La Chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni

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II. Dialogo

A) Fondamenti

20. Il dialogo non scaturisce da opportunismi tattici dell'ora, ma da ragioni che l'esperienza, la riflessione, nonché le stesse difficoltà, hanno approfondito.

21. La Chiesa si apre al dialogo per fedeltà all'uomo.

In ogni uomo e in ogni gruppo umano c'è l'aspirazione e l'esigenza di essere considerati e di poter agire da soggetti responsabili, sia quando si avverte il bisogno di ricevere, sia soprattutto quando si è consapevoli di possedere qualche cosa da comunicare.

Come sottolineano le scienze umane, nel dialogo interpersonale l'uomo fa esperienza dei propri limiti, ma anche della possibilità di superarli; scopre che non possiede la verità in modo perfetto e totale, ma che può camminare con fiducia verso di essa insieme agli altri.

La mutua verifica, la correzione reciproca, lo scambio fraterno dei rispettivi doni favoriscono una maturità sempre più grande, che genera la comunione interpersonale.

Le stesse esperienze e visioni religiose possono essere purificate e arricchite in questo processo di confronto.

Questa dinamica dei rapporti umani spinge noi cristiani ad ascoltare e comprendere ciò che gli altri credenti possono trasmetterci onde trarre profìtto dai doni che Dio elargisce.

I cambiamenti socio-culturali con le tensioni e difficoltà inerenti, l'interdipendenza accresciuta in tutti i settori del convivere e della promozione umana, e in particolare le esigenze per la pace, rendono oggi più urgente uno stile dialogico di rapporti.

22. La Chiesa, tuttavia, si sente impegnata al dialogo soprattutto a motivo della sua fede.

Nel mistero trinitario la rivelazione ci fa intravvedere una vita di comunione e di interscambio.

In Dio Padre noi contempliamo un amore preveniente senza confini di spazio e di tempo.

L'universo e la storia sono ricolmi dei suoi doni.

Ogni realtà e ogni evento sono avvolti dal suo amore.

Nonostante il manifestarsi talora violento del male, nella vicenda di ogni uomo e di ogni popolo è presente la forza della grazia che eleva e redime.

La Chiesa ha il compito di scoprire, portare alla luce, far maturare tutta la ricchezza che il Padre ha nascosto nella creazione e nella storia, non solo per celebrare la gloria di Dio nella sua liturgia ma anche per promuovere la circolazione tra tutti gli uomini dei doni del Padre.

23. In Dio Figlio ci è data la Parola e la Sapienza in cui tutto è precontenuto e sussiste già prima dei tempi.

Cristo è il Verbo che illumina ogni uomo, perché in Lui si manifesta ad un tempo il Mistero di Dio e il Mistero dell'uomo ( cfr. RH 8, RH 10, RH 11, RH 13 ).

Egli è il Redentore presente con la grazia in ogni incontro umano, per liberarci dal nostro egoismo e farci amare gli uni gli altri come Egli ci ha amato.

« Ogni uomo - scrive Giovanni Paolo II - senza eccezione alcuna è stato redento da Cristo, e con l'uomo, con ciascun uomo senza eccezione, Cristo è in qualche modo unito, anche quando quell'uomo non è di ciò consapevole.

Cristo per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo - ad ogni uomo e a tutti gli uomini - luce e forza per rispondere alla suprema sua vocazione» ( RH 14 ).

24. In Dio Spirito Santo, la fede ci fa scorgere quella forza di vita, di movimento e di rigenerazione perenne ( cfr. LG 4 ) che agisce nella profondità delle coscienze, e accompagna il cammino segreto dei cuori verso la Verità ( cfr. GS 22 ).

Spirito che opera anche « oltre i confini visibili del Corpo Mistico … » ( RH 6; cfr. LG 16; GS 22; AG 15 ); Spirito che anticipa e accompagna il cammino della Chiesa, la quale, pertanto, si sente impegnata a discernere i segni della sua presenza, a seguirlo dovunque Egli la conduca, e a servirlo come collaboratrice umile e discreta.

25. Il Regno di Dio è la meta finale di tutti gli uomini.

La Chiesa, che ne è « il germe e l'inizio » ( LG 5, LG 9 ), è sollecitata ad intraprendere per prima questo cammino verso il Regno e a far avanzare tutto il resto dell'umanità verso di Esso.

Questo impegno include la lotta e la vittoria sul male e sul peccato, incominciando sempre da se stessi ed abbracciando il mistero della croce.

La Chiesa così predispone al Regno fino al conseguimento della comunione perfetta di tutti i fratelli in Dio.

Cristo costituisce per la Chiesa e per il mondo la garanzia che gli ultimi tempi sono già incominciati, che l'età finale della storia è già fissata ( cfr. LG 48 ) e che perciò la Chiesa è abilitata e impegnata ad operare perché si attui il progressivo compimento di tutte le cose in Cristo.

26. Questa visione ha indotto i Padri del Concilio Vaticano II ad affermare che nelle tradizioni religiose non cristiane esistono

« cose vere e buone » ( OT 16 ),

« cose preziose, religiose e umane » ( GS 92 ),

« germi di contemplazione » ( AG 18 ),

« elementi di verità e di grazia » ( AG 9 ),

« semi del Verbo » ( AG 11, AG 15 ),

« raggi della verità che illumina tutti gli uomini » ( NA 2 ).

Secondo esplicite indicazioni conciliari questi valori si trovano condensati nelle grandi tradizioni religiose dell'umanità.

Esse meritano perciò l'attenzione e la stima dei cristiani,e il loro patrimonio spirituale è un efficace invito al dialogo ( cfr. NA 2, NA 3; AG 11 ), non solo su elementi convergenti ma anche su quelli che divergono.

27. Il Vaticano II ha potuto perciò trarre conseguenze di impegno concreto esprimendosi nei termini seguenti: « Per dare fruttuosamente la testimonianza di Cristo essi ( i cristiani ) devono stringere rapporti di stima e di amore con gli uomini del loro tempo, riconoscersi membra vive di quel gruppo umano in mezzo a cui vivono, e prendere parte, attraverso il complesso delle relazioni e degli affari dell'esistenza umana, alla vita culturale e sociale.

Così devono conoscere bene le tradizioni culturali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che in loro si nascondono …

Come lo stesso Cristo … così i suoi discepoli devono conoscere gli uomini tra i quali vivono, ed entrare in rapporto con essi per conoscere con un dialogo sincero e paziente le ricchezze che Dio nella sua munificenza ha elargito ai popoli.

Al tempo stesso si sforzino di illuminare tali ricchezze con la luce del Vangelo, di liberarle e riferirle al dominio di Dio Salvatore» ( AG 11; cfr. AG 41; AA 14, AA 29, etc. ).

B) Forme di dialogo

28. L'esperienza di questi anni ha evidenziato la molteplicità dei modi con cui il dialogo si esplica.

Le principali forme tipiche qui elencate sono vissute in modo distinto oppure insieme con le altre.

29. Il dialogo è innanzitutto uno stile di azione, un'attitudine e uno spirito che guida la condotta.

Implica attenzione, rispetto e accoglienza verso l'altro, al quale si riconosce spazio per la sua identità personale, per le sue espressioni, i suoi valori.

Tale dialogo è la norma e lo stile necessario di tutta la missione cristiana e di ogni parte di essa, si tratti della semplice presenza e testimonianza, o del servizio, o dello stesso annuncio diretto ( CIC 787 § 1 ).

Una missione che non fosse permeata da spirito dialogico andrebbe contro le esigenze della vera umanità e contro le indicazioni del Vangelo.

30. Ogni seguace di Cristo, in forza della sua vocazione umana e cristiana, è chiamato a vivere il dialogo nella sua vita quotidiana, sia che si trovi in situazione di maggioranza, sia in condizione di minoranza.

Egli deve infondere il sapore evangelico in ogni ambiente in cui vive ed opera: quello familiare, sociale, educativo, artistico, economico, politico, ecc.

Il dialogo si inserisce così nel grande dinamismo della missione ecclesiale.

31. Un ulteriore livello è il dialogo delle opere e della collaborazione per obiettivi di carattere umanitario, sociale, economico e politico che tendano alla liberazione e alla promozione dell'uomo.

Ciò avviene spesso nelle organizzazioni locali, nazionali e internazionali, dove cristiani e seguaci di altre religioni affrontano insieme i problemi del mondo.

32. Vastissimo può essere il campo della collaborazione.

Riferendosi in particolare ai Musulmani, il Concilio Vaticano II esorta a « dimenticare il passato » ed a « difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà » ( NA 3; cfr. AG 11, AG 12, AG 15, AG 21 … ).

Nello stesso senso si sono pronunciati Paolo VI specie nell'Ecclesiam Suam, e Giovanni Paolo II nei numerosi incontri con capi e rappresentanti delle diverse religioni.

I grandi problemi che travagliano l'umanità chiamano i cristiani a collaborare con gli altri credenti, proprio in forza delle fedi rispettive.

33. Di particolare interesse è il dialogo a livello di esperti, sia per confrontare, approfondire e arricchire i rispettivi patrimoni religiosi, sia per applicare le risorse ai problemi che si pongono all'umanità nel corso della sua storia.

Tale dialogo avviene normalmente là dove l'interlocutore possiede già una sua visione del mondo e aderisce a una religione che l'ispira ad agire.

Si realizza più facilmente nelle società pluralistiche, dove coesistono e talvolta si fronteggiano tradizioni e ideologie diverse.

34. In questo confronto gli interlocutori conoscono e apprezzano reciprocamente i valori spirituali e le categorie culturali, promovendo la comunione e la fratellanza tra gli uomini ( cfr. NA 1 ).

Il cristiano poi collabora così alla trasformazione evangelica delle culture ( cfr. EN 18-20, EN 63 ).

35. A un livello più profondo, uomini radicati nelle proprie tradizioni religiose possono condividere le loro esperienze di preghiera, di contemplazione, di fede e di impegno, espressioni e vie della ricerca dell'Assoluto.

Questo tipo di dialogo diviene arricchimento vicendevole e cooperazione feconda nel promuovere e preservare i valori e gli ideali spirituali più alti dell'uomo.

Esso conduce naturalmente a comunicarsi vicendevolmente le ragioni della propria fede e non si arresta di fronte alle differenze talvolta profonde, ma si rimette con umiltà e fiducia a Dio, « che è più grande del nostro cuore » ( 1 Gv 3,20 ).

Il cristiano ha così l'occasione di offrire all'altro la possibilità di sperimentare in maniera esistenziale i valori del Vangelo.

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