Meditazioni per le domeniche dell'anno

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MD 72

XIX domenica dopo Pentecoste
( Mt 22,1-4 )

Molti sono chiamati, ma pochi sono eletti a vivere in Comunità

1 Dice Gesù nel Vangelo odierno, parlando del cielo, che molti sono chiamati ma pochi sono eletti; ma questa verità non è meno certa anche se applicata alle Comunità.

Difatti numerose sono le persone che vi entrano, pochi sono quelli che sono fedeli alla grazia della loro vocazione e che acquistano e mantengono lo spirito del loro stato, nonostante gli impegni presi.

Se si vuole essere l'eletto di Dio, la prima cosa da fare, quando si entra a far parte di una Comunità, è imparare a fare bene l'orazione e a dedicarsi con grande cura, perché non esiste altra professione in cui le tentazioni del demonio sono così violente, a causa di quella specie di assicurazione che chi vi fa parte ha di salvarsi se osserverà fedelmente le Regole che vi sono prescritte.

Proprio per questo motivo chi vive in Comunità ha bisogno di molte forze per sostenere gli attacchi sferrati contro di noi dal tentatore.

La seconda consiste nell'usare ogni mezzo per essere regolari, perché la regolarità è il mezzo principale che Dio dà per salvarsi, e allora più siamo esatti, più rafforziamo come dice s. Pietro la nostra vocazione e la nostra elezione, per mezzo delle buone opere ( 2 Pt 1,10 ), soprattutto quelle specifiche del proprio stato.

Purtroppo però, sono molto pochi quelli che, nelle Comunità, compiono con esattezza questo duplice dovere; ecco perché sono molti quelli che non hanno le grazie necessarie per restarvi e per conservare lo spirito del loro stato.

Dopo un po' di tempo, sono presenti solo col corpo e allora diventa necessario recidere questi membri corrotti perché non rovinino gli altri.

2 Il secondo motivo per cui gli eletti sono pochi in confronto al numero delle Comunità è che pochi sono quelli veramente e interamente sottomessi ai loro Superiori.

L'obbedienza resta sempre la prima virtù che si deve avere e la più importante di quelle che aiutano a perseverare; quando viene a mancare, si resta abbandonati a se stessi senza più forza e vigore e si diventa incapaci di fare il bene che il loro stato richiede.

Questa deficienza non aiuta a perseverare.

Chi, stando in queste condizioni, resta, risulta un membro inutile e perfino nocivo agli altri, come un ramo che non è più attaccato al ceppo, che è Gesù Cristo, e non sugge più la linfa che gli è necessaria per produrre i frutti ( Gv 15,4 ).

Saremo uniti al Signore Gesù, come i rami all'albero, se saremo uniti ai nostri Superiori e dipenderemo completamente da loro, perché - come afferma san Paolo - è a Dio, e perciò a Gesù stesso che obbediamo, quando siamo loro sottomessi.

Dobbiamo stare attenti però a essere sottomessi non con l'intento di piacere agli uomini, ma solo per compiere di buon animo la volontà di Dio ( Ef 6,5-7 ), proprio come membra e come servi di Gesù Cristo.

I Superiori, a loro volta, non hanno alcun diritto di comandare: se lo fanno è perché parlano in nome di Gesù Cristo e come suoi rappresentanti ( Ef 6,5 ).

Dobbiamo, quindi, obbedire perché - come dichiara ancora san Paolo - i Superiori lavorano al perfezionamento dei Santi e all'edificazione del Corpo di Cristo ( Ef 4,12 ), che è il nostro Capo e che, attraverso la sottomissione che gli rendiamo nella persona dei suoi ministri, congiunge e unisce insieme tutte le parti del suo corpo con giusta proporzione ( Ef 4,16 ), per farne un solo corpo.

È dunque per mezzo della sottomissione che diventerete i veri eletti di Dio nella vostra comunità.

3 Gli eletti a vivere in Comunità sono pochi anche perché pochi sono quelli che hanno una completa apertura di cuore verso i Superiori, senza la quale è impossibile garantirsi dalle cattive conseguenze che possono avere le tentazioni violente, con cui il demonio attacca quelli che sono chiamati a vivere in Comunità; queste tentazioni, ordinariamente, sono tanto più forti, quanto più essi progrediscono nella virtù.

Quando lavorano con fervore ad acquistare la perfezione del loro stato, il demonio li tenta con più violenza perché sa bene che, se essi perseverano, gli nuoceranno molto di più, sia con il buon esempio sia con le grazie che, con le loro preghiere, riusciranno a ottenere per gli altri.

Allora il demonio, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare ( 1 Pt 5,8 ), come dice san Pietro.

Il demonio - scrive san Doroteo - prova una grande gioia quando trova alcuni religiosi che vogliono guidarsi da soli e non accettano la direzione del Superiore, perché sa che cadranno come le foglie di un albero, come se essi avessero fatto un accordo col diavolo e con i nemici della loro salvezza.

Questo Santo aggiunge anche di non conoscere nessun'altra causa della caduta delle persone che vivono in Comunità che la fiducia che esse hanno nelle proprie ispirazioni e conclude affermando che non c'è nulla di più criminale e di più pernicioso in una Comunità, di un tale comportamento e che non esiste altra via per salvarsi che l'apertura di coscienza.

Ahimè! quanto sono pochi quelli che la posseggono interamente!

Alcuni, infatti, dicono: che dirà il Superiore se gli confesso tutto?

Ma se non lo fate, farà presto a capire che siete un infedele.

Altri dicono: non oso rivelargli tutto, perché poi mi vergognerei di andare ancora da lui.

Altri ancora dicono: basta dire queste cose in confessione.

Sì, ma il vostro Superiore è la persona più adatta per suggerirvi il giusto rimedio.

Ci sono, infine, quelli che dicono: il Superiore, in fin dei conti è un Fratello come me.

Sì, è vero, però è lui che ha ricevuto da Dio il compito di provvedere alla vostra salvezza.

Servitevi dunque dei mezzi che Dio vi presenta, se volete veramente salvarvi: altrimenti perderete presto lo spirito del vostro stato e, anche se è certo che è stato Dio a chiamarvi in religione, non sarete nel numero dei suoi eletti.

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