa Teologica - II-II

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Articolo 15 - Se la preghiera sia meritoria

Supra, a. 7, ad 2; In 4 Sent., d. 15, q. 4, a. 7, sol. 2, 3

Pare che la preghiera non sia meritoria.

Infatti:

1. Qualsiasi merito deriva dalla grazia.

Ma la preghiera precede la grazia, poiché la grazia stessa viene impetrata dalla preghiera, stando a quelle parole del Vangelo [ Lc 11,13 ]: « Il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono ».

Quindi la preghiera non è un atto meritorio.

2. Se la preghiera merita qualcosa, meriterà soprattutto ciò che con essa si chiede.

Ma ciò non sempre viene meritato, poiché spesso non vengono esaudite neppure le preghiere dei santi: come S. Paolo [ cf. 2 Cor 12,7ss ] non fu esaudito quando chiese che gli fosse allontanato lo stimolo della carne.

Quindi la preghiera non è un atto meritorio.

3. La preghiera si appoggia soprattutto sulla fede, secondo l'esortazione di S. Giacomo [ Gc 1,6 ]: « Si domandi con fede, senza esitare ».

Ma la fede non basta per meritare: come è evidente nel caso di coloro che hanno la fede informe.

Quindi la preghiera non è un atto meritorio.

In contrario:

A proposito delle parole del Salmo [ Sal 35,13 ]: « Riecheggiava nel mio petto la mia preghiera », la Glossa [ interlin. ] commenta: « Anche se ad essi non giova, io però non sono defraudato della mia mercede ».

Ma la mercede non è dovuta che al merito.

Quindi la preghiera è meritoria.

Dimostrazione:

Come si è detto sopra [ a. 3 ], oltre all'effetto dovuto alla sua stessa presenza, consistente in un conforto spirituale, la preghiera comporta due virtù rispetto al futuro: la virtù di meritare e quella di impetrare.

La preghiera però, come anche qualsiasi atto virtuoso, ha la capacità di meritare in quanto procede dalla radice della carità, il cui oggetto proprio è il bene eterno, del quale meritiamo la fruizione.

Tuttavia la preghiera deriva dalla carità mediante la religione, di cui è un atto, come sopra [ a. 3 ] si è detto; ed è accompagnata da altre virtù richieste per la bontà della preghiera, cioè dall'umiltà e dalla fede.

Infatti alla religione spetta offrire a Dio la preghiera.

Alla carità va attribuito invece il desiderio di quanto la preghiera domanda.

La fede è poi richiesta nei riguardi di Dio che vogliamo pregare: nel senso cioè che dobbiamo credere di poter ottenere da lui ciò che domandiamo.

E anche l'umiltà è indispensabile in chi domanda, perché così egli viene a riconoscere la propria indigenza.

È necessaria finalmente anche la devozione: ma questa rientra nella religione, di cui costituisce il primo atto, richiesto da tutti gli atti successivi, come si è visto [ a. 3, ad 1; q. 82, aa. 1,2 ].

L'efficacia impetratoria deriva invece alla preghiera dalla grazia di Dio a cui ci rivolgiamo, e che inoltre ci invita a pregare.

Per cui S. Agostino [ Serm. 105 ] scriveva: « Non ci esorterebbe a pregare se non volesse concedere ».

E il Crisostomo [ cf. S. Tomm., Cat. aurea su Lc 18,1 ]: « Non nega mai i suoi benefici a chi prega colui che con la sua misericordia spinge a pregare senza interruzione ».

Analisi delle obiezioni:

1. La preghiera fatta senza la grazia santificante non è meritoria, come non lo è neppure alcun atto virtuoso.

Tuttavia la stessa preghiera che impetra la grazia santificante deriva da qualche altra grazia, cioè da un dono gratuito; poiché, come dice S. Agostino [ De persev. 23.63 ], anche il pregare è un certo « dono di Dio ».

2. Talvolta il merito della preghiera ha per oggetto una cosa diversa da ciò che si domanda: infatti il merito è ordinato principalmente alla beatitudine eterna, mentre la domanda fatta nella preghiera mira spesso direttamente ad altre cose, come risulta evidente da quanto si è detto [ a. 6 ].

Se quindi uno chiede per sé delle cose che non gli sono utili per la beatitudine, non le merita; anzi, talvolta chi desidera e chiede queste cose compromette il suo merito: come se uno chiede a Dio di poter compiere un peccato, il che equivale a pregare in modo non pio.

- Talora invece si tratta di cose non necessarie, ma neppure chiaramente contrarie alla salvezza eterna.

E allora, sebbene chi prega possa così meritare la vita eterna, tuttavia non merita di ottenere ciò che domanda.

Da cui le parole di S. Agostino [ Sent. Prosp. 213 ]: « Chi prega con fede per le necessità della vita presente, con uguale misericordia può essere esaudito e non esaudito.

Poiché il medico sa meglio del malato ciò che fa bene all'infermo ».

Per questo S. Paolo non fu esaudito quando chiese di essere liberato dallo stimolo della carne, perché appunto ciò non era conveniente.

Se invece quanto viene chiesto è utile alla beatitudine di chi prega, come elemento indispensabile per la sua salvezza, allora uno lo merita non soltanto pregando, ma anche facendo altre opere buone.

Per cui allora uno riceve infallibilmente quanto chiede, però al tempo debito: « infatti », come nota S. Agostino [ In Ioh. ev. tract. 102 ], « certe cose non vengono negate, ma vengono differite per essere concesse al momento opportuno ».

- Ciò tuttavia può essere impedito, se uno non persevera nella preghiera.

Per cui S. Basilio [ Const. monast. 1 ] scriveva: « Per questo domandi e non ottieni, perché domandi malamente, o con poca fede, o con leggerezza, oppure chiedendo cose che non ti giovano, o senza insistere ».

E siccome uno non può meritare ad altri a tutto rigore la vita eterna, come si è visto sopra [ I-II, q. 114, a. 6 ], di conseguenza non sempre uno può meritare in questo modo ad altri le cose che sono richieste per la vita eterna.

E a ciò è dovuto pure il fatto che non sempre viene esaudito chi prega per un altro, come sopra [ a. 7, ad 2,3 ] si è notato.

Perché dunque uno ottenga sempre ciò che domanda si richiede il concorso di queste quattro condizioni: che preghi per se stesso, che chieda cose necessarie alla salvezza e che lo faccia con pietà e con perseveranza.

3. La preghiera si fonda soprattutto sulla fede non per l'efficacia nel meritare, poiché in ciò si appoggia principalmente sulla carità, ma per l'efficacia nell'impetrare.

Poiché dalla fede l'uomo riceve la sicurezza della divina onnipotenza e misericordia, da cui la preghiera ottiene ciò che domanda.

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