Supplemento alla III parte

Indice

Articolo 5 - Se sia conveniente porre che le doti dell'anima sono tre: la visione, la dilezione e la fruizione

Pare che non sia conveniente porre che le doti dell'anima sono tre, cioè la visione, la dilezione e la fruizione.

Infatti:

1. L'anima si unisce a Dio con lo spirito, o mente, in cui c'è l'immagine della Trinità, secondo la memoria, l'intelligenza e la volontà [ Agost., De Trin. 15, cc. 21,23 ].

Ora, la dilezione spetta alla volontà e la visione all'intelligenza.

Quindi si deve assegnare qualcosa che corrisponda alla memoria: poiché la fruizione non appartiene alla memoria, ma piuttosto alla volontà.

2. Le doti della beatitudine si dice che corrispondono alle virtù con le quali ci uniamo a Dio in questa vita, ossia alla fede, alla speranza e alla carità, che hanno Dio stesso per oggetto [ cf. I-II, q. 62, aa. 1, 2 ].

Ora, la dilezione corrisponde alla carità e la visione alla fede.

Perciò si deve ammettere qualcosa che corrisponda alla speranza: poiché la fruizione spetta piuttosto alla carità.

3. Di Dio non possiamo fruire se non con la dilezione e la visione: diciamo infatti che noi abbiamo la fruizione di quelle cose che amiamo per se stesse, come spiega S. Agostino [ De doctr. christ. 1,4 ].

Quindi la fruizione come dote non va distinta dalla dilezione.

4. Per la perfezione della beatitudine si richiede la comprensione, come mostrano le parole di S. Paolo [ 1 Cor 9,24 ]: « Correte in modo da poter comprendere, o conseguire ».

Quindi si deve aggiungere una quarta dote.

5. S. Anselmo [ Eadm., De similitud. 48 ] scrive che alla beatitudine dell'anima appartengono: « la sapienza, l'amicizia, la concordia, il potere, l'onore, la sicurezza e il godimento ».

Da cui risulta che le doti predette non sono elencate convenientemente.

6. S. Agostino [ De civ. Dei 22,30 ] afferma che Dio in quella beatitudine « sarà visto senza fine, sarà amato senza sazietà, sarà lodato senza stanchezza ».

Quindi alle doti suddette va aggiunta la lode.

7. Boezio [ De consol. 3, pr. 10 ] elenca cinque requisiti per la beatitudine: la sufficienza, che è promessa dalle ricchezze; la giocondità, promessa dal piacere; la celebrità, promessa dalla fame; la sicurezza, promessa dalla potenza; il rispetto, promesso dalla dignità.

Sembra quindi che siano queste le doti da elencare, e non quelle sopra ricordate.

Dimostrazione:

Tutti ammettono comunemente che le doti dell'anima sono tre, però esse vengono elencate diversamente.

Alcuni infatti affermano che le tre doti dell'anima sono la visione, la dilezione e la fruizione; altri invece che sono la visione, la comprensione e la fruizione; altri infine che sono la visione, il godimento e la comprensione.

Però tutti questi elenchi si riducono alle stesse cose, ed è identico il numero assegnato.

Sopra [ a. 2 ] infatti si è detto che la dote è qualcosa di inerente all'anima per cui essa è ordinata a quell'operazione nella quale consiste la beatitudine.

Ora, in quest'ultima operazione si richiedono due cose: la sostanza stessa dell'atto, che è la visione, e la perfezione di esso, che è il godimento.

Infatti la beatitudine deve essere « un'operazione perfetta » [ Ethic. 1, cc. 7,13 ].

Ora, una visione può essere dilettevole in due modi: primo, dalla parte dell'oggetto, in quanto ciò che si vede è piacevole; secondo, dalla parte della visione, in quanto il vedere stesso è piacevole, per cui noi proviamo piacere anche nel conoscere il male, sebbene il male non ci piaccia.

Poiché dunque l'atto finale, in cui consiste l'ultima beatitudine, deve essere perfettissimo, si richiede che quella visione sia piacevole in tutti e due i sensi.

Ma affinché la visione stessa sia piacevole dalla parte della visione si richiede che essa sia divenuta connaturale a chi vede mediante qualche abito, mentre affinché sia piacevole dalla parte dell'oggetto si richiedono due cose, che cioè l'oggetto sia conforme, o conveniente, e che sia unito a chi vede.

Perché dunque la visione sia piacevole in quanto visione, si richiede l'abito che eserciti la funzione del vedere.

E così abbiamo la prima dote, che tutti chiamano visione.

- Invece dalla parte dell'oggetto visibile si richiedono due cose.

Innanzi tutto la convenienza o conformità, che si ha mediante l'affetto: e per questo alcuni assegnano come dote la dilezione e altri la fruizione, in quanto la fruizione appartiene all'affetto; poiché quanto prediligiamo o amiamo sommamente lo riteniamo convenientissimo.

- Inoltre dalla parte dell'oggetto si richiede anche l'unione [ col soggetto ].

E così alcuni parlano di comprensione, la quale non è altro che il possedere Dio come presente in se stessi; altri invece parlano di fruizione, in quanto la fruizione è il frutto non della speranza, come nella vita presente, ma della realtà posseduta, come nella patria beata.

In tal modo le tre doti corrispondono alle tre virtù teologali: la visione alla fede; la comprensione, o la fruizione secondo una delle spiegazioni, alla speranza; il godimento, o la fruizione secondo l'altra spiegazione, alla carità.

Infatti la fruizione perfetta, quale si avrà nella patria, include sia il godimento che la comprensione.

Per questo alcuni la confondono con l'uno e altri con l'altra.

Alcuni poi attribuiscono queste tre doti alle tre potenze dell'anima: la visione alla ragione, la dilezione al concupiscibile e la fruizione all'irascibile, in quanto tale fruizione è conquistata mediante una vittoria.

- Ma questo è un parlare improprio.

Poiché l'irascibile e il concupiscibile non sono nella parte intellettiva, ma in quella sensitiva [ cf. I, q. 81, a. 2; q. 82, a. 5 ], mentre le doti dell'anima sono nella mente [ o spirito ].

Analisi delle obiezioni:

1. La memoria e l'intelligenza non hanno che un'unica operazione: o perché l'intelligenza stessa è l'operazione della memoria; oppure, se per intelligenza si intende una facoltà, perché la memoria non entra in azione se non mediante l'intelligenza, dato che alla memoria spetta solo di conservare le nozioni.

Infatti alla memoria e all'intelligenza non corrisponde che un unico abito, cioè il sapere.

Perciò all'una e all'altra corrisponde una dote soltanto, cioè la visione.

2. La fruizione corrisponde alla speranza in quanto include la comprensione, che succederà appunto alla speranza.

Infatti ciò che è sperato non è ancora posseduto: per cui la speranza dà una certa tristezza, per la lontananza dell'amato.

E così nella patria essa viene a cessare, mentre viene a succedere la comprensione.

3. La fruizione in quanto include la comprensione si distingue sia dalla visione che dalla dilezione: però diversamente da come la dilezione si distingue dalla visione.

Poiché la dilezione e la visione indicano abiti diversi, di cui uno appartiene all'intelletto e l'altro alla volontà.

La comprensione invece, o la fruizione in quanto sta per la comprensione, non implica un abito distinto dai due precedenti, ma l'eliminazione di quegli impedimenti dai quali risultava che l'anima non poteva unirsi a Dio come a un oggetto presente.

Il che avviene per il fatto che l'abito stesso della gloria libera l'anima da ogni difetto: ad es. rendendola capace di conoscere senza i fantasmi, di dominare pienamente sul corpo e di altre cose simili, che escludono tutti quegli ostacoli per i quali adesso noi « siamo in esilio lontano dal Signore » [ 2 Cor 5,6 ].

4. La obiezioni è risolta in base alle cose già dette [ nel corpo ].

5. Propriamente le doti sono i princìpi immediati di quell'operazione costitutiva della perfetta beatitudine nella quale l'anima si unisce a Cristo.

Non così invece le perfezioni elencate da S. Anselmo, che invece in qualche modo accompagnano o seguono la beatitudine, non solo in rapporto allo sposo, al quale tra le cose enumerate appartiene solo la sapienza, ma anche in rapporto agli altri.

In rapporto agli uguali, a cui si riferisce l'amicizia quanto all'unione degli affetti, e la concordia quanto all'accordo nell'operare.

In rapporto agli inferiori, a cui si riferisce il potere quanto alla facoltà che i superiori hanno di disporre degli inferiori, e l'onore quanto all'ossequio che gli inferiori prestano ai superiori.

E anche in rapporto a se stessi: poiché a ciò si riferisce la sicurezza con l'eliminazione del male, e il godimento con il conseguimento del bene.

6. La lode, che S. Agostino mette al terzo posto fra le cose che ci saranno nella patria, non è una disposizione alla beatitudine, ma una sua conseguenza: dal momento infatti che l'anima si unisce a Dio, nel che consiste la beatitudine, segue che prorompa nella lode.

Perciò la lode non ha l'aspetto di dote.

7. Le cinque cose enumerate da Boezio sono certe condizioni della beatitudine, e non delle disposizioni all'atto della beatitudine.

Poiché la beatitudine, data la sua perfezione, possiede da sola e per se stessa tutto ciò che gli uomini cercano nelle diverse cose, come spiega ripetutamente il Filosofo [ Ethic. 1,7; 10, cc. 7,8 ].

E in base a ciò Boezio dimostra che nella vera beatitudine ci devono essere quelle cinque cose inquantoché esse sono cercate dagli uomini nella felicità temporale.

Esse infatti o rientrano nell'immunità dal male, come la sicurezza, oppure nel conseguimento del bene: del bene conveniente, nel caso della giocondità, o di quello perfetto, nel caso della sufficienza; oppure rientrano tra le manifestazioni del bene: come la celebrità, quando il bene di un individuo viene a conoscenza di molti, o il rispetto, quando vengono prestati i segni di tale conoscenza o di tale bene; il rispetto infatti consiste nel rendere onore, il che è una testimonianza resa alla virtù.

Perciò è evidente che queste cinque cose non vanno considerate doti, ma condizioni della beatitudine.

Indice