Codice dei Canoni delle Chiese Orientali

Indice

Titolo XII - I Monaci e tutti gli altri Religiosi e i membri degli altri istituti dei vita consacrata

Capitolo I - I Monaci e tutti gli altri Religiosi

Art. - I Canoni generali

Can. 410

Lo stato religioso è un modo stabile di vivere in comune in un istituto approvato dalla Chiesa, nel quale i fedeli cristiani, seguendo più da vicino Cristo, Maestro ed Esempio di Santità, sotto l'azione dello Spirito Santo, con nuovo e speciale titolo sono consacrati per mezzo dei voti pubblici di obbedienza, castità e povertà da osservare sotto un legittimo Superiore a norma degli statuti, rinunciano al secolo e si dedicano totalmente a conseguire la perfezione della carità al servizio del Regno di Dio per l'edificazione della Chiesa e la salvezza del mondo, come segni che preannunciano la gloria celeste.

Can. 411

Lo stato religioso dev'essere sostenuto e promosso da tutti.

1° Dipendenza dei religiosi dal Vescovo eparchiale, dal Patriarca, dalla Sede Apostolica

Can. 412

§1. Tutti i religiosi sono soggetti al Romano Pontefice come loro supremo Superiore e sono obbligati a mettersi ai suoi ordini anche in forza del voto di obbedienza.

§2. Per provvedere meglio al bene degli istituti e alle necessità dell'apostolato, il Romano Pontefice, in ragione del suo primato sulla Chiesa universale e in vista della comune utilità, può esimere dal governo del Vescovo eparchiale gli istituti di vita consacrata e sottoporli solamente a se stesso o ad altra autorità ecclesiatica.

Can. 413

Per quanto riguarda il governo interno e la disciplina religiosa, gli istituti religiosi, se non è disposto diversamente dal diritto, se sono di diritto pontificio, sono soggetti immediatamente ed esclusivamente alla Sede Apostolica; se invece sono di diritto patriarcale o eparchiale, sono soggetti immediatamente al Patriarca o al Vescovo eparchiale, fermo restando il can. 418, §2.

Can. 414

§1. Per quanto riguarda i monasteri e le congregazioni di diritto eparchiale, compete al Vescovo eparchiale:

1° approvare i tipici dei monasteri e gli statuti delle congregazioni, come pure i cambiamenti in essi introdotti a norma di diritto, salvo restando quanto è stato approvato dall'autorità superiore;

2° dare dispense dagli stessi tipici o dagli statuti che eccedono la potestà dei Superiori religiosi e che sono legittimamente richieste a lui stesso nei singoli casi e per modo di atto;

3° visitare i monasteri, anche quelli dipendenti, e le singole case delle congregazioni che sono nel suo territorio ogniqualvolta vi compie la visita canonica, oppure ogni volta che ragioni veramente speciali a suo giudizio lo consigliano.

§2. Questi diritti competono al Patriarca nei confronti degli ordini e congregazioni di diritto patriarcale che hanno la casa principale entro i confini del territorio della Chiesa a cui presiede; in caso diverso gli stessi diritti, nei riguardi di tutti gli ordini come pure dei monasteri e delle congregazioni che non sono di diritto eparchiale, competono solo alla Sede Apostolica.

§3. Se una congregazione di diritto eparchiale si propaga ad altre eparchie, non si può validamente cambiare nulla negli stessi statuti se non col consenso del Vescovo eparchiale dell'eparchia nella quale ha sede la casa principale, dopo aver consultato però i Vescovi eparchiali nelle cui eparchie sono situate tutte le altre case.

Can. 415

§1. Tutti i religiosi sono soggetti alla potestà del Gerarca del luogo nelle cose che riguardano la celebrazione pubblica del culto divino, la predicazione della parola di Dio fatta al popolo, l'educazione religiosa e morale dei fedeli cristiani, specialmente dei fanciulli, l'istruzione catechistica e liturgica, il decoro dello stato clericale, nonché le varie opere per ciò che si riferisce all'apostolato.

§2. È diritto e dovere del Vescovo eparchiale visitare i singoli monasteri e le case degli ordini e delle congregazioni che hanno sede nel suo territorio per quanto riguarda queste cose, ogniqualvolta vi compie la visita canonica oppure tutte le volte che, a suo giudizio, lo consigliano cause gravi.

§3. Il Vescovo eparchiale non può affidare ai religiosi opere di apostolato o incarichi propri dell'eparchia se non col consenso dei Superiori competenti, fermo restando il diritto comune e rispettando la disciplina religiosa, l'indole propria e il fine specifico degli istituti.

§4. I religiosi che hanno commesso un delitto fuori della casa e non vengono puniti dal proprio Superiore, preavvertito dal Gerarca del luogo, possono essere puniti da costui, anche se sono usciti legittimamente dalla casa e vi sono ritornati.

Can. 416

I Patriarchi come pure i Gerarchi del luogo promuovano delle assemblee con i Superiori dei religiosi, in tempi determinati e ogni volta che questo sembri opportuno, per procedere concordemente e di comune intesa nelle opere di apostolato che sono esercitate dai membri.

Can. 417

Se si fossero insinuati degli abusi nelle case di istituti di diritto patriarcale o pontificio, oppure nelle loro chiese e il Superiore avesse trascurato di provvedere dopo essere stato ammonito dal Gerarca del luogo, lo stesso Gerarca del luogo è obbligato a deferire prontamente la cosa all'autorità a cui l'istituto stesso è immediatamente soggetto.

2° I Superiori e i membri degli istituti religiosi

Can. 418

§1. Sono Superiori maggiori il Preside di una confederazione monastica, il Superiore di un monastero sui iuris, il Superiore generale di un ordine o di una congregazione, il Superiore provinciale, i vicari degli stessi e gli altri che hanno una potestà a guisa dei Provinciali, come pure coloro che, quando mancano i predetti, nel frattempo succedono legittimamente nell'ufficio.

§2. Sotto il nome di Superiore di monaci e di tutti gli altri religiosi non è compreso il Gerarca del luogo né il Patriarca, fermi restando i canoni che attribuiscono al Patriarca o al Gerarca del luogo una potestà su di loro.

Can. 419

§1. Il Preside di una confederazione monastica, il Superiore di un monastero sui iuris non confederato e il Superiore generale di un ordine o di una congregazione devono inviare almeno ogni cinque anni all'autorità a cui sono immediatamente soggetti, una relazione sullo stato degli istituti a cui presiedono, secondo la formula stabilita dalla stessa autorità.

§2. I Superiori degli istituti di diritto eparchiale o patriarcale mandino una copia della relazione anche alla Sede Apostolica.

Can. 420

§1. I Superiori maggiori che il tipico di un monastero oppure gli statuti di un ordine o di una congregazione designano all'incarico di visitatore, nei tempi negli stessi stabiliti, visitino tutte le case a loro soggette, personalmente o per mezzo di altri se sono legittimamente impediti.

§2. I membri si comportino fiduciosamente col visitatore al quale hanno l'obbligo di rispondere secondo verità nella carità quando legittimamente li interroga; a nessuno poi è lecito distogliere in alcun modo i membri da questo obbligo oppure di impedire altrimenti il fine della visita.

§3. Il Gerarca del luogo deve visitare tutte le case religiose se il Superiore maggiore, a cui di diritto compete la visita, non le ha visitate nello spazio di cinque anni e, ammonito dal Gerarca del luogo, ha trascurato di visitarle.

Can. 421

I Superiori hanno il grave obbligo di curare che i membri loro affidati conformino la loro vita al tipico o agli statuti propri; i Superiori aiutino i membri con l'esempio e l'esortazione a conseguire il fine dello stato religioso, provvedano in modo opportuno alle loro necessità personali, curino e visitino assiduamente gli ammalati, riprendano gli irrequieti, consolino i timidi, siano pazienti verso tutti.

Can. 422

§1. I Superiori abbiano un consiglio permanente costituito a norma del tipico o degli statuti, della cui opera si avvalgano nell'esercizio del loro ufficio; nei casi prescritti dal diritto sono obbligati a chiederne il consenso o il consiglio, a norma del can. 934.

§2. Nel diritto particolare si stabilisca se nelle case dove vivono meno di sei membri, il consiglio debba esserci o no.

Can. 423

Il monastero, la confederazione monastica, l'ordine e la congregazione, le loro province e le case legittimamente erette sono per il diritto stesso persone giuridiche; il tipico o gli statuti possono però escludere o limitare la loro capacità di acquistare, possedere, amministrare e alienare i beni temporali.

Can. 424

Nel tipico o negli statuti si stabiliscano delle norme sull'uso e l'amministrazione dei beni in modo da favorire, esprimere e tutelare la propria povertà.

Can. 425

I beni temporali degli istituti religiosi sono regolati dai cann. 1007-1054, se non è disposto diversamente dal diritto comune o se non consta dalla natura delle cose.

Can. 426

Tutti e singoli i religiosi, i Superiori ugualmente come i sudditi, devono non solo osservare fedelmente e integralmente i voti che hanno emesso, ma anche conformare la loro vita secondo il tipico o gli statuti conservando fedelmente lo spirito e gli intendimenti del fondatore e in tal modo tendere alla perfezione del proprio stato.

Can. 427

Tutti e singoli i religiosi sono tenuti agli obblighi prescritti per i chierici dal diritto comune, a meno che non sia disposto diversamente dal diritto o non consti dalla natura delle cose.

Can. 428

Un membro di voti perpetui viene ascritto come chierico a un istituto religioso con l'ordinazione diaconale o, nel caso di un chierico già ascritto a un'eparchia, con la professione perpetua.

Can. 429

Le lettere dei religiosi inviate ai loro Superiori, come pure al Gerarca del luogo, al Patriarca, al Legato del Romano Pontefice e alla Sede Apostolica, come anche le lettere che essi ricevono dagli stessi, non sono soggette ad alcuna ispezione.

Can. 430

Non è lecito conferire ai religiosi titoli di dignità o di uffici puramente onorifici, a meno che, se lo permettono il tipico o gli statuti, non si tratti di titoli di uffici di Superiori maggiori che i religiosi hanno già esercitato.

Can. 431

§1. Un religioso non può, fin dalla sua prima professione, senza il consenso scritto dato dal proprio Superiore maggiore, essere promosso a una dignità o a un ufficio fuori del proprio istituto, eccetto le dignità e gli uffici che vengano conferiti dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa patriarcale per mezzo di elezione, e fermo restando il can. 89, §2; terminato l'incarico, egli deve tornare al monastero, all'ordine o alla congregazione.

§2. Il religioso che diventa Patriarca, Vescovo o Esarca:

1° rimane legato ai voti e continua a essere tenuto a tutti gli altri obblighi della sua professione, eccetto quelli che egli prudentemente giudica incompatibili con la sua dignità; è privo di voce attiva e passiva nel proprio monastero, ordine o congregazione; è esentato dalla potestà dei Superiori e rimane soggetto solamente al Romano Pontefice in forza del voto di obbedienza;

2° terminato però l'incarico, colui che ritorna al monastero, ordine o congregazione, fermi restando per il resto i can. 62 e can. 211, può avere voce attiva o passiva, se il tipico o gli statuti lo permettono.

§3. Il religioso che diventa Patriarca, Vescovo o Esarca:

1° se con la professione ha perso la capacità di acquistare il dominio dei beni, ha l'uso, l'usufrutto e l'amministrazione dei beni che gli pervengono; il Patriarca, il Vescovo eparchiale, l'Esarca, acquista invece la proprietà per la Chiesa patriarcale, per l'eparchia, per l'esarcato; tutti gli altri [ acquistano ] per il monastero o per l'ordine;

2° se con la professione non ha perso il dominio dei beni, ricupera l'uso, l'usufrutto e l'amministrazione dei beni che aveva; tutto quello che gli proviene in seguito, lo acquista pienamente per sè;

3° in entrambi i casi, dei beni che gli pervengono non a titolo personale, deve disporre secondo la volontà degli offerenti.

Can. 432

Il monastero dipendente, la casa o la provincia di un istituto religioso di qualsiasi Chiesa sui iuris, anche della Chiesa latina, che viene ascritto, col consenso della Sede Apostolica, a un'altra Chiesa sui iuris, deve osservare il diritto di questa Chiesa, salve restando le prescrizioni del tipico o degli statuti che riguardano il governo interno del medesimo istituto e i privilegi concessi dalla Sede Apostolica.

Art. II - I monasteri

Can. 433

§1. Si chiama monastero una casa religiosa nella quale i membri tendono alla perfezione evangelica osservando le regole e le tradizioni della vita monastica.

§2. Monastero sui iuris è quello che non dipende da un altro monastero ed è retto dal proprio tipico approvato dall'autorità competente.

Can. 434

Un monastero è di diritto pontificio se è stato eretto dalla Sede Apostolica, oppure è stato riconosciuto come tale con un decreto della stessa; è di diritto patriarcale se è stauropegiaco; è di diritto eparchiale se è stato eretto dal Vescovo e non ha ottenuto il decreto di riconoscimento della Sede Apostolica.

1° Erezione e soppressione dei monasteri

Can. 435

§1. Compete al Vescovo eparchiale erigere un monastero sui iuris dopo aver consultato il Patriarca entro i confini del territorio della Chiesa patriarcale oppure, in tutti gli altri casi, consultata la Sede Apostolica.

§2. L'erezione del monastero stauropegiaco è riservata al Patriarca.

Can. 436

§1. Qualsiasi monastero sui iuris può avere dei monasteri dipendenti, alcuni dei quali sono filiali se, per l'atto stesso di erezione o per decreto emesso secondo il tipico, possono aspirare alla condizione di monastero sui iuris; altri invece sono sussidiari.

§2. Per erigere validamente un monastero dipendente si richiede il consenso, dato per iscritto, dell'autorità a cui il monastero sui iuris è soggetto e del Vescovo eparchiale del luogo dove questo monastero viene eretto.

Can. 437

§1. La licenza di erigere un monastero, anche dipendente, comporta il diritto di avere una chiesa e di compiervi i sacri ministeri, come pure di esercitare le pie opere che a norma del tipico sono proprie del monastero, salve restando le clausole legittimamente apposte.

§2. Per edificare e aprire una scuola, un ospizio o una casa simile separata dal monastero, è richiesto per ciascun monastero il consenso dato per iscritto del Vescovo eparchiale.

§3. Per trasformare un monastero in altri usi si richiedono le stesse formalità della sua erezione, a meno che non si tratti di una trasformazione che si riferisca solamente al governo interno e alla disciplina religiosa.

Can. 438

§1. Compete al Patriarca sopprimere per grave causa, entro i confini del territorio della Chiesa a cui presiede, un monastero sui iuris o filiale di diritto eparchiale o stauropegiaco, col consenso del Sinodo permanente e su richiesta o consultato il Vescovo eparchiale, se il monastero è di diritto eparchiale, e dopo aver consultato il Superiore del monastero o il Preside della confederazione, se il monastero è confederato, salvo restando il ricorso in sospensivo al Romano Pontefice.

§2. Tutti gli altri monasteri sui iuris o filiali li può sopprimere solo la Sede Apostolica.

§3. Un monastero sussidiario può essere soppresso con un decreto emanato dal Superiore del monastero dal quale dipende, a norma del tipico e col consenso del Vescovo eparchiale.

§4. I beni del monastero sui iuris soppresso vanno alla confederazione, se esso era confederato; altrimenti vanno all'eparchia o, se era stauropegiaco, alla Chiesa patriarcale; i beni invece di un monastero dipendente soppresso vanno al monastero sui iuris; è riservato però alla Sede Apostolica stabilire la destinazione dei beni di un monastero di diritto pontificio soppresso, salva restando in ogni caso la volontà degli offerenti.

Can. 439

§1. Più monasteri sui iuris della stessa eparchia soggetti al Vescovo eparchiale possono costituire una confederazione col consenso dato per iscritto dello stesso Vescovo eparchiale, al quale compete anche approvare gli statuti della confederazione.

§2. Una confederazione tra più monasteri sui iuris di diverse eparchie o stauropegiaci situati entro i confini del territorio di una Chiesa patriarcale, può essere costituita dopo aver consultato i Vescovi eparchiali interessati e col consenso del Patriarca, al quale è riservato anche approvare gli statuti della confederazione.

§3. In tutti gli altri casi per costituire una confederazione ci si rivolga alla Sede Apostolica.

Can. 440

§1. L'aggregazione di un monastero sui iuris non confederato e la separazione di uno confederato dalla confederazione è riservata alla stessa autorità di cui nel can. 439.

§2. Una confederazione però entro i confini del territorio della Chiesa patriarcale non può essere soppressa se non dal Patriarca col consenso del Sinodo dei Vescovi della Chiesa patriarcale e dopo aver consultato i Vescovi eparchiali interessati e il Preside della confederazione, salvo restando il ricorso in sospensivo presso il Romano Pontefice; la soppressione di tutte le altre confederazioni è riservata alla Sede Apostolica.

§3. Stabilire la destinazione dei beni che appartengono alla stessa confederazione soppressa è riservato all'autorità che ha soppresso la confederazione, salva restando la volontà degli offerenti; al Patriarca in questo caso è necessario il consenso del Sinodo permanente.

2° I Superiori dei monasteri, le Sinassi e gli economi

Can. 441

§1. Nei monasteri i Superiori e le Sinassi hanno quella potestà che è determinata dal diritto comune e dal tipico.

§2. I Superiori nei monasteri sui iuris hanno la potestà di governo fin dove essa è a loro espressamente concessa dal diritto o dall'autorità alla quale sono soggetti, fermo restando il can. 979.

§3. La potestà del Preside di una confederazione monastica, oltre alle cose determinate dal diritto comune, deve essere determinata negli statuti della stessa confederazione.

Can. 442

Fermo restando il tipico del monastero sui iuris che esiga di più, perché uno sia abile a ricevere l'ufficio di Superiore di un monastero sui iuris si richiede che abbia emesso la professione perpetua, che sia professo almeno da dieci anni e che abbia compiuto quarant'anni.

Can. 443

§1. Il Superiore di un monastero sui iuris è eletto nella Sinassi riunita a norma del tipico e osservati i cann. 947-960, salvo restando il diritto del Vescovo eparchiale di presiedere, personalmente o per mezzo di un altro, alla Sinassi di elezione.

§2. Nella elezione invece del Superiore di un monastero sui iuris confederato, presiede alla Sinassi di elezione, personalmente o per mezzo di un altro, il Preside della stessa confederazione.

Can. 444

§1. L'ufficio di Superiore di un monastero sui iuris viene conferito a tempo indeterminato, a meno che il tipico non stabilisca diversamente.

§2. Se il tipico non prescrive diversamente, i Superiori dei monasteri dipendenti sono costituiti, per un tempo determinato nello stesso tipico, dal Superiore del monastero sui iuris con il consenso del suo consiglio se il monastero è filiale, consultato invece lo stesso consiglio se è sussidiario.

§3. I Superiori poi che hanno compiuto il settantacinquesimo anno di età, o che a motivo della salute malferma o per altra grave causa sono divenuti meno adatti all'adempimento del loro ufficio, presentino la rinuncia dall'ufficio alla Sinassi, alla quale spetta di accettarla.

Can. 445

I membri della Sinassi di elezione si premurino di eleggere coloro che nel Signore riconoscono veramente degni e idonei all'ufficio di Superiore, astenendosi da qualunque abuso e specialmente dalla ricerca di voti tanto per se stessi quanto per altri.

Can. 446

Il Superiore risieda nel proprio monastero e non se ne allontani se non a norma del tipico.

Can. 447

§1. Per l'amministrazione dei beni temporali vi sia nel monastero l'economo, che svolga il suo ufficio sotto la direzione del Superiore.

§2. Il Superiore del monastero sui iuris non eserciti insieme l'ufficio di economo dello stesso monastero; invece l'ufficio di economo di un monastero dipendente, anche se è meglio che sia distinto dall'ufficio di Superiore, è tuttavia compatibile con esso se lo esige la necessità.

3° L'ammissione nel monastero sui iuris e il noviziato

Can. 448

Perché qualcuno sia ammesso in un monastero sui iuris si richiede che sia mosso da retta intenzione, sia idoneo a condurre la vita monastica e non sia trattenuto da alcun impedimento stabilito dal diritto.

Can. 449

Prima di essere ammesso al noviziato, il candidato deve vivere nel monastero per uno spazio di tempo determinato dal tipico, sotto la cura speciale di un membro sperimentato.

Can. 450

Ferme restando le prescrizioni del tipico che esigano di più, non possono essere ammessi validamente al noviziato:

1° gli acattolici;

2° coloro che sono puniti da pena canonica eccetto le pene di cui nel can. 1426, §1;

3° coloro su cui pende una grave pena per un delitto del quale sono legittimamente accusati;

4° coloro che non hanno ancora compiuto il diciottesimo anno di età, a meno che non si tratti di un monastero nel quale vi sia la professione temporanea, nel qual caso è sufficiente l'età di diciassette anni;

5° coloro che entrano nel monastero indotti da violenza, da timore grave oppure da dolo, o coloro che il Superiore riceve indotto allo stesso modo;

6° i coniugi mentre dura il matrimonio;

7° coloro che sono legati dal vincolo della professione religiosa o da altro vincolo sacro in un istituto di vita consacrata, a meno che non si tratti di un passaggio legittimo.

Can. 451

Nessuno può essere lecitamente ammesso al noviziato di un monastero di un'altra Chiesa sui iuris senza la licenza della Sede Apostolica, a meno che non si tratti di un candidato che è stato destinato a un monastero dipendente, di cui nel can. 432, della propria Chiesa.

Can. 452

§1. I chierici ascritti a un'eparchia non possono essere ammessi lecitamente al noviziato se non dopo che sia stato consultato il loro Vescovo eparchiale; né possono essere ammessi lecitamente se il Vescovo eparchiale è contrario perché la loro partenza produce un grave danno alle anime che non può assolutamente essere evitato diversamente, oppure se si tratta di coloro che, essendo destinati ai sacri ordini nel monastero, ne sono trattenuti da qualche impedimento stabilito dal diritto.

§2. Non possono neppure essere ammessi lecitamente nel monastero i genitori la cui opera è necessaria per nutrire ed educare i figli, oppure quei figli che devono provvedere al padre o alla madre, al nonno o alla nonna che si trovano in grave necessità, a meno che il monastero non abbia provveduto diversamente alla cosa.

Can. 453

§1. Compete al Superiore del monastero sui iuris ammettere al noviziato dopo aver consultato il suo consiglio.

§2. Al Superiore stesso deve constare, usando i mezzi opportuni, della idoneità e della piena libertà del candidato nella scelta dello stato monastico.

§3. A riguardo dei documenti che i candidati devono presentare e circa le varie testimonianze che devono essere raccolte a proposito della loro buona condotta e dell'idoneità, si osservino le prescrizioni del tipico.

Can. 454

Nel tipico devono essere definite le norme sulla dote, da apportare dai candidati e da amministrare sotto la speciale vigilanza del Gerarca del luogo, come pure circa la restituzione integrale della dote, ma senza i frutti maturati, a colui che, per qualsiasi ragione, si separa dal monastero.

Can. 455

Il noviziato inizia con la vestizione dell'abito monastico o in un altro modo stabilito nel tipico.

Can. 456

§1. Il monastero sui iuris può avere i propri novizi, che vengono iniziati alla vita monastica nello stesso monastero guidati da un membro idoneo.

§2. Il noviziato, perché sia valido, dev'essere trascorso nello stesso monastero sui iuris oppure, per decisione del Superiore dopo aver consultato il suo consiglio, in un altro monastero sui iuris della stessa confederazione.

§3. Se però qualche monastero sui iuris, sia confederato sia non confederato, non può adempiere le prescrizioni circa la formazione dei novizi, il Superiore ha l'obbligo di mandare i novizi in un altro monastero nel quale le stesse prescrizioni siano religiosamente osservate.

Can. 457

§1. Il noviziato, perché sia valido, dev'essere trascorso per un triennio intero e continuo; però, nei monasteri in cui la professione temporanea precede la professione perpetua, è sufficiente un solo anno di noviziato.

§2. In ciascun anno di noviziato un'assenza, sia continua sia interrotta, più breve di tre mesi non tocca la validità; ma il tempo mancante, se supera i quindici giorni, dev'essere supplito.

§3. Il noviziato non sia esteso oltre i tre anni, fermo restando il can. 461, §2.

Can. 458

§1. Alla formazione dei novizi sia preposto come maestro, a norma del tipico, un membro che si distingua per prudenza, carità, pietà, scienza e osservanza della vita monastica e che sia professo almeno da dieci anni.

§2. I diritti e i doveri di questo maestro, specialmente per quanto riguarda il modo della formazione dei novizi e le relazioni verso la Sinassi e il Superiore del monastero, siano determinati nel tipico.

Can. 459

§1. Durante il tempo di noviziato bisogna adoperarsi continuamente affinché, sotto la guida del maestro, l'animo del novizio sia formato con lo studio del tipico, in pie meditazioni e in preghiera assidua, nell'apprendere le esigenze dei voti e delle virtù, in esercitazioni adatte a estirpare i vizi, a padroneggiare le passioni, ad acquistare le virtù.

§2. Nel tempo del noviziato i novizi non siano destinati alle opere esterne del monastero e non si occupino appositamente allo studio della letteratura, delle scienze o delle arti.

Can. 460

Il novizio non può validamente rinunciare in qualsiasi modo ai suoi beni oppure sottoporli a obbligazioni, fermo restando il can. 467, §1.

Can. 461

§1. Il novizio può abbandonare liberamente il monastero sui iuris oppure essere dimesso per giusta causa dal Superiore o dalla Sinassi secondo il tipico.

§2. Terminato il noviziato, se il novizio è giudicato idoneo, sia ammesso alla professione, altrimenti sia dimesso; ma se rimane un dubbio sulla sua idoneità, il tempo di noviziato può essere prorogato, a norma del tipico, non però oltre un anno.

4° La consacrazione o professione monastica

Can. 462

§1. Lo stato monastico è definitivamente assunto con la professione perpetua nella quale sono compresi i tre voti perpetui di obbedienza, di castità e di povertà.

§2. Nell'emettere la professione si osservino le prescrizioni del tipico e dei libri liturgici.

Can. 463

Per quanto riguarda i diversi gradi di professione monastica, si stia al tipico del monastero, salvo restando il valore giuridico della professione secondo il diritto comune.

Can. 464

Per la validità della professione monastica perpetua si richiede che:

1° il noviziato sia stato compiuto validamente;

2° il novizio sia ammesso alla professione dal Superiore del proprio monastero sui iuris col consenso del suo consiglio e la professione sia ricevuta dallo stesso Superiore personalmente o per mezzo di un altro;

3° la professione sia espressa e non sia né emessa né ricevuta per violenza, timore grave oppure dolo;

4° siano adempiute tutte le altre cose richieste nel tipico per la validità della professione.

Can. 465

Le cose che sono prescritte dal diritto comune sulla professione temporanea valgono anche per i monasteri nei quali questa professione viene premessa, secondo il tipico, alla professione perpetua.

Can. 466

La professione monastica perpetua rende invalidi gli atti contrari ai voti, se gli atti possono essere annullati.

Can. 467

§1. Il candidato alla professione monastica perpetua, entro sessanta giorni prima della professione, deve rinunciare a tutti i beni che possiede in quel momento, in favore di chi vuole, sotto la condizione che dovrà seguire la professione; la rinuncia fatta prima di questo tempo è nulla per il diritto stesso.

§2. Emessa la professione, si faccia subito tutto quello che è necessario affinché la rinuncia consegua effetto anche per diritto civile.

Can. 468

§1. Qualunque bene temporale che a qualsiasi titolo sopravvenga a un membro, dopo la professione perpetua, rimane acquisito dal monastero.

§2. Quanto ai debiti e alle obbligazioni che un membro ha contratto dopo la professione perpetua con la licenza del Superiore, ne deve rispondere il monastero; se invece ha contratto debiti senza la licenza del Superiore, ne deve rispondere il membro stesso.

§3. Resta fermo tuttavia che, contro colui il cui patrimonio si è in qualche modo avvantaggiato in seguito a quel contratto, si può sempre intentare un'azione.

Can. 469

Emessa la professione perpetua, il membro perde per il diritto stesso qualunque ufficio, se ne ha qualcuno, e la propria eparchia e inoltre viene aggregato per il diritto stesso al monastero.

Can. 470

Il documento di emissione della professione perpetua, sottoscritto dal membro stesso e da colui che ha ricevuto la professione, anche se delegato, sia conservato nell'archivio del monastero; il Superiore del proprio monastero sui iuris ne deve informare quanto prima il parroco presso il quale è stato registrato il battesimo del membro.

5° La formazione dei membri e la disciplina monastica

Can. 471

§1. Il metodo di formazione dei membri sia determinato nel tipico in modo tale che essi siano incitati permanentemente a conseguire più pienamente una vita di santità, come pure che le doti del loro ingegno si sviluppino con lo studio della sacra dottrina e con l'acquisto della cultura umana secondo le necessità dei tempi e così diventino più adatti a esercitare le arti e le opere che sono legittimamente assunte dal monastero.

§2. La formazione dei monaci che sono destinati agli ordini sacri, inoltre dev'essere fatta secondo il piano di formazione dei chierici di cui nel can. 330 nello stesso monastero, se esso ha una sede di studi organizzata a norma del can. 340, §1; oppure in un altro seminario o istituto di studi superiori approvato dall'autorità ecclesiastica, sotto la guida di un esperto moderatore.

Can. 472

Il Superiore di un monastero sui iuris può dare ai suoi membri di voti perpetui, a norma del tipico, le lettere dimissorie per la sacra ordinazione; queste lettere devono essere inviate al Vescovo eparchiale del luogo dove è situato il monastero, anche se dipendente o, se si tratta di un monastero stauropegiaco, al Vescovo designato dal Patriarca.

Can. 473

§1. Nei singoli monasteri si celebrino ogni giorno le lodi divine, a norma del tipico e delle legittime consuetudini; inoltre si celebri la Divina Liturgia tutti i giorni, eccettuati quelli che sono esclusi dalle prescrizioni dei libri liturgici.

§2. I Superiori dei monasteri abbiano cura che tutti i membri, a norma del tipico:

1° partecipino quotidianamente alle lodi divine e alla Divina Liturgia ogni volta che viene celebrata, se non sono legittimamente impediti; si dedichino alla contemplazione delle realtà divine e si applichino assiduamente agli altri esercizi di pietà;

2° possano accedere liberamente e frequentemente ai padri spirituali e ai confessori;

3° ogni anno si dedichino per alcuni giorni al ritiro spirituale.

Can. 474

§1. I membri dei monasteri ricevano frequentemente, a norma del tipico, il sacramento della penitenza.

§2. Fermo restando il tipico che consiglia la confessione presso determinati confessori, tutti i membri del monastero possono ricevere il sacramento della penitenza da qualsiasi sacerdote provvisto della facoltà di amministrare questo sacramento, ferma restando la disciplina monastica.

Can. 475

§1. Nei singoli monasteri, a seconda del numero dei membri, siano designati dal Superiore del monastero più padri spirituali e confessori, se si tratta di presbiteri-monaci provvisti della facoltà di amministrare il sacramento della penitenza; altrimenti siano invece designati dal Gerarca del luogo dopo aver ascoltato il Superiore del monastero sui iuris, il quale in precedenza deve sentire il parere della comunità interessata.

§2. Per i monasteri nei quali non ci sono presbiteri-monaci, il Gerarca del luogo designi allo stesso modo un sacerdote che ha il compito di celebrare regolarmente nel monastero la Divina Liturgia e di predicare la parola di Dio, fermo restando il can. 612, §2.

Can. 476

I membri del monastero, sia dentro sia fuori del monastero, indossino l'abito monastico prescritto dal proprio tipico.

Can. 477

§1. Nel monastero si osservi la clausura nel modo prescritto dal tipico, salvo restando il diritto del Superiore di ammettere, a modo di atto e per grave causa, nelle parti sottoposte alla clausura, persone dell'altro sesso, oltre a quelle che secondo il tipico possono entrare nella clausura.

§2. Le parti del monastero sottoposte alla clausura siano indicate in modo palese.

§3. Compete al Superiore del monastero sui iuris, col consenso del suo consiglio e anche informandone il Vescovo eparchiale, prescrivere accuratamente i confini della clausura oppure mutarli per una giusta causa.

Can. 478

Il Superiore del monastero può permettere che i membri dimorino fuori del monastero per un tempo determinato dal tipico; ma per un'assenza che supera un anno, se non interviene un motivo di studi o di malattia, si richiede la licenza dell'autorità a cui il monastero è soggetto.

Can. 479

Se, a giudizio del Gerarca del luogo, si rende necessario l'aiuto dei monasteri per l'istruzione catechistica del popolo, tutti i Superiori richiesti dallo stesso Gerarca la devono impartire al popolo, personalmente o per mezzo di altri, nelle proprie chiese.

Can. 480

Una parrocchia non può essere eretta nella chiesa di un monastero né i monaci possono essere nominati parroci senza il consenso del Patriarca entro i confini del territorio della Chiesa a cui presiede oppure, in tutti gli altri casi, della Sede Apostolica.

6° Gli eremiti

Can. 481

L'eremita è un membro di un monastero sui iuris che si dà interamente alla contemplazione delle cose celesti e si isola totalmente dagli uomini e dal mondo.

Can. 482

Per intraprendere legittimamente la vita eremitica si richiede che il membro abbia ottenuto la licenza del Superiore del monastero sui iuris al quale appartiene, col consenso del suo consiglio, e abbia trascorso la vita nel monastero almeno per sei anni, da computare dal giorno della professione perpetua.

Can. 483

Il luogo nel quale l'eremita vive sia designato dal Superiore del monastero e sia separato in modo speciale dal secolo e dalle altre parti del monastero; se però il luogo si trova fuori dal recinto del monastero, occorre inoltre il consenso dato per iscritto dal Vescovo eparchiale.

Can. 484

L'eremita dipende dal Superiore del monastero e inoltre resta obbligato dai canoni sui monaci e dal tipico del monastero nella misura in cui sono compatibili con la vita eremitica.

Can. 485

Il Superiore del monastero sui iuris, col consenso del suo consiglio, può porre fine alla vita eremitica per una giusta causa, anche contro la volontà dell'eremita.

7° Il monastero stauropegiaco

Can. 486

§1. Il Patriarca, dopo aver consultato il Vescovo eparchiale e col consenso del Sinodo permanente, per una grave causa, può concedere lo stato di monastero stauropegiaco, nell'atto stesso dell'erezione, a un monastero sui iuris.

§2. Il monastero stauropegiaco è immediatamente soggetto al Patriarca in modo tale che egli solo ha gli stessi diritti e doveri del Vescovo eparchiale sul monastero, sui membri ascritti al medesimo e sulle persone che vivono giorno e notte nel monastero; tutte le altre persone poi addette al monastero sono soggette immediatamente ed esclusivamente al Patriarca, soltanto in quelle cose che riguardano la loro funzione o ufficio.

8° Passaggio a un altro monastero

Can. 487

§1. Un membro non può passare da un monastero sui iuris a un altro della stessa confederazione senza il consenso dato per iscritto del Preside della confederazione.

§2. Per il passaggio da un monastero non confederato a un altro monastero soggetto alla stessa autorità è richiesto il consenso della stessa autorità; se invece il monastero al quale si fa il passaggio è soggetto a un'altra autorità, si richiede anche il consenso di questa autorità.

§3. Il Patriarca, il Vescovo eparchiale e il Preside della confederazione non possono dare questo consenso se non dopo aver consultato il Superiore del monastero sui iuris, dal quale si fa il passaggio.

§4. Per la validità del passaggio a un monastero di un'altra Chiesa sui iuris si richiede inoltre il consenso della Sede Apostolica.

§5. Il passaggio avviene con l'ammissione concessa dal Superiore del nuovo monastero sui iuris col consenso della Sinassi.

Can. 488

§1. Colui che passa a un altro monastero sui iuris della stessa confederazione non fa il noviziato né emette una nuova professione e dal giorno del passaggio perde i diritti e viene sciolto dagli obblighi del precedente monastero, assume i diritti e gli obblighi dell'altro e, se è chierico, viene ascritto allo stesso anche come chierico.

§2. Chi passa da un monastero sui iuris a un altro monastero sui iuris, che non appartiene a nessuna confederazione oppure che fa parte di una diversa, osservi le prescrizioni del tipico del monastero verso il quale avviene il passaggio, per quanto riguarda l'obbligo di fare il noviziato e di emettere la professione; se però nel tipico non si tratta di ciò, non fa il noviziato né emette la nuova professione, ma l'effetto del passaggio ha luogo dal giorno in cui avviene il passaggio, a meno che il Superiore del monastero non esiga da lui che trascorra un certo tempo, non oltre un anno, nel monastero a titolo di esperimento; trascorso il tempo dell'esperimento o sia ascritto stabilmente al nuovo monastero dal Superiore con il consenso del suo consiglio o della Sinassi a norma del tipico, oppure ritorni al precedente monastero.

§3. Nel passaggio da un monastero sui iuris a un ordine o a una congregazione si osservino, con gli adattamenti del caso, i cann. 544 e 545.

§4. Il monastero sui iuris, dal quale un membro si separa, conserva i beni che in ragione del membro stesso sono già stati da esso acquisiti; per quanto riguarda la dote, essa dal giorno del passaggio appartiene, senza i frutti già maturati, al monastero verso il quale avviene il passaggio.

9° L'esclaustrazione e la separazione dal monastero

Can. 489

§1. L'indulto di esclaustrazione da un monastero sui iuris non può concederlo a un membro di voti perpetui, su domanda del membro stesso, se non l'autorità a cui il monastero è soggetto, dopo aver ascoltato il Superiore del monastero sui iuris assieme al suo consiglio.

§2. Il Vescovo eparchiale non può concedere questo indulto se non per un triennio.

Can. 490

§3) L'esclaustrazione può essere imposta, su richiesta del Superiore del monastero sui iuris col consenso del suo consiglio, dall'autorità a cui il monastero è soggetto, per grave causa e osservando l'equità e la carità.

Can. 491

Il membro esclaustrato rimane legato ai voti ed è ancora tenuto a tutti gli altri obblighi della professione monastica che sono compatibili col suo nuovo stato; deve deporre l'abito monastico; durante il tempo dell'esclaustrazione è privo di voce attiva e passiva; è soggetto al Vescovo eparchiale del luogo dove dimora, al posto del Superiore del proprio monastero, anche in virtù del voto di obbedienza.

Can. 492

§1. Un membro di voti perpetui non chieda l'indulto di separarsi dal monastero e di ritornare alla vita secolare se non per cause gravissime ponderate davanti al Signore; presenti la sua domanda al Superiore del monastero sui iuris il quale, assieme al suo voto e a quello del suo consiglio, la inoltrerà alla Sede Apostolica.

§2. Tale indulto è riservato alla Sede Apostolica.

Can. 493

§1. L'indulto di separarsi dal monastero e di ritornare alla vita secolare, legittimamente concesso e intimato a un membro, se all'atto dell'intimazione non è stato respinto dal membro stesso, comporta per il diritto stesso la dispensa dai voti come pure da tutti gli obblighi derivanti dalla professione, non però da quelli annessi all'ordine sacro, se il membro è stato costituito nell'ordine sacro.

§2. Se il membro che si è separato dal monastero ed è ritornato alla vita secolare viene ripreso di nuovo nel monastero, ripete il noviziato e la professione, come se non fosse mai appartenuto alla vita religiosa.

Can. 494

§1. Il monaco di voti perpetui e costituito nell'ordine sacro, se ha ottenuto l'indulto di separarsi dal monastero e di ritornare al secolo, non può esercitare gli ordini sacri finché non abbia trovato un Vescovo eparchiale benevolo che lo accolga.

§2. Il Vescovo eparchiale lo può accogliere sia senza condizioni sia a titolo di esperimento per cinque anni; nel primo caso il monaco è ascritto all'eparchia per il diritto stesso, nel secondo invece lo è quando sono passati cinque anni, a meno che non sia stato prima espressamente dimesso.

Can. 495

Il membro che, dopo aver emessa la professione, abbandona illegittimamente il monastero, deve ritornare senza ritardi al monastero; i Superiori devono ricercarlo sollecitamente e, se ritorna mosso da vera penitenza, riceverlo; in caso contrario sia punito o anche dimesso a norma del diritto.

Can. 496

§1. Colui che durante la professione temporanea per una grave causa vuole separarsi dal monastero e ritornare alla vita secolare, presenti la sua domanda al Superiore del monastero sui iuris.

§2. Il Superiore invii questa domanda, assieme al suo voto e a quello del suo consiglio, al Vescovo eparchiale al quale compete, anche se si tratta di monasteri di diritto pontificio, concedere in questo caso l'indulto di separarsi dal monastero e di ritornare nel secolo, a meno che il diritto particolare non riservi ciò al Patriarca per i monasteri situati entro i confini del territorio della Chiesa patriarcale.

10° La dimissione dei monaci

Can. 497

§1. È da ritenere dimesso dal monastero per il diritto stesso il membro che:

1° ha pubblicamente abbandonato la fede cattolica;

2° ha celebrato o anche solo civilmente attentato il matrimonio.

§2. In questi casi il Superiore del monastero sui iuris, dopo aver consultato il suo consiglio, senza alcun ritardo, raccolte le prove, emetta la dichiarazione del fatto, affinché consti giuridicamente della dimissione, e informi al più presto della cosa l'autorità a cui il monastero è immediatamente soggetto.

Can. 498

§1. Il membro che è causa sia di un imminente e gravissimo scandalo esterno, sia di un danno nei riguardi del monastero, può essere espulso immediatamente dal Superiore del monastero sui iuris col consenso del suo consiglio, facendogli deporre subito l'abito monastico.

§2. Il Superiore del monastero sui iuris procuri, se è il caso, che sia promosso il processo di dimissione a norma di diritto, oppure deferisca la cosa all'autorità a cui il monastero è soggetto.

§3. Al membro espulso dal monastero, che è costituito nell'ordine sacro, è proibito l'esercizio dell'ordine sacro, a meno che l'autorità a cui è soggetto il monastero non decida diversamente.

Can. 499

Mentre dura la professione temporanea, un membro può essere dimesso dal Superiore del monastero sui iuris col consenso del suo consiglio secondo il can. 552, §§2 e 3; ma perché la dimissione sia valida dev'essere confermata dal Vescovo eparchiale o dal Patriarca, se il diritto particolare così prevede per i monasteri situati entro i confini del territorio della Chiesa patriarcale.

Can. 500

§1. Per dimettere un membro di voti perpetui, fermo restando il can. 497, è competente il Preside della confederazione monastica o il Superiore del monastero sui iuris non confederato, l'uno e l'altro col consenso del proprio consiglio, che nel caso deve essere composto, per la validità, assieme al Superiore che presiede, almeno da cinque membri, in modo che, se mancano o sono assenti i consiglieri ordinari, siano chiamati altri a norma del tipico o degli statuti della confederazione; la votazione poi deve essere segreta.

§2. Per decidere validamente la dimissione, oltre alle altre condizioni stabilite eventualmente dal tipico, si richiede che:

1° le cause della dimissione siano gravi, imputabili, giuridicamente provate e unite alla mancata emendazione;

2° la dimissione sia stata preceduta, a meno che la natura della causa di dimissione lo escluda, da due ammonizioni, con formale comminazione della dimissione, che siano andate a vuoto;

3° le cause della dimissione siano state manifestate per iscritto al membro, accordandogli dopo ogni ammonizione piena facoltà di difendersi;

4° sia trascorso il tempo utile stabilito dal tipico dopo l'ultima ammonizione.

§3. Le risposte scritte date dal membro siano allegate agli atti da sottoporre a coloro di cui si tratta nel §1.

§4. Il decreto di dimissione non può essere mandato ad esecuzione se non è stato approvato dall'autorità a cui il monastero è soggetto.

Can. 501

§1. Il decreto di dimissione sia intimato al più presto al membro interessato.

§2. Contro il decreto di dimissione, però, il membro può sia interporre ricorso entro quindici giorni con effetto sospensivo, sia postulare che la causa sia trattata per via giudiziaria, a meno che il decreto di dimissione non sia stato confermato dalla Sede Apostolica.

§3. Del ricorso contro il decreto di dimissione si occupa la Sede Apostolica o, se si tratta di un membro che ha il domicilio entro i confini del territorio della Chiesa patriarcale, il Patriarca.

§4. Se invece la causa dev'essere trattata per via giudiziaria, se ne occupa il tribunale dell'autorità immediatamente superiore a colui che ha confermato il decreto di dimissione; il Superiore che ha emesso il decreto di dimissione consegni allo stesso tribunale la raccolta degli atti relativi e si proceda secondo i canoni del giudizio penale, escluso l'appello.

Can. 502

Con la legittima dimissione, esclusa quella di cui nel can. 497, cessano per il diritto stesso tutti i vincoli nonché gli obblighi sorti dalla professione monastica e, se il membro è costituito nell'ordine sacro, dev'essere osservato il can. 494.

Can. 503

§1. Colui che si separa legittimamente dal monastero o è legittimamente dimesso da esso, non può rivendicare nulla da esso per qualsiasi opera in esso compiuta.

§2. Tuttavia il monastero osservi l'equità e la carità verso il membro che se ne separa.

Art. III - Gli ordini e le congregazioni

Can. 504

§1. L'ordine è una società eretta dalla competente autorità ecclesiastica, nella quale i membri, pur non essendo monaci, emettono una professione che è equiparata alla professione monastica.

§2. La congregazione è una società eretta dalla competente autorità ecclesiastica, nella quale i membri emettono la professione con i tre voti pubblici di obbedienza, castità e povertà, la quale però non è equiparata alla professione monastica, ma ha una forza propria a norma del diritto.

Can. 505

§1. Un ordine è di diritto pontificio se è stato eretto dalla Sede Apostolica, oppure se è stato riconosciuto come tale da un decreto della stessa; è di diritto patriarcale invece se, dopo essere stato eretto dal Patriarca, non ha ottenuto il decreto di riconoscimento della Sede Apostolica.

§2. Una congregazione è:

1° di diritto pontificio se è stata eretta dalla Sede Apostolica, oppure se è stata riconosciuta come tale per mezzo di un decreto della stessa;

2° di diritto patriarcale se è stata eretta dal Patriarca, oppure se con un decreto dello stesso è stata riconosciuta come tale e non ha ottenuto un decreto di riconoscimento della Sede Apostolica;

3° di diritto eparchiale se è stata eretta dal Vescovo eparchiale e non ha ottenuto il decreto di riconoscimento della Sede Apostolica o del Patriarca.

§3. Un ordine o una congregazione è clericale se, in ragione del fine ovvero dell'intendimento proposto dal fondatore o in forza di una legittima consuetudine, è sotto il governo dei presbiteri, assume i ministeri propri dell'ordine sacro ed è riconosciuto come tale dall'autorità ecclesiatica.

1° Erezione e soppressione di un ordine, di una congregazione, provincia, casa

Can. 506

§1. Un Vescovo eparchiale può erigere solamente delle congregazioni; ma non le eriga se non dopo aver consultato la Sede Apostolica e inoltre, entro i confini del territorio della Chiesa patriarcale, se non dopo dopo aver consultato il Patriarca.

§2. Il Patriarca può erigere ordini e congregazioni col consenso del Sinodo permanente e dopo aver consultato la Sede Apostolica.

§3. Entro i confini del territorio di una Chiesa patriarcale, una congregazione di diritto eparchiale che sia diffusa in più eparchie dello stesso territorio, può diventare di diritto patriarcale per decreto del Patriarca, dopo aver consultato gli interessati e con il consenso del Sinodo permanente.

Can. 507

§1. Un ordine, sia pure di diritto patriarcale, legittimamente eretto, anche se consta di una sola casa, non può essere soppresso se non dalla Sede Apostolica, alla quale è pure riservato disporre dei beni dell'ordine soppresso, salva restando la volontà degli offerenti.

§2. Può sopprimere una congregazione di diritto patriarcale o eparchiale legittimamente eretta, anche se consta di una sola casa, oltre alla Sede Apostolica, anche il Patriarca entro i confini del territorio della Chiesa a cui presiede, dopo aver consultato gli interessati, e col consenso del Sinodo permanente e della Sede Apostolica.

Can. 508

§1. La provincia indica una parte dello stesso ordine o congregazione che consta di diverse case, che un Superiore maggiore governa direttamente.

§2. Dividere un ordine o una congregazione in province, congiungere delle province, circoscriverle diversamente, o sopprimerle ed erigerne delle nuove, appartiene all'autorità determinata dagli statuti dell'ordine o della congregazione.

§3. Stabilire [ la destinazione ] dei beni della provincia soppressa, salva restando la giustizia e la volontà degli offerenti, spetta alla Sinassi generale a meno che gli statuti non dispongano diversamente o, quando vi sia necessità urgente, al Superiore generale con il consenso del suo consiglio.

Can. 509

§1. Un ordine o una congregazione non possono erigere validamente una casa se non col consenso dato per iscritto dal Vescovo eparchiale; se si tratta dell'erezione della prima casa di un ordine o di una congregazione di diritto patriarcale in una eparchia, è richiesto, entro i confini del territorio della Chiesa patriarcale, il consenso del Patriarca o, in tutti gli altri casi, della Sede Apostolica.

§2. Quanto è detto nel can. 437, vale anche delle case di ordini e congregazioni.

Can. 510

La casa di un ordine o di una congregazione non può essere soppressa validamente se non dopo aver consultato il Vescovo eparchiale; la soppressione invece dell'unica casa di un ordine o congregazione è riservata alla stessa autorità a cui compete, secondo il can. 507, di sopprimere lo stesso ordine o congregazione.

2° I Superiori, le Sinassi e gli economi negli ordini e nelle congregazioni

Can. 511

§1. Negli ordini e nelle congregazioni i Superiori e le Sinassi hanno quella potestà che è determinata dal diritto comune e dagli statuti.

§2. Negli ordini e nelle congregazioni clericali di diritto pontificio o patriarcale, però, i Superiori e le Sinassi hanno inoltre la potestà di governo per il foro esterno e interno a norma degli statuti.

Can. 512

§1. La Sinassi generale, che è la superiore autorità a norma degli statuti, sia formata in modo tale che, rappresentando l'intero ordine o congregazione, diventi un vero segno della sua unità nella carità.

§2. Non solo le province e le case, ma anche ogni membro può inviare liberamente alla Sinassi generale i suoi desideri nel modo determinato negli statuti.

Can. 513

§1. Perché i membri siano validamente nominati oppure eletti all'ufficio di Superiore si richiede un adeguato tempo dopo la professione perpetua, da determinare negli statuti che, se si tratta dei Superiori maggiori, deve essere almeno di dieci anni, da computare dalla prima professione.

§2. Se si tratta del Superiore generale è richiesto inoltre per la validità che abbia compiuto i trentacinque anni.

Can. 514

§1. I Superiori siano costituiti per uno spazio di tempo determinato e conveniente, a meno che gli statuti non stabiliscano diversamente per il Superiore generale.

§2. Tuttavia essi possono essere rimossi dall'ufficio o trasferiti a un altro, prima che sia trascorso il tempo determinato, per cause e secondo modalità determinate dagli statuti.

§3. Si provveda negli statuti con norme adatte affinché i membri non siano Superiori troppo a lungo senza interruzione.

Can. 515

§1. Il Superiore generale sia designato mediante elezione a norma degli statuti.

§2. Tutti gli altri Superiori siano designati a norma degli statuti, in modo tale, tuttavia, che se vengono eletti necessitino della conferma del competente Superiore maggiore; se invece sono nominati, si premetta un'opportuna consultazione.

§3. Nelle elezioni si osservino accuratamente i cann. 947-960 come pure il can. 445.

Can. 516

§1. Per l'amministrazione dei beni temporali negli ordini e nelle congregazioni vi siano gli economi: l'economo generale che amministri i beni dell'intero ordine o congregazione, l'economo provinciale per quelli della provincia, l'economo locale per quelli delle singole case; tutti costoro esercitino il loro ufficio sotto la direzione del Superiore.

§2. Il Superiore maggiore non può svolgere da solo l'ufficio di economo generale e di economo provinciale; l'ufficio invece di economo locale, anche se è meglio che sia distinto dall'ufficio di Superiore, è tuttavia compatibile con esso, se la necessità lo esige.

§3. Se gli statuti non prevedono il modo di designazione degli economi, essi siano nominati dal Superiore maggiore col consenso del suo consiglio.

3° Ammissione negli ordini e nelle congregazionie il noviziato

Can. 517

§1. L'età richiesta per la valida ammissione al noviziato di un ordine o congregazione è il diciasettesimo anno compiuto; a riguardo di tutti gli altri requisiti per l'ammissione al noviziato, si osservino i can. 448, can. 450, can. 452 e can. 454.

§2. Nessuno può essere ammesso lecitamente al noviziato di un istituto religioso di un'altra Chiesa sui iuris senza la licenza della Sede Apostolica, a meno che non si tratti di un candidato che è destinato a una provincia o casa, di cui nel can. 432, della propria Chiesa.

Can. 518

Prima di essere ammesso al noviziato il candidato sia preparato convenientemente, sotto la speciale cura di un membro sperimentato, per un tempo e secondo il modo determinato dagli statuti.

Can. 519

Il diritto di ammettere i candidati al noviziato appartiene ai Superiori maggiori a norma degli statuti, osservato il can. 453, §§2 e 3.

Can. 520

Il noviziato inizia nel modo prescritto dagli statuti.

Can. 521

L'erezione, il trasferimento e la soppressione della sede del noviziato avviene per decreto del Superiore generale col consenso del suo consiglio.

Can. 522

§1. Il noviziato, perché sia valido, dev'essere compiuto in una casa in cui vi è la sede del noviziato; in casi speciali e in via eccezionale, per concessione del Superiore generale col consenso del suo consiglio, il noviziato può essere compiuto in un'altra casa dello stesso ordine o congregazione sotto la direzione di un membro sperimentato che faccia le veci del maestro dei novizi.

§2. Il Superiore maggiore può permettere che il gruppo dei novizi dimori, per un certo spazio di tempo, in un'altra casa del proprio ordine o congregazione da lui designata.

Can. 523

§1. Per la validità del noviziato si richiede che il noviziato comprenda un anno intero e continuo; l'assenza però più breve di tre mesi, sia continua sia interrotta, non tocca la validità; ma il tempo mancante, se supera i quindici giorni, dev'essere supplito, anche se era stato dedicato a completare la formazione dei novizi con esercitazioni apostoliche.

§2. Se negli statuti è prescritto un tempo di noviziato più lungo, questo non è richiesto per la validità della professione.

Can. 524

§1. Alla formazione dei novizi sia preposto come maestro, a norma degli statuti, un membro che si distingue per prudenza, carità, pietà, scienza e per l'osservanza dello stato religioso, che sia professo almeno da dieci anni e, se si tratta di un ordine o una congregazione clericale, costituito nell'ordine del presbiterato.

§2. Al maestro si assegnino, se è necessario, dei collaboratori che in tutto quanto riguarda la direzione del noviziato e la formazione dei novizi siano a lui soggetti.

§3. È compito del solo maestro provvedere alla formazione dei novizi e a lui solamente compete la direzione del noviziato in modo che a nessuno sia lecito intromettersi in queste cose, eccettuati quei Superiori a cui è permesso dagli statuti e ai visitatori; per quanto invece riguarda la disciplina religiosa di tutta la casa, il maestro allo stesso modo dei novizi, è sottoposto al Superiore.

§4. Il novizio è soggetto alla potestà del maestro e dei Superiori e a costoro egli deve obbedire.

Can. 525

§1. Tutto ciò che è prescritto nei cann. 459-461 vale anche per gli ordini e le congregazioni.

§2. Prima di emettere la professione temporanea il novizio deve cedere a chi preferisce l'amministrazione dei suoi beni che al momento possiede e che in seguito gli potrebbero forse sopraggiungere, e deve disporre liberamente del loro uso e dell'usufrutto.

4° La professione negli ordini e nelle congregazioni

Can. 526

§1. La professione temporanea con i tre voti di obbedienza, di castità e di povertà venga emessa per un tempo stabilito negli statuti.

§2. Questa professione, a norma degli statuti, può essere rinnovata più volte in modo tale, però, che complessivamente non si estenda mai per un tempo più breve di un triennio o più lungo di un sessennio.

Can. 527

Per la validità della professione temporanea si richiede:

1° che il noviziato sia stato compiuto validamente;

2° che il novizio sia ammesso alla professione dal Superiore competente secondo gli statuti con il consenso del suo consiglio e che la professione sia ricevuta dallo stesso Superiore personalmente o per mezzo di un altro;

3° che la professione sia espressa e non emessa o ricevuta con violenza, timore grave oppure dolo;

4° che siano adempiute tutte le altre cose richieste negli statuti per la validità della professione.

Can. 528

Un membro di voti temporanei ha lo stesso obbligo di osservare gli statuti come un membro di voti perpetui; è privo di voce attiva e passiva, a meno che non sia espressamente disposto diversamente negli statuti.

Can. 529

§1. La professione temporanea rende illeciti ma non invalidi gli atti contrari ai voti.

§2. Questa professione non toglie al membro la proprietà dei suoi beni né la capacità di acquistarne altri; tuttavia non è lecito al membro rinunciare con atto tra vivi al dominio dei suoi beni a titolo grazioso.

§3. Tutto ciò che un membro di voti temporanei invece acquista con la propria attività oppure a motivo dell'ordine o della congregazione, lo acquista per l'ordine o la congregazione; se non è legittimamente provato il contrario, si presume che il membro acquisti a motivo dell'ordine o della congregazione.

§4. Il membro di voti temporanei può cambiare la cessione o la disposizione di cui nel can. 525, §2; non però di proprio arbitrio, ma col consenso del Superiore maggiore, purché il cambiamento almeno di una parte notevole dei beni non sia fatto a favore dell'ordine o della congregazione; con l'uscita però dall'ordine o dalla congregazione tale cessione e disposizione cessa di avere vigore.

§5. Se un membro di voti temporanei ha contratto debiti e obbligazioni, ne deve rispondere lui stesso, a meno che egli non abbia trattato un affare dell'ordine o della congregazione con licenza del Superiore.

§6. Emessa la professione temporanea, sono vacanti per il diritto stesso tutti gli uffici del professo.

Can. 530

Nelle congregazioni il membro faccia liberamente il testamento, almeno prima della professione perpetua, che sia valido anche nel diritto civile.

Can. 531

Per mezzo della professione perpetua il membro assume definitivamente lo stato religioso, perde la propria eparchia e viene aggregato a pieno diritto all'ordine o alla congregazione.

Can. 532

Per la validità della professione perpetua, oltre ai requisiti di cui nel can. 464, si richiede che ci sia stata precedentemente la professione temporanea a norma del can. 526.

Can. 533

Negli ordini la professione perpetua è equiparata alla professione monastica: valgono perciò per essa i cann. 466-468.

Can. 534

Nelle congregazioni:

1° gli effetti canonici della professione perpetua restano gli stessi che sono determinati nel can. 529 sulla professione temporanea, a meno che dal diritto comune non sia disposto diversamente;

2° il Superiore maggiore col consenso del suo consiglio può concedere, al membro di voti perpetui che lo richiede, la licenza di cedere i suoi beni, salve restando le norme della prudenza;

3° la Sinassi generale è competente a introdurre negli statuti, se sembra opportuno, la rinuncia obbligatoria al patrimonio acquistato o acquistabile dal membro, che però non può essere fatta prima della professione perpetua.

Can. 535

§1. Nell'emettere qualsiasi professione si osservino le prescrizioni degli statuti.

§2. Si conservi nell'archivio dell'ordine o della congregazione il documento di emissione della professione, sottoscritto dal membro stesso e da colui che, anche se per delega, ha ricevuto la professione; se si tratta della professione perpetua, il Superiore maggiore deve al più presto informare della stessa il parroco presso il quale è stato registrato il battesimo del membro.

5° La formazione dei membri e la disciplina religiosa negli ordini e nelle congregazioni

Can. 536

§1. Il modo della formazione dei membri viene determinato negli statuti, osservando il can. 471, §1.

§2. La formazione dei membri che sono destinati agli ordini sacri, deve essere fatta inoltre secondo il piano di formazione dei chierici, di cui nel can. 330, nella sede degli studi dell'ordine o della congregazione, approvata dalla Sinassi generale o dai Superiori maggiori a norma degli statuti; se invece non si può avere una propria sede degli studi a norma del can. 340, §1, i membri devono essere formati sotto la guida di uno sperimentato moderatore in un altro seminario o in un istituto di studi superiori approvato dall'autorità ecclesiastica.

Can. 537

§1. I Superiori maggiori possono dare, a norma degli statuti, le lettere dimissorie per la sacra ordinazione ai membri di voti perpetui.

§2. Il Vescovo, al quale il Superiore deve inviare le lettere dimissorie, è il Vescovo eparchiale del luogo dove l'ordinando ha il domicilio; a un altro Vescovo, invece, se il Vescovo eparchiale ha concesso la licenza, oppure è di un'altra Chiesa sui iuris diversa da quella dell'ordinando, oppure è assente, oppure infine se la sede eparchiale è vacante e la governa uno che non è ordinato Vescovo; di queste cose è necessario che il Vescovo ordinante sia informato nei singoli casi mediante un autentico documento della curia eparchiale.

Can. 538

§1. Nelle singole case degli ordini e delle congregazioni si celebrino le lodi divine a norma degli statuti e delle legittime consuetudini.

§2. I Superiori abbiano cura che tutti i membri adempiano, a norma degli statuti, quanto è prescritto nel can. 473, §2.

§3. I membri degli ordini e delle congregazioni ricevano frequentemente il sacramento della penitenza e si osservi il can. 474, §2.

Can. 539

§1. I Superiori abbiano cura che i membri dispongano di confessori idonei.

§2. Negli ordini e nelle congregazioni clericali di diritto pontificio o patriarcale, i confessori siano designati dal Superiore maggiore a norma degli statuti; in tutti gli altri casi, invece, dal Gerarca del luogo dopo aver ascoltato il Superiore, il quale deve consultare previamente la comunità interessata.

Can. 540

Per ciò che riguarda l'abito dei membri, si deve stare alle prescrizioni degli statuti e, fuori delle proprie case, anche alle norme del Vescovo eparchiale.

Can. 541

Le norme sulla clausura siano determinate negli statuti dei singoli ordini e congregazioni secondo la propria indole, fermo restando il diritto dei Superiori, anche locali, di permettere diversamente, a modo di atto e per giusta causa.

Can. 542

I Superiori procurino che i membri da loro designati, specialmente nell'eparchia in cui abitano, se dal Gerarca del luogo o dal parroco viene richiesto il loro aiuto per provvedere alle necessità dei fedeli, lo diano volentieri entro o fuori le proprie chiese, salve restando l'indole e la disciplina religiosa dell'istituto.

Can. 543

Il membro di un ordine o congregazione che è parroco rimane legato ai voti ed è anche tenuto a tutti gli altri obblighi della sua professione e agli statuti nella misura in cui la loro osservanza è compatibile con gli obblighi del suo ufficio; per quanto concerne la disciplina religiosa, egli è sottoposto al Superiore; nelle cose invece che riguardano l'ufficio di parroco, ha gli stessi diritti e doveri di tutti gli altri parroci e in egual misura è sottoposto al Vescovo eparchiale.

6° Passaggio a un altro ordine o congregazione oppure a un monastero sui iuris

Can. 544

§1. Entro i confini del territorio della Chiesa patriarcale, un membro può passare validamente a un altro istituto religioso col consenso dato per iscritto dal Patriarca e col consenso del proprio Superiore generale e del Superiore generale dell'ordine o della congregazione al quale vuole passare, oppure, se si tratta di passaggio a un monastero, del Superiore del monastero sui iuris ; per dare questo consenso i Superiori necessitano del consenso previo del loro consiglio o, se si tratta di un monastero, della Sinassi.

§2. Un membro può passare validamente da una congregazione di diritto eparchiale a un altro istituto religioso di diritto eparchiale col consenso dato per iscritto del Vescovo eparchiale del luogo dove è la casa principale dell'istituto religioso verso il quale avviene il passaggio, dopo aver consultato il Superiore generale della congregazione dalla quale avviene il passaggio e col consenso del Superiore generale della congregazione, oppure del Superiore del monastero sui iuris, verso il quale avviene il passaggio; per dare questo consenso i Superiori necessitano del previo consenso del loro consiglio o, se si tratta di un monastero, della Sinassi.

§3. In tutti gli altri casi un membro non può passare validamente a un altro istituto religioso se non col consenso della Sede Apostolica.

§4. Per la validità del passaggio a un istituto religioso di un'altra Chiesa sui iuris è richiesto il consenso della Sede Apostolica.

Can. 545

§1. Colui che fa il passaggio deve fare il noviziato per intero, a meno che il Superiore generale o il Superiore del monastero sui iuris, entrambi col consenso del loro consiglio, non riducano per speciali motivi il tempo del noviziato, ma non meno di sei mesi; durante il noviziato, pur rimanendo i voti, sono sospesi i diritti e doveri particolari che il membro aveva nel precedente ordine o congregazione, ed egli rimane soggetto ai Superiori e al maestro dei novizi del nuovo istituto religioso anche in virtù del voto di obbedienza.

§2. Finito il noviziato, colui che fa il passaggio se era già professo perpetuo emetta pubblicamente la professione perpetua secondo le prescrizioni degli statuti del nuovo istituto religioso; con questa professione egli viene aggregato pienamente al nuovo istituto e, se è chierico, viene ad esso ascritto anche come chierico; colui invece che è ancora professo di voti temporanei, rinnovi nello stesso modo la professione temporanea almeno per la durata di tre anni, a meno che non abbia trascorso tutto il triennio del noviziato nel monastero sui iuris nel quale passa.

§3. Se il membro non emette la professione nel nuovo istituto religioso, egli deve ritornare al precedente, a meno che non sia trascorso intanto il tempo della professione.

§4. Circa i beni e la dote, si osservi il can. 488, §4.

7° L'esclaustrazione e la separazione dall'ordine o dalla congregazione

Can. 546

§1. Il professo di voti temporanei, scaduto il tempo della professione, può lasciare liberamente l'istituto religioso.

§2. Colui che durante i voti temporanei chiede per una grave causa di lasciare l'ordine o la congregazione, può ottenere l'indulto di separarsi definitivamente dall'ordine o dalla congregazione dal Superiore generale col consenso del suo consiglio e ritornare alla vita secolare con gli effetti di cui nel can. 493; nelle congregazioni di diritto eparchiale perché l'indulto abbia valore deve essere confermato dal Vescovo eparchiale del luogo dove è la casa principale della stessa congregazione.

Can. 547

§1. Il Superiore maggiore per una giusta causa e dopo aver consultato il suo consiglio può escludere un membro dalla rinnovazione degli stessi voti o dall'emissione della professione perpetua.

§2. Una malattia fisica o psichica, anche se contratta dopo la professione temporanea, la quale, a giudizio di periti, rende il membro di voti temporanei inetto a vivere nell'istituto religioso, costituisce un motivo per non ammetterlo a rinnovare la professione temporanea o a emettere la professione perpetua, a meno che la malattia non sia stata contratta per negligenza dell'istituto o per un lavoro compiuto nell'istituto.

§3. Se però un membro, durante i voti temporanei, è diventato demente, anche se non può emettere la nuova professione, non può tuttavia essere dimesso dall'istituto.

Can. 548

§1. L'indulto di esclaustrazione può essere concesso dall'autorità a cui l'ordine o la congregazione è soggetto, dopo aver ascoltato il Superiore generale assieme al suo consiglio; invece l'imposizione dell'esclaustrazione è disposta dalla stessa autorità su domanda del Superiore generale col consenso del suo consiglio.

§2. Per tutto il resto a riguardo dell'esclaustrazione si osservino i cann. 489-491.

Can. 549

§1. Un membro di voti perpetui non chieda l'indulto di separarsi dall'ordine o dalla congregazione e di ritornare alla vita secolare se non per cause gravissime; presenti la sua domanda al Superiore generale, il quale la inoltrerà, insieme al suo voto e a quello del suo consiglio, all'autorità competente.

§2. Tale indulto negli ordini è riservato alla Sede Apostolica; nelle congregazioni invece, oltre la Sede Apostolica, lo può concedere anche:

1° il Patriarca a tutti i membri che hanno il domicilio entro i confini del territorio della Chiesa a cui presiede, dopo aver consultato, se si tratta di una congregazione di diritto eparchiale, il Vescovo eparchiale;

2° il Vescovo eparchiale dell'eparchia nella quale il membro ha il domicilio, se si tratta di congregazioni di diritto eparchiale.

§3. L'indulto di separarsi dall'ordine o dalla congregazione produce gli stessi effetti canonici che sono stabiliti nel can. 493; ma per il membro che è costituito nell'ordine sacro vale inoltre il can. 494.

Can. 550

Il membro che si allontana illegittimamente dalla casa del proprio ordine o congregazione con l'intenzione di sottrarsi alla potestà dei Superiori, sia ricercato sollecitamente dagli stessi Superiori; se però non ritorna entro il tempo prescritto dagli statuti, sia punito a norma del diritto o anche dimesso.

8° Dimissione dall'ordine o dalla congregazione

Can. 551

Quanto è prescritto sulla dimissione o sull'espulsione nei cann. 497 e 498, vale anche per i membri di ordini e congregazioni; ma l'autorità competente è il Superiore maggiore col parere del suo consiglio oppure, se si tratta di espulsione, col consenso dello stesso consiglio; se vi è un pericolo nell'attesa e non c'è il tempo sufficiente per ricorrere al Superiore maggiore, anche il Superiore locale col consenso del suo consiglio può espellere il membro informando prontamente il Superiore maggiore.

Can. 552

§1. Un membro di voti temporanei può essere dimesso dal Superiore generale col consenso del suo consiglio, a meno che negli statuti la dimissione sia riservata al Vescovo eparchiale o ad altra autorità alla quale l'ordine o la congregazione è sottoposto.

§2. Per decidere la dimissione si osservino, oltre alle altre condizioni eventualmente prescritte dagli statuti, le seguenti:

1° le cause della dimissione devono essere gravi e, da parte del membro, anche esterne e imputabili;

2° la mancanza di spirito religioso, che può essere di scandalo agli altri, è causa sufficiente della dimissione se la ripetuta ammonizione, unita a una salutare penitenza, è risultata vana;

3° le cause della dimissione devono essere venute a conoscenza con certezza dall'autorità che dimette, anche se non è necessario che le stesse siano provate formalmente; ma esse devono essere sempre manifestate al membro, dandogli piena possibilità di difendersi, e le sue risposte devono essere sottoposte fedelmente all'autorità che dimette.

§3. Il ricorso contro il decreto di dimissione ha effetto sospensivo.

Can. 553

Per dimettere un membro di voti perpetui è competente il Superiore generale; per tutto il resto si osservino i cann. 500-503.

Capitolo II - Le Società di vita comune a quisa dei Religiosi

Can. 554

§1. L'istituto nel quale i membri professano i consigli evangelici con qualche vincolo sacro, non però con i voti religiosi, e che imitano il modo di vivere dello stato religioso sotto il governo dei Superiori secondo gli statuti, è una società di vita comune a guisa dei religiosi.

§2. Questa società è di diritto pontificio, di diritto patriarcale o eparchiale a norma del can. 505, §2; è invece clericale a norma del can. 505, §3; dipende dall'autorità ecclesiastica come le congregazioni a norma dei cann. 413-415, can. 419, can. 420, §3 e, salvo il diritto particolare stabilito dalla Sede Apostolica, del can. 418, §2*+.

§3. I membri di queste società, sono equiparati ai religiosi, per quanto riguarda gli effetti canonici, se non è disposto diversamente dal diritto o non consta dalla natura della cosa.

Can. 555

Tutti i membri di queste società sono soggetti al Romano Pontefice come loro supremo Superiore e hanno l'obbligo di mettersi ai suoi ordini anche in virtù del sacro vincolo dell'obbedienza.

Can. 556

Riguardo all'erezione e alla soppressione della società e delle sue province o case, valgono le stesse norme che sono stabilite per le congregazioni nei cann. 506-510.

Can. 557

Il governo viene determinato dagli statuti della società, ma si applichi in tutto, se non s'oppone la natura della cosa, quanto è stabilito per le congregazioni nei can. 422 e cann. 511-515.

Can. 558

§1. La società e le sue province e case legittimamente erette sono persone giuridiche per il diritto stesso a norma del can. 423.

§2. L'amministrazione dei beni è regolata dai can. 424, can. 425 e can. 516.

§3. Tutto quello che proviene ai membri a motivo della società, è acquisito dalla società; i membri conservano, acquistano e amministrano tutti gli altri beni secondo gli statuti.

Can. 559

§1. Nell'ammissione dei candidati alla società si osservino gli statuti, salvi restando i cann. 450 e 451.

§2. Così pure circa la formazione dei membri si osservino gli statuti; ma nella formazione di coloro che sono destinati agli ordini sacri, si osservino inoltre i canoni sulla formazione dei chierici.

Can. 560

§1. Il Superiore maggiore della società può dare, a norma degli statuti, ai membri cooptati perpetuamente le lettere dimissorie per la sacra ordinazione; queste lettere devono essere inviate al Vescovo di cui nel can. 537, §2.

§2. Il membro cooptato perpetuamente è ascritto alla società come chierico con l'ordinazione diaconale o, nel caso di un chierico già ascritto a un'eparchia, con la cooptazione perpetua.

Can. 561

I membri della società hanno gli obblighi che sono prescritti ai chierici dal diritto comune, se non è disposto diversamente dal diritto o se non consta dalla natura della cosa, fermi restando i diritti e i doveri determinati negli statuti.

Can. 562

§1. Circa il passaggio a un'altra società di vita comune a guisa dei religiosi o a un istituto religioso, si richiede il consenso del Superiore generale della società dalla quale avviene il passaggio e, se si tratta di passaggio in una società o istituto di un'altra Chiesa sui iuris, anche il consenso della Sede Apostolica.

§2. Il membro che passa a un istituto religioso deve fare l'intero noviziato e viene equiparato a tutti gli altri novizi dello stesso istituto; a riguardo della professione ci si attenga agli statuti del nuovo istituto.

§3. Fermi restando i cann. 497 e 498, per dimettere un membro cooptato perpetuamente è competente il Superiore generale, osservando per tutto il resto i cann. 500-503; il membro cooptato temporaneamente, invece, è dimesso a norma del can. 552.

§4. Negli statuti della società si stabilisca l'autorità a cui spetta sciogliere il vincolo sacro.

Capitolo III - Gli Istituti Secolari

Can. 563

§1. L'istituto secolare è una società nella quale i membri:

1° tendono a dedicare tutti se stessi a Dio per mezzo della professione dei tre consigli evangelici, secondo gli statuti, confermata con un qualche vincolo sacro riconosciuto dalla Chiesa;

2° esercitano un'attività apostolica a guisa di fermento nel secolo e dall'interno del secolo, in modo che tutte le realtà siano permeate di spirito evangelico per il consolidamento e l'incremento del corpo di Cristo;

3° non imitano il modo di vivere dei religiosi, ma conducono una vita di comunione tra di loro secondo i propri statuti;

4° siano chierici o laici, ognuno rimane nel suo stato per quanto riguarda tutti gli effetti canonici.

§2. Gli istituti secolari sono di diritto pontificio, di diritto patriarcale o di diritto eparchiale a norma del can. 505, §2.

Can. 564

I membri degli istituti secolari sono soggetti al Romano Pontefice come loro supremo Superiore; hanno l'obbligo di mettersi ai suoi ordini anche in virtù del sacro vincolo dell'obbedienza.

Can. 565

Il membro di un istituto secolare per mezzo dell'ordinazione diaconale viene ascritto come chierico all'eparchia per il cui servizio è stato ordinato, a meno che, per concessione della Sede Apostolica oppure, se si tratta di un istituto di diritto patriarcale, del Patriarca, non venga ascritto allo stesso istituto.

Can. 566

A riguardo dell'erezione e soppressione degli istituti secolari, dei loro statuti, come pure della dipendenza dall'autorità ecclesiastica, si osservi ciò che è stato stabilito sulle congregazioni nei can. 414, cann. 506, 507 §2, cann. 509 e 510.

Can. 567

§1. Gli istituti secolari, le loro province e case legittimamente erette sono persone giuridiche per il diritto stesso a norma del can. 423.

§2. L'amministrazione dei beni è regolata dai cann. 424 e 425.

Can. 568

§1. Nell'ammissione dei candidati si osservino gli statuti, fermo restando il can. 450.

§2. Un membro cooptato perpetuamente in un istituto secolare viene dimesso con un decreto, dato a norma degli statuti, che non può essere mandato ad esecuzione se non è approvato dal Vescovo eparchiale o dalla competente autorità superiore; compete allo stesso Vescovo eparchiale o alla stessa autorità anche sciogliere il vincolo sacro.

Can. 569

È compito del diritto particolare di ciascuna Chiesa sui iuris dettare norme più dettagliate sugli istituti secolari.

Capitolo IV - Altre forme di vita consacrate e le società di Vita Apostolica

Can. 570

Per diritto particolare si possono costituire altre specie di asceti che imitano la vita eremitica, sia che appartengano a istituti di vita consacrata, oppure no; così pure possono essere costituite vergini o vedove consacrate che professano nel secolo, ciascuna per conto proprio, la castità con professione pubblica.

Can. 571

Approvare nuove forme di vita consacrata è riservato solamente alla Sede Apostolica; ma i Patriarchi e i Vescovi eparchiali procurino di discernere i nuovi doni di vita consacrata affidati dallo Spirito Santo alla Chiesa e aiutino i promotori a esprimere meglio i loro intendimenti e a tutelarli con adeguati statuti.

Can. 572

Le società di vita apostolica, i cui membri senza i voti religiosi perseguono un fine apostolico proprio della società e, conducendo una vita fraterna in comune secondo un proprio modo di vivere, tendono alla perfezione della carità per mezzo dell'osservanza delle costituzioni, e che si avvicinano agli istituti di vita consacrata, sono regolate soltanto dal diritto particolare della propria Chiesa sui iuris o stabilito dalla Sede Apostolica.

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