Concilio di Basilea

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Sessione VII ( 4 settembre 1439)

Decreto del concilio fiorentino contro il concilio di Basilea

Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria.

Mosè, uomo di Dio, zelante per la salvezza del popolo affidatogli e temendo che l'ira di Dio si abbattesse su di esso, se avesse seguito lo scisma sedizioso di Core, Datan e Abiron, per comando di Dio disse a tutto il popolo: Allontanatevi dalle tende degli empi, e non toccate quanto loro appartiene, perché non siate coinvolti nei loro peccati. ( Nm 16,26 )

Aveva compreso, infatti, per ispirazione del Signore stesso, che quei sediziosi e scismatici avrebbero ricevuto una gravissima punizione, come poi mostrarono gli avvenimenti, quando la terra stessa non poté sostenerli e li inghiotti, per giusto giudizio di Dio; e cosi discesero viventi nell'inferno.

Cosi anche noi, cui il signore Gesù Cristo, anche se indegni, si è degnato affidare il suo popolo, sentendo il delitto esecrando che alcuni scellerati hanno perpetrato in questi ultimi giorni a Basilea per scindere l'unità della santa chiesa, e temendo che possano sedurre con le loro frodi gli incauti e avvelenarli, ci vediamo costretti a gridare con uguali espressioni allo stesso popolo del signore nostro Gesù Cristo: Allontanatevi dalle tende degli empi; ( Nm 16, 26 ) tanto più che il popolo cristiano è molto più numeroso di quello dei Giudei di allora e la chiesa è più santa della sinagoga, e il vicario di Cristo è superiore per autorità e dignità allo stesso Mosè.

Questa empietà dei Basileesi già da tempo l'avevamo prevista; vedevamo infatti quel concilio scivolare verso la tirannide: molti di grado inferiore, allora, venivano costretti ad andare o a restare secondo l'arbitrio dei capi di una fazione; i voti e i giudizi di parecchi venivano estorti con diversi artifici ed altri venivano ingannati con buie ed inganni; e quasi tutto doveva sottostare a cospirazioni, congiure, accaparramenti, conciliaboli, e per ambizione del papato si cercava di allungare all'infinito la durata del concilio, dove, infine, si introducevano innumerevoli novità, disordini, deformazioni e si perpetravano quasi infiniti mali, cui concorrevano anche chierici costituiti negli ordini sacri, ma ignoranti, inesperti, vagabondi, indisciplinati, fuggiaschi, apostati, condannati per crimini, fuggiti dalle carceri, ribelli a noi e ai loro superiori ed altri simili campioni, i quali attingevano da questi maestri di scelleratezze ogni macchia di corruzione.

Notiamo ancora per quanto riguarda l'opera santissima dell'unione della chiesa orientale, che noi la vedevamo in, serio pericolo proprio per l'inganno di alcuni faziosi.

Volendo, quindi, provvedere a tanti mali, almeno per quanto era in noi, per le ragioni accennate e per altre cause ragionevoli e necessarie, chiaramente esposte nel decreto di traslazione, col consiglio dei nostri venerabili fratelli cardinali della santa chiesa romana, con la piena approvazione di moltissimi venerabili fratelli e diletti figli arcivescovi, vescovi, abati e di altri prelati e maestri e dottori, abbiamo trasferito il concilio di Basilea nella città di Ferrara, dove abbiamo dato anche l'avvio, con l'aiuto di Dio, al concilio ecumenico con la chiesa occidentale ed orientale.

Poi, sopravvenuto il contagio della peste e dato che esso non cessava, con la grazia di Dio e con l'approvazione del sacro concilio lo abbiamo trasferito in questa città di Firenze; qui il piissimo e clementissimo Iddio ha mostrato le sue meraviglie: infatti lo scisma dannosissimo che si protraeva nella chiesa di Dio con enorme danno di tutta la cristianità da quasi cinquecento anni, alla cui estirpazione si erano duramente affaticati moltissimi santi pontefici nostri predecessori, molti re e principi ed altri cristiani con grandi fatiche e spese, finalmente, dopo molte discussioni pubbliche e private in entrambe le città, dopo diverse trattative e non poche fatiche, è stato eliminato ed è stata felicemente realizzata la santissima unione dei Latini e dei Greci, come più ampiamente viene riferito nel decreto precedentemente emanato e solennemente promulgato.

Perciò, rendendo all'eterno Padre innumerevoli grazie e gioiendo con tutto il popolo fedele, abbiamo offerto a Lui il sacrificio del giubilo e della lode.

Abbiamo visto, infatti, chiamato alla terra promessa, non un solo popolo come quello Ebreo, ma popoli e nazioni e genti di ogni lingua ( Ap 5,9 ) incontrarsi per proclamare e servire unanimemente la divina verità; per cui sorge ormai anche la grande speranza che lo stesso sole di giustizia, ( Ml 3,20 ) che sorge in oriente, estenda i raggi della sua luce alle tenebre di molte altre genti, anche infedeli, e si operi la salvezza di Dio fino agli ultimi confini della terra. ( Is 49,6 )

Di tutto ciò abbiamo già, per divina volontà, ottime garanzie poiché Dio onnipotente, per mezzo nostro, ci ha concesso che gli ambasciatori degli Armeni giungessero in questi giorni dalle lontanissime parti del settentrione presso di noi, presso la sede apostolica e presso questo sacro concilio con pieni poteri.

Questi, considerandoci e venerandoci come il beato Pietro, principe degli apostoli, e riconoscendo nella stessa sede apostolica la madre e la maestra di tutti i fedeli, hanno affermato di essere venuti ad essa e al concilio per ottenere cibo spirituale e la verità della sana dottrina.

Per questo avvenimento abbiamo di nuovo reso molte grazie al nostro Dio.

Ma lo spirito trema nel ricordare quante molestie, quante opposizioni, quante persecuzioni abbiamo incontrato finora in questa divina opera, e non certo dai Turchi o dai Saraceni, ma da chi si dice cristiano.

Riferisce s. Gerolamo che dai tempi di Adriano fino all'impero di Costantino sul luogo della resurrezione del Signore i pagani veneravano una statua di Giove e sul dirupo della croce una statua marmorea di Venere: gli autori della persecuzione credevano che avrebbero spento in noi la fede nella resurrezione e nella croce se avessero profanato quei luoghi coi loro idoli.

Qualcosa di simile è perpetrato in questi giorni, contro di noi e la chiesa di Dio da quegli sciagurati che sono a Basilea; sennonché quello è stato fatto da pagani, che non conoscevano il vero Dio; questo, da gente che lo conosce e lo odia; ( Gv 15,14 ) quindi la loro superbia, come dice il profeta, cresce sempre, ( Sal 74,23 ) e tanto più pericolosamente, in quanto ché essi diffondono i loro veleni col pretesto della riforma, che essi però hanno sempre avuto in orrore per se stessi.

Per prima cosa, infatti, questi fautori di ogni scandalo a Basilea hanno mancato di fede ai Greci.

Essi avevano appreso dagli ambasciatori degli stessi Greci e della chiesa orientale che il nostro carissimo figlio in Cristo Giovanni Paleologo, illustre imperatore dei Romani, Giuseppe, patriarca di Costantinopoli, di buona memoria, e gli altri sia prelati che membri della chiesa orientale intendevano recarsi al luogo legittimamente scelto per la celebrazione del concilio ecumenico dai nostri legati e presidenti e da altri dei più insigni personaggi a cui, dopo gravi dissensi tra i partecipanti al concilio, era stato devoluto il diritto di scegliere il luogo, secondo l'accordo raggiunto col comune consenso del concilio stesso.

Sapendo anche che noi, dietro supplica e istanza dei suddetti ambasciatori nel concistoro generale di Bologna, avevamo confermato questa scelta e inviavamo a Costantinopoli le galere e le altre cose necessarie per l'opera di questa santissima unione con molte fatiche e denaro, hanno osato indirizzare un volgare documento di ammonizione o di citazione contro di noi e i suddetti cardinali, per interrompere questa santa impresa, e mandarlo all'imperatore e al patriarca di Costantinopoli per distoglierli - loro e tutti gli altri - dal venire.

Sapevano bene, infatti, che essi, come si è detto, non sarebbero andati assolutamente in nessun altro posto, fuorché in quello scelto.

Inoltre, quando essi hanno saputo che l'imperatore, il patriarca e gli altri erano giunti da noi per l'opera santissima dell'unione, hanno tentato di tendere a quest'opera divina un altro laccio di empietà emanando cioè contro di noi un'empia sentenza di sospensione dall'esercizio del papato.

Da ultimo, questi maestri di scandali, - in verità pochissimi di numero, e quasi tutti di modestissima condizione e di nessun nome - veri odiatori della pace, accumulando iniquità su iniquità temendo di trovarsi davanti alla giustizia del Signore ( Sal 69,28 ) accortisi che la grazia dello Spirito santo per l'unione dei Greci gia operava in noi, deviando dalla retta via per i tortuosi sentieri dell'errore, il 16 maggio scorso hanno tenuto una pretesa sessione, dichiarando di attenersi ad alcuni decreti, anche se emanati da una sola delle tre obbedienze, dopo la fuga di colui che nella sua obbedienza era chiamato Giovanni XXIII quando a Costanza vi era ancora lo scisma.

Essi hanno enunciato, considerando noi, tutti i principi e prelati e gli altri fedeli e devoti della sede apostolica come eretici, tre proposizioni, che chiamano verità di fede, e che sono contenute in queste frasi: "La verità che enuncia il potere del concilio generale, espressione della chiesa universale, sul papa e su chiunque altro, dichiarata dai concili generali di Costanza e da questo di Basilea, è verità di fede cattolica.

Questa verità che il papa non può con la sua autorità sciogliere o prorogare ad altro tempo o trasferire da un luogo ad un altro, senza il suo consenso, un concilio generale espressione della chiesa universale, legittimamente riunito per le materie dichiarate nella suddetta verità o qualche loro punto particolare, è verità di fede cattolica.

Chi pertinacemente non accetta le predette verità dev'essere considerato eretico.58

In ciò sono dannosissimi, perché camuffano la loro malvagità sotto parvenza di verità di fede e distorcono il concilio di Costanza ad un significato empio, riprovevole e dei tutto alieno dalla sua dottrina; e seguono l'insegnamento di tutti gli scismatici ed eretici, che cercano sempre di costruirsi i loro erronei ed empi dogmi sulla base delle divine scritture e dei santi padri, interpretati perversamente.

Finalmente, allontanando completamente il loro cuore e svolgendo altrove i loro occhi per non vedere il cielo e per non ricordare i giudizi dei giusti ( Dn 13,9 ) a somiglianza di Dioscoro e del condannato sinodo di Efeso, con inespiabile scelleratezza sono giunti ad emanare una velenosa ed esecrabile sentenza circa la pretesa privazione della dignità e dell'Ufficio del sommo apostolato, il cui contenuto, inaccettabile per ogni mente sana, intendiamo qui sufficientemente espresso; e non hanno trascurato nulla, per quanto era in loro, per far naufragare completamente questo incomparabile beneficio dell'unione.

O figli miseri e degeneri! O generazione malvagia e adultera! ( Mt 12,39 )

Cosa c'è di più crudele di questa empietà ed iniquità? Cosa si può pensare di più detestabile, di più orribile, di più pazzo?

Avevano detto, un tempo, che niente di meglio né di più glorioso ed utile di questa santissima unione era stato mai visto o sentito in mezzo al popolo cristiano dai primi tempi della chiesa; e che non era bene, in cosa di tanta importanza, far questione di luogo, ma che per conseguirla si doveva essere disposti non solo a mettere i repentaglio i possessi di questo mondo, aria il corpo e la vita stessa; e per questo hanno gridato per tutto il mondo e hanno messo sottosopra il popolo cristiano, come si può desumere dai loro decreti e dalle loro lettere.

Ora, invece, perseguitano tutto ciò con tanto furore, con tanta empietà da sembrare che siano confluiti a quel latrocinio di Basilea tutti i demoni del mondo.

E benché Dio non abbia permesso finora che la loro iniquità, che sempre mentisce loro, ( Sal 27,12 ) prevalesse, poiché, tuttavia, essi cercano con tutte le loro forze di portare a compimento l'abominazione della desolazione nella chiesa di Dio, ( Mt 24,15 ) noi, non potendo in nessun modo ignorare tutto ciò senza gravissima offesa di Dio e pericolo imminente di confusione e abominazione nella sua chiesa, secondo il dovere del nostro ufficio pastorale, - anche perché molti, accesi dello zelo di Dio, ci sollecitano a ciò - intendiamo ovviare a tanti mali e, per quanto è in noi, opportunamente e salutarmente provvedere, eliminando questa odiosa empietà e perniciosissima peste dalla chiesa di Dio.

Seguendo, perciò, le orme dei nostri predecessori, soliti, come scrive papa Nicola di santa memoria, cancellare anche i concili iniquamente celebrati dai sommi pontefici, come avvenne del concilio universale efesino secondo, - che papa Leone rinnegò, riconoscendo autorità a quello di Calcedonia, con la nostra autorità apostolica e con l'approvazione di questo sacro concilio fiorentino, rinnoviamo il solenne e salutare decreto contro quei sacrileghi, da noi pubblicato nel sacro concilio generale di Ferrara il 15 febbraio 1438; decreto con cui, tra l'altro, con l'approvazione dello stesso concilio, dichiarammo che tutti e singoli quelli che a Basilea, sotto il nome del preteso concilio - che è piuttosto una conventicola -, contravvenivano al trasferimento e alla dichiarazione da noi fatti, ed osavano cose scandalose e nefande - anche se si fosse trattato di persone rivestite della dignità cardinalizia, patriarcale, arcivescovile, vescovile, abbaziale, o di qualsiasi altra dignità ecclesiastica o secolare - sarebbero incorsi nelle pene di scomunica, di privazione delle dignità, dei benefici ed uffici, e di inabilità ad averne in futuro, contenute nelle nostre lettere di trasferimento.

Stabiliamo e decretiamo di nuovo che tutto ciò che è stato fatto e tentato dagli empi che sono a Basilea, di cui si fa menzione nel nostro decreto di Ferrara, e ugualmente ciò che è stato fatto, compiuto, tentato dopo, e specialmente nelle due pretese sessioni, o, per essere più precisi cospirazioni cui abbiamo accennato da ultimo e tutto ciò che possa essere seguito da esse o che potrebbe derivarne in futuro, poiché si tratta di cose fatte da uomini empi, senza alcuna potestà, ma rigettati e riprovati da Dio, è stato ed è tutto nullo, vano e senza effetto, come atti presunti e assolutamente privi di efficacia, valore ed importanza.

Con l'approvazione del santo concilio, inoltre, condanniamo e riproviamo le proposizioni sopra menzionate nel senso corrotto inteso dagli stessi Basileesi, contrario al senso genuino delle sacre scritture, dei santi padri e dello stesso concilio di Costanza; ed inoltre la asserita sentenza di privazione, di cui si è parlato, con tutte le conseguenze già verificatesi o che si verificheranno in futuro: sono, infatti, empie e scandalose, e tendono ad un aperto scisma nella chiesa di Dio e al sovvertimento di ogni ordine ecclesiastico e del potere cristiano.

Decretiamo anche e dichiariamo che tutti e singoli quelli di cui parliamo sono stati e sono scismatici ed eretici e che come tali, oltre alle pene stabilite nel concilio di Ferrara, sono da punirsi nel modo meritato con tutti i loro fautori o difensori, di qualunque stato, condizione o grado, sia ecclesiastico che secolare, anche se fossero insigniti della dignità, cardinalizia, patriarcale, arcivescovile, vescovile, abbaziale, o di qualsiasi altra dignità, perché abbiano la meritata. parte con i predetti Core, Datan e Abiron. ( Nm 16, 26 )

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58 Il decreto approvato a Basilea fa precedere a queste proposizioni la ripetizione dei primi due paragrafi del decreto della V sessione del concilio di Costanza ( Msi 29, 178-179 )