Mandati per convocare

Parlando di missione dobbiamo ancora ricordare la necessità di evitare un equivoco.

Spesso si dice che noi siamo da Dio "convocati per la missione".

Questo fa pensare che la convocazione del popolo di Dio-Chiesa sia soltanto il presupposto per l'invio nel mondo, cioè la missione.

Le cose, in realtà, non stanno così.

Infatti i Profeti e gli Apostoli sono stati inviati per riunire il popolo di Dio.

Gesù stesso è stato inviato dal Padre "per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" ( Gv 11,52 ).

Gesù, a sua volta, invia i suoi a tutti i popoli per raccogliere in mezzo ad essi la comunità dei discepoli.

Perciò volendo esprimerci correttamente in riferimento al mandato per la missione non possiamo sostenere che siamo "convocati per la missione", ma dobbiamo affermare di essere "mandati per convocare il popolo di Dio".

È questo l'impegno che il Signore ci ha dato e la sfida con cui la nostra Chiesa di Torino deve confrontarsi anche oggi, all'inizio del terzo millennio cristiano.

a) Pugno di lievito

In questo grande compito che abbiamo di sentirci mandati per convocare gli uomini orientandoli ad accogliere la salvezza che Gesù offre a tutti, dobbiamo tener presenti due attenzioni particolari.

Innanzitutto dobbiamo evitare la tentazione di voler vedere subito i risultati del nostro lavoro pastorale.

La voglia di contarci e di toccare con mano un certo successo delle nostre iniziative, il desiderio di sentirci importanti perché si è molti, non corrispondono all'insegnamento di Gesù che ci raccomanda di considerarci "pugno di lievito", che non si vede, o "granello di senape", che è piccolissimo.

La Chiesa nasce dal poco, da una persona, da un piccolo gruppo.

Nei primi secoli, quando il cristianesimo non era ufficialmente riconosciuto e non disponeva di grandi mezzi, le comunità cristiane hanno influenzato il mondo con la loro semplice esistenza, con il loro modo di vivere.

b) Partecipi della passione di Cristo

L'altra attenzione da tenere presente è che la Chiesa, associata a Cristo nell'opera della redenzione, è pure associata alla sua vicenda di passione e di morte: "Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e la persecuzione, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza" ( Lumen Gentium 8 ).

Quindi la via della croce, della fatica, della derisione, dell'insuccesso, della persecuzione da parte di quanti non sembrano interessati al nostro annuncio, è costitutiva della missione, se vogliamo seguire la via di Cristo e non altre vie mondanamente più allettanti e promettenti.

È bene tenere presente tutto questo nel lavoro che ci attende in attuazione del Piano Pastorale.

Il Papa ci ha ricordato che al termine del secondo millennio la Chiesa "è divenuta nuovamente Chiesa di martiri" ( TMA 37 ).

Anche a noi è richiesto oggi un martirio: forse non quello che comporta l'effusione del sangue, ma il martirio quotidiano, la testimonianza a "caro prezzo" nella fedeltà al mandato che Cristo ci ha affidato, anche quando bisogna remare controcorrente o sentiamo intorno un clima di indifferenza e di non voglia di Vangelo, per cui abbiamo l'impressione di vivere l'esperienza di Paolo all'Areopago di Atene, quando gli dissero: "Ti sentiremo su questo un'altra volta" ( At 17,32 ).

Quanta gente, anche nelle nostre comunità di grande tradizione cristiana, desidera essere lasciata in pace e rifiuta un annuncio che noi invece dobbiamo fare, con dolcezza ma anche con chiarezza, per mettere in discussione specifiche scelte antievangeliche.

È questo il martirio quotidiano dell'operaio del Vangelo al quale non ci dobbiamo sottrarre.