12 Ottobre 1977

La fede alla parola del Divino Maestro

L'incontro, che questa Udienza procura a voi e a noi, ha una grande importanza.

Esso può essere uno di quei momenti che restano non solo memorabili, ma decisivi.

Per noi è chiaro.

Noi siamo stati assunti dal Signore Gesù per fare il Pescatore; l'ha detto Lui nel Vangelo, a Pietro, del quale noi siamo umili, ma autentici successori.

« Seguitemi, ha detto Cristo ai primi Apostoli, vi farò pescatori di uomini » ( Mt 4,19 ).

Sempre, con umile trepidazione, con ardente preghiera, noi veniamo a queste Udienze, con un'ansiosa domanda nel cuore: « ecco, noi incontriamo tante persone, sconosciute secondo natura per la maggior parte; tante anime! avremo noi la grazia, la fortuna, di "pescarne" qualcuna? cioè di metterla in stato di vera riflessione interiore e di avviarla sopra un sentiero di autenticità religiosa, di fedeltà cristiana? ».

E può essere chiaro anche per voi.

Che cosa significa assistere ad una Udienza del Papa?

Può significare molte cose; non è solo la curiosità d'una scena singolare, ovvero solo un atto esteriore di pietà religiosa, che può dare interesse e importanza ad un momento come questo, per chi ha sensibilità spirituale e intelligenza dei propri destini.

E per ciascuno dei presenti, noi pensiamo, questo è un momento d'incontro, sì, ma non soltanto con la nostra modesta persona, sì bene un incontro formidabile, con Colui che noi abbiamo la missione di rappresentare, Gesù Cristo.

Forse più che un incontro, per ciascuno dei presenti, questo è un confronto.

Un confronto col Signore.

Con quel Signore davanti al Quale ogni persona è trasparente ( Cfr. Gv 1,47 ).

Qui ciascuno è come davanti allo specchio; lo specchio, fattosi stranamente chiaro, è la propria coscienza, illuminata dagli occhi di Cristo.

Se l'incontro fosse sensibile ( non lo è, ma è spiritualmente reale ), quale stato d'animo balzerebbe alla coscienza di chi si sente guardato, trapassato dallo sguardo di Cristo? ( Gv 2,24-25; Lc 6,5; Lc 22,60; etc. )

Forse non è temerario supporre che la coscienza di molti, scrutati da un occhio così penetrante, darebbe il risultato, tanto comune nella mentalità religiosa di molti uomini d'oggi, quello d'una certa confusione.

La domanda, che ciascuno di questi interrogati ripeterebbe a se stesso, sarebbe quella d'un dubbio stagnante e inguaribile, e cioè: « ma dunque Cristo è, o non è la verità? » ( Cfr. Gv 14,5.8-11; Gv 18,37 ).

Io, credo? o non credo?

E qui si prospetta una delle situazioni spirituali più diffuse fra gli uomini contemporanei, a riguardo della questione religiosa, e cioè la situazione d'incertezza, della sospensione, del dubbio sistematico, qualificato come la posizione più prudente, e perciò più sapiente, per la ragione umana, che altrettanto è avida di certezza scientifica, cioè puramente naturale, quanto è invece diffidente della verità che le viene elargita per fede.

Anche se la testimonianza, che sostiene la fede, è quella di Cristo?

Pur troppo, sì.

Anche se l'adesione a questa testimonianza costituisce ragione di salvezza? ( Mc 16,16 )

Pur troppo, sì.

Ed è allora a questo punto che noi attendiamo gli uomini d'oggi, i cristiani nuovi.

Bisogna ricominciare dal fondamento che sostiene l'edificio religioso: la fede, l'adesione alla parola del Maestro, una fede semplice, ferma, subito confortata dal dono della certezza divina.

Ricordiamo la parola basilare di S. Paolo: « l'uomo giusto vivrà mediante la fede » ( Rm 1,16-17 ).

Così sia per tutti noi; con la nostra Benedizione Apostolica.