Istruzione " Postquam Apostoli "

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IV. Compiti e doveri delle Chiese particolari

La chiesa particolare come comunità

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13. La diocesi, come chiesa particolare, è una porzione del popolo di Dio che è affidata al vescovo con la collaborazione del presbiterio, per essere governata, e santificata.36

Ma perché si formi una vera e viva comunità diocesana, è necessario che le strutture di base, e specialmente le parrocchie, coltivino il senso della diocesi e si sentano come cellule vive in essa, e così si inseriscano nella chiesa universale.37

Perciò il concilio esorta i parroci a svolgere la loro funzione in modo che "i fedeli e le comunità parrocchiali si sentano realmente membri non solo della diocesi, ma anche della chiesa universale".38

In questa chiesa particolare "è veramente presente e agisce la chiesa, una, santa, cattolica e apostolica".39

Ne segue che la diocesi deve riprodurre alla perfezione la chiesa universale nell'ambiente concreto; e bisogna che diventi un segno tale da poter additare Cristo a tutti coloro che con lei hanno un qualche rapporto.40

La chiesa particolare in rapporto con le altre chiese

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14. Siccome la chiesa particolare è stata formata "secondo l'immagine della chiesa universale",41 nel suo seno si rispecchia la speranza e l'angoscia, la gioia e la tristezza di tutta la chiesa.

È vero che la chiesa particolare deve innanzitutto evangelizzare la porzione del popolo di Dio a lei affidata, ossia quelli che hanno perduto la fede oppure non la praticano più;42 ad essa, tuttavia, incombe anche il sacrosanto dovere di "promuovere tutta l'attività che è comune alla chiesa universale".43

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Ne segue che la chiesa particolare non può chiudersi in se stessa, ma, come parte viva della chiesa universale, deve aprirsi alle necessità delle altre chiese.

Pertanto la sua partecipazione alla missione evangelizzatrice universale non è lasciata al suo arbitrio, anche se generoso, ma deve considerarsi come una fondamentale legge di vita; diminuirebbe, infatti, il suo slancio vitale, se essa, concentrandosi unicamente sui propri problemi, si chiudesse alle necessità delle altre chiese.

Riprende invece nuovo vigore, tutte le volte che si allargano i suoi orizzonti verso gli altri.

Tale dovere della chiesa particolare è chiaramente sottolineato dal concilio Vaticano II, in quanto afferma che il rinnovamento, anzi la sana riforma della chiesa particolare, dipende dal grado di carità ecclesiale con cui essa si sforza di portare il dono della fede alle altre chiese: "La grazia del rinnovamento non può crescere nelle comunità, se ciascuna di esse non allarga gli spazi della carità sino ai confini della terra, dimostrando per quelli che sono lontani la stessa sollecitudine che ha per coloro che sono suoi membri".44

Il significato della collaborazione reciproca

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15. La chiesa universale conseguirà un grande profitto, se le comunità diocesane si sforzeranno di sviluppare reciproci rapporti, scambiandosi aiuti e beni; sorgerà così quella comunione e cooperazione delle chiese fra di loro che oggi è quanto mai necessaria perché possa felicemente proseguire il lavoro della evangelizzazione.45

Parlando di questo argomento, si usano sovente espressioni, come quelle di "diocesi ricche" o "diocesi povere"; espressioni che potrebbero indurre in errore, come se una chiesa dia soltanto aiuto, e l'altra soltanto lo riceva.

Invece la questione sta in altri termini: si tratta, infatti, di una scambievole collaborazione, perché esiste una vera reciprocità fra le due chiese, in quanto la povertà di una chiesa che riceve aiuto, rende più ricca la chiesa che si priva nel donare, e lo fa sia rendendo più vigoroso lo zelo apostolico della comunità più ricca, sia soprattutto comunicando le sue esperienze pastorali, che spesso sono utilissime e possono riguardare un metodo più semplice ma più efficace di lavoro pastorale, o gli ausiliari laici nell'apostolato, o le piccole comunità, ecc.

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Gli artefici di questa comune collaborazione saranno gli stessi ministri, scelti dal vescovo, i quali si sentiranno come messaggeri della propria comunità, fungendo da ambasciatori di Cristo presso l'altra comunità.

Per rendere, poi, più intenso e vivo questo reciproco scambio di esperienze pastorali, la diocesi, oppure anche una grande comunità parrocchiale, potrà fare un gemellaggio con un'altra comunità povera, alla quale oltre i sussidi materiali potrà inviare anche sacri ministri come collaboratori.

Tale genere di cooperazione reciproca, come dimostra l'esperienza, potrà giovare moltissimo ad ambedue le comunità.46

Necessità di ascoltare le grida di aiuto

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16. Stando così le cose, le chiese particolari devono sempre più prendere coscienza della loro comune responsabilità, e facendosi sensibili alle grida di aiuto, si dimostrino pronte ad aiutare coloro che ne hanno bisogno.

Fra queste, sono anzitutto meritevoli di aiuto le chiese novelle che soffrono per la grave scarsezza di sacerdoti e per la mancanza di mezzi materiali; ma bisogna porgere aiuto anche a quelle chiese che, pur esistendo da antica data, per diverse circostanze si trovano in uno stato di grande debolezza.47

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È chiaro che le chiese più bisognose possono essere grandemente aiutate con l'invio di sacerdoti e altri collaboratori.

Lo scopo di tale aiuto non sarà, come è ovvio, di coprire semplicemente le lacune esistenti, ma piuttosto quello di inviare ministri tali che, una volta inseriti fra le forze dell'apostolato locale, diventino, a guisa di pedagoghi, veri educatori nella fede; di modo che le chiese locali, conservando il loro carattere autoctono, siano messe in condizione di diventare gradatamente più sviluppate e forti, onde provvedere in seguito con i propri mezzi alle loro necessità.

Ciò spiega perché i vescovi e gli altri superiori sono pregati di inviare per questo genere di evangelizzazione "alcuni tra i loro migliori sacerdoti".48

Necessità di riformare le strutture ecclesiastiche

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17. Perché una chiesa particolare possa più adeguatamente svolgere il suo compito di portare aiuto alle altre che si trovano in stato di bisogno, si richiede anzitutto che anche nel seno della stessa chiesa particolare si proceda ad una nuova revisione delle forze e ad una ristrutturazione dei quadri tradizionali.

La ragione sta nel fatto che nelle regioni tradizionalmente cristiane si sono verificati fenomeni sociali che già di per sé hanno trasformato le strutture della società; quindi anche le strutture ecclesiastiche dovrebbero essere adattate alla nuova realtà.

Basti qui citare fra i fenomeni nuovi: la trasmigrazione della gente nelle regioni industriali; l'urbanesimo con il conseguente spopolamento di altre zone; il problema generale degli emigrati sia per scopo di lavoro, sia per motivi politici;49 il fenomeno così diffuso del turismo per periodi più o meno lunghi ( ad esempio, in occasione delle ferie o di fine settimana ).50

Tali fenomeni richiedono una nuova presenza dei sacerdoti i quali in queste mutate circostanze di vita dovranno affrontare una cura d'anime specializzata.

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Perciò s'impone il problema se e come rinnovare le strutture che una volta soddisfacevano bene al bisogno spirituale del popolo di Dio.

Certamente tale revisione non è facile e richiede molta prudenza e circospezione.

Il vescovo, con l'aiuto dei consigli sia presbiterale che pastorale, dovrebbe elaborare un progetto organico per un miglior impiego di coloro che partecipano effettivamente nella cura di anime.

Rinviare tale problema non pare più possibile senza che la chiesa non abbia a soffrire danni.

Infatti, non è raro il fatto che, nonostante la lamentata scarsezza del clero, vi siano sacerdoti i quali si sentono frustrati per un impegno che non riempie le loro giornate, e per conseguenza giustamente desidererebbero di lavorare più intensamente.

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Il vescovo nell'intento di provvedere meglio alle necessità crescenti della cura di anime, ha il dovere di interessare i sacerdoti religiosi che, del resto, "sono da considerarsi in certo qual senso, come appartenenti al clero diocesano"; come pure tutti gli altri religiosi, uomini e donne, anche se esenti, i quali vivono e operano nel seno del popolo di Dio, perché anch'essi "sotto un particolare aspetto appartengono alla famiglia diocesana"; in ambedue i casi è da tener conto dell'indole propria di ciascun istituto religioso.51

A questo proposito, la Congregazione per i vescovi, unitamente a quella per i religiosi e gli istituti secolari hanno pubblicato recentemente sapienti norme per una cordiale collaborazione sul piano formativo, operativo, e organizzativo.52

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Negli ultimi tempi i pastori chiamano sempre più frequentemente laici al servizio delle comunità ecclesiali; ed essi, volentieri accettando varie mansioni, dedicano le loro energie al servizio della chiesa a tempo pieno o parziale.

Così ai tempi, di oggi si riprende la prassi della chiesa dei primi tempi, quando i laici si impegnavano nei diversi servizi secondo le loro inclinazioni e carismi, e secondo i bisogni e l'utilità del popolo di Dio "per la crescita e la vitalità della comunità ecclesiale".53

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36 Decr. Christus Dominus, n. 11
37 Decr. Apostolicom Actuositatem, n. 10
38 Decr. Christus Dominus, n. 30
39 Ibidem, n. 11
40 Decr. Ad Gentes divinitus, n. 20
41 Const. Lumen Gentium, n. 23
42 Cf. Exhortatio Ap. Evangelii Nuntiandi, nn. 55, 56
43 Const. Lumen Gentium, n. 23
44 Decr. Ad Gentes divinitus, n. 37
45 Ibidem, n. 38
46 Cf. Instructio S. Congregationis pro Gentium Evangelizatione Quo aptius, AAS 61 (1969), p. 276 sq. (LE 3720)
47 Decr. Ad Gentes divinitus, n. 19
48 Ibidem, n. 38
49 Mp. Pastoralis Migratorum cura
et Instructio S. Congregationis pro Episcopis, ibidem, p. 614 sq, (LE 3781).
Mp. Litterae Circulares P. Commissionis de spirituali migratorum atque itinerantium cura: Chiesa e Mobilità umana, AAS 70 (1978), p. 357 sq. (LE 4571)
50 Cf. Directorium Generale pro Ministerio Pastorali quoad "Turismum" S. Congregationis pro Clericis, in AAS 61 (l969), p. 361 sq. (LE 3745)
51 Decr. Christus Dominus, nn. 34, 35
Cf. Ecclesiae Sanctae, I, n. 36
52 AAS 70 (1978), p. 473 sq. (LE 4569)
53 Exhortatio Ap. Evangelii Nuntiandi, n. 73