Supplemento alla III parte

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Articolo 3 - Se i dannati mediante un atto retto e deliberato della ragione possano volere non esistere

Pare che i dannati mediante un atto retto e deliberato della ragione non possano volere non esistere.

Infatti:

1. S. Agostino [ De lib. arb. 3,7.20 ] ha scritto: « Considera che gran bene è l'essere, il quale è voluto dai beati e dai miseri »: infatti esistere, anche se miseri, è più che non esistere in alcun modo.

2. Nel medesimo libro [ De lib. arb. 3,8.22 ] il Santo così argomenta.

La preferenza presuppone una scelta.

Ora, il non essere non è materia di scelta: poiché non ha un aspetto di bene, essendo nulla.

Quindi il non esistere non può essere per i dannati più appetibile dell'esistere.

3. Più il male è grave e più deve essere fuggito.

Ora, la non esistenza è il massimo dei mali, poiché toglie radicalmente ogni bene, non lasciando più nulla.

Quindi la non esistenza va fuggita più di un'esistenza infelice.

Perciò vale la conclusione precedente.

In contrario:

1. Nell'Apocalisse [ Ap 9,6 ] si legge: « In quei giorni gli uomini cercheranno la morte, ma non la troveranno ».

2. La miseria dei dannati supera ogni miseria di questo mondo.

Ma per fuggire la miseria di questo mondo per alcuni è desiderabile la morte, per cui si legge [ Sir 41,2 ]: « O morte, è gradita la tua sentenza all'uomo indigente e privo di forze, al vecchio decrepito e preoccupato di tutto, al ribelle che ha perduto la sapienza ».

Quindi molto più è desiderabile non esistere per i dannati, secondo un atto deliberato della ragione.

Dimostrazione:

La non esistenza può essere considerata sotto due aspetti.

Primo, in se stessa.

E da questo lato non è desiderabile, non avendo essa alcun aspetto di bene, ma essendo pura privazione del bene.

- Secondo, può essere considerata quale eliminazione di una vita penosa, o di qualche sciagura.

E da questo lato la non esistenza ha un aspetto di bene: infatti « la privazione di un male è un certo bene », come dice il Filosofo [ Ethic. 5,1 ].

Da questo punto di vista dunque per i dannati è meglio non esistere che esistere miseramente.

Da cui le parole evangeliche [ Mt 26,24 ]: « Sarebbe stato meglio per lui non essere mai nato »; e a commento di quel testo di Geremia [ Ger 20,14 ]: « Maledetto il giorno in cui nacqui », ecc., la Glossa [ ord. di Gir. ] scrive: « È meglio non esistere che esistere malamente ».

E da questo punto di vista i dannati possono preferire di non esistere, con un atto deliberato della ragione.

Analisi delle obiezioni:

1. Le parole di S. Agostino vanno intese nel senso che la non esistenza non è eleggibile per se stessa, ma solo per accidens, in quanto termine di uno stato di miseria.

Infatti l'affermazione che l'essere e il vivere sono desiderati per natura da tutti non va intesa in riferimento a una vita miserabile, fatiscente e piena di sofferenze, ma in senso assoluto, come spiega il Filosofo [ Ethic. 9,9 ].

2. La non esistenza non è eleggibile per se stessa e direttamente, ma può esserlo indirettamente, come si è spiegato [ ad 1 ].

3. Sebbene la non esistenza sia il supremo dei mali, in quanto toglie l'esistenza, è tuttavia un grande bene in quanto toglie la miseria, che è il supremo dei mali.

E così può essere desiderabile.

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