Supplemento alla III parte

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Articolo 6 - Se l'aureola sia dovuta ai martiri

Pare che l'aureola non sia dovuta ai martiri.

Infatti:

1. L'aureola è un premio dato alle opere supererogatorie, per cui S. Beda [ De tabernac. et vasis eius 1,6 ], a commento di quel testo dell'Esodo [ Es 25,25 ]: « Farai un'altra corona », ecc., afferma: « Ciò può essere applicato al premio di coloro che ai precetti comuni per tutti aggiungono spontaneamente le pratiche di una vita più perfetta ».

Ora, morire per confessare la fede spesso è un'opera necessaria e non supererogatoria, come risulta da quelle parole di S. Paolo [ Rm 10,10 ]: « Con il cuore si crede per ottenere la giustizia, ma con la bocca si fa la professione di fede per raggiungere la salvezza ».

Quindi al martirio non sempre è dovuta l'aureola.

2. Secondo S. Gregorio [ Decr. di Graz. 2,23,6, app. can. 4 ], « quanto più i servizi sono liberi, tanto più sono graditi ».

Ora, il martirio presenta il minimo di libertà, essendo una pena inflitta da altri.

Perciò al martirio non è dovuta l'aureola, che corrisponde a un merito eccellente.

3. Il martirio si ha non soltanto nell'accettazione esterna della morte, ma anche nell'atto interiore della volontà.

Infatti S. Bernardo [ Sermo in nat. SS. Innoc. ] distingue tre generi di martiri: con la volontà ma non con la morte, come S. Giovanni; con la volontà e con la morte, come S. Stefano; con la morte ma non con la volontà, come i Santi Innocenti.

Se quindi al martirio fosse dovuta l'aureola, essa spetterebbe soprattutto al martirio di volontà, poiché il merito procede dalla volontà.

Ma questo nessuno lo sostiene.

Quindi al martirio non è dovuta l'aureola.

4. L'afflizione del corpo è meno grave di quella dello spirito, che è provocata dalle sofferenze interiori e dalle passioni dell'anima.

Ma l'afflizione interiore è anch'essa un martirio, come accenna S. Girolamo nel discorso sull'Assunzione [ di Maria ]: « Io posso dire con ragione che la Vergine madre di Dio fu martire, sebbene abbia finito in pace la sua vita.

Poiché "la sua anima fu trapassata da una spada" », ossia dal dolore per la morte del Figlio.

Non essendo quindi l'aureola conferita per il dolore interiore, essa non va conferita neppure per quello esteriore.

5. Anche la penitenza è una specie di martirio, stando a quelle parole di S. Gregorio [ In Evang. hom. 3 ]: « Sebbene manchi l'occasione della persecuzione, anche la nostra pace ha tuttavia il suo martirio: pur senza offrire infatti il collo alla spada, noi uccidiamo tuttavia nella nostra anima con la spada dello spirito i desideri della carne ».

Ora, alla penitenza che si concreta in atti esterni non è dovuta l'aureola.

Quindi questa non è dovuta neppure al martirio esteriore.

6. L'aureola non può essere dovuta a un atto illecito.

Ora, come spiega S. Agostino [ De civ. Dei 1, cc. 17,20,26 ], a nessuno è lecito suicidarsi.

E tuttavia nella Chiesa sono stati esaltati dei martiri che si sono dati la morte per sfuggire alla crudeltà dei tiranni, come è riferito [ da Eusebio ] nella Storia Ecclesiastica [ 8,12 ] a proposito di alcune donne di Alessandria.

Perciò non sempre al martirio è dovuta l'aureola.

7. Talora capita che uno venga ferito per la fede, ma che poi sopravviva per un certo tempo.

Ora, è evidente che costui è un martire.

Tuttavia non sembra che gli spetti l'aureola, poiché il suo combattimento non è durato fino alla morte.

Quindi al martirio non sempre è dovuta l'aureola.

8. Alcuni soffrono di più per la perdita dei beni temporali che per le sofferenze del proprio corpo: e lo dimostra il fatto che affrontano molti disagi per l'acquisto delle ricchezze.

Se quindi costoro perdono per Cristo i beni temporali, sembra che siano dei martiri.

E tuttavia non sembra che sia loro dovuta l'aureola.

Da cui la conclusione precedente.

9. Sembra che sia martire soltanto colui che viene ucciso per la fede.

Da cui le parole di S. Isidoro [ Etymol. 7,11 ]: « Il termine greco "martiri" in latino suona "testimoni", poiché costoro hanno sofferto per dare testimonianza a Cristo, e hanno combattuto per la verità fino alla morte ».

Ora, ci sono delle virtù che sono superiori alla fede, come ad es. la giustizia, la carità e altre virtù del genere, che non possono sussistere senza la grazia.

Eppure a queste non è dovuta l'aureola.

Quindi l'aureola non è dovuta al martirio.

10. Viene da Dio non solo la verità della fede, ma anche ogni altra verità: poiché, come dice S. Ambrogio [ Ambrosiaster, In 1 Cor, su 12,3 ], « ogni verità, da chiunque sia affermata, viene dallo Spirito Santo ».

Se quindi a chi affronta la morte per una verità di fede è dovuta l'aureola, analogamente essa sarà dovuta anche a coloro che la affrontano per qualsiasi verità.

Ma ciò non sembra ammissibile.

11. Il bene comune è superiore al bene particolare [ Ethic. 1,2 ].

Ma se uno muore in una guerra giusta per la difesa dello stato non ha diritto all'aureola.

Quindi non ha diritto ad essa neppure se viene ucciso per la conservazione della fede in se stesso.

Quindi al martirio non è dovuta l'aureola.

12. Qualsiasi merito deriva dal libero arbitrio.

Ora, la Chiesa celebra il martirio di alcuni che non ebbero il libero arbitrio.

Quindi costoro non hanno meritato l'aureola.

Quindi l'aureola non è dovuta a tutti i martiri.

In contrario:

1. S. Agostino [ De sancta Virginit. 46 ] afferma: « Per quanto io sappia, nessuno ha osato preferire la verginità al martirio ».

Ma alla verginità è dovuta l'aureola.

Quindi anche al martirio.

2. La corona è dovuta a chi combatte.

Ora, nel martirio c'è un combattimento di particolare obiezione.

Quindi spetta ad esso un'aureola speciale.

Dimostrazione:

Come lo spirito lotta contro le concupiscenze interiori, così l'uomo deve lottare contro le passioni che premono dall'esterno.

Come quindi alla vittoria più perfetta con la quale si trionfa delle concupiscenze carnali è dovuta una corona speciale chiamata aureola, così questa è dovuta anche alla vittoria più perfetta che si ha contro le impugnazioni dall'esterno.

Ora, per determinare la vittoria più perfetta sulle passioni esteriori si devono considerare due cose.

Primo, la gravità della passione.

Ma fra tutte le passioni che affliggono dall'esterno occupa il primo posto la morte, come anche fra le passioni interiori occupa tale posto la concupiscenza dei piaceri sessuali.

Così dunque quando uno riporta la vittoria sulla morte e sui supplizi che la preparano, ottiene la vittoria più perfetta.

- Secondo, questa perfezione della vittoria dipende dal motivo del combattimento: cioè dal fatto che si combatte per la causa più nobile, che è Cristo medesimo.

Ora, queste due cose si riscontrano nel martirio, cioè la morte e la sua accettazione per Cristo: infatti « non è la pena che fa il martire, ma la causa » [ Agost., Enarr. in Ps. 35, serm. 2 ].

Perciò al martirio è dovuta l'aureola come anche alla verginità.

Analisi delle obiezioni:

1. Subire la morte per Cristo è di per sé un'opera supererogatoria: non tutti infatti sono tenuti a confessare la fede dinanzi al persecutore.

Ma in qualche caso ciò è necessario per la salvezza: quando cioè uno è catturato dal persecutore, e interrogato sulla sua fede è tenuto a confessarla.

Da ciò non segue tuttavia che non meriti l'aureola.

Poiché questa è dovuta all'opera non in quanto supererogatoria, ma in quanto singolarmente perfetta.

Restando quindi tale perfezione, uno merita l'aureola anche se cessa l'aspetto supererogatorio.

2. Al martirio è dovuto un premio non in quanto esso è inflitto dall'esterno, ma in quanto viene subìto volontariamente: poiché noi non possiamo meritare se non con gli atti che sono in noi.

E più la cosa subìta volontariamente è difficile, e quindi più ripugnante alla volontà, tanto maggiormente la volontà che la subisce per amore di Cristo si mostra ferma nell'adesione a Cristo.

Quindi le è dovuto un premio più grande.

3. Ci sono degli atti esterni che proprio in quanto tali presentano una particolare violenza nel piacere o nella obiezioni.

Ora, in questi casi l'atto esterno fa aumentare sempre o il merito o il demerito, in quanto nell'atto la volontà subisce una variazione, per la violenza dell'atto.

Perciò, a parità di condizioni, chi compie un atto di lussuria commette un peccato più grave di chi vi acconsente solo con la volontà: poiché nell'atto stesso la volontà si intensifica.

Parimenti, poiché l'atto esterno del martirio presenta la più grave obiezioni, volere il martirio non raggiunge quel merito che è dovuto all'atto del martirio a motivo della sua obiezioni.

Sebbene tale volere possa raggiungere anche un premio più alto in base alla radice del merito: poiché uno potrebbe desiderare di subire il martirio con una carità più grande di un altro che lo subisce [ effettivamente ].

Perciò chi è martire di volontà o di desiderio può meritare col suo volere un premio essenziale uguale o maggiore a quello dovuto a un martire.

Ma l'aureola è dovuta alla obiezioni che viene sperimentata nella lotta stessa del martirio.

E così l'aureola non è dovuta a coloro che sono martiri solo con il desiderio.

4. Come i piaceri del tatto, che sono l'oggetto della temperanza, occupano il primo posto fra tutti i piaceri sia interni che esterni, così i dolori del tatto superano tutti gli altri dolori.

Perciò alla obiezioni che si incontra nel sopportare i dolori del tatto, come le percosse e altre pene consimili, è dovuta l'aureola più che alla obiezioni che si prova nel sopportare i dolori interiori.

Per questi ultimi poi uno non può essere denominato martire in senso proprio, ma solo secondo una certa somiglianza.

Ed è in questo senso che si esprime S. Girolamo.

5. Le afflizioni della penitenza, propriamente parlando, non sono un martirio, poiché non si tratta di tormenti ordinati a dare la morte, ma solo di mortificazioni ordinate a domare la carne: per cui se uno passa questa misura le sue penitenze sono colpevoli.

Vengono tuttavia dette martirio per un certa somiglianza.

Ora, tali afflizioni superano il martirio per la durata, ma sono da esso superate nell'intensità.

6. Come spiega S. Agostino [ De civ. Dei 1, cc. 17,20,26 ], non è lecito ad alcuno suicidarsi per nessun motivo; a meno forse che ciò non venga fatto per ispirazione divina quale esempio di fortezza, per far disprezzare la morte [ De civ. Dei 1, cc. 26 ].

Ora, nei casi accennati nell'obiezione si crede che il suicidio di quei santi sia stato compiuto per ispirazione divina.

Per questo la Chiesa commemora il loro martirio.

7. Se uno riceve per la fede una ferita mortale e non muore subito, non c'è dubbio che merita l'aureola: come è evidente nel caso di S. Cecilia, che sopravvisse tre giorni, e di molti martiri, che morirono in carcere.

- Ma anche se la ferita non è mortale, e tuttavia per essa uno incorre nella morte, c'è da credere che meriti l'aureola, sebbene alcuni dicano che non la meriti qualora la morte dipenda dalla propria incuria o negligenza.

Infatti tale negligenza non l'avrebbe portato alla morte senza la ferita precedente, ricevuta per la fede: cosicché la ferita suddetta rimane l'occasione prima della morte.

Per cui non sembra che uno perda l'aureola, a meno che la negligenza non sia tanto grave da costituire un peccato mortale, che toglie insieme la corona e l'aureola.

- Se invece in seguito a una ferita mortale uno non muore, per qualche circostanza fortuita; oppure, anche se riceve delle ferite non mortali, tuttavia muore in carcere, merita ancora l'aureola.

Per cui nella Chiesa viene celebrato il martirio di alcuni santi che morirono in carcere avendo ricevuto delle ferite molto tempo prima: come nel caso di S. Marcello papa.

Perciò in qualsiasi modo la sofferenza per Cristo venga continuata fino alla morte, sia che questa segua immediatamente oppure no, uno è costituito martire e merita l'aureola.

Se invece la violenza non dura sino alla morte, uno non può in base a ciò essere detto martire, come è evidente nel caso di S. Silvestro, che la Chiesa non celebra come martire poiché finì la vita in pace, pur avendo in precedenza sofferto dei tormenti.

8. Come la temperanza non riguarda i piaceri procurati dalle ricchezze, dagli onori e da altre cose del genere, ma solo i piaceri del tatto, che sono i principali [ cf. II-II, q. 141, a. 4 ], così la fortezza riguarda i pericoli di morte, che sono appunto i principali, come si legge in Aristotele [ Ethic. 3,6 ].

Perciò l'aureola è dovuta solo alle ingiurie che colpiscono il proprio corpo, e a cui è solita seguire la morte.

Se uno quindi viene a perdere per Cristo i beni temporali, o la fama, o altre cose del genere, non per questo diventa propriamente un martire, né merita l'aureola.

D'altra parte uno non può amare onestamente i beni esterni più del proprio corpo.

Ora, l'amore disordinato non contribuisce al merito dell'aureola.

Né il dolore per la perdita dei beni materiali è paragonabile al dolore causato dall'uccisione del corpo, o da sofferenze analoghe.

9. La causa adeguata del martirio non è soltanto la confessione della fede, ma qualsiasi altra virtù, non politica ma infusa, che abbia Cristo come fine.

Infatti uno può divenire testimone di Cristo con qualsiasi atto di virtù, poiché le opere che Cristo compie in noi sono la testimonianza della sua bontà.

Ed è così che alcune vergini furono uccise per la verginità che esse volevano conservare: come S. Agnese e alcune altre, di cui la Chiesa celebra il martirio.

10. La verità della fede ha Cristo come fine e come oggetto.

Per questo la sua confessione merita l'aureola, qualora ne segua un castigo, non solo dalla parte del fine, ma anche dalla parte della materia.

La confessione invece di qualunque altra verità non può essere una causa sufficiente per il martirio a motivo della materia, ma solo a motivo del fine: qualora uno, cioè, preferisse essere ucciso per Cristo piuttosto che peccare contro di lui dicendo una menzogna.

11. Il bene increato sorpassa tutto il bene creato.

Quindi qualsiasi fine creato, sia che si tratti del bene comune, sia che si tratti di quello privato, non può offrire all'atto tanta bontà quanto il fine increato, quando cioè uno agisce per Dio.

Perciò quando uno subisce la morte per il bene comune senza riferimento a Cristo, non merita l'aureola.

Se invece riferisce ciò a Cristo, allora merita l'aureola ed è martire: come quando ad es. uno subisce la morte nel difendere lo stato dall'assalto di nemici che si propongono di distruggere la fede di Cristo.

12. Alcuni hanno affermato che nei bambini innocenti uccisi per Cristo per virtù divina fu anticipato l'uso della ragione: come avvenne anche nel caso di S. Giovanni Battista mentre era ancora nel seno materno.

E in questo modo essi furono dei veri martiri, sia con l'atto esterno che con la volontà, e hanno quindi l'aureola.

Altri invece affermano che essi furono martiri solo per l'atto esterno, non per la volontà: e questa sembra l'opinione di S. Bernardo, il quale distingue tre generi di martirio, come si è già notato [ ob. 3 ].

Così dunque, come gli innocenti non raggiungono la perfezione del vero martirio, ma ne partecipano qualche aspetto per il fatto che hanno sofferto per Cristo, così sono anche in possesso dell'aureola non in modo perfetto, ma per una certa partecipazione: cioè in quanto godono di essere stati uccisi in ossequio a Cristo, analogamente a quanto si è detto sopra [ a. 5 ] per i bambini battezzati, i quali godono della propria innocenza e della propria integrità.

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