Appendici al supplemento della III parte

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Articolo 1 - Se dopo questa vita ci sia un purgatorio

Pare che dopo questa vita non ci sia un purgatorio.

Infatti:

1. Nell'Apocalisse [ Ap 14,13 ] si legge: « Beati i morti che muoiono nel Signore.

Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche ».

Così dunque per quelli che muoiono nel Signore non rimane da compiere alcuna opera di purgazione dopo la vita presente.

E neppure rimane per quelli che non muoiono nel Signore: poiché questi non possono purificarsi.

Quindi dopo la vita presente non c'è un purgatorio.

2. La carità sta al premio eterno come il peccato mortale sta alla pena eterna.

Ora, coloro che muoiono in peccato mortale sono colpiti immediatamente dalla pena eterna.

Perciò coloro che muoiono nella carità sono subito ammessi al premio eterno.

Quindi per essi non c'è un purgatorio dopo questa vita.

3. Dio, che è sommamente misericordioso, è più incline a premiare il bene che a punire il male.

Ora, come coloro che vivono nella carità possono compiere del male che non è degno della pena eterna, così coloro che sono in peccato mortale talora fanno oggettivamente del bene, che però non è degno del premio eterno.

Perciò come questo bene non viene premiato nei dannati dopo la vita presente, così dopo questa vita non deve essere punito neppure il male suddetto.

Da cui la conclusione precedente.

In contrario:

1. Nel libro dei Maccabei [ 2 Mac 12,46 Vg ] si legge: « Santo e salutare è il pensiero di pregare per i morti, affinché siano liberati dai loro peccati ».

Ma per i defunti che sono in paradiso non si deve pregare, poiché essi non hanno bisogno di nulla.

E neppure si può pregare per quelli che sono all'inferno, poiché questi non possono essere liberati dai loro peccati.

Perciò dopo questa vita ci sono alcuni non ancora liberati dai peccati, ma capaci di esserne liberati.

E costoro hanno la carità, senza la quale non c'è remissione dei peccati: poiché, come dicono i Proverbi [ Pr 10,12 ], « l'amore ricopre ogni colpa ».

Quindi essi non sono destinati alla morte eterna: poiché, come dice il Signore [ Gv 11,26 ], « chi vive e crede in me non morirà in eterno ».

Essi però non verranno introdotti nella gloria se non purificati: poiché nulla di impuro vi può giungere, come risulta dall'Apocalisse [ Ap 21,27 ].

Quindi non resta che compiere un purgatorio dopo la vita presente.

2. S. Gregorio Nisseno [ Orat. de mortuis ] ha scritto: « Se uno, in rapporto di amicizia con Cristo, non può in questa vita purificarsi del tutto dai suoi peccati, potrà farlo dopo la morte mediante il fuoco del purgatorio ».

Quindi dopo la vita presente rimane ancora un'eventuale purificazione.

Dimostrazione:

In base a quanto si è spiegato sopra [ III, q. 86, a. 4 ], risulta già a sufficienza che dopo questa vita ci deve essere un purgatorio.

Se è vero infatti che la contrizione cancella la colpa, tuttavia non [ sempre ] viene eliminato del tutto il reato o debito della pena; inoltre con la cancellazione dei peccati mortali non sempre viene compiuta anche quella dei veniali, e d'altra parte la giustizia di Dio esige che ogni peccato venga ricondotto all'ordine dalla debita pena.

Perciò è necessario che chi muore dopo essersi pentito dei peccati e dopo l'assoluzione, prima però della dovuta soddisfazione, venga punito dopo la vita presente.

Perciò coloro che negano il purgatorio parlano contro la divina giustizia.

Quindi la loro opinione è erronea e contraria alla fede.

Da cui le altre parole di S. Gregorio Nisseno [ cf. s. c. 2 ]: « Questo noi predichiamo per custodire il dogma della verità, e così crediamo ».

Ciò inoltre è ritenuto dalla Chiesa universale, la quale « prega per i morti affinché siano liberati dai loro peccati » [ cf. s. c. 1 ]: il che non può intendersi se non di coloro che sono in purgatorio.

Ora, chi si oppone all'autorità della Chiesa cade nell'eresia.

Analisi delle obiezioni:

1. Quel testo intende escludere la fatica delle opere meritorie, non già quella della sofferenza purificatrice.

2. Il male non esige una causa perfetta, ma « è dovuto ai singoli difetti »; « il bene », invece, « deriva da una causa perfetta », come insegna Dionigi [ De div. nom. 4,30 ].

Perciò ogni singolo difetto impedisce la perfezione del bene, mentre non è detto che ogni singolo bene impedisca una certa completezza del male: poiché il male non è mai privo di qualche bene.

Quindi un peccato veniale impedisce a chi possiede la carità di giungere al bene perfetto, che è la vita eterna, fino a che non venga espiato.

Invece un peccato mortale non trova ostacoli nel condurre al supremo dei mali in seguito all'eventuale presenza di qualche bene.

3. Chi commette un peccato mortale uccide tutte le opere buone compiute in precedenza; e quelle compiute in peccato mortale sono opere morte: poiché offendendo Dio uno merita di perdere tutto il bene da Dio ricevuto.

Perciò a chi muore in peccato mortale non rimane alcun premio dopo questa vita, mentre talora a chi muore nella carità può rimanere una pena: poiché la carità non sempre elimina tutto il male che trova, ma solo quello che è incompatibile con essa.

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