Dominum et vivificantem

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Lo Spirito, che trasforma la sofferenza in amore salvifico

39 Lo Spirito, che scruta le profondità di Dio, è stato chiamato da Gesù nel discorso del Cenacolo il Paraclito.

Infatti, sin dall'inizio « viene invocato »145 per « convincere il mondo quanto al peccato ».

Egli viene invocato in modo definitivo per mezzo della Croce di Cristo.

Convincere del peccato vuol dire dimostrare il male in esso contenuto.

Il che equivale a rivelare il mistero dell'iniquità.

Non è possibile raggiungere il male del peccato in tutta la sua dolorosa realtà senza « scrutare le profondità di Dio ».

Sin dall'inizio l'oscuro mistero del peccato è apparso nel mondo sullo sfondo del riferimento al Creatore della libertà umana.

Esso è apparso come un atto di volontà della creatura-uomo contrario alla volontà di Dio: alla volontà salvifica di Dio; anzi, è apparso in opposizione alla verità, sulla base della menzogna ormai definitivamente « giudicata »: menzogna che ha posto in stato di accusa, in stato di permanente sospetto, lo stesso amore creativo e salvifico.

L'uomo ha seguito il « padre della menzogna », ponendosi contro il Padre della vita e lo Spirito di verità.

Il « convincere del peccato » non dovrà, dunque, significare anche il rivelare la sofferenza?

Rivelare il dolore inconcepibile ed inesprimibile, che, a causa del peccato, il Libro sacro nella sua visione antropomorfica sembra intravedere nelle « profondità di Dio » e, in un certo senso, nel cuore stesso dell'ineffabile Trinità?

La Chiesa ispirandosi alla Rivelazione, crede e professa che il peccato è offesa di Dio.

Che cosa nell'imperscrutabile intimità del Padre, del Verbo e dello Spirito Santo corrisponde a questa « offesa », a questo rifiuto dello Spirito che è amore e dono?

La concezione di Dio, come essere necessariamente perfettissimo, esclude certamente da Dio ogni dolore, derivante da carenze o ferite; ma nelle « profondità di Dio » c'è un amore di Padre che dinanzi al peccato dell'uomo, secondo il linguaggio biblico, reagisce fino al punto di dire: « Sono pentito di aver fatto l'uomo ». ( Gen 6,7 )

« Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra …

E il Signore si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo …

Il Signore disse: "Sono pentito di averli fatti" ». ( Gen 6,5-7 )

Ma più spesso il Libro sacro ci parla di un Padre, che prova compassione per l'uomo, quasi condividendo il suo dolore.

In definitiva, questo imperscrutabile e indicibile « dolore » di padre genererà soprattutto la mirabile economia dell'amore redentivo in Gesù Cristo, affinché, per mezzo del mistero della pietà, nella storia dell'uomo l'amore possa rivelarsi più forte del peccato.

Perché prevalga il « dono »!

Lo Spirito Santo, che secondo le parole di Gesù « convince del peccato », è l'amore del Padre e del Figlio e, come tale, è il dono trinitario e, al tempo stesso, l'eterna fonte di ogni elargizione divina al creato.

Proprio in lui possiamo concepire come personificata e attuata in modo trascendente quella misericordia, che la tradizione patristica e teologica, sulla linea dell'Antico e del Nuovo Testamento, attribuisce a Dio.

Nell'uomo la misericordia include dolore e compassione per le miserie del prossimo.

In Dio lo Spirito-amore traduce la considerazione del peccato umano in una nuova elargizione di amore salvifico.

Da lui, nell'unità col Padre e col Figlio nasce l'economia della salvezza, che riempie la storia dell'uomo con i doni della redenzione.

Se il peccato, rifiutando l'amore, ha generato la « sofferenza » dell'uomo che in qualche modo si è riversata su tutta la creazione, ( Rm 8,20-22 ) lo Spirito Santo entrerà nella sofferenza umana e cosmica con una nuova elargizione di amore, che redimerà il mondo.

E sulla bocca di Gesù Redentore, nella cui umanità si invera la « sofferenza » di Dio, risuonerà una parola in cui si manifesta l'eterno amore, pieno di misericordia: « Misereor ». ( Mt 15,32; Mc 8,2 )

Così da parte dello Spirito Santo il « convincere del peccato » diventa un manifestare davanti alla creazione « sottomessa alla caducità » e, soprattutto, nel profondo delle coscienze umane, come il peccato viene vinto mediante il sacrificio dell'Agnello di Dio, il quale è divenuto « fino alla morte » il servo obbediente che, riparando alla disobbedienza dell'uomo, opera la redenzione del mondo.

In questo modo lo Spirito di verità, il Paraclito, « convince del peccato ».

40 Il valore redentivo del sacrificio di Cristo è espresso con parole molto significative dall'autore della Lettera agli Ebrei, il quale, dopo aver ricordato i sacrifici dell'Antica Alleanza, in cui « il sangue dei capri e dei vitelli… purifica nella carne », soggiunge: « Quanto più il sangue di Cristo, il quale con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente »? ( Eb 9,13-14 )

Pur consapevoli di altre possibili interpretazioni, le nostre considerazioni sulla presenza dello Spirito Santo in tutta la vita di Cristo ci portano a ravvisare in questo testo come un invito a riflettere sulla presenza del medesimo Spirito anche nel sacrificio redentore del Verbo Incarnato.

Riflettiamo prima sulle parole iniziali che trattano di questo sacrificio e, in seguito, separatamente, sulla « purificazione della coscienza », da esso operata.

È, infatti, un sacrificio offerto « con (= per opera di) uno Spirito eterno », il quale da esso « attinge » la forza di « convincere del peccato » in ordine alla salvezza.

È lo stesso Spirito Santo che, secondo la promessa del Cenacolo, Gesù Cristo « porterà » agli apostoli il giorno della sua risurrezione, presentandosi loro con le ferite della crocifissione, e che « darà » loro « per la remissione dei peccati »: « Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi ». ( Gv 20,22s )

Sappiamo che « Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth », come diceva Simon Pietro nella casa del centurione Cornelio. ( At 10,38 )

Conosciamo il mistero pasquale della sua « dipartita », secondo il Vangelo di Giovanni Le parole della lettera agli Ebrei ora ci spiegano in quale modo Cristo « offrì se stesso senza macchia a Dio » e come ciò fece « con uno Spirito eterno ».

Nel sacrificio del Figlio dell'uomo lo Spirito Santo è presente ed agisce così come agiva nel suo concepimento, nella sua venuta al mondo, nella sua vita nascosta e nel suo ministero pubblico.

Secondo la Lettera agli Ebrei, sulla via della sua « dipartita » attraverso il Getsemani e il Golgota, lo stesso Cristo Gesù nella propria umanità si è aperto totalmente a questa azione dello Spirito-Paraclito, che dalla sofferenza fa emergere l'eterno amore salvifico.

Egli è stato, dunque, « esaudito per la sua pietà.

Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza dalle cose che patì ». ( Eb 5,7s )

In questo modo tale Lettera dimostra come l'umanità, sottomessa al peccato nei discendenti del primo Adamo, in Gesù Cristo è diventata perfettamente sottomessa a Dio ed a lui unita e, nello stesso tempo, piena di misericordia verso gli uomini.

Si ha così una nuova umanità, che in Gesù Cristo mediante la sofferenza della Croce è ritornata all'amore, tradito da Adamo col peccato.

Essa si è ritrovata nella stessa fonte divina dell'elargizione originaria: nello Spirito, che « scruta le profondità di Dio » ed è amore e dono egli stesso.

Il Figlio di Dio Gesù Cristo, come uomo, nell'ardente preghiera della sua passione, permise allo Spirito Santo, che già aveva penetrato fino in fondo la sua umanità, di trasformarla in un sacrificio perfetto mediante l'atto della sua morte, come vittima di amore sulla Croce.

Da solo egli fece questa oblazione.

Come unico sacerdote, « offrì se stesso senza macchia a Dio ». ( Eb 9,14 )

Nella sua umanità era degno di divenire un tale sacrificio, poiché egli solo era « senza macchia ».

Ma l'offrì « con uno Spirito eterno »: il che vuol dire che lo Spirito Santo agì in modo speciale in questa assoluta autodonazione del Figlio dell'uomo, per trasformare la sofferenza in amore redentivo.

41 Nell'Antico Testamento più volte si parla del « fuoco dal cielo », che bruciava le oblazioni presentate dagli uomini. ( Lv 9,24; 1 Re 18,38; 2 Cr 7,1 )

Per analogia si può dire che lo Spirito Santo è il « fuoco dal cielo », che opera nel profondo del mistero della Croce.

Provenendo dal Padre, egli indirizza verso il Padre il sacrificio del Figlio, introducendolo nella divina realtà della comunione trinitaria.

Se il peccato ha generato la sofferenza, ora il dolore di Dio in Cristo crocifisso acquista per mezzo dello Spirito Santo la sua piena espressione umana.

Si ha così un paradossale mistero d'amore: in Cristo soffre un Dio rifiutato dalla propria creatura: « Non credono in me! ».

ma, nello stesso tempo dal profondo di questa sofferenza - e, indirettamente, dal profondo dello stesso peccato « di non aver creduto » - lo Spirito trae una nuova misura del dono fatto all'uomo e alla creazione fin dall'inizio.

Nel profondo del mistero della Croce agisce l'amore, che riporta nuovamente l'uomo a partecipare alla vita, che è in Dio stesso.

Lo Spirito Santo come amore e dono discende, in un certo senso, nel cuore stesso del sacrificio che viene offerto sulla Croce.

Riferendoci alla tradizione biblica, possiamo dire: egli consuma questo sacrificio col fuoco dell'amore, che unisce il Figlio col Padre nella comunione trinitaria.

E poiché il sacrificio della Croce è un atto proprio di Cristo, anche in questo sacrificio « egli riceve lo Spirito Santo ».

Lo riceve in modo tale, che poi egli - ed egli solo con Dio Padre - può « darlo » agli apostoli, alla Chiesa, all'umanità.

Egli solo lo « manda » dal Padre. ( Gv 15,26 )

Egli solo si presenta davanti agli apostoli riuniti nel Cenacolo, « alita su di loro » e dice: « Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi », ( Gv 20,22s ) come aveva preannunciato Giovanni Battista: « Egli vi battezzerà nello Spirito Santo e nel fuoco ». ( Mt 3,11 )

Con quelle parole di Gesù lo Spirito Santo è rivelato ed insieme è reso presente come amore che opera nel profondo del mistero pasquale, come fonte della potenza salvifica della Croce di Cristo, come dono della vita nuova ed eterna.

Questa verità sullo Spirito Santo trova quotidiana espressione nella liturgia romana, quando il sacerdote, prima della comunione, pronuncia quelle significative parole: « Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e con l'opera dello Spirito Santo morendo hai dato la vita al mondo … ».

E nella III Preghiera Eucaristica, riferendosi alla stessa economia salvifica, il sacerdote chiede a Dio che lo Spirito Santo « faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito ».

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145 In greco il verbo παραχαλεϊν = invocare, chiamare a sé