Istruzione sulla libertà cristiana e la liberazione

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Capitolo quinto - La dottrina sociale della Chiesa: per una prassi cristiana della liberazione

71. La prassi cristiana della liberazione

La dimensione soteriologica della liberazione non può essere ridotta alla dimensione etico-sociale, che ne è una conseguenza.

Restituendo la vera libertà all'uomo, la liberazione radicale operata da Cristo gli assegna un compito: la prassi cristiana, che è la concreta applicazione del grande comandamento dell'amore.

È questo il principio supremo della morale sociale cristiana, fondata sul Vangelo e su tutta la tradizione dai tempi apostolici e dall'epoca dei Padri della Chiesa fino ai recenti interventi del magistero.

Le grandi sfide del nostro tempo costituiscono un urgente appello a mettere in pratica questa dottrina concernente l'azione.

I. Natura della dottrina sociale della Chiesa

72. Messaggio evangelico e vita sociale

L'insegnamento sociale della Chiesa è nato dall'incontro del messaggio evangelico e delle sue esigenze, che si riassumono nel comandamento supremo dell'amore di Dio e del prossimo e nella giustizia, ( Cf. Mt 22,37-40; Rm 13,8-10 ) con i problemi derivanti dalla vita della società.

Esso si è costituito come dottrina, valendosi delle risorse della sapienza e delle scienze umane; verte sull'aspetto etico di questa vita e tiene in debito conto gli aspetti tecnici dei problemi, ma sempre per giudicarli dal punto di vista morale.

Essenzialmente orientato verso l'azione, questo insegnamento si sviluppa in funzione delle circostanze mutevoli della storia.

Appunto per questo, pur ispirato a princìpi sempre validi, esso comporta anche dei giudizi contingenti.

Lungi dal costituire un sistema chiuso, esso resta costantemente aperto alle nuove questioni che si presentano di continuo, ed esige il contributo di tutti i carismi, esperienze e competenze.

Esperta in umanità, la Chiesa attraverso la sua dottrina sociale offre un insieme di princìpi di riflessione e di criteri di giudizio,107 e quindi di direttive di azione,108 perché siano realizzati quei profondi cambiamenti che le situazioni di miseria e di ingiustizia esigono, e ciò sia fatto in un modo che contribuisca al vero bene degli uomini.

73. Princìpi fondamentali

Il supremo comandamento dell'amore conduce al pieno riconoscimento della dignità di ciascun uomo, creato a immagine di Dio.

Da questa dignità derivano diritti e doveri naturali.

Alla luce dell'immagine di Dio, si manifesta in tutta la sua profondità la libertà, prerogativa essenziale della persona umana: sono le persone i soggetti attivi e responsabili della vita sociale.109

Al fondamento, che è la dignità dell'uomo, sono intimamente legati il principio di solidarietà e il principio di sussidiarietà.

In virtù del primo, l'uomo deve contribuire con i suoi simili al bene comune della società, a tutti i livelli.110

Con ciò, la dottrina della Chiesa si oppone a tutte le forme di individualismo sociale o politico.

In virtù del secondo, né lo Stato, né alcuna società devono mai sostituirsi all'iniziativa e alla responsabilità delle persone e delle comunità intermedie in quei settori in cui esse possono agire, né distruggere lo spazio necessario alla loro libertà.111

Con ciò, la dottrina sociale della Chiesa si oppone a tutte le forme di collettivismo.

74. Criteri di giudizio

Questi princìpi sono di fondamento ai criteri per valutare le situazioni, le strutture ed i sistemi sociali.

Così la Chiesa non esita a denunciare le situazioni di vita, che attentano alla dignità e alla libertà dell'uomo.

Questi criteri consentono, altresì, di giudicare il valore delle strutture.

Queste sono l'insieme delle istituzioni e delle prassi che gli uomini trovano già esistenti o creano, sul piano nazionale e internazionale, e che orientano o organizzano la vita economica, sociale e politica.

Di per sé necessarie, esse tendono spesso a irrigidirsi e a cristallizzarsi in meccanismi relativamente indipendenti dalla volontà umana, paralizzando in tal modo o stravolgendo lo sviluppo sociale, e generando l'ingiustizia.

Esse, tuttavia, dipendono sempre dalla responsabilità dell'uomo, che le può modificare, e non da un presunto determinismo storico.

Le istituzioni e le leggi, quando sono conformi alla legge naturale e ordinate al bene comune, sono la garanzia della libertà delle persone e della sua promozione.

Non si possono condannare tutti gli aspetti costrittivi della legge, né la stabilità di uno Stato di diritto, degno di questo nome.

Si può, dunque, parlare di strutture segnate dal peccato, ma non si possono condannare le strutture in quanto tali.

Detti criteri di giudizio riguardano anche i sistemi economici, sociali e politici.

La dottrina sociale della Chiesa non propone alcun sistema particolare, ma, alla luce dei suoi princìpi fondamentali, consente di vedere, anzitutto, in quale misura i sistemi esistenti sono conformi o meno alle esigenze della dignità umana.

75. Primato delle persone sulle strutture

Certo, la Chiesa è consapevole della complessità dei problemi, a cui le società devono far fronte, e delle difficoltà di trovarvi soluzioni adeguate.

Tuttavia, essa pensa che occorre, anzitutto, fare appello alle capacità spirituali e morali della persona e all'esigenza permanente della conversione interiore, se si vogliono ottenere cambiamenti economici e sociali che siano veramente al servizio dell'uomo.

Il primato dato alle strutture e all'organizzazione tecnica sulla persona e sulle esigenze della sua dignità è espressione di un'antropologia materialistica, ed è contrario all'edificazione di un giusto ordine sociale.112

Tuttavia, la priorità riconosciuta alla libertà e alla conversione del cuore non elimina in alcun modo la necessità di un cambiamento delle strutture ingiuste.

È, dunque, pienamente legittimo che coloro i quali soffrono per l'oppressione da parte dei detentori della ricchezza o del potere politico si adoperino, con i mezzi moralmente leciti, per ottenere strutture e istituzioni, in cui i loro diritti siano veramente rispettati.

Resta, nondimeno, che le strutture messe in atto per il bene delle persone sono da sole incapaci di procurarlo e di garantirlo.

Ne è prova la corruzione, che colpisce in certi Paesi i dirigenti e la burocrazia di Stato, e che distrugge qualsiasi onesta vita sociale.

La dirittura morale è condizione per una società sana.

Bisogna, dunque, operare a un tempo per la conversione dei cuori e per il miglioramento delle strutture, perché il peccato, che è all'origine delle situazioni ingiuste, è, in senso proprio e primario, un atto volontario che ha la sua sorgente nella libertà della persona.

È solo in un senso derivato e secondario che esso si applica alle strutture, e che si può parlare di "peccato sociale".113

D'altra parte, nel processo di liberazione non si può prescindere dalla situazione storica della nazione, né attentare all'identità culturale di un popolo.

Di conseguenza, non si possono accettare passivamente e, tanto meno, appoggiare attivamente gruppi che, con la forza oppure con la manipolazione dell'opinione pubblica, s'impadroniscono dell'apparato dello Stato e impongono abusivamente alla collettività un'ideologia importata e in contrasto con i veri valori culturali del popolo.114

A questo proposito, conviene ricordare la grave responsabilità morale e politica degli intellettuali.

76. Direttive d'azione

I principi fondamentali e i criteri di giudizio ispirano le direttive d'azione: poiché il bene comune della società umana è al servizio delle persone, i mezzi d'azione devono essere conformi alla dignità dell'uomo e favorire l'educazione della libertà.

È qui un criterio sicuro di giudizio e di azione: non c'è vera liberazione, se non sono rispettati fin dall'inizio i diritti della libertà.

Nel ricorso sistematico alla violenza presentata come la via obbligata della liberazione, occorre denunciare un'illusione distruttrice, che apre la via a nuove schiavitù.

Con pari vigore si condannerà la violenza esercitata dai possidenti contro i poveri, l'arbitrio della polizia, come pure ogni forma di violenza elevata a sistema di governo.

In questi settori, bisogna saper prender lezione dalle tragiche esperienze che la storia del nostro secolo ha registrato e tuttora registra.

Non si può più ammettere la colpevole passività dei pubblici poteri in certe democrazie, in cui la condizione sociale di un gran numero di uomini e donne è lungi dal corrispondere a ciò che esigono i diritti individuali e sociali, costituzionalmente garantiti.

77. Lotta per la giustizia

Allorché incoraggia la creazione e l'azione di associazioni, come i sindacati, che lottano per la difesa dei diritti e dei legittimi interessi dei lavoratori e per la giustizia sociale, la Chiesa non ammette per ciò stesso la teoria che vede nella lotta di classe il dinamismo strutturale della vita sociale.

L'azione, che essa raccomanda, non è la lotta di una classe contro un'altra per ottenere l'eliminazione dell'avversario; né procede da una sottomissione aberrante a una presunta legge della storia.

È una lotta nobile e ragionevole, in vista della giustizia e della solidarietà sociali.115

Il cristiano preferirà sempre la via del dialogo e della reciproca intesa.

Cristo ci ha dato il comandamento dell'amore dei nemici. ( Cf. Mt 5,44; Lc 6,27-28.35 )

Pertanto, la liberazione nello spirito del Vangelo è incompatibile con l'odio dell'altro, inteso sia individualmente che collettivamente, ivi compreso l'odio del nemico.

78. Il mito della rivoluzione

Le situazioni di grave ingiustizia richiedono il coraggio di riforme in profondità e la soppressione di privilegi ingiustificati.

Ma coloro che screditano la via delle riforme in favore del mito della rivoluzione, non solo nutrono l'illusione che l'abolizione di una situazione iniqua basti di per se stessa a creare una società più umana, ma favoriscono pure l'avvento di regimi totalitari.117

La lotta contro le ingiustizie non ha senso, se non è condotta con l'intento di instaurare un nuovo ordine sociale e politico in conformità con le esigenze della giustizia.

È questa che deve già segnare le tappe della sua instaurazione.

Esiste una moralità dei mezzi.118

79. Un estremo ricorso

Questi princìpi devono essere rispettati in modo speciale nel caso estremo del ricorso alla lotta armata, che il magistero ha indicato quale ultimo rimedio per porre fine a una "tirannia evidente e prolungata, che attentasse gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuocesse in modo pericoloso al bene comune di un Paese".119

Tuttavia l'applicazione concreta di questo mezzo può essere prevista solo dopo una valutazione molto rigorosa della situazione.

Infatti, a causa del continuo sviluppo delle tecniche impiegate e della crescente gravità dei pericoli implicati nel ricorso alla violenza, quella che oggi viene chiamata "resistenza passiva" apre una strada più conforme ai princìpi morali e non meno promettente di successo.

Non si può mai ammettere, né da parte del potere costituito, né da parte di gruppi di insorti, il ricorso a mezzi criminali come le rappresaglie perpetrate ai danni delle popolazioni, la tortura, i metodi del terrorismo e della provocazione calcolata per causare la morte di uomini nel corso di manifestazioni popolari.

Sono egualmente inammissibili le odiose campagne di calunnie, capaci di distruggere psichicamente o moralmente una persona.

80. Il ruolo dei laici

Non spetta ai pastori della Chiesa intervenire direttamente nella costruzione politica e nell'organizzazione della vita sociale.

Questo compito rientra nella vocazione dei laici, che agiscono di propria iniziativa con i loro concittadini.120

Essi devono compierlo con la consapevolezza che la finalità della Chiesa è di estendere il regno di Cristo, affinché tutti gli uomini siano salvi e per mezzo loro il mondo sia effettivamente ordinato a Cristo.121

L'opera della salvezza appare così indissolubilmente legata all'impegno di migliorare e di elevare le condizioni della vita umana in questo mondo.

La distinzione tra l'ordine soprannaturale della salvezza e l'ordine temporale della vita umana deve essere vista all'interno dell'unico disegno di Dio che è di ricapitolare tutte le cose in Cristo.

È questa la ragione per la quale, nell'uno e nell'altro settore, il laico, ad un tempo fedele e cittadino, deve lasciarsi costantemente guidare dalla sua coscienza cristiana.122

L'azione sociale, che può implicare una pluralità di vie concrete, sarà sempre finalizzata al bene comune e conforme al messaggio evangelico ed all'insegnamento della Chiesa.

Bisognerà evitare che la differenza di opzioni nuoccia al senso della collaborazione, conduca alla paralisi degli sforzi o produca confusione nel popolo cristiano.

L'orientamento, che ci viene dalla dottrina sociale della Chiesa, deve stimolare l'acquisizione delle indispensabili competenze tecniche e scientifiche.

Esso stimolerà anche a perseguire la formazione morale del carattere e l'approfondimento della vita spirituale.

Fornendo princìpi e consigli di saggezza, questa dottrina non dispensa dall'educazione alla prudenza politica richiesta per il governo e la gestione delle realtà umane.

II. Esigenze evangeliche di una profonda trasformazione

81. Necessità di una trasformazione culturale

Una sfida senza precedenti è lanciata oggi ai cristiani che operano per realizzare questa "civiltà dell'amore", la quale compendia tutta l'eredità etico-culturale del Vangelo.

Questo compito richiede una nuova riflessione su ciò che costituisce il rapporto del comandamento supremo dell'amore con l'ordine sociale considerato in tutta la sua complessità.

La conclusione diretta di questa profonda riflessione è l'elaborazione e l'attuazione di audaci programmi d'azione in vista della liberazione sociale ed economica di milioni di uomini e donne, la cui condizione di oppressione economica, sociale e politica è intollerabile.

Questa azione deve cominciare con uno sforzo assai grande nel campo dell'educazione: educazione alla civiltà del lavoro, educazione alla solidarietà, accesso di tutti alla cultura.

82. Il Vangelo del lavoro

L'esistenza di Gesù a Nazareth, vero "Vangelo del lavoro", ci offre l'esempio vivente e il principio della radicale trasformazione culturale che è indispensabile per risolvere i gravi problemi che la nostra epoca deve affrontare.

Colui che, essendo Dio, divenne in tutto simile a noi, si dedicò durante la maggior parte della sua vita terrena a un lavoro manuale.123

La cultura, che la nostra epoca attende, sarà caratterizzata dal pieno riconoscimento della dignità del lavoro umano, che appare in tutta la sua nobiltà e fecondità alla luce dei misteri della Creazione e della Redenzione.124

Riconosciuto come espressione della persona, il lavoro diventa fonte di senso e sforzo creativo.

83. Una vera civiltà del lavoro

Così la soluzione della maggior parte dei gravi problemi della miseria si trova nella promozione di una vera civiltà del lavoro.

Il lavoro è, in qualche modo, la chiave di tutta la questione sociale.125

È, pertanto, nel campo del lavoro che deve essere intrapresa con priorità un'azione liberatrice nella libertà.

Poiché il rapporto tra la persona umana e il lavoro è radicale e vitale, le forme e le modalità, secondo le quali sarà regolato questo rapporto, eserciteranno un'influenza positiva in vista della soluzione del complesso di problemi sociali e politici, che si pongono a ciascun popolo.

Giuste relazioni di lavoro potranno prefigurare un sistema di comunità politica, atta a favorire lo sviluppo integrale di ogni persona umana.

Se il sistema dei rapporti di lavoro, posto in atto dai protagonisti diretti - lavoratori e datori di lavoro - con l'indispensabile sostegno dei pubblici poteri, riesce a dare origine a una civiltà del lavoro, si produrrà allora, nel modo di vedere dei popoli e perfino nelle basi istituzionali e politiche, una pacifica e profonda rivoluzione.

84. Bene comune nazionale e internazionale

Una tale cultura del lavoro dovrà supporre e mettere in atto un certo numero di valori essenziali.

Essa dovrà riconoscere che la persona del lavoratore è principio, soggetto e fine dell'attività lavorativa.

Essa dovrà affermare la priorità del lavoro sul capitale e l'universale destinazione dei beni materiali.

Essa sarà animata dal senso di una solidarietà che non comporti solo diritti da rivendicare, ma anche doveri da compiere.

Essa implicherà la partecipazione tendente a promuovere il bene comune nazionale e internazionale, e non solamente a difendere interessi individuali o corporativi.

Essa adotterà il metodo del confronto pacifico e del dialogo franco e vigoroso.

Allora le autorità politiche diventeranno più capaci di agire nel rispetto delle legittime libertà degli individui, delle famiglie, dei gruppi sussidiari, creando così le condizioni richieste affinché l'uomo possa conseguire il suo autentico e integrale bene, ivi compreso il suo fine spirituale.126

85. Il valore del lavoro umano

Una cultura che riconosce l'eminente dignità del lavoratore metterà in evidenza la dimensione soggettiva del lavoro.127

Il valore di ogni lavoro umano non è, prima di tutto, in funzione del genere di lavoro compiuto, ma ha il suo fondamento nel fatto che chi lo compie è una persona.128

Si afferma qui un criterio etico, le cui esigenze non dovrebbero sfuggire.

Così ogni uomo ha diritto al lavoro, il quale deve essere riconosciuto praticamente mediante un impegno effettivo al fine di risolvere il drammatico problema della disoccupazione.

Il fatto che questa mantenga in una condizione di marginalità larghi strati della popolazione e, segnatamente, la gioventù, è intollerabile.

Per tale motivo, la creazione di posti di lavoro è un compito sociale primario, che si impone agli individui e all'iniziativa privata, ma in pari misura allo Stato.

In linea di massima, qui come in altri settori, lo Stato ha una funzione sussidiaria; ma spesso può esser chiamato a intervenire direttamente, come nel caso di accordi internazionali tra diversi Stati.

Tali accordi devono rispettare il diritto degli emigrati e delle loro famiglie.129

86. Promuovere la partecipazione

Il salario, che non può essere concepito come una semplice merce, deve consentire al lavoratore e alla sua famiglia di avere accesso a un livello di vita veramente umano nell'ordine materiale, sociale, culturale e spirituale.

È la dignità della persona che costituisce il criterio per giudicare il lavoro, e non viceversa.

Qualunque sia il tipo di lavoro, il lavoratore deve poterlo vivere come espressione della sua personalità.

Ne consegue l'esigenza di una partecipazione che, ben al di là di una condivisione dei frutti del lavoro, dovrebbe comportare un'autentica dimensione comunitaria a livello di progetti, di iniziative e di responsabilità.130

87. Priorità del lavoro sul capitale

La priorità del lavoro sul capitale impone agli imprenditori il dovere di giustizia di considerare il bene dei lavoratori prima dell'aumento dei loro profitti.

Essi hanno l'obbligo morale di non mantenere dei capitali improduttivi e, negli investimenti, di mirare anzitutto al bene comune.

Questo esige che si persegua prioritariamente il consolidamento o la creazione di nuovi posti di lavoro, nella produzione di beni veramente utili.

Il diritto alla proprietà privata non è concepibile senza doveri rispetto al bene comune, ed è subordinato al principio superiore dell'universale destinazione dei beni.131

88. Riforme in profondità

Questa dottrina deve ispirare le riforme prima che sia troppo tardi.

L'accesso di tutti ai beni richiesti per una vita umana, personale e familiare, degna di questo nome, è un'esigenza primaria della giustizia sociale.

Essa esige di essere applicata nel settore del lavoro industriale e in maniera tutta particolare in quello del lavoro agricolo.132

Infatti, i contadini, soprattutto nel terzo mondo, costituiscono la parte preponderante dei poveri.133

III. Promozione della solidarietà

89. Una nuova solidarietà

La solidarietà è un'esigenza diretta della fraternità umana e soprannaturale.

I gravi problemi socio-economici, che oggi si pongono, non potranno essere risolti se non creando nuovi fronti di solidarietà:

solidarietà dei poveri tra di loro,

solidarietà con i poveri, alla quale son chiamati i ricchi,

solidarietà dei lavoratori e con i lavoratori.

Le istituzioni e le organizzazioni sociali, a diversi livelli, così pure lo Stato, devono partecipare a un movimento generale di solidarietà.

La Chiesa, quando vi fa appello, sa che essa stessa è a ciò interessata in modo tutto particolare.

90. Destinazione universale dei beni

Il principio della destinazione universale dei beni, congiunto a quello della fraternità umana e soprannaturale, detta precisi doveri ai Paesi più ricchi nei confronti dei Paesi poveri.

Questi doveri sono di solidarietà nell'aiuto ai Paesi in via di sviluppo; di giustizia sociale, mediante la revisione in termini corretti delle relazioni commerciali tra Nord e Sud e la promozione di un mondo più umano per tutti, in cui ciascuno possa dare e ricevere, e in cui il progresso degli uni non sarà più un ostacolo allo sviluppo degli altri, né un pretesto per il loro assoggettamento.134

91. Aiuto allo sviluppo

La solidarietà internazionale è un'esigenza di ordine morale.

Essa non s'impone soltanto nei casi di estrema urgenza, ma anche per l'aiuto al vero sviluppo.

C'è qui un'opera comune da fare, che richiede uno sforzo concertato e costante per trovare soluzioni tecniche concrete, ma anche per creare una nuova mentalità negli uomini di questo tempo.

La pace del mondo ne dipende in larga misura.135

IV. Compiti culturali ed educativi

92. Diritti all'istruzione ed alla cultura

Le disuguaglianze contrarie alla giustizia nel possesso e nell'uso dei beni materiali sono accompagnate e aggravate dalle disuguaglianze altrettanto ingiuste nell'accesso alla cultura.

Ogni uomo ha diritto alla cultura, che è la forma specifica di un'esistenza veramente umana, alla quale egli accede con lo sviluppo delle sue facoltà di conoscenza, delle virtù morali, delle sue capacità di relazione con i propri simili, delle sue attitudini a produrre opere utili e belle.

Da ciò deriva l'esigenza della promozione e della diffusione dell'educazione, alla quale ognuno ha un diritto inalienabile.

Prima condizione di ciò è l'eliminazione dell'analfabetismo.136

93. Rispetto della libertà culturale

Il diritto di ogni uomo alla cultura è assicurato solo se è rispettata la libertà culturale.

Troppo spesso la cultura degenera in ideologia, e l'educazione è trasformata in strumento al servizio del potere politico o economico.

Non è nelle competenze dell'autorità pubblica determinare la cultura.

La sua funzione è di promuovere e di proteggere la vita culturale di tutti, ivi compresa quella delle minoranze.137

94. Il compito educativo della famiglia

Il compito educativo appartiene fondamentalmente e prioritariamente alla famiglia.

La funzione dello Stato è sussidiaria: il suo ruolo consiste nel garantire, proteggere, promuovere e supplire.

Quando lo Stato rivendica a sé il monopolio scolastico, oltrepassa i suoi diritti e offende la giustizia.

È ai genitori che spetta il diritto di scegliere la scuola, a cui mandare i propri figli, e di creare e sostenere dei centri educativi in sintonia con le loro proprie convinzioni.

Lo Stato non può, senza commettere un'ingiustizia, accontentarsi di tollerare le scuole cosiddette private.

Queste rendono un servizio pubblico e, di conseguenza, hanno il diritto di essere aiutate economicamente.138

95. "Le libertà" e la partecipazione

L'educazione, che dà accesso alla cultura, è anche educazione all'esercizio responsabile della libertà.

Per questo non c'è autentico sviluppo, se non in un sistema sociale e politico che rispetti le libertà e le favorisca mediante la partecipazione di tutti.

Una tale partecipazione può assumere forme diverse; essa è necessaria per garantire un giusto pluralismo nelle istituzioni e nelle iniziative sociali.

Essa assicura, specialmente con la reale separazione tra i poteri dello Stato, l'esercizio dei diritti dell'uomo, proteggendoli egualmente contro possibili abusi da parte dei pubblici poteri.

Da questa partecipazione alla vita sociale e politica, nessuno può essere escluso in ragione del sesso, della razza, del colore, della condizione sociale, della lingua o della religione.139

Il mantenere il popolo ai margini della vita culturale, sociale e politica, costituisce in molte nazioni una delle ingiustizie più clamorose del nostro tempo.

Quando le autorità politiche regolano l'esercizio delle libertà, non dovrebbero prendere pretesto dalle esigenze dell'ordine pubblico e della sicurezza per limitare sistematicamente queste libertà.

Né il presunto principio della "sicurezza nazionale", né una visione restrittivamente economica, né una concezione totalitaria della vita sociale, dovrebbero prevalere sul valore della libertà e dei suoi diritti.140

96. La sfida all'inculturazione

La fede è ispiratrice di criteri di giudizio, di valori determinanti, di linee di pensiero e di modelli di vita, validi per la stessa comunità degli uomini.141

Per questo, la Chiesa, attenta alle angosce della nostra epoca, indica le vie di una cultura, nella quale il lavoro sia riconosciuto secondo la sua piena dimensione umana ed in cui ogni essere umano trovi la possibilità di realizzarsi come persona.

Ciò essa fa in virtù della sua apertura missionaria per la salvezza integrale del mondo, nel rispetto dell'identità di ciascun popolo e nazione.

La Chiesa, comunione che congiunge diversità e unità, con la sua presenza nel mondo intero, prende da ogni cultura quanto vi trova di positivo.

L'inculturazione, tuttavia, non è un semplice adattamento esteriore; essa è un'intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l'integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle diverse culture umane.142

La separazione tra il Vangelo e la cultura è un dramma, di cui i problemi richiamati sono la dolorosa dimostrazione.

S'impone, dunque, uno sforzo generoso per l'evangelizzazione delle culture.

Queste ultime saranno rigenerate dal loro incontro col Vangelo.

Ma tale incontro presuppone che il Vangelo sia realmente annunciato.143

Illuminata dal Concilio Vaticano II, la Chiesa vi si vuole consacrare con tutte le sue energie, per provocare un immenso slancio di liberazione.

Indice

107 Cf. Paolo VI, Lettera Apost. Octogesima Adveniens, n. 4;
Giovanni Paolo II, Discorso inaugurale di Puebla, 3, 7
108 Cf. Giovanni XXIII, Encicl. Mater et Magistra, n. 235
109 Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, 25
110 Cf. Giovanni XXIII, Encicl. Mater et Magistra, nn. 132-133
111 Cf. Pio XI, Encicl. Quadragesimo Anno, nn. 79-80;
Giovanni XXIII, Encicl. Mater et Magistra, n. 138;
Encicl. Pacem in Terris, n. 74
112 Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, n. 18;
Istruz. Libertatis Nuntius, XI, 9
113 Cf. Giovanni Paolo II, Esort. Apost. Reconciliatio et Paenitentia, n. 16
114 Cf. Paolo VI, Lettera Apost. Octogesima Adveniens, n. 25
115 Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Laborem Exercens, n. 20;
Istruz. Libertatis Nuntius, VII, 8; VIII, 5-9; XI, 11-14
117 Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, XI, 10
118 Cf. Giovanni Paolo II, Omelia a Drogheda, 29 Settembre 1979
Documento della 3ª Conferenza dell'Episcopato Latino-americano a Puebla, nn. 533- 534
119 Paolo VI, Encicl. Populorum Progressio, n. 31;
cf. Pio XI, Ep. Encicl. Nos es muy conocida
120 Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 76, comma 3;
Decr. Apostolicam Actuositatem, n. 7
121 Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 20
122 Cf. Loc. cit., n. 5
123 Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Laborem Exercens, n. 6
124 Cf. Loc. cit., cap. V: ibid., 637-647
125 Cf. Loc. cit., n. 3: ibid., 583-584;
Discorso a Loreto del 10 Maggio 1985: AAS 77 (1985), 967-969
126 Cf. Paolo VI, Lettera Apost. Octogesima Adveniens, n. 46
127 Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Laborem Exercens, n. 6
128 Cf. Ibid
129 Cf. Giovanni Paolo II, Esort. Apost. Familiaris Consortio, n. 46;
Encicl. Laborem Exercens, n. 23;
Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 2
130 Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 68;
Giovanni Paolo II, Encicl. Laborem Exercens, n. 15;
Discorso del 3 Luglio 1980
131 Cf. Costit. Past. Gaudium et Spes, n. 69;
Giovanni Paolo II, Encicl. Laborem Exercens, n. 12, n. 14
132 Cf. Pio XI, Encicl. Quadragesimo Anno, n. 72;
Giovanni Paolo II, Encicl. Laborem Exercens, n. 19
133 Documento della 2ª Conferenza dell'Episcopato Latino-americano a Medellin, Giustizia I, 9;
Documento della 3ª Conferenza dell'Episcopato Latino-americano a Puebla, nn. 31. 35. 1245
134 Cf. Giovanni XXIII, Encicl. Mater et Magistra, n. 163;
Paolo VI, Encicl. Populorum Progressio, n. 51;
Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico dell'11 Gennaio 1986
135 Cf. Paolo VI, Encicl. Populorum Progressio, n. 55
136 Cf. Costit. Past. Gaudium et Spes, n. 60;
Giovanni Paolo II, Discorso all'Unesco del 2 Giugno 1980, n. 8
137 Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 59
138 Cf. Dichiar. Gravissimum Educationis, nn. 3. 6;
Pio XI, Encicl. Divini Illius Magistri, nn. 29. 38. 66: AAS 22 (1930), 59. 63. 68;
Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 5
139 Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 29;
Giovanni XXIII, Encicl. Pacem in Terris, nn. 73-74, n. 79
140 Cf. Dichiar. Dignitatis Humanae, n. 7;
Costit. past. Gaudium et Spes, n. 75;
Documento della 3ª Conferenza dell'Episcopato Latino-americano a Puebla, nn. 311-314; 317-318; 548
141 Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, n. 19
142 Cf. Secondo Sinodo Straordinario, Relatio finalis, II, D, 4: L'Osservatore Romano, 10 dicembre 1985, 7
143 Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, n. 20