L'interpretazione dei dogmi

Indice

2. Dichiarazioni e prassi del Magistero della Chiesa

1. Le dichiarazioni del Magistero circa l'interpretazione dei dogmi

Il cammino storico percorso dal primo Concilio di Nicea ( 325 ) sino al Costantinopolitano I ( 381 ), Efeso ( 431 ), Calcedonia ( 451 ), Costantinopolitano II ( 553 ) e ai Concili successivi della Chiesa antica, mostra che la storia dei dogmi è il processo di un'interpretazione ininterrotta e viva della Tradizione.

Il secondo Concilio di Nicea riassumeva la dottrina illuminante dei Padri, secondo la quale il Vangelo è trasmesso nella Paradosis della Chiesa cattolica guidata dallo Spirito Santo.27

Il Concilio di Trento ( 1545-1563 ) ha difeso tale dottrina; esso mette in guardia i credenti contro un'interpretazione privata della Sacra Scrittura e aggiunge che spetta alla Chiesa giudicare il senso autentico della Scrittura e la sua interpretazione.28

Il Concilio Vaticano I ( 1869-1870 ) ha riaffermato la dottrina di Trento.29

Andando oltre, ha riconosciuto uno sviluppo dei dogmi, purché esso si compia nel medesimo senso e secondo lo stesso significato ( eodem sensu eademque sententia ).

In tal modo, il Concilio insegna che, per ciò che riguarda i dogmi, si deve mantenere il senso definito una volta per tutte dalla Chiesa.

Per questa ragione, esso condanna chiunque si discosti da tale senso con il pretesto e in nome di una conoscenza superiore, o del progresso delle scienze, o di una pretesa interpretazione più profonda della formulazione dogmatica, o di un progresso scientifico.30

Tale irreversibilità e irriformabilità sono implicite nell'infallibilità della Chiesa guidata dallo Spirito Santo, particolarmente quella che il Papa esercita in materia di fede e di costumi.31

Essa trova il suo fondamento nel fatto che, nello Spirito Santo, la Chiesa partecipa alla veracità di Dio che non può né errare né ingannare ( qui nec falli necfallere potest ).32

Il Magistero della Chiesa ha difeso questa dottrina contro l'interpretazione meramente simbolica e pragmatica dei dogmi che è quella dei modernisti.33

Nell'enciclica Humani generis Pio XII ha dato un nuovo avvertimento contro un relativismo dogmatico che abbandona il modo di parlare recepito nella Chiesa per esprimere il contenuto della fede in termini che mutano lungo il corso della storia.34

In maniera analoga, Paolo VI, nell'enciclica Mysterium Fidei ( 1965 ), ha insistito sul fatto che si devono conservare le espressioni esatte dei dogmi fissate dalla Tradizione.

2. La dottrina del Concilio Vaticano II

Il Concilio Vaticano II ha presentato la dottrina tradizionale della Chiesa in un contesto più ampio e, così, ha valorizzato ugualmente la dimensione storica dei dogmi.

Esso insegna che il popolo di Dio nella sua totalità partecipa all'ufficio profetico di Cristo35 e che, con l'aiuto dello Spirito Santo, vi è nella Chiesa un progresso nella comprensione della tradizione apostolica.36

Nel quadro della missione e della responsabilità comune a tutti, il Concilio ha fermamente affermato tanto la dottrina di un Magistero autentico spettante solo ai vescovi37 quanto quella dell'infallibilità della Chiesa.38

Ma il Concilio vede i vescovi soprattutto come gli araldi del Vangelo e subordina il loro servizio di dottori al loro servizio di evangelizzazione.39

Questa valorizzazione del carattere pastorale del Magistero ha richiamato l'attenzione sulla distinzione tra il deposito immutabile della fede, cioè le verità della fede da un lato, e la loro espressione dall'altro.

Ciò significa che l'insegnamento della Chiesa, conservando sempre lo stesso senso e lo stesso contenuto, dev'essere trasmesso agli uomini in una maniera viva e corrispondente alle esigenze del loro tempo.40

La dichiarazione Mysterium Ecclesiae ( 1973 ) si è servita di tale distinzione e l'ha precisata e approfondita contro la falsa interpretazione propria del relativismo dogmatico.

Certo, i dogmi sono storici, nel senso che il loro significato « dipende in parte dalla forza espressiva che la lingua adoperata possedeva in un dato momento della storia e in certe circostanze ».

Definizioni successive conservano e confermano quelle precedenti, ma le spiegano pure e, il più delle volte, in un confronto con problemi nuovi e con errori le rendono vive e fruttuose nella Chiesa.

Ciò non significa che si possa ridurre l'infallibilità a un immobilismo fondamentale nella verità.

Le formule dogmatiche non definiscono la verità in una maniera indeterminata, mutevole o approssimativa, e meno ancora la trasformano o la deformano.

Occorre conservare la verità in una forma ben determinata.

Qui è il senso storico delle formulazioni dogmatiche che fa autorità.41

Nella lettera apostolica Ecclesia Dei ( 1988 ), il papa Giovanni Paolo II ha recentemente riaffermato con forza questo senso di una Tradizione viva.

Ma il rapporto tra la formulazione e il contenuto dei dogmi necessita di chiarificazione ulteriore.42

3. Note teologiche

Il fatto che la Tradizione sia una realtà veramente viva spiega perché incontriamo un numero considerevole di dichiarazioni del Magistero, la cui importanza è maggiore o minore e il cui carattere obbligatorio può variare di grado.

Per valutare con esattezza e interpretare tali dichiarazioni, la teologia ha elaborato la dottrina delle note teologiche, che è stata parzialmente ripresa dal Magistero della Chiesa.

In questi ultimi tempi, purtroppo, essa è più o meno caduta nell'oblio; ma è utile per l'interpretazione dei dogmi e dovrebbe quindi essere rinnovata e ulteriormente sviluppata.

Secondo la dottrina della Chiesa, « per fede divina e cattolica devono credersi tutte quelle cose che nella parola di Dio scritta e tramandata sono contenute e dalla Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale, sono proposte, perché siano credute, come divinamente rivelate ».43

Così appartengono a questo credendum le verità di fede ( in senso stretto ) come anche le verità riguardanti la vita morale che attesta la Rivelazione.44

Verità naturali e dottrine morali naturali possono indirettamente appartenere alla dottrina vincolante della Chiesa, quando hanno un nesso necessario e intrinseco con le verità di fede.45

Tuttavia, il Vaticano II fa chiaramente una distinzione tra la dottrina della fede e i principi di ordine morale naturale, in quanto per la prima, il Concilio parla « di annunciare » e « d'insegnare con autorità », ma per i secondi, « di spiegare con autorità » e di « confermare ».46

Essendo l'insegnamento del Magistero un tutto vivo, l'accordo dei credenti non può limitarsi a verità formalmente definite.

Altre affermazioni del Magistero, che, senza essere definizioni definitive, emanate dal Papa, dalla Congregazione per la Dottrina della Fede o da vescovi, vanno ugualmente accolte, in gradi differenti, con un'obbedienza religiosa ( religiosum obsequium ).

Tali affermazioni appartengono al Magistero autentico quando l'intenzione magisteriale vi è dichiarata; essa si palesa « specialmente sia dalla natura dei documenti, sia dal frequente riproporre la stessa dottrina, sia dal tenore dell'espressione verbale ».47

Il senso esatto di questa dichiarazione conciliare esige ancora una spiegazione teologica più definita.

Sarebbe auspicabile anzitutto che, per evitare che la sua autorità si affievolisca inutilmente, lo stesso Magistero della Chiesa indicasse chiaramente ogni volta la modalità e il grado di obbligatorietà delle proprie dichiarazioni.

4. La prassi del Magistero

La prassi del Magistero ecclesiastico deve tendere ad accordarsi con il suo carattere pastorale.

Il suo compito, che è di attestare autenticamente la verità di Gesù Cristo, si colloca all'interno della missione più ampia della cura animarum.

Conformemente alla sua natura pastorale, essa affronta con prudenza e discernimento problemi nuovi di ordine sociale, politico ed ecclesiale.

Negli ultimi secoli si può riconoscere, da parte del Magistero della Chiesa, l'interpretazione di certe prese di posizioni anteriori di fronte a nuovi sviluppi, in particolare quando un dato complesso è stato sufficientemente analizzato e chiarito.

Ciò si verifica nell'atteggiamento

circa i problemi sociali in relazione con le acquisizioni delle scienze moderne della natura,

circa i diritti umani e specialmente la libertà religiosa,

circa il metodo storico-critico,

circa il movimento ecumenico, la stima per le Chiese orientali e varie richieste fondamentali dei Riformatori ecc.

In una società caratterizzata dal pluralismo e in una comunità ecclesiale dalle differenziazioni più accentuate, il Magistero compie la propria missione ricorrendo sempre più all'argomentazione.

In tale situazione, l'eredità della fede può essere trasmessa solo quando il Magistero e le altre persone incaricate di una responsabilità pastorale e teologica sono disposti a un lavoro in comune di ordine argomentativo.

Tenuto conto delle ricerche scientifiche e tecniche degli ultimi tempi, sembra opportuno evitare prese di posizione troppo precipitose, e viceversa favorire decisioni differenziate e indicanti la direzione da seguire, specialmente in vista di decisioni definitive del Magistero.

Indice

27 DenzH, 600; 602 s.; 609.
28 DenzH, 1501; 1507.
29 DenzH, 3007.
30 DenzH, 3020; 3043.
31 DenzH, 3074.
32 DenzH, 3008.
33 DenzH, 3401-3408; 3420-3466; 3483.
34 DenzH, 3881-3883.
35 LG, 12.
36 DV, 8.
37 DV, 8.
38 LG, 25.
39 LG, 25; CD, 12-15.
40 GS, 62;
Giovanni XXIII, « Discorso di apertura del Concilio Vaticano II » ( 11 ottobre 1962, 6,5 ).
41 Congregazione per la Dottrina della Fede, Mysterium Ecclesiae,
Dichiarazione sulladottrina cattolica della Chiesa per difenderla da alcuni errori di oggi ( 11 maggio 1973, 5 ).
42 Cf. infra 2, 3, 3.
43 DenzH, 3011.
44 DenzH, 1051: fides et mores ;
LG, 25 : fides credenda et moribus applicanda.
45 LG, 25: tantum patet quantum patet divinae Revelationis depositum, sanctecustodiendum et fideliter exponendum.
46 DH, 14.
47 LG, 25; cf. DenzH, 3044 s