L'anima e la sua origine

Indice

Libro IV

A Vincenzo Vittore

1.1 - Questo libro esamina gli attacchi personali di Vittore ad Agostino

Accogli adesso anche quello che desidero dirti nei miei riguardi personali, se lo potrò, ossia se me lo concederà colui nelle mani del quale siamo e noi e i nostri ragionamenti.

Sono due le volte che mi hai ripreso, facendo espressamente anche il mio nome.

Al principio del tuo libro, sebbene ti fossi detto oltremodo consapevole della tua ignoranza e sprovveduto del sussidio della dottrina, e sebbene mi avessi chiamato, dove mi hai nominato, dottissimo e peritissimo, tuttavia nelle questioni dove ti è sembrato di sapere quello che io confesso di non sapere o presumo di sapere, benché non lo sappia, non hai dubitato di riprendere con la libertà che occorreva, non solo un vecchio tu giovane e un vescovo tu laico, ma anche un uomo a tuo giudizio dottissimo e peritissimo.

Io al contrario né mi conosco dottissimo e peritissimo, ma anzi conosco con la massima certezza che non lo sono, né metto in dubbio la possibilità che accada ad una qualsiasi persona non dotta e non perita di sapere ciò che non sa una qualche persona dotta e perita.

Inoltre senz'altro ti lodo per il fatto che hai preferito ad una persona la verità, benché non sia la verità che hai raggiunta, ma certamente che hai creduto d'aver raggiunta; e ciò con evidente temerarietà, perché hai stimato di sapere quello che non sai, ma con libertà perché senza riguardi personali hai scelto d'aprire quello che ti senti dentro.

Da questo devi capire quanto maggiormente deve stare a cuore a noi pastori di richiamare dagli errori le pecore del Signore, se anche per le pecore è disonesto occultare ai pastori i vizi dei medesimi pastori, se ne abbiano conosciuti.

Oh, se tu riprendessi le mie colpe che sono degne di giusta riprensione!

Non devo infatti negare che, sia negli stessi miei costumi come nei miei libri così numerosi, ci siano numerose mende che possano essere sottoposte ad accusa con retto giudizio e senza nessuna temerarietà.

Se fossi tu stesso a riprendere qualcuna di queste mende, in quel caso forse ti indicherei quale vorrei che tu fossi nei casi dove non sei ripreso a caso, e offrirei a te minore io maggiore d'età, a te suddito io superiore nella Chiesa, un esempio di ravvedimento, tanto più salutare quanto più umile.

Purtroppo invece tu mi hai ripreso in questioni dove l'umiltà non mi costringe a correggermi, ma dove la verità mi costringe in parte ad affermare e in parte a confermare le mie convinzioni.

2.2 - Il primo attacco personale di Vittore ad Agostino

Ecco poi quali sono: la prima, sull'origine delle anime che sono state date o si danno agli uomini dopo il primo uomo, di non aver osato dire nulla di definitivo, perché confesso di non saperlo; la seconda, d'aver detto di sapere che l'anima è spirito e non corpo.

Ma in questa mia seconda proposizione tu hai ripreso due errori: l'uno, che io non credo che l'anima sia corpo; l'altro, che io credo che l'anima è spirito.

A te infatti sembra e che l'anima sia corpo, e che l'anima non sia spirito.

Ascolta dunque la mia spiegazione contro la tua riprensione, e dall'esempio di questa mia spiegazione data a te impara le spiegazioni che devi dare in te stesso.

Rammenta le parole del tuo libro, dove hai fatto per la prima volta il mio nome.

" So " dici " che un gran numero di scrittori, anche tra quelli che sono di gran lunga i più esperti, dopo esser stati interpellati su questo argomento, hanno mantenuto il silenzio o non hanno detto nulla di abbastanza esplicito, sottraendo alle proprie discussioni la definizione del problema, dopo averne iniziato l'esposizione, come recentemente mi è capitato di leggere più volte presso di te contenuto negli scritti di Agostino, un uomo dottissimo e un vescovo celebrato: con troppa modestia, mi pare, e con troppa timidezza toccano costoro il mistero di questo problema, inghiottendo dentro di sé il giudizio delle proprie riflessioni e confessando di non essere in grado di precisare su questo tema nulla di sicuro.

Ma a me, credimi, pare assurdissimo e irragionevole che l'uomo sfugga a se stesso o che l'uomo che crediamo arrivato ormai alla conoscenza di tutte le cose si debba ritenere sconosciuto a se stesso.

In che cosa differirebbe l'uomo dalle bestie, se non sapesse discutere e ragionare della propria costituzione e natura, così da dover rivolgere contro di lui ciò che sta scritto: L'uomo quand'è in onore non comprende, si mette alla pari degli animali irragionevoli e si fa simile ad essi. ( Sal 48,13 )

Poiché, non avendo un Dio buono creato nulla irragionevolmente e avendo creato l'uomo stesso come animale ragionevole, capace d'intelligenza, dotato di raziocinio, vivace nei sensi, con il compito di dirigere con prudente ordine tutte le creature irrazionali, che cosa si potrebbe dire che sia altrettanto sconveniente quanto che Dio l'abbia defraudato della sola conoscenza di se stesso?

E mentre la sapienza del mondo, che si protende fino alla conoscenza della verità, certo con sforzi vani, dato che non può conoscere colui che rende possibile la conoscenza della verità, ha tuttavia tentato di cogliere certe intuizioni sulla natura dell'anima che sono vicine, anzi affini alla verità, quanto è indegno e vergognoso che l'uomo religioso, chiunque egli sia, di questo stesso problema o non sappia nulla o abbia assolutamente proibito a se stesso di saperne qualcosa ".7

2.3 - Confesso che ignoro molte cose sulla natura umana

Questa tua eloquentissima e luminosissima fustigazione della nostra ignoranza ti obbliga a conoscere così bene tutti i problemi concernenti la natura dell'uomo che, se di essi ignorerai qualcosa, sarai equiparato alle bestie, non secondo il mio giudizio, ma secondo il tuo.

Quantunque infatti sembri che tu abbia voluto colpire più segnatamente noi con le parole: L'uomo quand'è in onore non comprende, ( Sal 48,13 ) perché noi siamo nella Chiesa in un posto d'onore nel quale non sei tu, tuttavia anche tu sei in quel posto d'onore della natura che ti rende preferibile alle bestie, alle quali secondo il tuo giudizio sei da equiparare, se non conoscerai qualcosa di quei problemi che risultano pertinenti alla tua natura.

Tu infatti non hai asperso con questo rimbrotto solamente coloro che non sanno quello che non so io, cioè l'origine dell'anima umana - della quale per la precisione non è che io non sappia assolutamente nulla: so in realtà che Dio alitò sulla faccia del primo uomo e l'uomo divenne così un essere vivente: ed è tuttavia una verità che, se non l'avessi letta nelle Scritture, non la potrei conoscere da me -, ma hai detto: " In che cosa differirebbe l'uomo dalle bestie se non sapesse discutere e ragionare della propria costituzione e natura? ".

Nel dire così sembra che tu pretenda dall'uomo di saper discutere e ragionare così bene di tutta la sua costituzione e natura che non gli sfugga nulla di se stesso.

Se così è, ti allivellerò subito alle pecore, se non mi dici il numero dei tuoi capelli.

Se al contrario concedi che, per quanto progrediamo in questa vita, ignoreremo sempre alcune delle verità pertinenti alla nostra natura domando quale e quanta sia l'ampiezza della tua concessione, perché potrebbe esservi compreso anche il fatto di non conoscere completamente l'origine della nostra anima, sebbene sappiamo senza incertezze che l'anima è stata data da Dio e che essa non è della medesima natura di Dio: e queste sono verità che appartengono all'intangibilità della nostra fede.

O forse pensi che ciascuno debba ignorare la propria natura nei limiti in cui la ignori tu e la debba conoscere nei limiti in cui l'hai potuta conoscere tu, di modo che, se qualcuno la ignora un poco più di te, lo metti alla pari delle pecore, perché tu hai potuto essere più dotto di lui, e altrettanto, se egli la conoscerà un poco meglio di te, con lo stesso metro di giustizia sarà lui che metterà te alla pari delle pecore?

Dicci dunque in quale misura ci concedi d'ignorare la nostra natura, perché sia salva la nostra distanza dalle pecore, e rifletti tuttavia se chi sa di non sapere qualcosa della natura umana non disti dalle bestie più di chi crede di sapere quello che non sa.

La natura completa dell'uomo sono certamente lo spirito, l'anima e il corpo: è pazzo dunque chi vuol considerare estraneo alla natura umana il corpo.

Eppure, i medici chiamati anatomisti, i quali attraverso le membra, le vene, i nervi, le ossa, i midolli, le interiora vitali, tagliuzzando anche uomini vivi finché possono rimanere vivi tra le mani di chi ne fa la vivisezione, hanno fatto ricerche per conoscere la natura del corpo, non hanno tuttavia equiparato alle bestie noi che ignoriamo quello che conoscono essi.

A meno che tu non sia pronto a dire che sono paragonabili alle bestie quelli che ignorano la natura dell'anima e non quelli che ignorano la natura del corpo.

Non avresti dunque dovuto premettere quello che hai detto.

Non hai detto infatti: " In che cosa differirebbe l'uomo dalle bestie, se non sa la costituzione e la natura della sua anima ", bensì hai detto: " Se non sa discutere e ragionare della propria costituzione e natura ".

Certamente la nostra costituzione e natura comprende anche il corpo, benché dei singoli elementi che ci compongono si tratti singolarmente a parte.

Ma a voler esporre tutte le così numerose discussioni che potrei fare con rigore assolutamente scientifico sulla natura dell'uomo, riempirei parecchi volumi, e confesso tuttavia che sono molte le verità che ignoro.

3.4 - Servono argomentazioni serie, non facili ingiurie

Ma tu, la discussione fatta nel libro precedente sul respiro dell'uomo, a che cosa vuoi che si riporti: alla natura dell'anima perché è l'anima stessa che compie tale azione nell'uomo, o alla natura del corpo che è mosso dall'anima a compiere quell'azione, o alla natura dell'aria circostante con la cui alternanza si spiega quell'azione, o piuttosto a tutti e tre questi fattori, cioè all'anima che muove il corpo, e al corpo che muovendosi prende e rende l'aria, e all'aria circolante in ogni parte che dà alimento entrando e alleggerimento uscendo?

E tuttavia è certo che lo ignoravi, tu scrittore letterato e facondo, quando credevi e dicevi e scrivevi e nell'assemblea di una moltitudine di invitati leggevi che noi gonfiamo un otre servendoci della nostra natura, senza che abbiamo nulla di meno nella nostra natura, mentre avresti potuto, appena avessi voluto, conoscere molto facilmente in che modo noi compiamo tale operazione, non scrutando diligentemente pagine divine e umane, ma stando attento a te stesso.

Con qual sicurezza dunque affiderò il compito d'istruirmi sull'origine delle anime, che io confesso di non sapere, ad uno come te che non sai come fai ciò che incessantemente fai con le tue narici e con la tua bocca?

E faccia il Signore che tu, esortato da me, ceda senza voler resistere ad una verità posta così alla nostra portata ed evidentissima, e che tu non interroghi i tuoi polmoni sul modo di gonfiare un otre, così da preferire d'averli gonfi contro di me, piuttosto che arrenderti ad essi che t'insegnano e ti rispondono secondo verità, non parlando e altercando, ma aspirando ed espirando.

Quanto perciò alla mia ignoranza sull'origine delle anime, sopporterei senza molestia la tua aggressione e riprensione contro di essa, anzi ti renderei per giunta molte grazie, se non ti limitassi a percuotermela con aspre impertinenze, ma riuscissi anche a scuotermela da dosso con vere testimonianze.

Se tu infatti mi potessi far conoscere ciò che non conosco, dovrei sopportare con grande pazienza non solo che tu mi colpissi con le parolacce, ma perfino con i pugni.

4.5 - È proprio necessario conoscere l'origine dell'anima?

Confesso alla tua dilezione che, per quanto concerne la presente questione, desidero molto conoscere, se mi è possibile, una delle due cose: o conoscere ciò che ignoro sull'origine delle anime, o conoscere se conoscere ciò sia di nostra competenza mentre viviamo quaggiù.

Che dire infatti se fosse una di quelle verità di cui ci è detto: Non cercare le cose che sono più alte di te, non indagare le cose che sono più forti di te, ma bada sempre a quello che ti è stato comandato dal Signore? ( Sir 3,22 )

Ma desidero saperlo o da Dio stesso che sa quello che crea, o anche da qualche persona umana dotta che sa cosa dire, non da una persona che non conosce l'aria che respira.

Nessuno sa ricordare la propria infanzia, e tu credi che un uomo possa senza l'insegnamento di Dio conoscere donde abbia cominciato a vivere nel seno materno, specialmente se la natura umana gli è ancora sconosciuta a tal punto da ignorare non solo che cosa abbia dentro di sé, ma anche che cosa la circondi fuori di sé?

E sarà mai possibile che ad insegnare a me o a chicchessia donde i nascenti ricevano l'anima sii tu, o carissimo, che finora ignoravi donde i viventi ricevano l'alimento così necessario che una sua breve sottrazione basta a farli morire subito?

Insegnerai a me o a chicchessia donde gli uomini siano animati tu che finora non sapevi da che cosa siano riempiti gli otri quando sono gonfiati?

Magari, come tu non sai da dove sia l'origine delle anime, così io sapessi almeno se lo debba sapere in questa vita.

Se infatti è una di quelle verità troppo alte, che ci è proibito di cercare e d'indagare, dobbiamo temere di peccare, non ignorandola, ma ricercandola.

Né infatti la ragione per dover escludere che sia una di quelle verità troppo alte è che non concerne la natura di Dio, ma la natura nostra.

5.6 - Tante cose non sappiamo!

Come mai alcune delle opere di Dio sono più difficili a conoscersi in Dio stesso, nei limiti in cui Dio è conoscibile?

Abbiamo imparato per esempio che Dio è Trinità, ma quante specie d'animali egli abbia creato, anche soltanto di quelli terrestri che poterono entrare nell'arca di Noè, lo ignoriamo finora.

A meno che tu non sia arrivato per caso a saperlo!

Anche nel libro della Sapienza è scritto: Se tanto poterono sapere da scrutare l'universo, come mai non ne hanno trovato più presto il padrone? ( Sap 13,9 )

Oppure, perché è un fatto interiore a noi, per questo non è superiore a noi?

Certo, è più interiore a noi la natura della nostra anima che il corpo.

Come se al contrario l'anima non abbia potuto conoscere il corpo stesso più facilmente dal di fuori per mezzo degli occhi dello stesso corpo che dal di dentro per mezzo di se stessa.

Quale è infatti tra gli organi interni del corpo quello in cui non si trovi l'anima?

E nondimeno anche tutte le parti interne e vitali del corpo l'anima le ha studiate con gli occhi del corpo, e tutto ciò che ha potuto imparare da esse l'ha imparato per mezzo degli occhi del corpo.

E certamente l'anima era in quelle membra anche quando non le conosceva.

E poiché i nostri organi interni non possono vivere senza l'anima, è stato più facile all'anima vivificarli che conoscerli.

O forse le è più difficile conoscere il corpo che se stessa?

Perciò, se l'anima vuole ricercare e discutere quando il seme dell'uomo si converte in sangue, quando si converta in solida carne, quando le ossa s'induriscano, quando comincino a midollarsi, quante siano le specie delle vene e dei nervi, con quali giri e rigiri le vene irrighino l'intero corpo e i nervi lo intreccino, se tra i nervi si debba contare la cute, se tra le ossa i denti che differiscono dalle ossa perché mancano di midollo, in che cosa differiscano dalle ossa e dai denti le unghie che sono simili alle ossa per la durezza, ma hanno in comune con i capelli di poter esser tagliate e ricrescere, quale sia la funzione delle vene, non di quelle del sangue, ma di quelle dell'aria chiamate arterie: se l'anima, ripeto, desidera conoscere questi e simili problemi sulla natura del suo corpo, allora bisognerà forse dire all'uomo: Non cercare le cose che sono più alte di te, non indagare le cose che sono più forti di te? ( Sir 3,22 )

Se invece l'anima cerca di sapere quello che ignora della propria origine, non è allora questo per lei un problema troppo alto, né troppo forte da non poterlo conoscere?

Tu stimi assurdo e sconveniente che l'anima ignori se sia stata ispirata direttamente da Dio o tratta dai genitori: un fatto passato che essa non ricorda più e che conta tra gli eventi irrevocabilmente dimenticati, come l'infanzia e tutti gli altri episodi dell'età più vicina alla nascita, seppur l'origine dell'anima avvenne, quando avvenne, con una qualche consapevolezza da parte dell'anima.

Né stimi assurdo e sconveniente che l'anima non conosca il corpo a lei subordinato e ignori completamente tanti fatti che non riguardano il suo passato, ma il suo presente.

Ad esempio, se muova le vene per vivere nel corpo e i nervi invece per operare con le membra del corpo, e se è così, perché non muova i nervi se non volontariamente e compia invece le pulsazioni delle vene anche involontariamente e incessantemente.

Inoltre, da quale parte del corpo la facoltà che chiamiamo hJgemonikovn comandi a tutte le altre parti: se dal cuore, se dal cervello, se distintamente dal cuore per i movimenti e dal cervello per le sensazioni, o se dal cervello per le sensazioni e per i movimenti volontari e dal cuore invece per le pulsazioni involontarie delle vene.

Ammesso poi che hJgemonikovn comandi dal cervello le due serie di operazioni, perché esso comandi le sensazioni anche involontariamente e non muova le membra se non volontariamente?

Atteso dunque che è solo l'anima a fare tutte queste operazioni nel corpo, perché mai essa ignora ciò che fa o donde lo fa?

Eppure non è turpe per l'anima ignorare coteste verità: e tu stimi turpe se ignora donde e come sia stata fatta, non essendosi fatta da se stessa?

Oppure, perché alcuni sanno in che modo e da quale centro l'anima compia nel corpo queste azioni, reputi che questa sia una ragione valida per dire che tali verità non appartengono a quelle troppo alte e troppo superiori alle nostre forze

6.7 - Perché non conosco da me quello che avviene in me?

Ma io ti muovo da qui un'altra questione più grossa: quale sia la ragione per cui pochissimi conoscono donde facciano ciò che fanno tutti.

Forse sei pronto a dire: Perché quelli hanno imparato l'arte anatomica o l'arte empirica, comprese nella disciplina medica, e sono pochi quelli che l'apprendono: tutti gli altri invece non hanno voluto imparare queste arti, mentre l'avrebbero potuto, se l'avessero veramente voluto.

Davanti a questa risposta io ometto di dire quale sia la ragione per cui molti cerchino d'imparare queste arti e non lo possano: la ragione è che sono impediti dalla tardità dell'ingegno ad apprendere da altri - ecco la grande stranezza! - le attività che sono compiute da loro stessi e in loro stessi.

Ma il punto culminante della questione sta precisamente qui: perché mai io non abbia bisogno di un'arte per sapere che in cielo ci sono il sole, la luna e le altre stelle, e abbia bisogno di un'arte per sapere, quando muovo un dito, da dove cominci a muoverlo: se dal cuore, se dal cervello, se da ambedue, se da nessuno dei due; perché mai non mi occorra un docente per sapere che cosa esiste tanto lontano da me e tanto più in alto al di sopra di me, e invece debba aspettare d'imparare per mezzo d'un altro donde si compia da me quello che si compie dentro di me.

Infatti, mentre si dice che noi pensiamo dentro il nostro cuore, e mentre noi sappiamo ciò che pensiamo, senza che lo sappia nessun altro, tuttavia del cuore stesso dentro cui pensiamo non sappiamo in quale parte del corpo sia collocato se non lo veniamo a sapere da un altro, il quale non sa ciò che noi pensiamo.

Né ignoro che quando udiamo di dover amare Dio con tutto il cuore, ciò non si dice di quella piccola parte della nostra carne che sta nascosta sotto le costole, ma di quella forza da cui prorompono i pensieri e alla quale si dà giustamente il nome di cuore perché, come il movimento non si arresta mai nel cuore da cui il battito si diffonde in tutte le parti delle vene, così noi non cessiamo mai di rigirare qualcosa con il pensiero.

Ma tuttavia perché mai, pur trasmettendosi ogni sensazione dall'anima anche al corpo, noi perfino nelle tenebre e ad occhi chiusi con il senso del corpo chiamato tatto riusciamo a contare le nostre membra esterne, ed invece con la presenza interiore dell'anima stessa, che è così a disposizione di tutte le membra da lei vivificate e animate, non conosciamo nessuno dei nostri organi interni, credo che non soltanto i medici empirici, né gli anatomici, né i dogmatici, né i metodici, ma proprio nessuno al mondo lo sappia.

6.8 - Siamo misteriosamente un mistero a noi stessi

E a chi tenterà di conoscere queste verità non si dice senza motivo: Non cercare le cose che sono più alte di te, non indagare le cose che sono più forti di te.

Non è che siano più alte di dove può arrivare la nostra statura, ma sono più alte di quanto può comprendere la nostra congettura mentale, e sono più forti di quanto può esser compenetrato dalla forza dell'ingegno umano, e tuttavia non è in gioco il cielo del cielo, non la dimensione delle stelle, non la misura del mare e delle terre, non l'inferno inferiore: noi siamo che non ce la facciamo a comprendere noi stessi, noi siamo che superiamo la spanna della nostra scienza, più alti di essa e più forti di essa, noi siamo che non riusciamo a capire noi stessi, e certamente noi non siamo al di fuori di noi.

Né, perché non riusciamo a trovare perfettamente quello che siamo, per questo siamo da equiparare alle bestie: e tu reputi di doverci mettere alla pari delle bestie, se abbiamo dimenticato ciò che eravamo, se pur un tempo lo sapevamo.

Non è infatti adesso che la mia anima viene tratta dai genitori o ispirata da Dio: qualunque di queste due operazioni egli abbia fatta, l'ha fatta quando mi ha creato, non è che la faccia anche adesso attraverso di me o in me; è un'operazione già fatta e passata, non è né presente a me, né recente.

Non so neppure questo: se una volta l'ho saputo e poi l'ho dimenticato, o se nemmeno quando fu fatto l'ho potuto sentire e conoscere.

7.9 - L'attualità della nostra vita si svolge in un mistero personale

Ecco adesso, adesso che noi siamo, che viviamo, che noi sappiamo di vivere, che siamo certissimi di ricordare, di comprendere, di volere: ecco, noi che ci vantiamo d'essere grandi conoscitori della nostra natura, noi ignoriamo completamente quanto valga la nostra memoria o la nostra intelligenza o la nostra volontà.

Un tale che era mio amico già dai tempi dell'adolescenza, di nome Simplicio, un tipo d'una memoria eccezionale e meravigliosa, interrogato da noi quale fosse il penultimo verso d'ogni libro di Virgilio, rispose immediatamente, speditamente, esattamente a memoria.

Gli domandammo anche i versi antecedenti e li disse.

Ci convincemmo che sarebbe stato capace di recitare tutto Virgilio alla rovescia.

Gli chiedemmo di farlo in qualunque passo di nostra scelta e lo fece.

Volemmo che lo facesse, in prosa, anche per qualsiasi orazione di Cicerone che aveva imparata a memoria: continuò a recitare all'indietro quanto noi volemmo.

Alla nostra meraviglia, egli chiamò Dio in testimonio che prima di quell'esperimento non sapeva di poterlo, e così, per quanto concerne la memoria, fu allora che il suo animo ebbe conoscenza di se stesso; e, ogni volta che così si istruiva, non poteva farlo se non tentando e sperimentando.

Eppure prima di tentare egli era il medesimo: perché mai dunque ignorava se stesso?

7.10 - A noi non sono note le forze della nostra memoria

Spesso noi presumiamo di tenere a mente qualcosa e pensando così non lo annotiamo; dopo quando lo vogliamo ricordare non ci viene in mente e ci pentiamo di aver creduto che ci sarebbe venuto in mente e di non averlo appuntato per scritto perché non ci sfuggisse; poi all'improvviso ci torna in mente di nuovo quando non lo cerchiamo più.

Non eravamo forse noi, quando lo tenevamo in mente?

Né tuttavia, quando non possiamo averlo in mente, siamo ciò che siamo stati.

Come avviene dunque che, non so come, noi veniamo sottratti e negati a noi?

E come avviene che, ugualmente non so come, veniamo ripresentati e restituiti a noi?

Quasi che siamo altri e siamo altrove, quando cerchiamo e non troviamo ciò che abbiamo riposto nella nostra memoria, e non possiamo raggiungere noi stessi, come se ci fossimo trasferiti altrove e ci raggiungessimo quando ci troviamo.

Dov'è infatti che cerchiamo se non dentro di noi?

E che cosa cerchiamo se non noi? Quasi che non siamo in noi e ci siamo allontanati da noi in un qualche luogo nascosto.

Non ti colpisce forse e non ti spaventa tanta profondità?

E che altro è questo se non la nostra natura, e non quale essa è stata, ma quale è adesso?

Ed ecco essa è più oggetto d'esplorazione che di comprensione.

Spesso davanti ad una questione io ho creduto che l'avrei capita se ci avessi riflettuto: ho riflettuto e non ho potuto; spesso non ho creduto e tuttavia ho potuto.

Le forze dunque della mia intelligenza evidentemente non sono note a me, e credo nemmeno a te.

7.11 - Ignoriamo le forze della nostra volontà

Ma forse tu mi disprezzi per la mia confessione e anche per questa mi paragonerai alle bestie.

Io al contrario non cesso di rivolgerti monito, se li disdegni, non cesso di rivolgerti ammonimenti amichevoli perché tu riconosca piuttosto la comune debolezza nella quale si manifesta pienamente la potenza divina, ( 2 Cor 12,9 ) per evitare che, presumendo come a te noto l'ignoto, tu non possa giungere alla verità.

Credo infatti che ci sia qualcosa che anche tu cerchi d'intendere e non lo puoi, né tuttavia lo cercheresti se non sperassi di poterlo.

E quindi tu ignori la forza della tua intelligenza, anche tu che professi la conoscenza della tua natura e non ne confessi con me l'ignoranza.

Che dirò della volontà, nella quale si predica da noi con certezza il libero arbitrio?

A questo proposito, il beatissimo apostolo Pietro voleva dare la sua vita per il Signore, ( Gv 13,37; Mt 16,16 ) lo voleva senz'altro, né infatti promettendolo intendeva ingannare Dio; ma egli ignorava di quanta forza disponesse la sua stessa volontà.

Un uomo dunque così grande, che aveva riconosciuto Gesù come figlio di Dio, era sconosciuto a se stesso.

Noi pertanto sappiamo che vogliamo o che non vogliamo qualcosa, ma quanto valga la nostra volontà anche quando è buona, quanta forza abbia, a quali tentazioni ceda e a quali non ceda, se non inganniamo noi stessi, o figlio mio diletto, noi lo ignoriamo.

Indice

7 Qui e appresso Vincenzo Vittore